DOMENICA DI QUINQUAGESIMA

Introitus Ps XXX: 3-4

Esto mihi in Deum protectórem, et in locum refúgii, ut salvum me fácias: quóniam firmaméntum meum et refúgium meum es tu: et propter nomen tuum dux mihi eris, et enútries me. – [Sii mio protettore, o Dio, e mio luogo di rifugio per salvarmi: poiché tu sei la mia fortezza e il mio riparo: per il tuo nome guídami e assistimi.]

Ps XXX:2

In te, Dómine, sperávi, non confúndar in ætérnum: in justítia tua líbera me et éripe me. – [In Te, o Signore, ho sperato, ch’io non resti confuso in eterno: nella tua giustizia líberami e sàlvami.]

  1. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto.
  2. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in saecula saeculórum. Amen

Esto mihi in Deum protectórem, et in locum refúgii, ut salvum me fácias: quóniam firmaméntum meum et refúgium meum es tu: et propter nomen tuum dux mihi eris, et enútries me. – [Sii mio protettore, o Dio, e mio luogo di rifugio per salvarmi: poiché tu sei la mia fortezza e il mio riparo: per il tuo nome guídami e assistimi.]

Orémus. Preces nostras, quaesumus, Dómine, cleménter exáudi: atque, a peccatórum vínculis absolútos, ab omni nos adversitáte custódi. [O Signore, Te ne preghiamo, esaudisci clemente le nostre preghiere: e liberati dai ceppi del peccato, preservaci da ogni avversità.]

Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum.

Amen.

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios.

1 Cor XIII:1-13

Fratres: Si linguis hóminum loquar et Angelórum, caritátem autem non hábeam, factus sum velut æs sonans aut cýmbalum tínniens. Et si habúero prophétiam, et nóverim mystéria ómnia et omnem sciéntiam: et si habúero omnem fidem, ita ut montes tránsferam, caritátem autem non habúero, nihil sum. Et si distribúero in cibos páuperum omnes facultátes meas, et si tradídero corpus meum, ita ut árdeam, caritátem autem non habuero, nihil mihi prodest. Cáritas patiens est, benígna est: cáritas non æmulátur, non agit pérperam, non inflátur, non est ambitiósa, non quærit quæ sua sunt, non irritátur, non cógitat malum, non gaudet super iniquitáte, congáudet autem veritáti: ómnia suffert, ómnia credit, ómnia sperat, ómnia sústinet. Cáritas numquam éxcidit: sive prophétiæ evacuabúntur, sive linguæ cessábunt, sive sciéntia destruétur. Ex parte enim cognóscimus, et ex parte prophetámus. Cum autem vénerit quod perféctum est, evacuábitur quod ex parte est. Cum essem párvulus, loquébar ut párvulus, sapiébam ut párvulus, cogitábam ut párvulus. Quando autem factus sum vir, evacuávi quæ erant párvuli. Vidémus nunc per spéculum in ænígmate: tunc autem fácie ad fáciem. Nunc cognósco ex parte: tunc autem cognóscam, sicut et cógnitus sum. Nunc autem manent fides, spes, cáritas, tria hæc: major autem horum est cáritas.” –

[Fratelli: Quand’io parlassi le lingue degli uomini e degli àngeli, se non ho la carità sono come un bronzo risonante o un cémbalo squillante. E quando avessi la profezia e intendessi tutti i misteri e ogni scienza, e se avessi tutta la fede così da spostare le montagne: se non ho la carità sono un niente. E quando distribuissi in nutrimento per i poveri tutti i miei possessi e sacrificassi il mio corpo per essere bruciato: se non ho la carità nulla mi giova. La carità è paziente, è benigna. La carità non è astiosa, non è insolente, non è tronfia, non è ambiziosa, non cerca il proprio interesse, non si muove ad ira, non pensa male, non gode dell’ingiustizia, ma si rallegra della verità: tutto soffre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non viene mai meno: mentre invece le profezie passeranno, le lingue cesseranno e la scienza sarà abolita. Adesso conosciamo imperfettamente e profetiamo imperfettamente. Quando verrà ciò che è perfetto, verrà rimosso ciò che è imperfetto. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, avevo gusti da bambino, pensavo da bambino. Divenuto uomo, ho smesso le cose che erano dei bambini. Adesso vediamo come in uno specchio, per enigma: allora poi faccia a faccia. Ora conosco in parte: allora conoscerò come sono conosciuto. Per ora restano queste tre cose: la fede, la speranza e la carità, ma la più grande è la carità.]

