J.-J. GAUME: IL SEGNO DELLA CROCE [lett. 9-11]

Il segno della Croce:

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LETTERA NONA.

4 dicembre.

Del segno della croce presso i pagani ti parlerò in questa mia lettera, e per tutto correre il filo tradizionale, che rannoda la Sinagoga alla Chiesa, desidero dirti una parola del segno della croce de’ primi cristiani. Tu già sai ch’eglino lo facessero di continuo, ma tu ignori, io credo, che per non interromperlo, pregando rendevano se stessi segno di croce. Per fermo che i tuoi compagni l’ignorano. – Quanto Mose, Sansone, David, gl’Israeliti facevano ad intervallo, i nostri padri facevano di continuo, e tu ne vedi la ragione. Amalec, i Filistei, Eliodoro erano de’ nemici che passavano, ma il Colosso romano non deponeva mai le armi, tra lui ed i padri nostri s’era ingaggiata una lotta sanguinolente, e senza tregua. In tali circostanze ciascun di loro era un Mosè sul monte, e non per un giorno solo, ma per tre secoli tennero le braccia distese verso il cielo, per ottenere la vittoria ai martiri discesi nell’arena, e la conversione dei loro persecutori. – Del loro pensiero e della maniera di loro preghiera, lasciamo che parli un testimone oculare. « Noi preghiamo, dice Tertulliano, con gli occhi rivolti al cielo, e con le mani distese, comeché innocenti; a capo nudo, non avendo di che arrossirci; senza ammonitore, perché preghiamo col cuore. In siffatto modo noi imploriamo per gl’imperatori lunga vita, regno felice, sicurtà nella regia, armate valorose, sudditi Virtuosi, il mondo tranquillo, un Senato fedele, a dir breve, quanto l’uomo e Cesare desidera » [ Apolog. c. XXX]. – Cosi pregavano in Oriente ed Occidente gli uomini e le donne, le vergini e le matrone, i giovani ed i vecchi, i senatori, i fedeli d’ogni condizione. Questo misterioso atteggiamento era da essi usato non solo nelle striassi, nel fondo delle catacombe, raccomandando gli altrui interessi; ma altresì quando erano trascinati negli antiteatri, dove dovevano combattere per se stessi al cospetto d’immenso popolo trattosi a vedere i grandi atleti del martirio. – Immagina, se il puoi, mio caro, uno spettacolo più tenero di quello che Eusebio ci racconta. La persecuzione diocleziana con violenza procedeva nella Bitinia, e conduce in un sol giorno nell’anfiteatro un gran numero di cristiani dannati alle bestie. Per quanto snaturati fossero gli spettatori, un fremito di compassione corse loro per le vene a vista della moltitudine di teneri fanciulli, di delicate avvenenti donzelle, di cadenti vegliardi, che, con gli occhi al cielo elevati, con le braccia distese, impavidi procedevano nel mezzo delle tigri, e degli affamati leoni. Il timore che posseder doveva i condannati, padroneggiava l’animo de’ giudici e degli spettatori! [Euseb. Hist. Eccl. lib. VIII, c. 5]. – Siffatta attitudine de’ martiri non era eccezionale. Lasciamo la parola allo stesso storiografo, che, come testimone oculare non v’ha altri, che meriti maggior fede. « Voi avreste veduto, cosi egli, un giovane non ancora giunto a’ venti anni, libero da’ ceppi, star tranquillo in piede nel mezzo dell’anfiteatro con le braccia distese in forma di croce, il suo cuore più che il suo sguardo levato e fisso al cielo, essere circondato da orsi e leopardi il cui furore spirava la morte. Ma che! Questi terribili animali sul punto di dilaniargli le carni, da una potenza sovrumana hanno le bocche serrate, e spaventati si danno alla fuga. » (Ibid. C VII]. – L’Occidente ti presenta uno spettacolo ancor più tenero per la delicatezza della vittima. Nel mezzo della gran Roma giammai una moltitudine uguale aveva gremito gli scalini del circo. L’eroina è una giovinetta sui tredici anni, la bella Agnese condannata al fuoco. « Vedila, è santo Ambrogio che il racconta, dessa monta coraggiosa il rogo, e distende le sue mani verso il Cristo, per elevare tra le fiamme istesse il