J.-J. GAUME: La profanazione della DOMENICA [lett. IV]

 J. J. GAUME: LA PROFANAZIONE DELLA DOMENICA

LETTERA IV.

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LA PROFANAZIONE DELLA DOMENICA,

ROVINA DELLA SOCIETÀ.

I.

Signore, e caro amico,

Con voi, come con ogni altro uomo abituato a riflettere, mi sarebbe sufficiente il detto precedentemente, e la mia intera tesi non ne sarebbe pertanto meno stabilita. Quando è provato che la base d’un edificio è distrutta, non è forse evidente che tutte le parti dell’edifizio sono condannate ad un’inevitabile rovina? Nulladimeno è opportunissimo di maggiormente protenderci, affine di dimostrare ai più ciechi l’influenza diretta, speciale e fatalmente irresistibile della profanazione della domenica sovra tutte le rovine enumerate dal bel principio della nostra corrispondenza. Cosi, come l’ho annunciato, profanazione della domenica vuol dire rovina della società.

II

Per quella cagione stessa, che la profanazione della domenica è la rovina della religione, essa diventa altresì la rovina della società, perché non vi è società senza religione. Ciò per due ragioni fra mille; la prima, perché non può darsi società possibile senza sacrificio dell’interesse privato all’interesse pubblico. La seconda, perché non può esistere società senza autorità. Primieramente, non esiste società possibile senza sacrificio dell’interesse privato all’interesse pubblico. Si prenda qualunque aggregazione di uomini, i quali vogliano vivere insieme, un laboratorio, per esempio: rivolgetevi voi al primo operaio, che vi capiti innanzi, e ditegli: « Il tuo vantaggio privato, la tua volontà personale, i tuoi desideri, i tuoi capricci, le tue inclinazioni sono la regola unica di tue azioni; tu non sei giammai obbligato di farne sacrificio per l’utile altrui.” — Tenete voi lo stesso linguaggio al secondo, al terzo, a tutti; ed aggiungete poi: « Ecco la vostra carta, vivete in società ». Che osservo io? L’ora del lavoro è suonata. Niuno giunge. « Perché sei tu in ritardo? » domandate voi al più diligente. « Perché ciò mi piace; la mia utilità privata è la regola suprema di mia condotta; io sono libero di farne o no il sacrificio. » Ciascuno rende la stessa risposta; gli uni lavorano, gli altri giuocano, e l’indomani il laboratorio è chiuso. Prendo l’armata S assedia una fortezza; il generale designa un reggimento per montarvi all’assalto. Questo resta immobile. « Perché non marciate voi?— Il nostro interesse personale avanti tutto, ed il nostro interesse personale è di vivere. – Non siamo cotanto folli d’andare a coprir de’ nostri cadaveri le fossa della piazza. » – Gli altri reggimenti successivamente ricevono il medesimo ordine; ognuno dà la stessa risposta. Il generale infrange la sua spada, e ratto ratto s’allontana: l’armata non sussiste più. – Finalmente prendo la società stessa. Io vedo un numero infinito di mestieri penosi, poco lucrativi, poco onorati. Ora avviene che un giorno tutti i siffatti mestieri, indettatisi, dicano: « Troppo lungamente noi portammo il peso del lavoro; ad altri la fatica, a noi il riposo ». Tutti s’abbandonano all’oziosaggine. L’aratro, diretto dalle mani intelligenti dell’aratore, non più squarcia il seno della terra; l’incudine non più risuona sotto il martello del fabbro; il legno non più si trasforma in mobili d’ogni specie sotto le dita del1’ebanista; il muratore rinuncia alla sua squadra, e l’ingessatore alla sua cazzuola, a Miei amici, perché non più lavorate voi? » Ciascheduno a suo torno, e Ma che pretendete far voi? — Niente: ci sembra cosa così buona; atteso che il nostro interesse personale sta innanzi tutto: noi non conosciamo altra legge che codesta. – Tutto al più accetteremo noi d’esser rappresentanti del popolo, prefetti, magistrati, generali, ambasciatori, e soprattutto censuari. — Questo è l’ultimo vostro motto? — Voi lo avete pronunciato. » L’indomani intendo io il cannone, che mitraglia i rivoltosi, e loro insegna con argomenti senza replica, che non havvi nessuna società possibile senza sacrificio dell’interesse privato all’interesse pubblico.

