Giurisdizione episcopale e la sede romana

Giurisdizione episcopale e la sede romana

di p. Fenton

Immagine di Pio XII il cui magistero infallibile viene disprezzato dal N.O., dalla setta FSSPX e dalle sette Sedevacantiste

“… egli [Papa Pio XII] insegnò che il Vicario di Cristo sulla terra è l’unico da cui tutti gli altri pastori nella Chiesa cattolica ricevono immediatamente la loro competenza e la loro missione .'”

“Monsignor Alfredo Ottaviani dichiara che questo insegnamento… deve essere tenuto come certissimo a motivo di quello che ha detto il Papa Pio XII.” (P. Joseph C. Fenton, un vero teologo cattolico, 1949)

“Da ciò che abbiamo detto, consegue che nessuna qualsiasi autorità, può cambiare ciò che è definito dal il Supremo pastore, o può invalidare la giurisdizione canonica concessa a qualunque Vescovo; che nessuna persona o gruppo di sacerdoti o di laici, possono rivendicare il diritto di nominare vescovi; che nessuno può legittimamente conferire la consacrazione episcopale a meno che non abbia ricevuto il mandato della sede apostolica (Canone 953).” (Pio XII, dalla sua enciclica, “Principe degli Apostoli”, 29 giugno 1958).