vittorioso stendardo del Signore! Con le braccia distese attraverso le fiamme, cosi prega: O Signore, cui ogni adorazione, santo timore ed onore è dovuto, vi adoro! O Padre Eterno del nostro Signore Gesù Cristo, vi benedico! È per la grazia del Figliuol vostro, ch’io son libera dalle mani degli nomini impuri, e senza sozzura alcuna ho scansate le immondizie di satana. Benedetto siate deh! altresì, perché la rugiada dello Spirito Santo estingue le fiamme divoratrici che mi circondano: queste si dividono, e gli ardori del mio rogo minacciano quelli che lo attizzano » [Lib. 1, De Virginib. “Tendere Christo inter ignes manus, atque ipsis sacrilegis focis trophaeum Domini signare victoris”]. – Tal’era la forma eloquente del segno della croce in uso fra i cristiani della primitiva Chiesa, i Mosè della novella alleanza, e tu puoi ancora averne una prova nelle pitture delle catacombe. Questa forma del segno trionfale durò lungo tempo fra i cattolici, ed io l’ho vista, son trent’anni, presso qualche popolazione cattolica d’Alemagna. Ma se questa s’è perduta tra i fedeli, la Chiesa l’ha religiosamente conservata. I dugento mila preti che ciascun giorno ascendono all’altare, su tutti i punti del globo, sono gli anelli visibili della catena tradizionale, che da noi si estende sino alle catacombe, e da queste al Calvario, di dove arrivano al monte Rafidim, e di là si perdono nella notte de’ tempi. – Arriviamo a’ pagani. Questi ancora hanno fatto il segno della croce, nelle loro preghiere, ed a ragione l’hanno creduto di una forza misteriosa, di grande importanza. Domanda ai tuoi camerata l’etimologia della voce adorare. Eglino non avranno pena alcuna a dirtela, che, se questa voce fosse una creazione della Chiesa potresti dispensarti dal domandargliela; ma poiché è una voce del latino del secolo d’oro, secondo l’espressione di collegio, bacellieri, com’ eglino sono, devono saperlo. – Ora decomponendo la voce adorare, questa, secondo tutti gli etimologisti vuol dire, portar la mano alla bocca e baciarla “manum ad os admovere”. Tale era la maniera con che i pagani adoravano i loro dei. Le prove sono abbondanti. « Quando noi adoriamo, dice Plinio, noi portiamo la mano destra alla bocca e la baciamo; quindi descrivendo un cerchio giriamo intorno il nostro corpo » [Plin. Hist. nat. lib. XXVIII –In adorando dextram ad osculum referimus, totumque corpus circumagimus. — Noi ci rivolgiamo intorno a noi medesimi — Che significa questo genere di adorazione ? Colportare la mano alla bocca, l’uomo fa omaggio della sua persona alla divinità; col rivolgersi sopra se stesso, imita il movimento degli astri, e fa alla divinità omaggio del mondo intero, di cui i corpi celesti sono la più nobile porzione. – Questa maniera di adorare fa parte del sabeismo o dell’ adorazione degli astri, forma d’idolatria che risale alla più alta antichità. Per mezzo dei Pitagorici essa era venuta a Numa, che prescriveva questo rivolgimento : eircumage te cum Deos adoras. « Si dice, aggiunge Plutarco, che questa è una rappresentazione del giro che fa il cielo col suo movimento (Vita di Numa, capo XII). Questa pratica profondamente misteriosa e r a molto diffusa in America prima della scoperta; ed è ancora oggidì in uso presso i Dervis giratori dell’Oriente]. – E Minuzio Felice : « Cecilio com’ebbe visto la statua di Serapide portò la mano alla bocca e baciolla, secondo l’uso del volgo superstizioso » [“Caecilius simulacro Serapidis denotato, ut vulgus superstitiosus solet, manum ori admovens, osculum labiis pressit (Minut Felice in Octav.). – Apuleo dice : « Emiliano sino al presente non ha pregato alcun Dio, né ha usato a tempio alcuno. Se passa dinanzi un luogo sacro crede delitto portar la mano alla bocca per adorare » [“Nulli Deo ad hoc aevi supplicavit; nullum templum frequentavi!; si fanum aliquod praetereat, nefas habel adorandi gratia, manum labris admovere”. (Apul. Àpol.. I, vers. fin.)]