III.

Si vede, signore e caro amico, la legge dell’osservanza è la grande legge del1’umanità. Ma il mezzo d’ottener così dall’artigiano, dal soldato, dal cittadino, qualunque sia d’altronde il suo mestiere, l’arte e la professione, il sacrificio costante del suo interesse privato al pubblico interesse, sacrificio che trascina seco talora sino la rovina della sanità e l’effusione del sangue? Non se ne trova che un solo: La religione. Per qual ragione? Perché la religione sola offre nelle sue rimunerazioni eterne una compensazione sufficiente per remunerare tutti i sacrifici come i soli supplizi eterni, di cui ella minaccia i cattivi, sono sufficienti per incatenare le sfrenate passioni, le quali ruggiscono dal fondo del cuore del mortale. Egli è inutile il voler provare con ragionamenti una verità che l’esperienza delle nazioni moderne innalza al di sopra d’ogni contestazione.

IV.

Ebbene! che fa la profanazione della domenica? Più che ogni altra dottrina, più che ogni altro scandalo, essa impedisce fatalmente alla religione l’esercitar sovra il mondo questa influenza vittoriosa e necessaria alla società. Da un canto, egli è evidente che la religione non saprebbe esercitare questa influenza a meno di essere conosciuta e meditata. Ma io provai, che con la profanazione della domenica la religione non sarà mai né conosciuta né meditala. Dall’altro, non è meno evidente che la religione non può aver l’influenza, della quale noi parliamo, se in ciascuna domenica si dà una pubblica smentita agl’insegnamenti di lei intorno alla necessità del sacrificio e dell’ubbidienza, in vista delle ricompense e delle punizioni future. – Ora, che dice alle popolazioni la profanazione pubblica della domenica? « Il cielo è il piacere; l’istrumento del piacere è 1’argento; guadagnare dell’argento ad ogni costo, questa è tutta la religione. – Cosi noi lo crediamo, noi, i favoriti della fortuna, proprietari, negozianti, industriali, noi i veri Santi dell’unico paradiso. – Popolo, attendici all’opera. Per noi nessun giorno di riposo. Noi lavoriamo, e noi facciamo lavorare; noi vendiamo, e facciamo vendere; noi comperiamo, e facciamo comperare nella domenica come negli altri giorni. Fa’ come noi; il tempo è numerato; affrettati. Un giorno perduto infra la settimana ti cagiona ben cinquantadue non lievi disdette per anno. – Ma la religione interdice le opere servili in domenica, sotto pena di perdere il cielo e meritar l’inferno. — Il cielo! l’inferno! sono favolacce di vecchierella per rallegrare od ispaventare i bambini. » Ecco, Signore, quello che predica letteralmente ogni otto giorni sopra tutti i punti della Francia la profanazione della domenica. Ed in qual linguaggio? Nel linguaggio il più popolare ed il più eloquente: il linguaggio dell’esempio. E per chi? Per uomini che s’intitolano conservatori, che si dicono il gran partito dellordine; come se l’ordine non fosse il rispetto delle leggi, e come se la prima legge da rispettarsi non fosse quella ch’è il fondamento di tutte le altre, la legge divina! Se lo spirito d’accecamento e di vertigine è il precursore della caduta delle nazioni, che pensare del nostro avvenire? Ché il culto dell’oro, spinto sino al disprezzo pubblico e nazionale de’ precetti e dogmi del Cristianesimo, tutte le speranze del mortale concentrate in sulla terra, la voluttà presentata come l’oggetto supremo della vita; conoscete voi nulla di più incompatibile collo spirito di sacrificio indispensabile alla società? Nulla che l’assalga più direttamente? Nulla che l’uccida più infallibilmente? Tale è nientedimeno la profanazione della domenica. – Ho sragionato io nel segnalarvela come la rovina della società? Sragiono io aggiungendo che non havvi mezzo più sicuro e più pronto per materializzare una nazione, e trarla ai socialismo? Ponete niente in effetti alle conseguenze, le quali le classi artigiane hanno dedotto da questo scandaloso sermone. Bramose de’ godimenti, ed incapaci di pervenire pel lavoro al paradiso della voluttà, esse hanno pensato: « poiché il cielo e 1’inferno della religione non sono che paroloni, il nostro destino si compie adunque qui basso. Il lavorìo è penoso, è ingrato, il tempo è breve. Mentre che noi sudiamo curvati all’opera, se ne trovano di quelli che si riposano; se la godono frattanto che noi soffriamo. Cosa di più ingiusto, che gli uni siano affatto agiati, e gli altri in pieno disagio? La giustizia è di spartire, spartiamo !!!». – Di somigliante maniera procede la logica de’ popoli. Chi oserà dire, ch’essa non è rigorosa, e negherà cotesta proposizione; se la profanazione della domenica non diventa la madre del socialismo, essa ne diviene la nutrice?