GIURISDIZIONE EPISCOPALE E LA SEDE ROMANA

da

American Ecclesiastical Review

Vol. CXX, gennaio-giugno 1949

 Uno dei contributi più importanti alla sacra teologia negli ultimi anni è stato l’insegnamento del Santo Padre sull’origine immediata della giurisdizione episcopale nella Chiesa cattolica. Nella sua grande enciclica Mystici corporis, data il 29 giugno 1943, Papa Pio XII ha parlato del potere ordinario della giurisdizione dei Vescovi cattolici come qualcosa di “conferito a loro immediatamente” dal sovrano Pontefice. [Cfr. l’edizione di NCWC, n. 42]. Più di un anno prima della pubblicazione della Mystici corporis il Santo Padre aveva enunciato la stessa verità nella sua allocuzione pastorale ai parroci ed ai predicatori quaresimali di Roma. In questo documento egli ha insegnato che il Vicario di Cristo sulla terra è colui da cui tutti gli altri pastori nella Chiesa cattolica “ricevono immediatamente la loro giurisdizione e la loro missione.” [Cfr. Osservatore Romano, 18 febbraio 1942]. –  Nell’ultima edizione della sua classica opera, “Institutiones iuris publici ecclesiastici”, Monsignor Alfredo Ottaviani dichiara che questo insegnamento, che in precedenza era stato considerato come “probabilior” o anche come “communis,” ora debba essere ritenuto come interamente certo a motivo di ciò che Papa Pio XII ha detto. [Cfr Institutiones iuris publici ecclesiastici, 3a edizione (Typis Polyglottis Vaticanis, 1948), I, 413]. La tesi che deve essere accettata e insegnata come certa è un elemento estremamente importante nell’insegnamento cristiano circa la natura della vera Chiesa. La negazione o anche la negligenza di questa tesi inevitabilmente impedirà l’accurata e l’adeguata comprensione teologica della funzione di nostro Signore come capo della Chiesa e dell’unità visibile del Regno di Dio sulla terra. Così, nel dare questa dottrina, come lo status di una sicuramente certa istruzione, il Santo Padre ha completato il lavoro della sacra teologia. – La tesi che i vescovi derivino il loro potere di giurisdizione immediatamente dal Sommo Pontefice non è affatto un insegnamento nuovo. Nel suo breve Super soliditate, rilasciato il 28 novembre 1786 e diretto contro gli insegnamenti del canonista Joseph Valentine Tony, Papa Pio VI aveva aspramente censurato Tony per gli attacchi insolenti di questo scrittore verso gli autori che insegnavano che il romano Pontefice è colui “da cui i Vescovi stessi derivano la loro autorità.” [Cfr. DB, 1500]. Papa Leone XIII, nella sua enciclica Satis cognitum, datata 29 giugno 1896, ha messo in evidenza un punto fondamentale di questo insegnamento quando ha ribadito, con riferimento a quei poteri che gli altri governanti della Chiesa tenevano in comune con San Pietro, l’insegnamento del Papa San Leone I che tutto ciò che Dio aveva dato a questi altri, lo aveva dato attraverso il principe degli Apostoli. [Cfr Codicis iuris canonici fontes, modificato dal cardinale Pietro Gasparri (Typis Polyglottis Vaticanis, 1933), III, 489 f. La dichiarazione del Papa San Leone si trova nel suo sermone sia nel quarto, che nel secondo anniversario della sua elevazione all’ufficio papale]. – L’insegnamento è enunciato esplicitamente in una comunicazione di Papa s. Innocenzo I della Chiesa Romana, nella sua lettera ai Vescovi africani, rilasciata il 27 gennaio 417. Questo grande Pontefice ha dichiarato che “l’episcopato stesso e tutta la potenza di questo nome” provengono da San Pietro. [DB, 100]. La dottrina proposta da Papa San Innocenzo era abbastanza familiare alla gerarchia africana. Era stata sviluppata e insegnata dai predecessori degli uomini ai quali egli scriveva, e costituiva la prima spiegazione sistematica ed estesa dell’Episcopato della Chiesa cattolica. Verso la metà del terzo secolo S. Cipriano, il martire vescovo di Cartagine, aveva elaborato il suo insegnamento sulle funzioni di San Pietro e della sua “cattedra” come base dell’unità della Chiesa. [Cfr Adhemar D’Ales, La theologie de Saint Cyprien (Paris: Beauchesne, 1922), pp. 130 ff.]. S. Optato, vescovo di Milevi, che era un eccezionale difensore della Chiesa contro gli attacchi dei Donatisti, aveva scritto, intorno all’anno 370, che la “cattedra” di Pietro è la sede intorno alla quale “l’unità è mantenuta da tutti,” [Cfr. Libri contra Parmenianum Donatistam, II, 2], e che, dopo la sua caduta, Pietro “da solo ha ricevuto le chiavi del Regno dei cieli, che dovevano essere consegnate anche (communicandas) agli altri.” [Cfr ibid., VII, 3]. – Durante gli ultimi anni del quarto secolo Papa San Siricio aveva asserito l’origine Pietrina dell’Episcopato nella sua lettera, Cum in unum, quando ha designato il Principe degli Apostoli come colui “Da cui è derivata la loro origine: l’apostolato e l’episcopato in Cristo” [Cfr EP. V], ed ha introdotto questo concetto nella sua scrittura come qualcosa di cui coloro ai quali essa era stata indirizzata avevano perfetta familiarità. Questo era ed è rimasto l’insegnamento tradizionale e comune della Chiesa cattolica. – La tesi che vescovi derivano il loro potere di giurisdizione immediatamente dal romano Pontefice, anziché immediatamente da nostro Signore stesso ha avuto una storia lunga, tremendamente interessante nel campo della teologia scolastica. San Tommaso d’Aquino l’aveva proposta nei suoi scritti, senza, tuttavia, dilungarsi particolarmente. [S. Tommaso ha insegnato nella sua Summa contra gentiles, lib. IV, cap. 76, che, per preservare l’unità della Chiesa, il potere delle chiavi deve essere consegnato, per mezzo di Pietro, agli altri pastori della Chiesa. Gli scrittori successivi fanno anche appello al suo insegnamento della Summa Theologiæ, in IIa-IIæ, q. 39, art. 3, nel suo commento sulle sentenze di Pietro Lombardo, IV, Dist. 20, art. 4 e nel suo commento al Vangelo secondo Matteo, in cap. XVI, n. 2, a sostegno della tesi che i vescovi derivano il loro potere di giurisdizione immediatamente dal Sovrano Pontefice]. Due altri scolastici medievali eccezionali, Richard di Middleton [cfr Richard commento sulle condanne, lib. IV, Dist. 24], e Durandus [Cfr D. annulipes a Sancto Porciano Ord. Praed. et Meldensis Episcopi nei libri di Petri Lombardi sententias theologicas IIII (Venezia, 1586), lib. IV, Dist. 20, d. 5, n. 5, p. 354], seguirono il suo esempio. Il trattato teologico pre-tridentino di eccezionale importanza sulla Chiesa di Cristo, la Summa de ecclesia del Cardinale John de Turrecremata è andato ad esaminare la questione nei minimi dettagli. [Cfr Summa de ecclesia (Venezia, 1561), lib. II, capitoli 54-64, pp. 169-188. Le tesi di Turrecremata sono identiche a quelle stabilite dal Papa Pio XII, anche se la sua terminologia è diverso. Il Santo Padre parla dei Vescovi che ricevono il loro potere di giurisdizione “immediatamente” dalla Santa Sede, cioè da nostro Signore attraverso il sovrano Pontefice. Turrecremata, d’altra parte, parla dei Vescovi che ricevono il loro potere di giurisdizione “mediatamente” o “immediatamente” dal Santo Padre, cioè, da lui direttamente o da un altro con il potere di agire nel suo nome]. Turrecremata ha elaborato la maggior parte degli argomenti che i teologi hanno utilizzato successivamente per dimostrare la tesi. Tommaso de Vio, il cardinale Cajetano, ha contribuito molto allo sviluppo dell’insegnamento nel periodo immediatamente precedente il Concilio di Trento. [Cf. Cajetan de comparatione auctoritatis Papae et concilii, cap. 3, nella edizione di p. Vincent Pollet della sua Scripta theologica (Roma: The Angelicum, 1935), I, 26 f.].

