Omelia della Domenica II di AVVENTO

Omelia della DOMENICA II DELL’AVVENTO

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. I -1851-]

(Vangelo sec. S. Matteo XI, 2-10)

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Miracoli di Gesù Cristo.

E perché il Battista stretto in catene nel castello di Macheronte manda due de’ suoi discepoli a interrogar Gesù Cristo, s’Egli era o no il Messia aspettato da tutte le genti? Ben Lo conobbe con lume profetico fin dal ventre materno, e in riva al Giordano, e nella carcere istessa ove gli arrivò la fama de’ suoi prodigi. Or perché spedisce ambasciata a chiedere quel che non ignorava? Ecco il perché: voleva che i suoi discepoli conoscessero Gesù per il promesso Salvatore del mondo, come egli il conosceva. E per qual mezzo? Per mezzo de’ miracoli che avrebbe operato in loro presenza. Infatti giunti al suo cospetto i due inviati, “andate, disse loro, e riferite a Giovanni ciò che udiste e vedeste con gii occhi vostri: ai ciechi s’è data la vista, ai zoppi libero e retto il passo, ai lebbrosi la mondezza, ai sordi l’udito”. Ammirate, uditori, l’eccellente maniera di rispondere più coll’opere, che colle parole. I miracoli adunque da Cristo operati son quelli che danno a conoscere la sua Persona, la sua divinità; e ciechi son quelli, e ciechi di pura malizia, che di tali prodigi o negano l’evidenza, o non ne ravvisano l’autore. Contro di questi ciechi è diretta la presente spiegazione, per illuminarli, se fia possibile, o piuttosto per aggiungere lume a voi, miei fedeli carissimi, che siete figli della luce per ferma cristiana credenza. Di grazia non perdete una parola di quanto son per dirvi colla solita discreta brevità. – V’è sempre stata nel mondo, e volesse Iddio che non vi fosse tutt’ora, una certa razza di gente perversa, che non vuol vedere, che non vuol intendere, per non esser astretta a lasciar il male ed ad operare il bene. Lo disse sin da’suoi tempi il reale Profeta, “noluit intellìgere, ut bene ageret” (Ps. XXXV, 3). Tali erano né più né meno i Farisei, questi uomini superbi, che il divin Redentore chiamava ciechi, e guide di ciechi, “cæci et duces cæcorum” (Matth. XV, 14), vedevano i miracoli di Gesù Cristo, e pur non volevano vederli; li vedevano operati alla vista del pubblico, alla loro presenza, sotto degli occhi propri in modo da non poterli per alcun verso negare, (e qui è da notarsi, uditori, tratto mirabile d’altissima provvidenza, che niun de’ nemici di Cristo abbia mai negato infatti, l’opere sue prodigiose, non gli Ebrei, non i Gentili, non i profani scrittori), li vedevano, dissi, i caparbi Farisei, e non volendo vederli, a tutt’altra cagione ne attribuivano la virtù, che alla sua Persona, molto meno alla sua Divinità. Dicevano pertanto: “Come può costui per divina virtù far miracoli, se non osserva la legge di Mosè, se non santifica il sabato, se opera contro il precetto di Dio?” – “E voi, Gesù rispondeva, che vi vantate osservatori della legge Mosaica, non portate nel giorno festivo del sabato ad abbeverare i vostri giumenti? e se il vostro somaro cade per via, non vi affaticate a sollevarlo da terra? S’io poi senz’uso di braccia, senz’altra fatica raddrizzo gli storpi, illumino i ciechi, do l’udito ai sordi, la favella ai muti, la sanità agl’infermi, sono da voi incolpato violatore del giorno santo, e del precetto di Dio e di Mosè?” – Queste divine risposte chiudevano la bocca agli accusatori maligni per poi aprirla a nuove imposture. “Tu, dicevano, fra le altre opere meravigliose discacci i demoni dai corpi ossessi, è vero, ma li discacci in nome di Beelzebù principe de’ demoni”. – “Ma come? rispondeva il mansueto Signore, se i maligni spiriti, da me sforzati ad uscire dai corpi invasati, si lagnano ch’io son venuto a tormentarli, che su di loro esercito un troppo rigoroso potere, e confessano ch’Io son il Cristo promesso? E poi, un regno diviso in contrari partiti sarà desolato e distrutto. Come dunque potrà sussistere il regno di satana principe dei demoni, se egli e i suoi satelliti sono tra loro in divisione ed in contrasto? Quest’opere mie sono finalmente a vantaggio dell’uomo, tanto pel corpo quanto per lo spirito, e glorificano il mio Padre celeste, ripugna dunque ch’Io mi valga d’un nome nemico dell’uomo, e nemico di Dio”. – “Seguite ad ascoltarmi, soggiungeva