. – Ma perchè mai questo gesto esprimeva il culto supremo, l’adorazione? Eccolo in due parole. L’uomo è l’immagine di Dio, e Dio è nel suo Verbo, per lo mezzo del Quale ha tutto fatto. Portar la mano sulla bocca è comprimere la parola,, è, in certa maniera, annientarsi. Farlo come i pagani per onorar satana, era dichiararsene suddito, vassallo e schiavo, riconoscerlo per Dio. Tu sai qual delitto enorme questo sia. – Per questo Giobbe facendo la sua difesa diceva: « Quando ho visto il sole brillare con tutti i suoi raggi, e la luna avanzarsi abbellita dalla luce, il mio cuore nel suo segreto ne gioiva, e mai ho baciata la mano, perchè sarebbe la maggiore delle iniquità, e la negazione dell’Altissimo: iniquitas maxima et negatio contro Deum altimmum » [Si vidi solem, cum ralgeret, etlunamincedentem dare; et laetatum est in abscondito cor meum, et osculatus sum manum meam ore meo ; quia est iniquitas maxima, et negatio contra Deum Altissimum”: Job, cap. XXXII, v. 86, e sequ.]. – Questo gesto misterioso era siffattamente un segno d’idolatria, che Dio parlando degl’Israeliti rimasti fedeli, diceva: « Conserverò in Israele sette mila uomini, che non hanno piegato il ginocchio dinanzi a Baal, ed ogni bocca, che non l’ha adorato, baciando la mano » [“Derelinquam mini in Israel septem millia virorum, quorum genua non sunt incurvata ante Baal, et omne os, quod non adoravit eum oseulans manus”:III Reg. cap. XIX, v. 18]. – Vedi questo pagano, col ginocchio a terra, ed il capo chino avanti i suoi idoli? Vedi ch’egli passa il pollice della destra sotto il dito indice e lo riposa sul medio in maniera da formarne una croce; quindi bacia questa croce mormorando qualche parola in onore de’ suoi cari dei? Fa tu stesso un tale gesto, e vedrai che il segno della croce non potrebbe meglio essere rappresentato. Che tale fosse il bacio di adorazione, fra molti altri pagani, Apuleone ne fa fede: “Una moltitudine di cittadini e stranieri, dic’egli, era accorsa per la fama dell’ eccelso spettacolo. Fuor di sé alla vista della incomparabile bellezza, baciavano la destra di cui il pollice riposava sul dito indice, e la onoravano con religiose preghiere quasi fosse la stessa divinità » [Metamorph. VI]. – Siffatta maniera del segno della croce è si reale ed espressiva, che presentemente è comune presso molli cristiani in tutti i paesi. Ma questa non era la sola maniera con che era eseguito presso i pagani, poiché, i più pii, lo facevano crociando le mani sul petto. Noi troviamo questa maniera usitata in una delle circostanze la più solenne, e nello stesso tempo la più misteriosa della loro vita pubblica. Lascio la tua curiosità nell’aspettativa sino a domani. 

LETTERA DECIMA

5 dicembre.

Uscendo di collegio dopo dieci anni di stadio di latino e di greco, non conosciamo neppure la prima parola dell’antichità pagana; l’educazione ci mostra la superficie delle corti, e mai il fondo. Quello che ha luogo in Francia si osserva presso tutti i nostri vicini, e n’ho ben ragione di dirlo. Di che segue, che il fatto di che devo parlarti sarà per molti una strana novella: eccolo. – Quando un’ armata romana assediava una qualche città, la prima operazione, che eseguiva il generale, fosse questi un Camillo, un Fabio, un Metello, un Cesare o Scipione, non era di scavar fossati, o di elevar linee di circonvallazione, ma d’invocare gli dei difensori della città, perché passassero nel proprio campo. La formula dell’invocazione è troppo lunga per una lettera, tu potrai leggerla in Macrobio. – Ora profferendola il generale faceva per ben due volte il segno della croce. La prima come Mosè, come i primi cristiani, come al presente il prete all’altare, con le mani distese verso il cielo invocava Giove. Quindi fiducioso per l’efficacia della sua preghiera, crociava devotamenle le mani sui petto [“Cum Jovem dicit, manus ad coelum tollit: cum votum recipere dicit, manibus