J.-J. GAUME: La profanazione della DOMENICA [lett. II]

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 LETTERA II.- LA PROFANAZIONE DELLA DOMENICA:
ROVINA DELLA RELIGIONE.

6 aprile.
§ I.

Signore e caro amico, la sull’istante mi si arreca la vostra lettera: rispondo io a ciò ch’essa contiene, con quell’ordine da voi osservato. « Io ho paura, tu hai paura, colui ha paura, noi abbiamo paura, voi avete paura, coloro hanno paura; tale è, mi dite voi, la continua cantilena che udite. » Voi mi domandate il mio avviso intorno a questa opinione, e se dirittamente vi diportate, seguitandola. Davvero, amico mio, il mondo ha ragione di temere; anzi vi soggiungerò, che non teme egli ancora abbastanza: o piuttosto malamente teme, in questo senso ch’esso non teme ciò che dovrebbe temere. Conforme a suo padre, suo avo e suo bisavolo, il secolo XIX s’incaponì a seminar vento: deve esso dunque attendersi a raccoglier la tempesta. E quale tempesta, gran Dio! – Sì, lo ripeto, il mondo ha ragione di temere. Ma s’inganna esso portando il suo timore sopra le seconde cagioni, invece di portarlo in sulla prima cagione. Come i tifoni che sconvolgono l’oceano, o come le cavallette che umiliarono il potente Egitto, i barbari, i quali minacciano l’Europa, non sono che agenti subalterni dell’Arbitro supremo. Egli solo ha potere d’intimare ad essi: infìno là andrete voi, ma non più lontano. Ecco Colui, che bisogna temere, e sopratutto temere. Disgraziatamente, ecco Colui, che il mondo non teme. Non m’esprimo abbastanza chiaramente: ecco Colui, che il mondo continua a bravare pel provano dispregio de’suoi paterni avvertimenti, per la negazione stessa di sua esistenza. Di simile guisa umilissimamente procedono il castigo, e l’infortunio de’ popoli materialisti, che perdono la coscienza delle leggi vitali della società. Cotesto accecamento fu ognora il
precursore della rovina [“Terrìbili, et ei qui aufert spiritum principum, terribili apud reges terrae.” (Ps. 75.)]

§ II.

Voi aggiungete, che gl’impegni contenuti nella mia ultima lettera vi sembran difficoltosi, e che la dimostrazione di mia tesi sarà un vero sforzo d’ingegno. Senza partecipare io al vostro sentimento intorno a questo, imprendo a disimpegnare la mia parola. Da bel principio, deggio esprimervi il rammarico di non avere io in questa corrispondenza a richiamar la vostra attenzione, che sopra rovine; ma ne converrete voi non addivenire ciò per mia colpa. Ai nostri giorni, dove affissare mai gli sguardi senza abbattersi in rovine? La faccia della terra n’è coperta: rovine morali, rovine intellettuali, rovine materiali, rovine sociali, rovine domestiche. Nè so io, se dall’origine del mondo si vide un subbisso così generale di tutte le opere umane. Una cosa consolerà voi e me, studiando questo lugubre spettacolo: questa è il pensiero, che noi non percorriamo lutti codesti monumenti della divina giustizia se non per riconoscere le cagioni della catastrofe, ed altamente segnalarle a coloro, i quali prevenirne possono il ritorno.

§ III.