il Divino Maestro, o abitatori di Gerusalemme, o popoli della Palestina. L’opere che in nome del Padre mio io vo facendo a benefizio di tutti voi vi danno di me la più autentica testimonianza, e provano la verità delle mie parole, ch’Io sono il Figliuolo di Dio, ch’Io e il mio Padre siamo due quanto alle Persone, ed un solo Dio riguardo all’essenza, “Ego et Pater unum sumus” (Io. X, 30). Non credete alle mie parole? credete ai fatti, credete all’opere, e se opere non fo degne di Dio mio Padre, non mi prestate fede”: “Si non facio opera Patris mei, nolite credere” (ib. 37). Se poi da me son fatte, “si autem facio”, e non potete ignorarle, credetemi, “operibus credite”. Son pur opere mie i ciechi illuminati, i zoppi raddrizzati: e per me i muti hanno acquistato la favella e i sordi l’udito: dalla forza di mie parole son mondati i lebbrosi, sono prosciolti gli energumeni, son risanati d’ogni genere infermi: al mio volere obbediscono il mare e i venti: le febbri, i malori, i demoni e la morte, che ha restituiti i cadaveri d’una stesa sul letto, d’un altro condotto alla tomba, d’altro già fracido e fetente, da quattro giorni sepolto. Di questi miracoli son testimoni i vostri occhi, sugli occhi vostri son tuttavia i risanati, i prosciolti, i risuscitati. Voi non osate, né potete negarli. Sentite or dunque; i miracoli sono i caratteri, sono i sigilli della divina onnipotenza. Iddio non lascia, né può lasciare in mano a veruno i suoi sigilli per testificare la menzogna, per autorizzare l’impostura; dunque quanto insegna, quanto di sé asserisce l’Operatore di tali miracoli, è una incontrastabile verità, verità da Dio confermata, da Dio suggellata, verità che quel che vi parla sotto l’umana forma è il Figlio di Dio, il Verbo eterno, un Dio fatto uomo, un Uomo-Dio. – A queste prove convincentissime che risolvono i Farisei, gli Scribi, i capi del Sinedrio? Credono i prodigi, non credono alle parole; credono i miracoli, non ne ammettono le conseguenze. – “Che facciamo noi, s’interrogano intanto a vicenda, radunati a concilio presso il Pontefice Caifa, che facciamo noi? Quest’uomo, questo Nazareno fa molti e grandi prodigi,” … “Quid facimus, quia hic homo multa sìgna facit” (Io. XI, 47)? Ecco chiara e manifesta la confessione della verità de’ miracoli di Gesù Cristo. “Homo hic multa signa fæcit”, e di questa confessione quale si fu il risultato? Eccolo: “cogitaverunt ut interficerent eum”. Decisero a voti concordi di toglierLo dal mondo. Possibile tanta nequizia, e tanto accecamento? Così fu. La loro malizia li rese ciechi, e indurì i loro cuori, “excæcavit oculos eorum, et indurexit cor eorum” (Io. XI, 40). – E forse che a’ giorni nostri non succede altrettanto? Noi abbiamo innanzi agli occhi molti e stupendi miracoli, e pure … i miracoli, voi m’interrompete, dopo quei di Gesù Cristo eran frequenti nella Chiesa nascente, perché necessari, dice il Magno Gregorio (Hom. 29 in Ev.), come ad una tenera pianta è necessario un frequente inaffiamento; ora però che la Chiesa è come un albero alto, cresciuto, che stende i suoi rami dall’uno all’altro confine dell’universo, non v’ è più necessità di miracoli, sono al presente assai rari, e non mai ne abbiamo veduto. E pure, io ripeto, molti e stupendi miracoli vi stanno dinanzi, se volete distinguerli. Mirate quel santo Crocifìsso, quell’altare, queste sacre immagini, questa Chiesa, son questi autentici monumenti, testimoni parlanti de’ miracoli operati da Gesù Cristo, dagli Apostoli e da’ loro successori nella propagazione della cattolica fede. I nostri maggiori, i nostri antichi padri erano ciechi adoratori d’idoli falsi e insensati: regnava in queste nostre contrade la pagana superstizione. Chi alle statue di Giove, di Saturno, di Venere, di Mercurio, e di tanti altri creduti, adorati qual Dei, ha sostituita la croce, il crocefisso, le immagini di Maria e de’ Santi? Non la forza dell’armi, non l’allettamento de’ sensi, non qualunque altra passione o violenza, ma l’intima persuasione della verità: e questa verità con qual mezzi è penetrata nella mente e nel cuore di gente idolatra? Coi miracoli, miei cari, coi miracoli; imperciocché al dilemma del grand’Agostino conviene ridursi: o il mondo dalla cieca superstiziosa idolatria si è convertito alla fede di Cristo per via di miracoli, o senza miracoli. Se