 Graduale : Ps LXXVI:15; LXXVI:16

Tu es Deus qui facis mirabília solus: notam fecísti in géntibus virtútem tuam. . [Tu sei Dio, il solo che operi meraviglie: hai fatto conoscere tra le genti la tua potenza.]

Liberásti in bráchio tuo pópulum tuum, fílios Israel et Joseph

[Liberasti con la tua forza il tuo popolo, i figli di Israele e di Giuseppe.]

Tratto: Ps XCIX:1-2

Jubiláte Deo, omnis terra: servíte Dómino in lætítia, V. Intráte in conspéctu ejus in exsultatióne: scitóte, quod Dóminus ipse est Deus. V. Ipse fecit nos, et non ipsi nos: nos autem pópulus ejus, et oves páscuæ ejus.

[Acclama a Dio, o terra tutta: servite il Signore in letizia. V. Entrate alla sua presenza con esultanza: sappiate che il Signore è Dio. V. Egli stesso ci ha fatti, e non noi stessi: noi siamo il suo popolo e il suo gregge.]

Evangelium

Luc XVIII:31-43

In illo témpore: Assúmpsit Jesus duódecim, et ait illis: Ecce, ascéndimus Jerosólymam, et consummabúntur ómnia, quæ scripta sunt per Prophétas de Fílio hominis. Tradátur enim Géntibus, et illudétur, et flagellábitur, et conspuétur: et postquam flagelláverint, occídent eum, et tértia die resúrget. Et ipsi nihil horum intellexérunt, et erat verbum istud abscónditum ab eis, et non intellegébant quæ dicebántur. Factum est autem, cum appropinquáret Jéricho, cæcus quidam sedébat secus viam, mendícans. Et cum audíret turbam prætereúntem, interrogábat, quid hoc esset. Dixérunt autem ei, quod Jesus Nazarénus transíret. Et clamávit, dicens: Jesu, fili David, miserére mei. Et qui præíbant, increpábant eum, ut tacéret. Ipse vero multo magis clamábat: Fili David, miserére mei. Stans autem Jesus, jussit illum addúci ad se. Et cum appropinquásset, interrogávit illum, dicens: Quid tibi vis fáciam? At ille dixit: Dómine, ut vídeam. Et Jesus dixit illi: Réspice, fides tua te salvum fecit. Et conféstim vidit, et sequebátur illum, magníficans Deum. Et omnis plebs ut vidit, dedit laudem Deo. –

[In quel tempo: Gesù prese a parte i dodici e disse loro: Ecco, andiamo a Gerusalemme, e si adempirà tutto quello che è stato scritto dai profeti sul Figlio dell’uomo. Poiché sarà dato nelle mani della gente e sarà scernito, flagellato e sputato: e dopo che l’avranno flagellato, lo uccideranno e il terzo giorno risorgerà. Ed essi non compresero nulla di tutto questo, un tal parlare era oscuro per essi e non comprendevano quel che diceva. E avvenne che, avvicinandosi a Gerico, un cieco se ne stava sulla strada mendicando. E udendo la folla che passava, domandava cosa accadesse. Gli dissero che passava Gesù Nazareno. E quegli gridò e disse: Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me. E quelli che andavano avanti lo sgridavano perché tacesse. Ma egli gridava sempre più: Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me. E Gesù, fermatosi, ordinò che glielo conducessero. Quando gli fu vicino, lo interrogò dicendo: Cosa vuoi che ti faccia? E quegli disse: Signore, che io vegga. E Gesù gli disse: Vedi, la tua fede ti ha salvato. E subito vide, e lo seguiva: magnificando Dio. E tutto il popolo, vedendo ciò, rese lode a Dio.]

Omelia

della DOMENICA di QUINQUAGESIMA

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. I -1851-]

(Vangelo sec. S. Luca, XVIII, 31-43)

Contro il Carnevale.