Insomma, voi desiderale assapere qual è, nella lingua religiosa, il preciso senso di queste parole: “Profanazione della Domenica”. – Veramente, egli è pure di questa maniera, che fa di mestieri incominciare. In buona e diritta filosofia, la primiera regola d’ogni discussione, è di definire i motti che s’impiegano. – In su questo proposito, vorreste voi, signor rappresentante, pregar qualcheduno de’ vostri più celebri colleghi di praticare tale principio elementare, almeno una volta durante lutto lo spazio del loro mandato? Se inaspettatamente la retorica vi perde qualche’ cosa, sicurissimamente la verità vi guadagnerà, e l’intelligenza de’ leggitori se ne troverà notabilmente sollevata. – Noi denominiamo santa una cosa, la quale sia esclusivamente consacrata al culto di Dio. Il farla servire ad usi ordinari è profanarla, o secondo il rigore dell’etimologia, gettarla fuori del tempio. Per esprimer la violazione della domenica colla parola di profanazione, bisogna dunque che la domenica sia una cosa santa: certamente egli è cosi. L’Autore de’ nostri giorni ne preleva uno sopra sette; questo è una decima, un canone di suo dominio sovrano, ed inalienabile: questo giorno, lo fa Egli suo. Ordinazione formale di consacrarlo tutto intero al riposo dell’anima, al lavoro morale, alla preghiera, alla riconoscenza, all’adorazione; divieto non meno rigoroso di darlo al corporale lavoro, all’oziosaggine, alle voluttà mondane. Perciò lavorare, vendere, comperare, ecc., è un profanare la domenica; impiegarla in esercizi religiosi è santificarla. – Con una saviezza uguale alla sua divina autorità, la Chiesa determina un atto speciale, il quale, pena grave colpa, deve essere religiosamente adempiuto: ho nominato io l’assistenza all’augusto sacrificio della Messa. Anche in punto di vista sociale, qual vantaggioso precetto non è quello! Qual lezione d’uguaglianza e di fraternità in siffatta riunione de’ ricchi e poveri, de’ padroni e servitori sotto gli occhi del comun Padre, per udirsi rammemorare i proprj doveri, e riprendere dei proprj falli! Qual principio di verace libertà, cioè d’emancipazione delle cattive inclinazioni, nell’assistenza religiosa e periodicamente obbligatoria, all’immolazione d’un Dio per le creature. Ma tralasciate simili considerazioni, prendo a trattare il soggetto di mia lettera:
Profanazione della Domenica, vuol dire rovina della Religione.

§ IV.

Seguendo la bella definizione di S. Agostino, fondata in sulla natura stessa della cosa e sui termini formali della Scrittura, Religione significa alleanza o società del mortale con Dio, un vincolo che unisce l’uomo a Dio. Ciascuna alleanza suppone degli accordi reciproci infra le parti contrattanti, voglio dire certe condizioni fondamentali delle quali la violazione cagiona la rottura del contratto: somigliantemente succede por rapporto alla Religione. Debbesi ora esaminare, se la santificazione del settimo giorno sia una condizione fondamentale di codesta divina società talmente che la violazione di questo precetto produca la dissoluzione dell’alleanza. Dirovvi io in prima, non per ammaestrarvi, che nella Religione tutto è fondamentale. Ogni cosa venendo da Dio istesso è ugualmente rispettabile, e deve essere ugualmente rispettata. Nulladimeno, se, come già ho goduto dell’onore d’indicarlo, una distinzione qualunque poteva esser fatta, direi volentieri, che il riposo del settimo, giorno è la base medesima dell’augusta alleanza del mortale con Dio; dal che manifestamente conseguita, che la profanazione della domenica pubblica, generale, abituale, per quanto presentemente veggiamo noi nella maggior parte di nostre ville e campagne, la rovina diventa della Religione. Avrei una folla di ragioni per provarlo ; me ne sto contento di tre: – 1. In tutto il codice divino, voi non trovale precetto più antico, più universale, più soventemente replicalo, più fortemente sanzionato, per conseguenza più essenziale; – 2. voi non ne trovale altro, la cui violazione trascini cotanto infallibilmente lei rovina di tutti gli altri; – 3. Voi non ne trovate altro, la cui violazione porti allo stesso grado il carattere dell’ingiustizia e della rivolta, ed addivenga per lo medesimo titolo una pubblica professione d’ateismo. – Qual bisogno imperiamo di altre ragioni per stabilire, che il riposo sacro del settimo giorno è una condizione fondamentale dell’alleanza del mortale con Dio? –

§ V.

Primieramente, niun precetto è più antico. È un legge che data dall’origine de1 tempi, una legge che sopravvisse a tutte le catastrofi, le quali sconvolsero l’universo, a tutte le trasmigrazioni le quali in mille frazioni suddivisero la primitiva famiglia; una legge che disconosce l’istitutore umano; una legge che è il fondamento della religione universale, è il cardine del mondo, Questa legge si è la divisione del tempo in sette giorni col riposo obbligatorio del settimo. Perciò, allorquando dalla sommità del Sinai, il Creatore intima le sue volontà al popolo d’israello, non dicegli punto: Santifica il giorno del sabato, ma ricordati di santificare il giorno del sabato. Questo precetto non è novello, i tuoi avi lo conobbero, rimonta esso all’origine de’ tempi [“Deus a mundi exordio hoc primo sabbatì die, illum sanciiftcavìt id est actu festum instituit, colique voluit ab Adamo eiusque posteria sacro olio et cultu Dei, maxime recolendo beneficium creationis suæ, totiusque mundi, illo die completæ. Unde patet sabbatum fuisse fcstum institutum et sancitum primitus…. ab origine mundi” – a Ribera, Philo, Cafharinus, etc. (Cornelius a Lapide) in Gen, XI, 5.)]. «Lavorerai tu per sei giorni, in cui tu farai tulle le opere tue; ma il settimo, egli è ìl sabato del Signore tuo Iddio. In questo giorno tu non farai alcun lavoro, né tu, né i figliuoli tuoi, né la tua figliuola, né il tuo servitore, nè la tua serva, né la tua bestia da soma, né lo straniero che sarà in sul tuo territorio. Imperocché il Signore fece il cielo e la terra, e il mare in sei giorni con tutto quello che contengono, ed egli si riposò nel settimo giorno; questa è la ragione per cui il Signore benedì al giorno del sabato, e lo santificò». [Exod., XX, 8,-11].