per via di miracoli, dunque è fuor di questione la loro realtà. Se senza miracoli ha il mondo abbandonato il paganesimo, una setta, un culto tutto a seconda dell’umane passioni, ed ha infranto i simulacri di quei numi protettori dei vizi, e dei viziosi, Giove degli adulteri, Venere degl’impudichi, Mercurio dei ladri, Bacco degli ubriachi, ed ha invece abbracciato una legge, legge evangelica, che umilia lo spirito, che impone al cuore, che proibisce non solo ogni opera malvagia, ma d’esse il desiderio, l’affetto e la volontaria compiacenza; egli è questo il maggiore di tutti i miracoli. Miracolo che tutt’ora sussiste, e questa Chiesa, e quel fonte battesimale, e questi altari, e quella croce ne sono gli effetti e le prove, anzi il miracolo stesso, ed altrettanti miracoli.Ed in vero, quando il divino Redentore risuscitò Lazzaro quatriduano fu un miracolo stupendissimo, e ne restarono sorprese e tocche sensibilmente le molte astanti qualificate persone, venute da Gerusalemme a far visita di condoglianza alle sue sorelle Marta e Maddalena; e se tale fu nel primo istante, nel primo giorno che questo avvenne, fu sempre tale il secondo, il terzo giorno, e tutti quegli anni che durò la vita di Lazzaro; laonde si poteva dir Lazzaro un miracolo vivente, un continuo miracolo. Per simile modo quel santo Crocifisso, che adoriamo, è un miracolo permanente che ci rammemora il massimo de’ prodigi, un mondo convertito, un mondo fatto adoratore d’un Uomo-Dio confitto in Croce; ed una Croce, conchiude sant’Agostino, pria patibolo infame di empì malfattori, passata dal luogo de’ supplizi all’onor degli altari e degli incensi, e collocata in fronte ai re, agl’imperatori, “a locis suppliciorum ad frontes ìmperatorum” (Enar. in ps. XXXVIII, 2). – Prodigi son questi che durano pur tuttavia, e dureranno sino alla consumazione dei secoli; e i secoli che sono decorsi dalla loro origine non scemano punto la loro realtà, la provano anzi e più la confermano. Chi dunque non vorrà riconoscerli? I simili ai Farisei, i ciechi di malizia, che gli hanno per abitudine sotto lo sguardo materiale, ma applicar non vogliono l’intelletto a comprenderne l’evidenza e la forza; e nella volontaria loro cecità si fanno un vanto di sparger dubbi, ed affettar talento e bello spirito, con tacciarli di pregiudizi superstiziosi. Non vi sorprenda, o fedeli, la loro arditezza. Hanno i meschini in ciò il loro interesse. Gli Ebrei avevano risoluto d’uccidere Gesù Cristo operatore di miracoli, per timore di perdere il grado e l’autorità che avevano sul popolo, “tollent nostrum locum et gentem” (Io. XI, 48). I miscredenti temono perdere la quiete dell’animo, la pace del cuore, che si lusingano trovare ne’ piaceri del senso. E siccome fede e peccato non si comportano, ed altronde non vogliono desistere dal peccare, perciò la fede diventa loro nemica; nemica che turba le loro coscienze, che amareggia i loro piaceri colle terribili verità che presenta dopo una morte certa. Oh Dio! un giudizio a rigor di pura giustizia, un giudice inesorabile, un Dio punitore degli empì, un supplizio eterno sono oggetti fastidiosi e funesti, sono nubi oscure minaccianti fulmini e tempeste, che gli empì pensano dissipare con una negativa, la quale sebbene non li assicuri, almeno li palpa, e li anima a lusingarsi che non esista quel che ricusano vedere, ed hanno interesse a non credere. Poveri ciechi! preghiamo per essi, e se per nostra sventura fossimo colpiti ancor noi da una eguale cecità, deh portiamoci ai pie’ di Gesù luce del mondo, e col cieco di Gerico, e col penitente Profeta preghiamolo di cuore, che dissipi le nostre tenebre, e ci conceda la vista dell’anima, “Domine ut videam. Deus meus, illumine tenebras meas” (Luc. XVIII, 41; Ps. XVII, 29), Signore, le nostre passioni ci han tolto ogni lume di ragione e di fede, confessiamo la nostra cecità, ed il conoscerla e il contestarla è già un principio di luce che viene da Voi. Deh! dunque compite le vostre misericordie, comandate che in noi sia fatta la luce, “fiat lux”, luce che ci faccia conoscere l’eterne verità, che indirizzi i nostri passi nella via dei vostri precetti, nella strada della salute. Sarà questo forse il maggiore dei vostri miracoli, quanto più di quella della corporale cecità, è eccellente e preziosa la guarigione della cecità dello spirito.