V.

Io ho indicato, in sul principio di mia lettera, una seconda ragione, per cui la profanazione della domenica è la rovina della società, cioè che non havvi società senz’autorità. Egli è troppo evidente, che se in un laboratorio, in una famiglia, in una nazione, ognuno vuole esser padrone, havvi niuna società possibile. È necessaria un’autorità, e dappertutto. Ma che cosa è l’autorità? È il diritto di comandare, il diritto di essere ubbidito. Donde viene al mortale il diritto di comandare? Da se stesso? Mai no; imperocché tutti gli uomini sono uguali per natura. Dalla società? Neppure; perché la società, non essendo che una riunione di persone, non ha per se stessa un maggior diritto di comandare che un solo uomo. Se la radice del diritto si trovasse in essa, la regola del male e del bene somigliantemente vi si ritroverebbe. Farebbe d’uopo ammettere come vero il mostruoso sofisma di Rousseau, e dire, che il popolo è la sola autorità, che non abbisogna punto daver ragione per legittimare i suoi atti. Senza dubbio la società può parlare a nome della forza, ma la forza sola non è essa l’autorità: cotesto è il dispotismo. Da chi proviene adunque l’autorità ed ogni specie d’autorità? Essa discende da Dio, e da Dio solo: Non vi è potestà se non da Dio (Rom. XIII). In questo motto, uno dei più importanti delle nostre divine scritture, è la ragione del diritto. Sì, ogni specie d’ autorità deriva dall’Ente Supremo: autorità sacerdotale, autorità regale, autorità legislativa, autorità giudiziaria, autorità paterna: Non v’è potestà se non da Dio. Sempre che un mortale, qualsiasi il nome suo, sacerdote o re, parlamento, senato, tribunale, padre, guardia campestre, viene a darmi ordini, se non ascolto io nella sua voce quella dell’Altissimo, io mi ribello. Io grido dispotismo, e se costei mi carica di ferri, io non anelo che il momento di sciogliermene, e di romperli in sulla testa di lei. Dunque è cosa d’un’evidenza palpabile, che tutti gli uomini depositari a una autorità qualunque, che tutti i cittadini, a quali l’autorità è tanto necessaria, quanto il pane, non hanno dovere più sacro che di far rispettare, e di rispettare essi medesimi l’autorità di Dio; altrimenti tutte le altre autorità perdono la loro potenza, poiché esse perdono il loro diritto: e, senz’autorità, la società é impossibile.

VI.