pectus tangit.” (Macrob. Saturnal, lib. III, cap. 2]. – Ecco due forme della croce incontestabili, universali e perfettamente regolari. Se questo fatto degno di considerazione è generalmente ignorato, ecco un’altro che 1’è un poco meno. L’uso di pregare con le braccia in croce era comune fra i pagani dell’Occidente e dell’Oriente. Su questo punto non v’ha alcuna differenza fra noi ed i giudei. Rileggi i tuoi classici. Tito Livio ti dirà: In ginocchio elevavano le loro mani supplicanti verso il cielo, e verso gli dei [“Nixae genibus supinas manus ad coelum ac Déos tendentes, – lib. XXXVI] .– Dionigi d’AIicarnasso: Bruto conoscendo la sventura e la morte di Lucrezia, elevò le mani al cielo, invocò Giove con tutti gli dei [“Brutus, ut cognovit casum et necem Lucretiae, protensis ad coelum manibus: Jupiter, inquit, diique omnes etc”. – Antiquit, lib. IV]. E Virgilio: Il padre Anchise sulla riva invoca i grandi dei, con le mani distese [“At pater Anchises, passis de littore palmis, Numina magna vocat – AEneid. lib. III]. – Ed Ateneo: Dario avendo inteso come Alessandro trattasse le sue figlie prigioniere, protese le mani verso il sole, e pregò, che se egli regnare più non dovesse, il regno fosse dato ad Alessandro. Ed in fine, Apuleo dichiara formalmente che tale maniera di pregare non era eccezionale, o come qualche giovane potrebbe qualificarla, una eccentricità, ma un permanente costume è « L’attitudine di quelli che pregano, egli scrive, è di elevare le mani verso il cielo » [“Cum boc Darius cognovisset, manus ad Solem extendens precatus est, ut vel ipse imperaret, vel Alexander”: üb. XIII, C 87]. – Un istinto che appellerei tradizionale, altrimenti non avrebbe nome, loro insegnava il valore di questo ségno misterioso. Poterlo fare negli estremi momenti del viver loro, era per essi sicuro argomento di salute. Se la morte mi sorprende nel mezzo delle mie occupazioni, mi sarà sufficiente poter levare le mani al cielo, [“Habitus orantium sie est, ut manibus extensis ad coe-lum precemur”: Lib. de Mundo vers. for.], diceva Arieno. E qui è da osservare, ed attendi bene ch’egli non dice: Se posso piegare il mio ginocchio, o battere il petto, o prostrare nella polvere la fronte, ma: Se posso stendere le mie braccia, ed elevarle verso il cielo. Perché ciò? Domandalo a’ tuoi compagni. E domanda ancora perché gli Egiziani avevano la croce ne’ tempi, e pregavano dinanzi questo segno reputandolo nunzio di futura prosperità? Ai tempi di Teodosio, dicono gl’istorici greci Socrate e Sòzomeno, quando erano distrutti i tempi degli dei, quello di Serapide in Egitto si trovò pieno di pietre su cui era scolpita la croce. Il che faceva dire a’ neofiti che fra Cristo e Serapide v’era qualche cosa di simile. Questi storici aggiungono che presso di loro la croce simboleggiava il secolo futuro [“Theodosio magno regnante, eum fana gentilium diruerentur; inventae sunt in Serapidis templo hierogiyphicae litterae habentes crucis formam, quas videntes illi, qui ex Gentilibus Christo crediderant, alebant significare crucem, apud peritos hieroglyphicarum notarum, vitam venturam. (Socrat. lib. V, c. 11. — Sozom. lib VII, c. 15]. – Presso i Romani, questo istinto si era tradotto in fatto, di che dubiterei, se non avessi sott’occhio una medaglia, che me ne da una prova materiale. Conoscendo eglino la forza del segno della croce, di che parlo, né volendo restare come Mosè, ed i primi cristiani con le braccia distese lungo tutto il tempo di loro preghiere, che cosa fecero? Immaginarono una dea cui era commesso d’intercedere continuamente per la repubblica; e la rappresentarono nella postura di Mosè sul Monte, per la qual cosa in Roma, nel mezzo del Forum olitorium, dove sono al presente i ruderi del teatro Mercello, si elevò la statua della dea detta: Pietas Publica. Dessa era rappresentata in piedi con le braccia distese da far croce col corpo, come Mosè, o come i primi