J.-J. GAUME: La profanazione della DOMENICA [lett. II]

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 LETTERA II.- LA PROFANAZIONE DELLA DOMENICA:
ROVINA DELLA RELIGIONE.

6 aprile.
§ I.

Signore e caro amico, la sull’istante mi si arreca la vostra lettera: rispondo io a ciò ch’essa contiene, con quell’ordine da voi osservato. « Io ho paura, tu hai paura, colui ha paura, noi abbiamo paura, voi avete paura, coloro hanno paura; tale è, mi dite voi, la continua cantilena che udite. » Voi mi domandate il mio avviso intorno a questa opinione, e se dirittamente vi diportate, seguitandola. Davvero, amico mio, il mondo ha ragione di temere; anzi vi soggiungerò, che non teme egli ancora abbastanza: o piuttosto malamente teme, in questo senso ch’esso non teme ciò che dovrebbe temere. Conforme a suo padre, suo avo e suo bisavolo, il secolo XIX s’incaponì a seminar vento: deve esso dunque attendersi a raccoglier la tempesta. E quale tempesta, gran Dio! – Sì, lo ripeto, il mondo ha ragione di temere. Ma s’inganna esso portando il suo timore sopra le seconde cagioni, invece di portarlo in sulla prima cagione. Come i tifoni che sconvolgono l’oceano, o come le cavallette che umiliarono il potente Egitto, i barbari, i quali minacciano l’Europa, non sono che agenti subalterni dell’Arbitro supremo. Egli solo ha potere d’intimare ad essi: infìno là andrete voi, ma non più lontano. Ecco Colui, che bisogna temere, e sopratutto temere. Disgraziatamente, ecco Colui, che il mondo non teme. Non m’esprimo abbastanza chiaramente: ecco Colui, che il mondo continua a bravare pel provano dispregio de’suoi paterni avvertimenti, per la negazione stessa di sua esistenza. Di simile guisa umilissimamente procedono il castigo, e l’infortunio de’ popoli materialisti, che perdono la coscienza delle leggi vitali della società. Cotesto accecamento fu ognora il
precursore della rovina [“Terrìbili, et ei qui aufert spiritum principum, terribili apud reges terrae.” (Ps. 75.)]

§ II.

Voi aggiungete, che gl’impegni contenuti nella mia ultima lettera vi sembran difficoltosi, e che la dimostrazione di mia tesi sarà un vero sforzo d’ingegno. Senza partecipare io al vostro sentimento intorno a questo, imprendo a disimpegnare la mia parola. Da bel principio, deggio esprimervi il rammarico di non avere io in questa corrispondenza a richiamar la vostra attenzione, che sopra rovine; ma ne converrete voi non addivenire ciò per mia colpa. Ai nostri giorni, dove affissare mai gli sguardi senza abbattersi in rovine? La faccia della terra n’è coperta: rovine morali, rovine intellettuali, rovine materiali, rovine sociali, rovine domestiche. Nè so io, se dall’origine del mondo si vide un subbisso così generale di tutte le opere umane. Una cosa consolerà voi e me, studiando questo lugubre spettacolo: questa è il pensiero, che noi non percorriamo lutti codesti monumenti della divina giustizia se non per riconoscere le cagioni della catastrofe, ed altamente segnalarle a coloro, i quali prevenirne possono il ritorno.

§ III.

Insomma, voi desiderale assapere qual è, nella lingua religiosa, il preciso senso di queste parole: “Profanazione della Domenica”. – Veramente, egli è pure di questa maniera, che fa di mestieri incominciare. In buona e diritta filosofia, la primiera regola d’ogni discussione, è di definire i motti che s’impiegano. – In su questo proposito, vorreste voi, signor rappresentante, pregar qualcheduno de’ vostri più celebri colleghi di praticare tale principio elementare, almeno una volta durante lutto lo spazio del loro mandato? Se inaspettatamente la retorica vi perde qualche’ cosa, sicurissimamente la verità vi guadagnerà, e l’intelligenza de’ leggitori se ne troverà notabilmente sollevata. – Noi denominiamo santa una cosa, la quale sia esclusivamente consacrata al culto di Dio. Il farla servire ad usi ordinari è profanarla, o secondo il rigore dell’etimologia, gettarla fuori del tempio. Per esprimer la violazione della domenica colla parola di profanazione, bisogna dunque che la domenica sia una cosa santa: certamente egli è cosi. L’Autore de’ nostri giorni ne preleva uno sopra sette; questo è una decima, un canone di suo dominio sovrano, ed inalienabile: questo giorno, lo fa Egli suo. Ordinazione formale di consacrarlo tutto intero al riposo dell’anima, al lavoro morale, alla preghiera, alla riconoscenza, all’adorazione; divieto non meno rigoroso di darlo al corporale lavoro, all’oziosaggine, alle voluttà mondane. Perciò lavorare, vendere, comperare, ecc., è un profanare la domenica; impiegarla in esercizi religiosi è santificarla. – Con una saviezza uguale alla sua divina autorità, la Chiesa determina un atto speciale, il quale, pena grave colpa, deve essere religiosamente adempiuto: ho nominato io l’assistenza all’augusto sacrificio della Messa. Anche in punto di vista sociale, qual vantaggioso precetto non è quello! Qual lezione d’uguaglianza e di fraternità in siffatta riunione de’ ricchi e poveri, de’ padroni e servitori sotto gli occhi del comun Padre, per udirsi rammemorare i proprj doveri, e riprendere dei proprj falli! Qual principio di verace libertà, cioè d’emancipazione delle cattive inclinazioni, nell’assistenza religiosa e periodicamente obbligatoria, all’immolazione d’un Dio per le creature. Ma tralasciate simili considerazioni, prendo a trattare il soggetto di mia lettera:
Profanazione della Domenica, vuol dire rovina della Religione.

§ IV.