§ VI.

Niun precetto è più universale. L’obbligazione di consacrare esclusivamente al servizio di Dio un giorno sopra sette, come ho detto io, sopravvisse a tutte le vicissitudini de’ tempi, e trapassò dall’antica alla novella legge. Per determinazione sovrana della Chiesa, l’adempimento n’è fissalo alla domenica. Il fatto n’è assolutamente perentorio. La legge della preghiera e del riposo settenario domina l’orbe intero. Sarebbe agevole pompeggiare per erudizione, e giustificare la mia frase per venti pagine di testi greci, latini, arabi, ecc. Qui i filosofi, gl’istorici, i poeti, gli oratori dell’ antichità, i savj, i protestanti ed i cattolici, i viaggiatori moderni, i missionarj i più istruiti, replicano tutti concordi la sentenza d’un illustre padre della Chiesa, San Teofilo. Verso la metà del secondo secolo, questo dotto Vescovo d’Àntiochia scriveva al suo amico Àntolico, che « Tutti i popoli della terra conoscevano il settimo giorno» [“Ac de die etiam septimo loquuti sunt (poetae, scriptores, philosophi), cuìus nom en omnes homines usurpant, sed plerique quam vim habent, ignorant. Quod enim apud Hebræos sabbatum dicitur, graece redditur hebdomas, quae quidem apud omne humanum genus appellatur”. (Ad Antolyc., lib. II, n. 42.)] – Sviluppando non è guari questo pensiero, lo stimabile Autore della Domenica aggiunge: « La verità, d’un giorno riservato a Dio è imperitura, come la conoscenza istessa dell’Essere supremo. Si può ancora decifrarne i primitivi caratteri, non ostante i sopraccarichi dell’errore; e scontrasi dovunque, infino ad un certo punto, la divisione settenaria, l’osservanza di un dì sopra sette, e la santificazione d’esso pel riposo e pel culto » (M. le Courtier, p. 31).

§ VII.

Niun precetto più sovente ripetuto. Ricordati tu di santificare il giorno di sabato. Se voi prestate l’orecchio ai divini oracoli, tale è l’intimazione che voi sentite replicarsi continuatamente dal Paradiso terrestre al Sinai, dal Sinai al Calvario, dal Calvario ai quattro angoli della terra. Gli eco de’ secoli futuri non cesseranno di ridirlo sino alle soglie dell’eternità, dove comincerà il riposo assoluto del quale è immagine il sabato. Inspirato da Dio, Mosè l’ingiunge sino a dodici volte al popolo d’Israello. Gli autori sacri che succedonsi avanti e dopo la cattività di Babilonia insistono tutti con forza particolare in seguir adempimento di questo precetto; Isaia, Geremia, Ezechiello, Osea, Amos, i maggiori ed i minori profeti, sembrano prendere essenzialmente per oggetto di loro missione l’annunciare i beni ed i mali, che sono la conseguenza dell’osservamento, o del profanamento del giorno d’iddio. Volete voi, mio caro amico, procurarvi il vantaggio di ritrovare senza pena le eloquenti loro parole? Acquistate un libro quasi ad ognuno sconosciuto degli ecclesiastici in fuori: esso si denomina la Concordanza. Un esemplare dovrebbe ornare la biblioteca di ciaschedun rappresentante del popolo. Presentemente, se volessersi ascoltare tutte le voci, le quali da diciotto secoli si sono innalzate in Oriente ed in Occidente per reclamare, raccomandare, ordinare la santificazione della Domenica, bisognerebbe rinchiudersi durante delle intere settimane in una delle nostre biblioteche nazionali, e compulsare tutte le opere de’ Padri, dopo S. Giustino e Tertulliano fino a S. Bernardo; i codici e le costituzioni degl’imperatori romani, dopo Costantino fino a Giustiniano ed in qua; i capitolari e le carte di tutti i re d’Europa, dopo Carlomagno fino a Luigi XVIII; bisognerebbe percorrere eziandio insieme i regolamenti sì saggi, sì formali e sì varj delle comunità, delle corporazioni degli artigiani ed operai; da ultimo, bisognerebbe leggere le immense collezioni de’ Concilj, delle Encicliche e Bolle pontificie; la raccolta non meno immensa dei sermoni e mandamenti dei Vescovi, con obbligo di arrestarsi presso ad ogni pagina, per ascoltare i gravi insegnamenti, i quali si danno ai parlicolari ed alle nazioni in su di questo punto fondamentale.