cristiani delle catacombe, avendo a sinistra un’altare su cui bruciava l’incenso simbolo della preghiera [GRETZER, De Cruce, p. 33. — Porcellini, art. Pietas etc.].Sul conio del valore impetratorio e latreutico del segno della croce, l’Oriente del Nord era d’accordo con l’Occidente, i Cinési co’ Romani. Il crederesti tu? L’imperatore Hien-Suen sì antico da essere pressoché favoloso, aveva come Platone presentito il mistero della croce. Per onorare l’Altissimo, questo antico imperatore congiungeva due pezzi di legno uno dritto e l’altro trasverso [Discours prelim. du CHOU-KING del P. PRIMARB. cap. ix,, p. xcii]. – Dalle quali cose seguita, che de’ sette modi onde la croce può esser fatta, i pagani ne conoscevano tre, da essi eseguiti religiosamente e nelle importanti contingenze. – Benissimo, mi dici, ma sapevano eglino quel che facessero? Non era un segno puramente arbitrario, di nessun significato, e da che nulla è da dedurre? – Che i pagani avessero inteso come noi il segno della croce, non è mia pretensione affermarlo; poiché presso di loro questo segno era come le figure presso gli Ebrei. – Presso questi le figure avevano un significato reale, un grande valore più o meno misterioso a seconda de’ tempi, de’ luoghi e delle persone. Tu devi conoscere le lettere scritte con inchiostro simpatico. Queste tuttoché siano reali, pure sono pressoché inapparenti, ma l’azione del fuoco le rende in un subito visibili. Così e non altrimenti è del segno della croce de’ pagani. Quando fu irradiato dalla luce evangelica questo segno chiaro oscuro, divenne intelligibile a tutti, si scoperse, parlò, come le figure dell’Antico Testamento. – Credere che il segno della croce presso i pagani fosse un segno arbitrario è tale una supposizione che di per sé svanisce, poiché tutto ciò ch’è universale non è arbitrario, ed il segno della croce è universale più che ogni altra cosa. Noi tocchiamo, mio caro Federico, uno de’ più profondi misteri dell’ordine morale. – Non dimenticare lo scopo che mi son proposto, devo dimostrare, che la croce è un tesoro che ci arricchisce. Per essere arricchito è mestieri che l’uomo dimandi; che Dio lo esaudisca, e che all’uopo l’uomo sia caro a Dio. Non v’ha di più caro a Dio che il suo Figlio e quelli, che a questo si assomigliano. Ora il Figlio di Dio è un segno di croce vivente, e vivendo eternamente segno di croce, di poi 1’origine del mondo, Agnus occisus ab origine mundi, è il gran Crocifisso, e questo gran Crocifisso è il nuovo Adamo, il tipo del genere umano. Per tornar caro a Dio è forza che l’uomo si assomigli al suo divino modello, è mestieri ch’egli sia un Crocifisso, un segno di croce vivente. È questo il suo destino sulla terra come quello del Verbo. Povero, in tale attitudine deve presentarsi a Dio dimandandogli soccorso. La Provvidenza non ha voluto lasciargli ignorare questa condizione necessaria pel successo della sua preghiera. Come l’uomo non ha perduto la memoria della sua caduta, e la speranza della redenzione, così egli non ha perduto la conoscenza dello strumento redentore. Quindi la esistenza della conoscenza e della pratica, sotto una od altra forma, del segno della croce nelle preghiere, di poi l’origine dei secoli sino a noi. – Dio non solo ha commesso nel cuore dell’ uomo l’istinto del Segno della croce, ma ha voluto che nel mondo materiale tutto fosse fatto secondo questo segno, per ricordare all’uomo ancora per Io mezzo degli occhi corporali la necessità di questo segno salutare, ed il ministero sovrano che esercita nel mondo morale. Difatti, tutto quaggiù ne riproduce l’immagine. Ascolta quelli che hanno occhi per vedere! È degno di grandissima considerazione, dice Gretzer, che di poi la origine del mondo Dio ha voluto la Croce fosse presente agli occhi umani, ed all’uopo ha di maniera disposte le cose, che l’uomo nulla potesse fare senza l’intervento del segno della croce » [“Illud