Seguendo la bella definizione di S. Agostino, fondata in sulla natura stessa della cosa e sui termini formali della Scrittura, Religione significa alleanza o società del mortale con Dio, un vincolo che unisce l’uomo a Dio. Ciascuna alleanza suppone degli accordi reciproci infra le parti contrattanti, voglio dire certe condizioni fondamentali delle quali la violazione cagiona la rottura del contratto: somigliantemente succede por rapporto alla Religione. Debbesi ora esaminare, se la santificazione del settimo giorno sia una condizione fondamentale di codesta divina società talmente che la violazione di questo precetto produca la dissoluzione dell’alleanza. Dirovvi io in prima, non per ammaestrarvi, che nella Religione tutto è fondamentale. Ogni cosa venendo da Dio istesso è ugualmente rispettabile, e deve essere ugualmente rispettata. Nulladimeno, se, come già ho goduto dell’onore d’indicarlo, una distinzione qualunque poteva esser fatta, direi volentieri, che il riposo del settimo, giorno è la base medesima dell’augusta alleanza del mortale con Dio; dal che manifestamente conseguita, che la profanazione della domenica pubblica, generale, abituale, per quanto presentemente veggiamo noi nella maggior parte di nostre ville e campagne, la rovina diventa della Religione. Avrei una folla di ragioni per provarlo ; me ne sto contento di tre: – 1. In tutto il codice divino, voi non trovale precetto più antico, più universale, più soventemente replicalo, più fortemente sanzionato, per conseguenza più essenziale; – 2. voi non ne trovale altro, la cui violazione trascini cotanto infallibilmente lei rovina di tutti gli altri; – 3. Voi non ne trovate altro, la cui violazione porti allo stesso grado il carattere dell’ingiustizia e della rivolta, ed addivenga per lo medesimo titolo una pubblica professione d’ateismo. – Qual bisogno imperiamo di altre ragioni per stabilire, che il riposo sacro del settimo giorno è una condizione fondamentale dell’alleanza del mortale con Dio? –

§ V.

Primieramente, niun precetto è più antico. È un legge che data dall’origine de1 tempi, una legge che sopravvisse a tutte le catastrofi, le quali sconvolsero l’universo, a tutte le trasmigrazioni le quali in mille frazioni suddivisero la primitiva famiglia; una legge che disconosce l’istitutore umano; una legge che è il fondamento della religione universale, è il cardine del mondo, Questa legge si è la divisione del tempo in sette giorni col riposo obbligatorio del settimo. Perciò, allorquando dalla sommità del Sinai, il Creatore intima le sue volontà al popolo d’israello, non dicegli punto: Santifica il giorno del sabato, ma ricordati di santificare il giorno del sabato. Questo precetto non è novello, i tuoi avi lo conobbero, rimonta esso all’origine de’ tempi [“Deus a mundi exordio hoc primo sabbatì die, illum sanciiftcavìt id est actu festum instituit, colique voluit ab Adamo eiusque posteria sacro olio et cultu Dei, maxime recolendo beneficium creationis suæ, totiusque mundi, illo die completæ. Unde patet sabbatum fuisse fcstum institutum et sancitum primitus…. ab origine mundi” – a Ribera, Philo, Cafharinus, etc. (Cornelius a Lapide) in Gen, XI, 5.)]. «Lavorerai tu per sei giorni, in cui tu farai tulle le opere tue; ma il settimo, egli è ìl sabato del Signore tuo Iddio. In questo giorno tu non farai alcun lavoro, né tu, né i figliuoli tuoi, né la tua figliuola, né il tuo servitore, nè la tua serva, né la tua bestia da soma, né lo straniero che sarà in sul tuo territorio. Imperocché il Signore fece il cielo e la terra, e il mare in sei giorni con tutto quello che contengono, ed egli si riposò nel settimo giorno; questa è la ragione per cui il Signore benedì al giorno del sabato, e lo santificò». [Exod., XX, 8,-11].

§ VI.

Niun precetto è più universale. L’obbligazione di consacrare esclusivamente al servizio di Dio un giorno sopra sette, come ho detto io, sopravvisse a tutte le vicissitudini de’ tempi, e trapassò dall’antica alla novella legge. Per determinazione sovrana della Chiesa, l’adempimento n’è fissalo alla domenica. Il fatto n’è assolutamente perentorio. La legge della preghiera e del riposo settenario domina l’orbe intero. Sarebbe agevole pompeggiare per erudizione, e giustificare la mia frase per venti pagine di testi greci, latini, arabi, ecc. Qui i filosofi, gl’istorici, i poeti, gli oratori dell’ antichità, i savj, i protestanti ed i cattolici, i viaggiatori moderni, i missionarj i più istruiti, replicano tutti concordi la sentenza d’un illustre padre della Chiesa, San Teofilo. Verso la metà del secondo secolo, questo dotto Vescovo d’Àntiochia scriveva al suo amico Àntolico, che « Tutti i popoli della terra conoscevano il settimo giorno» [“Ac de die etiam septimo loquuti sunt (poetae, scriptores, philosophi), cuìus nom en omnes homines usurpant, sed plerique quam vim habent, ignorant. Quod enim apud Hebræos sabbatum dicitur, graece redditur hebdomas, quae quidem apud omne humanum genus appellatur”. (Ad Antolyc., lib. II, n. 42.)] – Sviluppando non è guari questo pensiero, lo stimabile Autore della Domenica aggiunge: « La verità, d’un giorno riservato a Dio è imperitura, come la conoscenza istessa dell’Essere supremo. Si può ancora decifrarne i primitivi caratteri, non ostante i sopraccarichi dell’errore; e scontrasi dovunque, infino ad un certo punto, la divisione settenaria, l’osservanza di un dì sopra sette, e la santificazione d’esso pel riposo e pel culto » (M. le Courtier, p. 31).