Non ammirate voi qui la semplicità delle nostre buone persone, de nostri buoni rappresentanti, de’nostri buoni proprietarj, de1 nostri buoni borghesi, di tutti coloro, i quali infra noi tengono qualche cosa da conservarsi? Voi non v’imbatterete neppure in uno, che non si lamenti intorno allo spirito generale d’insubordinazione, di rivolta, di cupidità, di gelosia e di disprezzo per qualunque autorità; che ci minaccia ciascun giorno, e quasi ad ogni ora del giorno, d’un cataclisma spaventoso: e tutto nell’esprimere le sue doglianze e i suoi sbigottimenti, voi vedete quello stesso buon uomo strisciare colla sua condotta il poco dell’autorità, che a lui rimane, distruggendo al cospetto de’ suoi domestici, de’ suoi figliuoli, de’suoi amici, l’autorità di Dio e della sua Chiesa. Conservatore di nome, come non s’avvede che esso è rivoluzionario di fatto e rivoluzionario de’peggiori? Si può mai perdere talmente il senno di non più comprendere che l’unico mezzo per ottenere il rispetto de’ suoi inferiori, esso è di rispettare egli stesso i suoi superiori?

VII.

Presentemente, signore e caro amico, io a voi domando che cosa è quella profanazione della domenica, pubblica, generale, abituale, come da sessantanni ce ne offerisce ogni otto giorni la Francia lo spettacolo? Non è codesta quel disprezzo pubblico, generale, abituale, nazionale dell’autorità del Creatore, dell’autorità di Dio, in un punto fondamentale, rispettato religiosamente da tutte le nazioni civilizzate? E voi volete che il popolo, al quale si dona ciascuna settimana codesta lezione pubblica di disprezzo insolente per l’autorità dell’Altissimo, fondamento di ciascheduna altra, voi volete che questo popolo ne rispetti niuna? Che direte voi d’un armata, i cui uffiziali d’ogni grado dessero ogni domenica l’esempio di disprezzo per 1’autorità del generale in capo, ricusando palesemente d’ubbidire a’ comandi di lui, operando eglino stessi, e lasciando operare a’ loro soldati positivamente il contrario? Voi direte e con dirittura, che codesta armata precipita nell’anarchia. Voi direte che gli ufficiali, calpestando l’autorità del loro capo, scrollano la propria; voi direte che se nelle giornate di rivolta vengono insultati e infamemente cacciati, costoro non fanno che troppo raccogliere ciò che hanno seminato.

VIII.

Questo ragionamento s’applica perfettissimamente alla profanazione della domenica, e porta questa necessaria conseguenza, cioè: che esponendo in ciascuna settimana al disprezzo delle popolazioni l’autorità dell’Ente Supremo, la profanazione della domenica vi espone tutte le altre, le scuote violentemente tutte nella loro base, e trascina inevitabilmente alla rovina della società, di cui l’autorità è la condizione indispensabile. Tale è l’estremità fatale alla quale noi tocchiamo. – Ai giorni nostri niuna autorità più sussiste, e si venera presso de’ popoli: né autorità pontificale, né autorità reale, né autorità legislativa, né autorità paterna. – Una volta divenuti audaci a portare il martello sopra le fondamenta dell’edificio, questo mondo ha tutto rovesciato e continua a percuotere; e in luogo d’una gerarchia regolare, si vede agitarsi verso d’un brutale livello uno strupo di atomi umani, istigati per un desiderio sfrenato delle voluttà, che niuna possanza umana non può né moderare, né soddisfare. Donde origina codesta anarchia formidabile che spinge l’universo alla barbarie? Dall’adorazione della materia e dal disprezzo dell’autorità? Qual n’è insieme l’eccitatore il più popolare e il segno il più espressivo di codesta adorazione e di cotesto disprezzo? Io non esito neppure un istante a rispondere: esso è la profanazione della domenica; poiché godere e disprezzare, tale è la sua significazione. Tale è similmente, io lo so, la significazione di tutti i discorsi, di tutte le parole, di ogni atto privato, o pubblico contro la legge divina; ma ogni discorso non vien letto, ogni parola non viene intesa, ogni atto privato non vien notato, ogni atto pubblico non è permanente. – Non altrimenti succede della profanazione francese della domenica. Ognuno la ragguarda, ognuno la comprende, e ciò costantemente; stante che in ciascuna settimana essa innalzi la voce, e da una estremità all’altra della Francia, essa gridi all’intero popolo: godi e disprezza! – Questo non è tutto: non solamente la profanazione della domenica discioglie direttamente la società, poiché essa è una rivolta aperta contro l’autorità, ed un premio elargito all’adorazione della materia, ma ancora poiché essa è la cagione d’innumerevoli attacchi contra ogni sorta d’autorità. – L’osteria è la conseguenza inevitabile delle opere servili nella domenica. – Che cosa è l’osteria sotto il punto di vista del rispetto dell’ autorità e della pubblica tranquillità? L’osteria è il conciliabolo in permanenza; non una autorità divina od umana che non vi venga oppugnata, sbertata, satireggiata, gettata nel fango dell’orgia. Ora, si computano in Francia 332,000 osterie. La profanazione della domenica riempie pertanto ciascun lunedì 332,000 conciliaboli in ogni angolo della Repubblica. Con ciò, ditemi voi se un popolo possa governarsi? Senz’aspettare la vostra risposta, io affermo, che non vi è società, la quale resista ad una simile macchina di guerra.