consideratione dignissimum est, quod Deus figuram crucis ab initio semper in hominum oculis versari voluit, namque ita instituit, ut homo propemodum nihil agere posset; sine interveniente crucis specie. De Cruce, lib. 1]. Gretzer è il centesimo eco della filosofia tradizionale; ascoltane altri. « Quanto v’ ha nel mondo è messo in opera secondo questo segno. L’uccello che attraversa gli spazi del cielo, e l’uomo sia che egli nuoti, o preghi non può agire che secondo questo segno. Per tentare la fortuna, e cercare le ricchezze fino negli estremi confini del mondo, l’uomo ha bisogno di una nave. Questa non può solcare le onde senza alberi, e questi di braccia a croce, senza che, impossibile tornerebbe darle una direzione. L’agricoltore domanda alla terra il suo cibo, e quello de’ ricchi, e de’ re? ad ottenerlo adopera l’aratro, che col vomero rappresenta una croce » [S. Maxim. Taurin, ap. S. Ambr. t. III, ser. 56, etc.]. Se il segno della croce è mezzo all’uomo per agire sulla natura fisica, l’è altresì per comunicare con i suoi simili. Nelle battaglie non è la vista degli stendardi, che anima i combattenti? Che ci mostrino le cantabra e i sipario, de’ Romani, che non eran che degli stendardi a forma di croce. – Gli uni e gli, altri erano delle lance dorate sormontate da un legno orizzontale, di dove pendeva un velo d’oro, o di porpora. Le aquile colle ali distese al sommo delle lance e delle altre insegne militari ricordano invariabilmente il segno della croce; i monumenti delle vittorie, ed i trofei formano la croce. La religione de’ Romani tutta guerriera, adora gli stendardi, giura per essi, e li preferisce ai suoi dei, e questi stendardi sono delle croci: “omnes illi imaginum suggestas insignes monilia crucium sunt (2). [Tertull. Apolog. XVI]. Di modo che, quando Costantino volle perpetuare nel vessillo imperiale, la memoria della vittoria avuta per la croce, vi aggiunse solo il monogramma di Cristo [EUSEB. lib. IX. Histor. 9.]. – L’uomo si distingue dalla bestia perché cammina ritto su i piedi, e può distendere trasversalmente le braccia ; e l’uomo in piedi con le braccia distese è la croce. Per lo che c’è imposto pregare in tale attitudine, affinché le nostre membra proclamino la passione del Signore, e quando ciascuno a sua maniera con lo spirito e col corpo confessa Gesù in croce, è sicuro che la nostra preghiera è esaudita. Il cielo istesso ò disposto a questa forma. Qual cosa mai rappresentano i quattro punti cardinali, se non le quattro braccia della croce e la universalità di sua virtù salutare? La creazione tutta intera ha l’impronta della croce. Platone stesso non ha forse scrìtto che la potenza più vicina al primo Dio, s’è esteta tul mondo in forma di croce? [“Ideo elevatis manibus orare praeeipimur, ut ipso quoque membrorum gettu passionem Domini fate amor. Tum enim citius nostra esauditur oratio, cum Christum, quern mens loquitur, etiam corpus imitatur. (S. Maxim. Taurin. Apud S. Ambros. tom. Ill, Serm.36. — S. Hier, in Marc. XI. — Tertull. Apol XYI.— Origen. Hom. Till in divers.). – Dalle cose dette segue la risposta da Minuzio Felice indirizzata ai pagani, che rimproveravano a’ cristiani di fare il segno della croce. « E che, forse la croce non è da per tutto, diceva loro? Le vostre insegne, i vostri stendardi, le bandiere e i trofei, che cosa sono, se non la croce? Non pregate voi come noi a braccia distese? ed in tale attitudine non pronunziate voi delle formule che proclamano un solo Dio? Non vi assomigliate voi allora a’ cristiani adoratori di un Dio unico, e che hanno il coraggio di confessare la loro fede nel mezzo delle torture dispiegando le braccia in forma di croce? Tra noi ed il vostro popolo qual differenza vi corre, quando con le braccia distese esclama: Gran Dio, Dio vero, se Dio lo vuole? È questo il linguaggio naturale del pagano, o la preghiera del cristiano. Quindi o il segno della croce è il fondamento della ragione naturale, o desso serve di base alla vostra religione istessa! [“Ita signo crucis aut ratio naturalis innititur, aut vestra religio formatur”. Minut. Felix in Octavio.]