§ VII.

Niun precetto più sovente ripetuto. Ricordati tu di santificare il giorno di sabato. Se voi prestate l’orecchio ai divini oracoli, tale è l’intimazione che voi sentite replicarsi continuatamente dal Paradiso terrestre al Sinai, dal Sinai al Calvario, dal Calvario ai quattro angoli della terra. Gli eco de’ secoli futuri non cesseranno di ridirlo sino alle soglie dell’eternità, dove comincerà il riposo assoluto del quale è immagine il sabato. Inspirato da Dio, Mosè l’ingiunge sino a dodici volte al popolo d’Israello. Gli autori sacri che succedonsi avanti e dopo la cattività di Babilonia insistono tutti con forza particolare in seguir adempimento di questo precetto; Isaia, Geremia, Ezechiello, Osea, Amos, i maggiori ed i minori profeti, sembrano prendere essenzialmente per oggetto di loro missione l’annunciare i beni ed i mali, che sono la conseguenza dell’osservamento, o del profanamento del giorno d’iddio. Volete voi, mio caro amico, procurarvi il vantaggio di ritrovare senza pena le eloquenti loro parole? Acquistate un libro quasi ad ognuno sconosciuto degli ecclesiastici in fuori: esso si denomina la Concordanza. Un esemplare dovrebbe ornare la biblioteca di ciaschedun rappresentante del popolo. Presentemente, se volessersi ascoltare tutte le voci, le quali da diciotto secoli si sono innalzate in Oriente ed in Occidente per reclamare, raccomandare, ordinare la santificazione della Domenica, bisognerebbe rinchiudersi durante delle intere settimane in una delle nostre biblioteche nazionali, e compulsare tutte le opere de’ Padri, dopo S. Giustino e Tertulliano fino a S. Bernardo; i codici e le costituzioni degl’imperatori romani, dopo Costantino fino a Giustiniano ed in qua; i capitolari e le carte di tutti i re d’Europa, dopo Carlomagno fino a Luigi XVIII; bisognerebbe percorrere eziandio insieme i regolamenti sì saggi, sì formali e sì varj delle comunità, delle corporazioni degli artigiani ed operai; da ultimo, bisognerebbe leggere le immense collezioni de’ Concilj, delle Encicliche e Bolle pontificie; la raccolta non meno immensa dei sermoni e mandamenti dei Vescovi, con obbligo di arrestarsi presso ad ogni pagina, per ascoltare i gravi insegnamenti, i quali si danno ai parlicolari ed alle nazioni in su di questo punto fondamentale.

§ VIII.

Havvi altra voce riunente il doppio vantaggio di non esser meno eloquente, ed esser facilissima ad intendersi: questa è la voce del firmamento. Voi lo sapete, i cieli sono de’ predicatori (Coeli enarrant … Ps. XVIII); e se mi permettete di dirlo, sono predicatori speciosi della brevità del tempo e del riposo settenario. À questo titolo sono creati pel nostro secolo, nel quale gli uomini vivono come se dovessero giammai morire, nel quale lavorano come se non dovessero giammai riposarsi. Con tale sublime filosofia dante ragione di lutto, e senza la quale non si può render ragione di nulla, la Scrittura Sacra a noi dice, che il Creatore « fece il sole , la luna e le stelle per marcare i tempi, le stagioni, i giorni e le annate » [“Fiant luminaria in firmamento coeli, et dividant diem ac noctem , et sint in slgna, et tempora, et dies et annos”. (Gen. I, 11., Ps. CXXXV)]. – Il cielo adunque è un magnifico orologio in su la cui mostra azzurra miro io due lancette luminose, le quali passeggiando sopra ore tracciate per dei rubini indicano i giorni, le settimane, i mesi e le annate. Comparendo e disparendo alternativamente dall’orizzonte, il sole marca la divisione de’ giorni, composti di tenebre e luce. Credere che codeste successione cosi rapida e regolare non abbia altra mete che il determinare materialmente la misura degl’istanti formanti nostra vita, sarebbe uno scerpellone: più alto poggia del Creatore il pensiero. Se le creature fatte sono per l’uomo, l’uomo è fatto per Dio. Ciascuna di esse è incaricata di ridire a lui a sua maniera: a Vedendo me ogni giorno cominciare e finire per ricominciare ancora, io a voi insegno tre misterj: il mistero della vite, essa è breve; il mistero della morte, essa non è eterna; il mistero della risurrezione, essa è altrettanto certa quanto la vita e la morte ». Ecco quello che a noi dice col suo diurno movimento l’eloquente astro che c’illumina. Esso ci dice ancora che il cominciamento e la fine sono due ore solenni: che così il cominciamento. e la fine di ciascun giorno debbono essere marcati per l’adorazione. Che questo linguaggio sia vero, che sia stato compreso, la prova dimostrasi nella costumanza costante presso tutti i popoli, e sopratutto nella Chiesa Cattolica, di pregare sera e mattina. Per sue diverse fasi, la luna marca le settimane. Consumati sette giorni, si vede essa arrivare ad una regolare metà; terminato un novello settenario, il suo disco diventa pieno; trapassati altri sette giorni, scemò d’una perfetta metà. Finalmente, dopo vent’otto dì all’intorno di comparsa, quella disparisce per rinnovellarsi ben tostamente. Codesta luna che si mostra in travaglio di crescimento e di decresci mento durante sei giornate consecutive, poi, che si riposa in una forma fissa ciascun settimo dì, può essa compiere meglio l’intenzione del Creatore, ed indicare più chiaramente al mortale i sei giorni di lavoro e il settimo di riposo? Che tale realmente sia l’ammaestramento, il quale è incaricata essa di donarci, è sufficiente, per esserne perfettamente certi, di ricordarsi delle parole di già citate del sapiente Vescovo d’Antiochia, che tutti i popoli della terra conoscessero il settimo giorno; e d’intendere colui che formò la regina delle notti: « La luna, presso tutti i popoli e per tutte sue fasi (dice il Creatore istesso), marca i tempi e forma i mesi; ma inserve essa per anco ad indicare i giorni festivi; essa n’è il segnale. Questo magnifico araldo dell’armata del firmamento intona in mezzo degli astri le lodi dell’Altissimo nei giorni, ne’ quali a questo deve benedire il mortale » [“Et luna in omnibus in tempore suo, ostensio temporis, et si gnum AEvi. A luna signum diei festi…., Vas castrorum in excelsis, in firmamento coeli resplendens gloriose” – Eccles. XLIII, 6-9; V. Le Commentaire de Corn. a Lapid.]. – Si vede, dietro questa grandiosa pittura, la luna è il corifeo di Dio, incaricato di dare il segnale, la misura e il tono agli esercizi religiosi dell’uomo; di modo che i mortali ne’ santi giorni altro non fanno che ripigliare in coro i cantici, i quali il cielo ha intonato.