“Di gran lunga la più decisa presentazione della dottrina impostata ultimamente da Papa Pio XII, è stata effettuata nel Concilio di Trento…” – Durante il Concilio di Trento, la tesi è stata discussa dagli stessi padri. [Cfr Sforza Pallavincini Histoire de concile de Trente (Montrouge: Migne, 1844), lib. XVIII, capitoli 14 ff; Lib. XXI, capitoli 11 e 13, II, 1347 ff; III, 363 ff; Hefele-Leclercq, Histoire des conciles (Parigi: Letouzey et Ane, 1907 ff), IX, 747 ff; 776 ff.]. Di gran lunga la più solida presentazione della dottrina ultimamente ribadita dal Papa Pio XII è stata fatta nel Concilio di Trento dal grande teologo gesuita, James Laynez [nell’edizione di Hartmann Grisar di Laynez’ Disputationes Sebastian (Innsbruck, 1886), I, 97-318]. Per molti aspetti le “Quaestiones, De origine jurisdictionis episcopo rum” e “De modo quo compete un summo pontifice in episcopos derivi”, rimangono le migliori fonti di informazione teologiche sulle relazioni degli altri Vescovi della Chiesa cattolica al Romano Pontefice fino ad oggi. – Durante il secolo dopo il Concilio di Trento, tre dei teologi scolastici classici hanno scritto magnifiche spiegazioni e le prove della tesi che l’autorità episcopale nella Chiesa di Dio derivi immediatamente dal Vicario di Cristo sulla terra. S. Roberto Bellarmino ha trattato la questione con la sua abituale chiarezza ed autorità [Cfr. De Romano Pontifice, lib. IV, capitoli 24 e 25], utilizzando un approccio un po’ diverso da quello impiegato da Turrecremata e Laynez e più vicino a quella di Gaetano. Francis Suarez ha trattate della tesi “in extenso” nel suo “Tractatus de legibus” reimpostando certe spiegazioni che completano l’insegnamento del Laynez stesso. [Cfr. Lib IV, cap. 4, in Theologiae cursus completus (MTCC) XII di Migne, tocchi di Suarez FF. 596 su questa materia nel suo trattato De Summo Pontifice nel suo Opus de triplici virtute theologica, De fide, tratto. X, sezione I]. Francis Sylvius, nei suoi “polemiche”, riassunti i risultati dei suoi grandi predecessori in questo campo e ha lascito ciò che rimane fino ad oggi probabilmente come la più efficace e breve presentazione dell’insegnamento di tutta la letteratura scolastica. [Cfr. lib. IV, q. 2, art. 5, Opera omnia (Anversa, 1698), V, 302 ff.]. Durante lo stesso periodo un trattamento molto breve ma teologicamente all’unisono sullo stesso argomento è stato dato dal portoghese francescano Francis Macedo nel suo “Clavibus De Petri”. [Cfr. Clavibus De Petri (Roma, 1560), Lib. I, cap 3, 36 pp. ff.]. Due dei principali teologi del sedicesimo secolo, il tomista, Domenico Soto [Cfr. In quartam sententiarum (Venezia, 1569), Dist. 20, d. 1, art. 2, 4, I, 991 conclusio]. e Domenico Bannez, [Cf. Scholastica commentaria in secundam secundæ Angelici Doctoris D. Thomæ (Venezia, 1587), in d. 1, art. 10, dub. 5, concl. 5, colonne 497 ff.]. Allo stesso modo hanno incluso questo insegnamento nei loro “commentari.” – Il Papa Benedetto XIV ha incluso un trattamento eccellente di questa tesi nella sua grande opera “De synodo diocesana”. [Cfr. In Lib. I, cap. 4, n. 2 ff, in MTCC, XXV, 816 ff.]. Tra le autorità più recenti che hanno affrontato la questione in un modo degno di nota sono i due teologi gesuiti Domenico Palmieri [Cfr Tractatus de Romano Pontifice (Roma, 1878), 373 ff.], ed il cardinale Louis Billot [Cfr Tractatus de ecclesia Christi, 5a edizione (Roma: l’Università Gregoriana, 1927) I, 563 ff.]. Pure il cardinale Joseph Hergenroether ha trattato l’argomento in modo efficace e preciso nella sua grande opera “Chiesa cattolica e stato cristiano.” [Cf. Chiesa cattolica e stato cristiano (Londra, 1876), I, 168 ff.]. – L’opposizione più importante alla tesi, come era prevedibile, è venuta dai teologi Gallicani. Bossuet [Cfr. Defensio declarationis cleri Gallicani, lib. VIII, capitoli 11-15, nelle Oeuvres complètes (Paris, 1828), XLII, 182-202], e Regnier [Cfr Tractatus de ecclesia Christi, pars. II, sez. I, nel MTCC, IV, 1043 ff.], hanno difeso la causa gallicana su questo argomento. Altri, invece, non infettati dal “virus” Gallicano, si sono opposti a questo insegnamento nei tempi passati. Degno di nota tra questi avversari erano Francis de Victoria e Gabriel Vasquez. Victoria, sebbene fosse un insigne teologo, sembra avere male interpretato la questione in esame e ha immaginato che, in qualche modo l’insegnamento tradizionale abbia coinvolto l’implicazione che tutti i vescovi fossero stati collocati nel loro sede su disposizione di Roma. [Cfr. Relectiones undecim, in rel. II, De potestate ecclesiæ (Salamanca, 1565), pp 63 ff.]. Vasquez, d’altra parte, è stato attratto da una teoria ora desueta, che cioè tale giurisdizione episcopale era assolutamente inseparabile dal carattere episcopale, e che l’autorità del Santo Padre sui suoi compagni vescovi nella Chiesa di Cristo deve essere spiegata dal suo potere di rimuovere o alterare le condizioni o i soggetti sui quali tale competenza è esercitata. [3 [31] Cfr. In primam secundæ Sancti Thomæ (Lyons, 1631), II, 311].