 IX

Perciò io mi domando, se i personaggi aventi dovere di difenderci sappiano dirittamente ciò che per una nazione cristiana significhino questi due motti: rovina della società. Riflettendo all’indifferenza degli uni ed all’inintelligenza degli altri, è permesso dubitarne, e siffatto dubbio non è quello che abbiasi di meno spaventoso nella nostra situazione. Che prometterci d’un ammalato, cui il medico si contenta di compiangere, e del quale ignora o la natura del male, o la natura del rimedio necessario alla guarigione di lui? Or bene! bisogna confessarlo, il male che ci divora sta nelle anime; la sola religione può guarirlo; la profanazione della domenica è la rovina della religione; la rovina della religione è la rovina della società. Dal che, la rovina della società né solamente ci sospinge al paganesimo, ma alla barbarie ci strascina. – Somigliantemente a quella degl’individui, la caduta delle nazioni si misura dall’altezza delle verità e delle grazie, di cui esse abusano; “corruptio optimi pessima, la corruzione dell’ottimo è pessima. Se, per avere abusato de’ lumi della rivelazione primitiva, il mondo antico dovette cadere nell’abbiezione del paganesimo; il mondo attuale, disprezzatore superbo de’ lumi del Vangelo e del sangue del Calvario, deve precipitare più basso che nel paganesimo: egli deve ingolfarsi sin nella barbarie. Di già cotesta barbarie, pure senza esempio nella storia, invade le idee. E necessario che le più grandi intelligenze dell’epoca prendano seriamente la difesa della verità e dei diritti i più elementari d’ogni società. Diritti e verità che furono sempre mai sacri presso i popoli pagani, che lo sono tuttora presso le nazioni barbare, e per anco presso le orde selvatiche. Iddio, la distinzione del bene e del male, la famiglia, la proprietà, l’uomo. Per lo che, quando la barbarie s’impadronisce delle idee, il suo passaggio né costumi e né fatti non è più che una questione de’ tempi. Quando dalla cima delle alte vette, dove si formò, il torrente impetuoso è di già disceso a metà della montagna, siatene sicuro, eccetto un prodigio, esso rapidamente allagherà la pianura. – Ecco quello, che ci minaccia, quello che ci coglierà altrettanto infallibilmente, quanto la notte all’occaso del sole, se non studiamo solleciti d’innalzare il solo riparo capace di prevenire l’estrema catastrofe. Quest’argine è la fede; e quello che deve essere l’applicazione immediata, l’applicazione sociale della fede, egli si è la santificazione della domenica. L’assemblea lo comprende ella? — Gradite, ecc.

 

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.