§ IX.

Permettetemi, signore e caro amico, notarvi di passaggio, che il testo sacro presenta a mie riflessioni un mistero, a cui non aveva da prima badato. L’istoria profana ci apprende che presso i differenti popoli dell’antichità eranvi giorni fasti e giorni nefasti Le nazioni pagane dunque credevano alla naturale differenza de’giorni. Questa opinione era ai miei occhi un pregiudizio, una superstizione di più: e gratìfìcavane io liberalmente gli Egiziani, i Greci ed i Romani. Una riparazione è loro dovuta: cotesta credenza è fondata. Il Padre de’ giorni che viene d’indicarci siffatto mistero, chiaramente ce lo rivela : « Quale è la ragione (dice egli), per cui un giorno prevale in sull’altro, poiché tutti i dìi dell’annata, misurali e rischiarati dallo stesso sole, sembrano della medesima natura e della medesima condizione? Questa distinzione non è novana ed arbitraria. E la sapienza del Signore che separò, riserbò certi giorni e istabilì cotale misteriosa differenza. Iddio dispose i tempi nella sua saviezza; prese certi dì ed innalzolli all’onore de’ giorni solenni e sacri, e lasciò gli altri nel rango ordinario, il quale non serve che a riempiere le settimane ed i mesi » [“Quare dies diem superat, et iterum lux lucem, e f annua annum a sole? A Domini scientia separati sunt…. et immutavit tempora, et dies festos ipsorum, et in illis dies festos celebraverunt ad horam, et ex ipsis exaltavit cl magnificavìt Deus, et ex ipsis posuit ìn numerum dierum”. (Eccles. XXXIII, 7-10 V. Corn. a Lapid.). Quale novella e sublime immagine ci presenta qui il testo sacro! Vedete voi il Padrone Sovrano prendere d’una mano una porzione di nostra vita, ad essa benedire, santificarla e riservarla come decima e come omaggio; e dell’altra mano rigettare il più gran numero dei nostri giorni nel cerchio monotono de mesi e degli anni, non altro merito loro assegnando di quello in fuori di compiere la santificazione di nostra esistenza, per la pratica giornaliera delle virtù e dei doveri. – La quotidiana adorazione della mattina e della sera, il riposo sacro del settimo giorno, sono eloquentemente predicati dal sole e dalla luna, questi due infaticabili araldi dell’Eterno: ma non è abbastanza. Costellazioni appellate volgarmente segni dello zodiaco, cioè de’ gruppi di stelle, o per parlare più rettamente , dei segni celesti, compaiono ogni sera dalla parte del cielo opposta all’occaso del sole. Ciascuna a suo giro mostrasi in sull’orizzonte durante un’intera lunazione. Quando la dodicesima è disparata, la primiera ritorna; e voi veduto avete a passare sovra la volta del firmamento, come in sur una mobile mostra d’oriuolo, ciascuno de’ dodici mesi dell’anno, e l’anno istesso, del quale divengono le parti integrali. Questo rinnovellamento de’mesi e degli anni diventa eziandio un monumento sacro, ed il predicatore dun rinnovellamento morale. Pertanto, appo tutti i popoli, il cominciamento dell’anno e le nuove lune furono giorni di festa. Egli è dunque vero: grazia al corso perfettamente regolare del sole, della luna e delle stelle, il grande orologio de’ cieli suona ciascun giorno, ciascheduna settimana, ciascun mese, ciascun anno, l’ora del raccoglimento, della preghiera e del sacro riposo. ÀI suono di questa ora solenne, tutte le nazioni dell’orbe fino al presente caddero ginocchione per adorare e benedire. Come mai qualificare la condotta degli uomini, la condotta d’un popolo intero, che non rispettano più i giorni santi, non apprezzano questa magnifica armonia, e sconvolgono tutto il, piano divino? È questo, una stupidità? È questo malizia? È questo l’uno e l’altro? Lascione a voi la decisione. — Aggradite, ecc.