 Lungo la via di Gerico sedeva un povero cieco, mendicando dai passeggeri qualche soccorso. Si avvenne a passar di colà il divin Redentore, seguito da numeroso popolo. Il cieco ne udì il calpestìo, e interrogò che cosa fosse, gli fu riposto, essere Gesù Nazzareno che di là passava, “Gesù figliuol di Davide, esclamò tosto il mendico, abbiate pietà di me”! Taci, lo sgridavano i primi del seguito, taci, che tanto gridare? “Gesù, a voce più alta gridò il cieco, Gesù figliuol di Davide, abbiate di me pietà”. Si fermò il benigno Signore, e fattolo condurre a sé innanzi, “che vuoi, gli disse, che chiedi da me?” – “O Signore, rispose, e che può desiderare, e che può chiedere un misero cieco par mio, se non la vista?” –  “Domine ut videam” : “sia fatto, ripigliò Gesù, secondo la tua domanda e la tua fede.” – Aprì gli occhi alla luce in quell’istante il non più cieco mendìco, e saltellando per gioia si accompagnò col Salvatore, e ne esultò tutto il popolo dando gloria a Dio. Chi fosse questo cieco l’Evangelista non lo dice, entri qui il magno Gregorio (Hom. 2 in Evang.), ma è una figura assai esprimente la cecità dell’umano genere, del cieco mondo, che prima della venuta del divino Verbo era avvolto nelle tenebre del peccato, e nelle caligini della idolatria. Volesse Iddio che da questa cecità non fossero colpiti anche al presente, tanti fra i cristiani! E qual maggior cecità in questi giorni di licenze carnevalesche che darsi in preda alle follie del paganesimo? E nol dite voi stessi che il carnevale fa l’uomo cieco e matto? Se dunque, da quei saggi che siete confessate così, posso sperare da voi una grazia, che son per domandarvi. Voi siete assidui ad ascoltar la divina parola, voi con devota frequenza assistete alle sacre funzioni, lasciate che i ciechi facciano da ciechi e i matti da matti, e voi fate da savi e buoni cristiani. Astenetevi dal concorrere, e dal vedere le vane pazzie, le scandalose sciocchezze del mondo insensato. Datevi in questo tempo dannoso per le anime ed oltraggioso per Dio, a servirLo con maggior impegno, accorrete a quelle Chiese ove è esposto all’adorazione dei fedeli, santificate questi giorni profanati dai ciechi mondani. Quest’è la grazia che io vi domando, anzi ve la domanda Gesù medesimo per bocca mia, come udirete in tutto il corso della presente spiegazione. – “Miei figli, ( è Gesù che parla, come già vi accennai, per organo del suo sebben indegno ministro), miei figli, anime redente col sangue mio, date ascolto alle parole che escono più dal mio cuore che dal mio labbro, “venite filii, audite me” (Ps. XXXIII, 12) . Una gran parte dei vostri fratelli e figli miei, innalzati da me col carattere del santo Battesimo ad esser meco coeredi del celeste regno, e nutriti alla mia mensa colle mie carni e col mio sangue, ingrati ai miei benefizi in tutt’i tempi, e massime in questo di carnevale, son giunti a disprezzarmi con una specie di autenticità basata sul depravato costume dei ciechi idolatri e dei più ciechi cristiani. “Filios enutrivi et exaltavi: ipsi autem spreverunt me” (Is. I, 2). E non è un disprezzo di me e della mia legge, l’immodesta libertà autorizzata dal ballo, l’inverecondia delle saltatrici, lo scandalo delle nudità? E non è un disprezzo di me, e del mio Vangelo, così contrario al mondo, il darsi in preda ai disordini e alle scostumatezze dal mondo? Così è, si sono dimenticati i cristiani miei seguaci, ch’Io sono il fonte d’acqua viva, che sola può spegnere le arsure dell’uman cuore, e si son lusingati di trovar refrigerio alla loro sete col ricorrere alle rotte e fangose cisterne dei sensuali piaceri; mi hanno perciò voltate le spalle, e villanamente abbandonato. “Me dereliquerunt fontem aquæ vivæ, et foderunt sibi cisternas dissipata, quæ continere non valent aquas” (Gerem. XI, 13). E voi miei cari che mi ascoltate, volete ancor voi abbandonarmi? “Numquid et vos vultis abire?” (Joan.VI, 68). Così già dissi ai miei Apostoli in un tempo, che altri del mio seguito e della mia udienza si partirono da me. E bene, dissi a loro dodici, eccomi ridotto a voi soli, tutti gli altri si sono allontanati, sareste mai ancor voi tentati a seguir l’esempio malvagio e lasciarmi qui solo? “Numquid et vos vultis abire?”