. – Perché adunque, soggiungono altri apologisti, lo perseguitate voi? Ed io altresì, mio caro Federico, potrei domandare a’ moderni pagani: Perché lo perseguitate questo segno? Perché ne avete onta? Perché siete larghi in lanciar sarcasmi contro i coraggiosi che lo fanno? La risposta è a capello quella che veniva data in altri tempi. « satana che scimmia Dio in tutto, si era impossessato di questo segno, e lo faceva eseguire ai pagani per proprio conto. Il perfido! Egli era contento di vedere che gli uomini usano, per adorarlo e perdersi, il segno destinato alla adorazione del vero Dio, e salvare il genere umano. » – Riguardo ai cristiani era tutt’altra cosa. Per essi questo segno esercitava il suo vero ministero, comeché mezzo da onorare il vero Dio, e precipuamente il Verbo incarnato, oggetto dell’odio di satana cui il Cristo strappava l’uomo per salvarlo. E se pel cristiano siffatto segno diveniva oggetto di scherno, era per lui un delitto degno della morte. – D’onde procede che gl’iniqui di tutti i secoli mostrano de’ sentimenti contraddittori, d’amore e di odio, di rispetto e di scherno per questo segno adorabile? Da satana stesso, risponde Tertulliano. « Spirito di menzogna, agogna ad alterare la verità e le cose sante a profitto della idolatria. Cosi egli battezza i suoi adepti assicurandoli che quest’acqua li purificherà da ogni colpa, e di questa maniera inizia al culto di Mitra. Segna la fronte de’ suoi soldati, celebra l’oblazione del pane, promette la risurrezione, e la corona guadagnata con la spada. Che altro dirò? Egli ha un Sommo Pontefice cui interdice le seconde nozze, ha le sue vergini, e i suoi continenti. Se noi esaminassimo per minuto le superstizioni stabilite da Numa, gl’impieghi sacerdotali, le insegne, i privilegi, l’ordine e le parti de’ sacrifizi, gli utensili, i vasi da sacrificio, gli oggetti per le espiazioni e le preghiere, non troveremmo noi che il demonio, scimiando Mosè, ha tutto ciò stabilito? Dopo l’Evangelio la contraffazione si è continuata ». [“A diabolo scilicet, cujus sunt partes intervertendi veritatem, qui ipsas quoque res sacramentorum divinorum ad idolorum mysteria aemulatur etc.” (TERTULL. de praescript.)]. – satana s’è spinto più oltre! Conoscendo tutta la potenza della croce ha voluto appropriarsela interamente, e sostituirsi al Dio crocifisso per averne gli onori. « Questo implacabile nemico del genere umano risaputo, per lo mezzo degli oracoli profetici, dice Firmico Materno, ha reso strumento d’iniquità il segno che arrecar do-veva la salvezza al mondo. Che cosa sono le corna di che si gloria ? Strazio di quelle che l’inspirato profeta ha nominato, e che, o satana, credi adattare alla tua orribile figura. Come puoi tu trovarvi la tua gloria, ed il tuo ornamento? Queste corna non sono altro che il segno venerabile della croce » (2). [De error, prof. Relig. t. XXII]. Cosi la fronte armata di questo sacro segno lo fa fremere di bile, e non trova supplizio, per crudele che sia, per punirlo d’aver portato l’immagine del Verbo incarnato; epperò, mio caro, egli ha fatto pessimo strazio de’ nostri padri e delle madri nostre, de’ fratelli e sorelle martiri di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Ora ha fatto loro scuoiare la fronte, e sulle denudate ossa imprimere ignominiosi caratteri; ora pendere in forma di croce, e stirarli con corde e batterli con nervi di bue da far sconoscere in essi la figura umana (1). (1) [GRETZER De Cruce lib. IV, c. 32, pag. 688]. – Grande insegnamento! L’odio di Satana per la croce sia per noi norma della fiducia e dell’amore che dobbiamo a questo segno; domani vedrai che desso ha altri titoli ancora per questo duplice sentimento.

LETTERA UNDECIMA.

6 dicembre.