CALENDARIO LITURGICO CATTOLICO DI DICEMBRE

Dicembre è il mese la Chiesa dedica alla Immacolata Concezione

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La definizione di Immacolata Concezione

… Perciò, dopo aver presentato senza interruzione, nell’umiltà e nel digiuno, le Nostre personali preghiere e quelle pubbliche della Chiesa, a Dio Padre per mezzo del suo Figlio, perché si degnasse di dirigere e di confermare la Nostra mente con la virtù dello Spirito Santo; dopo aver implorato l’assistenza dell’intera Corte celeste e dopo aver invocato con gemiti lo Spirito Paraclito; per sua divina ispirazione, ad onore della santa, ed indivisibile Trinità, a decoro e ornamento della Vergine Madre di Dio, ad esaltazione della Fede cattolica e ad incremento della Religione cristiana, con l’autorità di Nostro Signore Gesù Cristo, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, dichiariamo, affermiamo e definiamo rivelata da Dio la dottrina che sostiene che la beatissima Vergine Maria fu preservata, per particolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, immune da ogni macchia di peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento, e ciò deve pertanto essere oggetto di fede certo ed immutabile per tutti i fedeli. Se qualcuno dunque avrà la presunzione di pensare diversamente da quanto è stato da Noi definito (Dio non voglia!), sappia con certezza di aver pronunciato la propria condanna, di aver subito il naufragio nella fede, di essersi separato dall’unità della Chiesa, e, se avrà osato rendere pubblico, a parole o per iscritto o in qualunque altro modo, ciò che pensa, sappia di essere incorso, ipso facto, nelle pene comminate dal Diritto”.

pio IX

[da: ENCICLICA “INEFFABILIS DEUS” DEL SOMMO PONTEFICE PIO IX “SULL’IMMACOLATA CONCEZIONE DI MARIA SANTISSIMA]

Qui di seguito elencati sono le feste che cadono in questo mese:

2 dicembre: PRIMO VENERDI / Commemorazione di S. Bibiana Vergine e Martire.

3 dicembre: PRIMO SABATO / S. Francesco Saverio Confessore, Grande doppio.

4 dicembre: II Domenica di Avvento, doppio della I Classe. 

5 dicembre: Commemorazione di San Sabba Abate.

6 dicembre: Nicola Vescovo e Confessore, doppio.

7 dicembre: S. Ambrogio Vescovo, Confessore e Dottore della Chiesa, doppio.

8 dicembre: Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, doppio della I Classe.

10 dicembre: Commemorazione di San Melchiade Papa e Martire.

11 dicembre: III Domenica di Avvento, doppio della I Classe.

13 dicembre: Santa Lucia Vergine e Martire, Doppio.

14 dicembre: EMBER MERCOLEDI (digiuno e astinenza parziale)

16 dicembre: EMBER VENERDI (digiuno e l’astinenza completa). Commemorazione di S. Eusebio Vescovo e Martire.

dicembre: EMBER SABATO (digiuno e astinenza parziale) / ‘O’ gli inni solenni (dicembre 17-23 dicembre)

18 dicembre: IV Domenica di Avvento, doppio della I Classe. (Calendari regionali di Spagna, Irlanda ecc .: Attesa della Beata Vergine Maria conosciuto anche come “Madonna di ‘O'”)

21 dicembre: San Tommaso Apostolo, doppio della Classe II.

24 dicembre: Vigilia della Natività di nostro Signore Gesù Cristo.

25 dicembre: Natale del Signore nostro Gesù Cristo, doppio della I classe con ottava; Commemorazione di Sant’Anastasia Martire alla 2°. Messa di Natale.

26 dicembre: S. Stefano Protomartire, doppio della classe II;  Commemorazione della ottava della Natività.

27 dicembre: San Giovanni apostolo ed evangelista, doppio della classe II ;   Commemorazione della ottava della Natività.

28 dicembre: I Santi Innocenti, doppio della classe II; Commemorazione della ottava della Natività.

29 dicembre: San Tommaso Vescovo e Martire, doppio;  Commemorazione della ottava della Natività.

30 dicembre: Del giorno VI all’interno dell’ottava della Natività, Doppio.

31 dicembre: San Silvestro I Papa e Confessore, doppio; Commemorazione della ottava della Natività.