– Dico altrettanto a voi. Tutti corrono dietro al gran mondo, som piene di gente le sale di ballo, e le mie Chiese deserte: gli stravaganti sollazzi disonorano la mia religione, le mode scandalose, i tratti indecenti corrompono il buon costume, le danze licenziose, alle quali presiede il demonio, le oscene parole, i motti allusivi, i sospiri amorosi rubano al mio costato tante anime incaute. Volete ancor voi, uditori figliuoli miei, unirvi ai miei nemici, ed essere complici o spettatori dei trionfi di Satanasso, sprezzare le mie parole?Num quid et vos vultis abire? Avrà più forza sul vostro cuore una vana allegrezza che la compassione delle mie offese? Via, se non vi muovono gli oltraggi gravissimi, che mi son fatti dai seguaci di Venere, dai deliranti per le baccanali follie, vi muova almeno il vostro bene, e l’amor di voi stessi. Qual vantaggio avete voi riportato dai balli, dai festini dei carnevali trascorsi? Quante volte la vostra stolta allegria si è convertita in tristezza, e il gaudio in lutto? L’amor non corrisposto vi ha portato doglia e rancore, il corrisposto confusione e rimorso. La gelosia vi ha fatto struggere, l’invidia marcire: le risse, le rivalità vi han tolto il sonno dagli occhi e la pace dal cuore, le crapule, le pompe, le dissolutezze vi hanno resi poveri, infermi, avviliti. S’è rinnovata in voi la dolorosa catastrofe del figliuol prodigo. Giovane sconsigliato! Lo tradì l’amor di libertà; l’amor delle donne fu quell’assassino, che lo spogliò di tutte le sue sostanze, e mezzo ignudo lo ridusse, per non morir di fame, a farsi mandriano d’immondi animali. – Ma quel che immensamente più importa, ditemi, anime mie care, volete salvarvi? Mi rispondete di sì. Ma se volete salvarvi, fuggite l’occasione di perdervi. Imitate Àbramo mio servo fedele. Era egli nella Caldea in mezzo a un popolo idolatra, le pagane superstizioni non macchiarono mai la sua fede nel vero Dio; stava però in mezzo ai pericoli. Per sottrarlo da questi bastò un mio comando, e con tutta prontezza e generosità abbandonò la casa, la patria, i congiunti, ed Io lo colmai di ogni terrena e celeste benedizione, e del suo nome mi fregiai la fronte, chiamandomi il Dio di Abramo, ed esso padre di tutti i credenti. Che sono le allegria del carnevale? Feste profane son queste istituite dagli idolatri in onore dei loro falsi Dei: fa orrore il solo leggerle nella storia del Paganesimo. – Sembra impossibile che l’uomo fornito di ragione sia giunto ad eccessi che degradano l’umana natura nella foggia più obbrobriosa. Non soffre il pudore che si rammentino le sozzure delle baccanti ubriache, le prostituzioni nel culto dato a Venere, e mille altre vergognosissime nefandezze. Or voi, miei fedeli, nati nel grembo della mia Chiesa, insigniti del carattere cristiano, illuminati dal mio Vangelo, avrete animo d’imitare senza rossore, di seguire senza rimorso i rei costumi, i deliri, le pazzie, le abominazioni della cieca gentilità, della riprovata idolatria? Deh! come Abramo, ubbidite alla mia voce, allontanatevi da quei pericoli, uscite da quei lacci, fuggite da quegli scandali, e discenderanno su di voi, come sopra Abramo, le più desiderabili mie benedizioni. – I miei eletti si sono sempre distinti cosi. Tobia ancor giovane, mentre nella prevaricazione del suo popolo i sedotti suoi fratelli n’andavano agli idoli d’oro, innalzati dalla scellerata politica dell’empio Geroboamo, egli tutto solo si incamminava al tempio in Gerusalemme ad adorare il Dio dei padri suoi, e il Dio dei suoi padri fu il suo protettore in terra, ed il suo premio in cielo. – Che dirò di quei generosi Ebrei ai tempi d’Antioco? Quest’empio conquistatore e crudelissimo tiranno ordinò che nella soggiogata Gerusalemme si celebrassero solennemente le feste Baccanali. Minacciati di morte erano costretti quegli infelici, coronati di edera, andar in giro saltando ad onore di Bacco, “cogebantur hedera coranati Lìbero circuire” (2 Macch. VI, 7). Ma parte di essi fuggirono sui monti, e parte elessero d’essere barbaramente trucidati, pria che contaminarsi con quei riti profani, e pieni di fede e di coraggio s’animavano a vicenda ad andar generosamente incontro alla morte dicendo che Iddio, da tanti abbandonato, si consolerebbe nella fedeltà dei servi suoi, “in servis suis consolabitur Deus” (Ibid.). Le feste profane del carnevale, già vel dissi hanno l’origine dall’idolatria. Questo è il tempo che distingue i veri cristiani da quelli che seguono i costumi degl’idolatri. Se vi fosse minacciata la morte, come a quei valorosi Giudei, vorrei in qualche modo scusare la vostra debolezza, ma qui non v’è da vincere che un misero allettamento, per conseguire un