§ VIII.

Havvi altra voce riunente il doppio vantaggio di non esser meno eloquente, ed esser facilissima ad intendersi: questa è la voce del firmamento. Voi lo sapete, i cieli sono de’ predicatori (Coeli enarrant … Ps. XVIII); e se mi permettete di dirlo, sono predicatori speciosi della brevità del tempo e del riposo settenario. À questo titolo sono creati pel nostro secolo, nel quale gli uomini vivono come se dovessero giammai morire, nel quale lavorano come se non dovessero giammai riposarsi. Con tale sublime filosofia dante ragione di lutto, e senza la quale non si può render ragione di nulla, la Scrittura Sacra a noi dice, che il Creatore « fece il sole , la luna e le stelle per marcare i tempi, le stagioni, i giorni e le annate » [“Fiant luminaria in firmamento coeli, et dividant diem ac noctem , et sint in slgna, et tempora, et dies et annos”. (Gen. I, 11., Ps. CXXXV)]. – Il cielo adunque è un magnifico orologio in su la cui mostra azzurra miro io due lancette luminose, le quali passeggiando sopra ore tracciate per dei rubini indicano i giorni, le settimane, i mesi e le annate. Comparendo e disparendo alternativamente dall’orizzonte, il sole marca la divisione de’ giorni, composti di tenebre e luce. Credere che codeste successione cosi rapida e regolare non abbia altra mete che il determinare materialmente la misura degl’istanti formanti nostra vita, sarebbe uno scerpellone: più alto poggia del Creatore il pensiero. Se le creature fatte sono per l’uomo, l’uomo è fatto per Dio. Ciascuna di esse è incaricata di ridire a lui a sua maniera: a Vedendo me ogni giorno cominciare e finire per ricominciare ancora, io a voi insegno tre misterj: il mistero della vite, essa è breve; il mistero della morte, essa non è eterna; il mistero della risurrezione, essa è altrettanto certa quanto la vita e la morte ». Ecco quello che a noi dice col suo diurno movimento l’eloquente astro che c’illumina. Esso ci dice ancora che il cominciamento e la fine sono due ore solenni: che così il cominciamento. e la fine di ciascun giorno debbono essere marcati per l’adorazione. Che questo linguaggio sia vero, che sia stato compreso, la prova dimostrasi nella costumanza costante presso tutti i popoli, e sopratutto nella Chiesa Cattolica, di pregare sera e mattina. Per sue diverse fasi, la luna marca le settimane. Consumati sette giorni, si vede essa arrivare ad una regolare metà; terminato un novello settenario, il suo disco diventa pieno; trapassati altri sette giorni, scemò d’una perfetta metà. Finalmente, dopo vent’otto dì all’intorno di comparsa, quella disparisce per rinnovellarsi ben tostamente. Codesta luna che si mostra in travaglio di crescimento e di decresci mento durante sei giornate consecutive, poi, che si riposa in una forma fissa ciascun settimo dì, può essa compiere meglio l’intenzione del Creatore, ed indicare più chiaramente al mortale i sei giorni di lavoro e il settimo di riposo? Che tale realmente sia l’ammaestramento, il quale è incaricata essa di donarci, è sufficiente, per esserne perfettamente certi, di ricordarsi delle parole di già citate del sapiente Vescovo d’Antiochia, che tutti i popoli della terra conoscessero il settimo giorno; e d’intendere colui che formò la regina delle notti: « La luna, presso tutti i popoli e per tutte sue fasi (dice il Creatore istesso), marca i tempi e forma i mesi; ma inserve essa per anco ad indicare i giorni festivi; essa n’è il segnale. Questo magnifico araldo dell’armata del firmamento intona in mezzo degli astri le lodi dell’Altissimo nei giorni, ne’ quali a questo deve benedire il mortale » [“Et luna in omnibus in tempore suo, ostensio temporis, et si gnum AEvi. A luna signum diei festi…., Vas castrorum in excelsis, in firmamento coeli resplendens gloriose” – Eccles. XLIII, 6-9; V. Le Commentaire de Corn. a Lapid.]. – Si vede, dietro questa grandiosa pittura, la luna è il corifeo di Dio, incaricato di dare il segnale, la misura e il tono agli esercizi religiosi dell’uomo; di modo che i mortali ne’ santi giorni altro non fanno che ripigliare in coro i cantici, i quali il cielo ha intonato.