 [Nota redaz.: i falsi traditionalisti/sedevacantisti sono sordi al fatto che il Papa Pio XII abbia condannato le “consacrazioni” senza mandato papale – anche per una “invocata grave emergenza”. Pio XII in “Ad Apostolorum Principis” ha riconosciuto che i mandati per le consacrazioni non papali erano avvenuti in caso di emergenza, dicendo che era “lecito nei secoli precedenti”, mentre, “la suprema autorità della Chiesa ha da tempo DECRETATO diversamente.” (vedere l’enciclica di Pio XII vincolante in eterno sul crimine delle consacrazioni senza mandato papale promulgata il 29 giugno 1958). Tentare di consacrare un vescovo senza il mandato pontificio fa incorrere nella scomunica automatica [“ipso facto”]. Sotto la pena di scomunica, l’individuo non può partecipare al culto pubblico né ricevere il corpo di Cristo o uno qualsiasi dei Sacramenti. Inoltre, se è un chierico, gli è proibito di officiare un rito sacro o di esercitare un atto di autorità spirituale. Questa condanna si riferisce pure a tutti coloro che appartengono o sostengono, o approvano tali atti/sette scismatiche antipapali.]-

L’insegnamento del Papa Pio XII sull’origine della giurisdizione episcopale, sicuramente non definisce che San Pietro e i suoi successori alla romana Sede abbiano sempre nominato direttamente ogni altro vescovo all’interno della Chiesa di Gesù Cristo. Significa, tuttavia, che ogni vescovo che è l’ordinario di una diocesi, ottiene la sua posizione con il consenso o almeno la tacita approvazione della Santa Sede. Inoltre, significa che il vescovo di Roma può, secondo la costituzione divina della Chiesa stessa, rimuovere in casi particolari la giurisdizione dei Vescovi e trasferirli ad altra giurisdizione. Finalmente sta a significare che ogni vescovo che non è in Unione con il Santo Padre, non ha alcuna autorità sui fedeli. – Questo insegnamento non nega in alcun modo il fatto che la Chiesa cattolica sia essenzialmente gerarchica e monarchica nella sua costruzione. Non è in conflitto con la verità che i Vescovi residenziali hanno giurisdizione ordinaria, piuttosto che semplicemente una giurisdizione delegata nelle loro chiese. In realtà è certamente una vera spiegazione dell’origine di tale giurisdizione ordinaria nei consacrati che governano le singole comunità dei fedeli, come successori degli Apostoli e come soggetti al capo del Collegio apostolico. Vuol dire che il potere di giurisdizione di questi uomini viene a loro sì da nostro Signore, ma attraverso il suo Vicario sulla terra, nel quale soltanto la Chiesa trova il suo centro visibile di unità in questo mondo.

Joseph Clifford Fenton L’Università Cattolica d’America Washington, D.C.