gran merito. E voi mi negherete questa consolazione? Avrà più forza in voi la concupiscenza, che la mia fede? Più l’amor sensuale, che l’amor mio? Più la danza, che l’anima? Se perdeste l’anima per l’acquisto di tutti i regni del mondo, sarebbe sempre una perdita incalcolabile. Perduta l’anima, tutto è perduto. Or che sarà se si perda per tali trastulli da pazzi? Aprite gli occhi, e fate senno, miei cari. Dopo esservi stancati giorno e notte nei balli, aprite, e mirate il concavo delle vostre mani, che vi resta? Un bel nulla. Vi restano invece tedi, malinconie e rimorsi. E quando anche vogliate affettare allegrezza, Io, che vedo l’interno vostro so e vi dico che non siete contenti: e siatelo per un istante, l’estremo dell’allegrezza finisce in lutto, e il riso del mondo va a terminare in un eterno pianto. “Extrema gaudii luctus occupat” (Prov. XIV, 13). Così avvenne a quegli stolti Ebrei nel deserto che festeggiarono il Vitello d’oro ad imitazione degli Egizi pagani, e la loro letizia andò a finire colla strage di ventitré mila di loro, che in poco d’ora coprirono il campo dei loro cadaveri, l’inondarono del proprio sangue, e l’anime piombarono a popolar l’inferno. Qualora poi, dilettissimi miei, non vi muovesse né l’amor mio, né il vostro vantaggio, né il vostro pericolo, mirate a qual passo discende l’amor di giovarvi. Questi giorni d’allegria pel mondo son giorni di mestizia per me; e perciò nella mia afflizione cerco da voi un qualche sollievo, come già lo cercai dai miei discepoli nell’orto delle mie agonie. Se non lo trovo fra voi, da chi potrò sperarlo? Quest’è l’ora vostra o amatori del mondo. Già me l’aspettava, “improperium expectavit cor meum et miseriam” (Ps. LXVIII, 21). – Che amarezza per l’animo mio, se dovessi soggiungere colle parole del mio Profeta, ho cercato fra quei che m’ascoltano un cuore, che meco senta doglia dei miei affanni, o almeno per compassion mi consoli, e son costretto a dire che non lo trovai. “Et sustinui, qui simul contristaretur et non fiat, et qui consolaretur, et non inveni”. La Chiesa mia sposa dolente assegna in questa domenica il tratto di quell’Evangelio, in cui predissi ai miei Apostoli gl’insulti, i flagelli, la morte ch’Io era per soffrire in Gerosolima dai miei nazionali e dai soldati gentili. Ed ora non dai miei nemici, ma dai miei figli mi si rinnovano barbaramente l’ingiurie stesse. Fui da Erode vestito da pazzo, fui dai soldati mascherato da re di burla con uno straccio di porpora sulle spalle, con scettro di canna, con corona di spine, con benda agli occhi, con finte adorazioni. – E non fanno altrettanto al presente i miei seguaci colle maschere, colle vesti scandalose, colle danze impudiche, colle adorazioni agl’idoli di carne, con  l’esultar pazzamente in ogni genere di scostumatezza? Se dai miei nemici fossi trattato così, nel soffrirei in pace, “si inimicus meus maledixisset mihi, sustinuissem utique(Ps. LIV); ma i miei cristiani, ma i figli miei, redenti col mio sangue, nutriti alla mia mensa, eredi del mio regno, ah quale acerba ferita all’afflitto mio cuore! – Orsù conchiudiamo. Voi, che qui radunati m’ascoltaste finora, volete in questi giorni seguir la folla del gran mondo, di quel mondo per cui mi son protestato di non pregare, e volete abbandonarmi? Andate pure, un giorno mi cercherete. La scena si cambierà ben presto. A rivederci all’ora di vostra morte, che potrebbe suonare in questi stessi giorni. Gente senza consiglio, dirò allora, mi avete provocato a sdegno colle vane vostre follìe : “Ipsi me irritaverunt in vanitatibus suis” (Deuter. XXXII, 21), ed Io come gente colpevolmente stolta vi abbandonerò al mio giusto furore ; “et ego in genie stulta irritabo illos”. Orsù venga a conforto del vostro spirito agonizzante la memoria degli allegri balli e delle danze festose. Fatevi porgere quella maschera che usaste al festino e copritevi il volto, se vi fa confusione l’immagine di me crocifisso, che vi presenta il sacerdote assistente. Anch’io nasconderò la mia faccia, e vi lascerò senza soccorso sul limitare della morte e dell’inferno: “Abscondam faciem meam ab eis, et considerabo novìssima eorum” (ibid.). Anime mie carissime, non m’obbligate a compiere le mie minacce, che partono da un cuore che v’ama, che v’avvisa per non ferirvi, che vi spaventa per consolarvi. Venite a me, volgete le spalle a Belial, e vi riguarderò come miei fidi seguaci, come miei figli diletti nel tempo e nell’eternità.