§ IX.

Permettetemi, signore e caro amico, notarvi di passaggio, che il testo sacro presenta a mie riflessioni un mistero, a cui non aveva da prima badato. L’istoria profana ci apprende che presso i differenti popoli dell’antichità eranvi giorni fasti e giorni nefasti Le nazioni pagane dunque credevano alla naturale differenza de’giorni. Questa opinione era ai miei occhi un pregiudizio, una superstizione di più: e gratìfìcavane io liberalmente gli Egiziani, i Greci ed i Romani. Una riparazione è loro dovuta: cotesta credenza è fondata. Il Padre de’ giorni che viene d’indicarci siffatto mistero, chiaramente ce lo rivela : « Quale è la ragione (dice egli), per cui un giorno prevale in sull’altro, poiché tutti i dìi dell’annata, misurali e rischiarati dallo stesso sole, sembrano della medesima natura e della medesima condizione? Questa distinzione non è novana ed arbitraria. E la sapienza del Signore che separò, riserbò certi giorni e istabilì cotale misteriosa differenza. Iddio dispose i tempi nella sua saviezza; prese certi dì ed innalzolli all’onore de’ giorni solenni e sacri, e lasciò gli altri nel rango ordinario, il quale non serve che a riempiere le settimane ed i mesi » [“Quare dies diem superat, et iterum lux lucem, e f annua annum a sole? A Domini scientia separati sunt…. et immutavit tempora, et dies festos ipsorum, et in illis dies festos celebraverunt ad horam, et ex ipsis exaltavit cl magnificavìt Deus, et ex ipsis posuit ìn numerum dierum”. (Eccles. XXXIII, 7-10 V. Corn. a Lapid.). Quale novella e sublime immagine ci presenta qui il testo sacro! Vedete voi il Padrone Sovrano prendere d’una mano una porzione di nostra vita, ad essa benedire, santificarla e riservarla come decima e come omaggio; e dell’altra mano rigettare il più gran numero dei nostri giorni nel cerchio monotono de mesi e degli anni, non altro merito loro assegnando di quello in fuori di compiere la santificazione di nostra esistenza, per la pratica giornaliera delle virtù e dei doveri. – La quotidiana adorazione della mattina e della sera, il riposo sacro del settimo giorno, sono eloquentemente predicati dal sole e dalla luna, questi due infaticabili araldi dell’Eterno: ma non è abbastanza. Costellazioni appellate volgarmente segni dello zodiaco, cioè de’ gruppi di stelle, o per parlare più rettamente , dei segni celesti, compaiono ogni sera dalla parte del cielo opposta all’occaso del sole. Ciascuna a suo giro mostrasi in sull’orizzonte durante un’intera lunazione. Quando la dodicesima è disparata, la primiera ritorna; e voi veduto avete a passare sovra la volta del firmamento, come in sur una mobile mostra d’oriuolo, ciascuno de’ dodici mesi dell’anno, e l’anno istesso, del quale divengono le parti integrali. Questo rinnovellamento de’mesi e degli anni diventa eziandio un monumento sacro, ed il predicatore dun rinnovellamento morale. Pertanto, appo tutti i popoli, il cominciamento dell’anno e le nuove lune furono giorni di festa. Egli è dunque vero: grazia al corso perfettamente regolare del sole, della luna e delle stelle, il grande orologio de’ cieli suona ciascun giorno, ciascheduna settimana, ciascun mese, ciascun anno, l’ora del raccoglimento, della preghiera e del sacro riposo. ÀI suono di questa ora solenne, tutte le nazioni dell’orbe fino al presente caddero ginocchione per adorare e benedire. Come mai qualificare la condotta degli uomini, la condotta d’un popolo intero, che non rispettano più i giorni santi, non apprezzano questa magnifica armonia, e sconvolgono tutto il, piano divino? È questo, una stupidità? È questo malizia? È questo l’uno e l’altro? Lascione a voi la decisione. — Aggradite, ecc.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.