Credo

Offertorium

Orémus Ps CXVIII: 12-13

Benedíctus es, Dómine, doce me justificatiónes tuas: in lábiis meis pronuntiávi ómnia judícia oris tui. [Benedetto sei Tu, o Signore, insegnami i tuoi comandamenti: le mie labbra pronunciarono tutti i decreti della tua bocca.]

Secreta

Hæc hóstia, Dómine, quaesumus, emúndet nostra delícta: et, ad sacrifícium celebrándum, subditórum tibi córpora mentésque sanctíficet. [O Signore, Te ne preghiamo, quest’ostia ci purifichi dai nostri peccati: e, santificando i corpi e le ànime dei tuoi servi, li disponga alla celebrazione del sacrificio.]

Communio Ps LXXVII:29-30

Manducavérunt, et saturári sunt nimis, et desidérium eórum áttulit eis Dóminus: non sunt fraudáti a desidério suo. [Mangiarono e si saziarono, e il Signore appagò i loro desiderii: non furono delusi nelle loro speranze.]

Postcommunio

Orémus. Quaesumus, omnípotens Deus: ut, qui coeléstia aliménta percépimus, per hæc contra ómnia adversa muniámur. Per eundem … [Ti preghiamo, o Dio onnipotente, affinché, ricevuti i celesti alimenti, siamo muniti da questi contro ogni avversità.]

I KAZARI: dominatori del mondo

I kazari

Conosco la tua tribolazione, la tua povertà – tuttavia sei ricco – e la calunnia da parte di quelli che si proclamano Giudei e non lo sono, ma appartengono alla sinagoga di satana.” [Apoc. II, 9]

Questo versetto è veramente magnifico e inquadra perfettamente la situazione attuale della Chiesa Cattolica. Ma chi sono questi giudei dell’Apocalisse, citati nella lettera all’Angelo della chiesa di Smirne, che si pretendono giudei senza esserlo? Essi non lo sono né per fede, avendo ripudiato la legge di Mosè per preferire il talmud, né per sangue non essendo originari della Giudea, bensì dell’Asia centrale, dell’Europa centrale e dell’est, e più precisamente provenienti dalla Turchia e della Mongolia. Si tratta innegabilmente del popolo kazharo (in turco significa “errante”). Secondo gli storici ufficiali Benjamin H. Freedmann ed Arthur Koestler, il reame dei kazhari dominò il mondo come nazione, dopo la Russia dal VII al X secolo. Anche prima della venuta di Cristo sulla terra, i kazhari avevano già invaso l’Europa orientale. Questi guerrieri furono inizialmente dei pagani che si allearono a Bisanzio (l’Impero Romano d’Oriente) contro i persiani ed i musulmani. Poi il loro re Bulan dovette scegliere tra le tre religioni monoteiste. Il cristianesimo, l’islam, ed il talmudismo. Il re di questi pretesi giudei optò per il terzo, cosa che diede diritto al suo popolo di proseguire la sua dominazione attraverso l’usura, essendo all’epoca il talmudismo ciò che si chiama oggi il giudaismo talmudico. Nel suo libro “Due secoli insieme”, il russo Alexandre Soljenitse da una spiegazione politica a questa conversione determinante. “I capi etnici dei turco-kazari idolatri di questa epoca non volevano né l’islam, per non sottomettersi al califfo di Bagdad, né il Cristianesimo per evitare la tutela di Bisanzio. Così quasi 722 tribù adottarono la religione giudaica.” Qualunque sia il motivo, politico o economico, questa conversione al giudaismo doveva condurre alla loro egemonia. Questa falsa religione deve molto a questo popolo. Perché ci si chiede, senza i kazari, sarebbe mai sussistito il giudaismo talmudico? L’interrogativo resta aperto. – Il re Butan si convertì dunque nell’anno 740. Questa conversione cambiò le cose, altre seguirono massivamente: oramai solo un giudeo poteva accedere al trono perché l’autorità religiosa era il talmud. I rabbini si incaricarono poi di imporlo alle popolazioni. – L’apogeo della dominazione kazhara fu a metà del IX secolo. Il loro reame aveva allora esteso largamente il suo territorio, dall’Europa dell’est all’Europa centrale, su circa 15,3 milioni di chilometri quadrati. I kazhari, questi askhenaziti dell’Europa orientale, non sono quindi semiti, bensì ariani. Essi parlano l’yddish, una lingua che ha preso un gran numero di parole dal tedesco, e che nulla a che a vedere, nemmeno una parola, con l’ebraico antico o biblico di cui ha ereditato solo i caratteri esdraici quadratici. I kazhari furono in seguito cacciati dalla Russia come spesso è loro accaduto nel corso della storia. La capitale dell’Ucraina, Kief, era stata creata da loro ed in loro onore nel 640. Certi autori, tra i quali pure il Freedman, pensano, legittimamente, che la rivoluzione bolscevica sia stata una rivincita del kazari sul popolo russo. I fatti danno credito a questo punto di vista, poiché si sa bene che gli autori maggiori della sovversione in Russia erano tutti giudei askhenaziti, cioè falsi giudei. Ora il 90 % degli askhenaziti sono di discendenza kazhara, secondo Benjamin H. Freedman, Arthur Koestler e John Beaty. Il legame tra questo popolo e l’oligarchia mondialista è stretto, perché i due non fanno che una sola cosa. Osserviamo ciò che analizzava a suo tempo il giornalista Paul Copin-Albancelli sugli uomini che dirigono la franco-massoneria: “… va da sé che un’opera come quella che abbiamo studiato, [la realizzazione della piramide massonica] non potrebbe essere quella di un unico uomo, né quella di alcuni uomini estranei tra loro che si sarebbero incontrati. La sua continuità, più ancora che la sua immensità, rivela questa permanenza di sforzi della quale sono capaci solo le razze che rendono indistruttibili la loro fedeltà alla fede degli avi. Il potere occulto è dunque costituito dai rappresentanti di una razza e di una religione”. Questa razza è appunto la razza giudeo-askhenazita kazhara e questa religione è il giudaismo talmudico. Pertanto, ciò che si chiama comunemente l’impero, trasse le sue origini da questo popolo sanguinario, da questi askhenaziti di discendenza kazhara che sono globalmente dei rifugiati dell’Europa dell’est. Quindi ai giorni nostri, si è avverato che la stragrande maggioranza dei giudei askenaziti discendenti dal popolo kazaro e l’alta finanza dei Rothschild, Warburg, Soros, Lazard … proviene in pratica tutta da questa razza, che nulla ha a che vedere con la Giudea e con gli Ebrei.