II segno della Croce è un tesoro che ci arricchisce: é questa una delle ragioni di sua esistenza. Ci arricchisce, perché desso è una eccellente preghiera. Ecco, mio caro amico, tu non l’hai dimenticato, il punto di dottrina che stabiliamo in questo momento. – La prova è a metà già svolta; che dessa toglie la sua evidenza dall’antichità, universalità, e perpetuità del segno adorando. Nel mezzo dell’universale naufragio in che il mondo, idolatrandosi, lascia perire tante rivelazioni primitive, si vede sfuggire alla devastazione quella del segno della Croce. Questo fatto ben chiaro e ragionevole per lo spirito cristiano, che riflette, ma forse per te e per gran numero di uomini incomprensibile, di quali verità è rivelatore? Desso afferma e rivela quanto sia utile all’uomo questo segno; avvegnaché ne mostra tutta la efficacia sul cuor di Dio. Dai ragionamenti passiamo ai fatti! Il segno della croce è una preghiera, una preghiera potente, una preghiera universale! – È una preghiera. Che cosa è l’uomo che prega? È un uomo che confessa dinanzi a Dio la sua indigenza, indigenza intellettuale, morale, materiale. È il povero alla porta del ricco. Ora il povero domanda con la voce, ma più eloquentemente col magro e smorto viso, con le infermità, i cenci e l’attitudine, come pregava sulla croce l’adorabile Povero del Calvario! In questo stato il Figlio di Dio, più che in altro mai era l’oggetto delle compiacenze infinite del Padre, ed Egli stesso ci dice, che questa preghiera più eloquente, per l’azione che per la parola, fu la leva che innalzò tutto a lui [“Cum exaltatus fuero a terra, omnia traham ad meipsum. Joan. XII, 32 Humiliavit semetipsum etc. propter quod et Deus exaltavit illum etc.” (Ad Philip. II, 8)]. – Che cosa fa l’uomo facendo il segno della croce, sia con la mano, che con le braccia? Egli imprime sovra se stesso l’immagine del divino Povero; s’identifica con Lui, è Giacobbe che si copre delle vestimenta di Esaù per ottenere la paterna benedizione. In questa attitudine, espressione di fede, di umiltà e di oblazione, che cosa dic’egli? Egli dice: Vedete in me il vostro Cristo, “respice in faciem Christi tui”. Preghiera è questa più eloquente di tutte le parole : dessa ascende, dice santo Agostino, ed il soccorso discende: ascendit deprecatiti et descendit Dei miseratio. [August. Serm. 226 De temp.]. – Tal’è il segno della Croce, non parla e dice tutto; eloquente silenzio della croce! È una preghiera potente. Quando l’agente dell’autorità, un delegato di polizia, un sindaco, un gendarme, mette la mano sul delinquente, gli dice: In nome della legge vi arresto. In questa parola “in nome”, il colpevole vede l’autorità della sua patria, la forza armata, i giudici, il re stesso, e preso da paura e riverenza, si lascia arrestare. Quando l’uomo trovasi in un pericolo, in preda alla sofferenza ed alle infermità, e pronunzia queste parole solenni, in nome del Padre etc, e, pronunziandole, fa il segno redentore del mondo, e trionfatore dell’inferno, il male non può opporre resistenza alcuna. L’uomo non ha forse eseguite tutte le condizioni necessarie al successo? Dio non è, in certo modo, obbligato d’intervenire, e di glorificare il suo nome e la potenza del suo Cristo? Ecco ragione che dell’efficacia particolare del segno della Croce, né la Chiesa, né i secoli cristiani hanno dubitato; e teologi venuti in gran fama di profondo sapere insegnano, che la croce opera per virtù propria indipendentemente dalle disposizioni di colui, che la esegue. Ne danno varie ragioni; io non ne citerò che due. La prima è l’uso incessantemente ripetuto del segno della croce. Se non producesse, dicono, i suoi effetti di per sé stesso, i cristiani non avrebbero ragione facendone si frequente uso. Perché usarne se un movimento dell’anima bastasse ad ottenere e realizzare quanto sperano ottenere e realizzare col segno della croce? [“Dicimus signum sanctissimae crucis producere suos effectus “ex opere operato”. (Gretzer loc. cit. lib. IV, c 6», p. 703) – Ita etiam doctissimi quique tbeologi sentiunt, ut Gregorius de Valentia, Franciscus Suarez, Bellarminus, Tyraeus,etalii. ibid. – “Et certe nisi ex opere operato crux effectus suos ederet, non esset cur iam sedulo a fidelibus usurparetur; quia bono animi motu et actu omne illud perflcere seque certo possent, quod adhibito crucis signáculo peragunt et sese peracturos sperant”. – Ibid.]. – La seconda riposa su de’ fatti celebri nella storia, e di tale una autenticità da non poter di essi in verun modo dubitare. Il primo è quello di Giuliano Apostata. Quando ruppe a Dio la sua fede, com’è inevitabile, divenne adoratore di satana. Per conoscere l’avvenire, mandò per tutti gli uomini, che in Grecia erano in rapporto con i cattivi spiriti. Un evocatore si presenta, e promettegli piena soddisfazione. Eccoli in un tempio d’idoli: si eseguono le evocazioni, e detto fatto, l’imperatore è circondato di demoni, il cui aspetto gli mette paura. Per sentimento di timore, e senza alcuna riflessione si segna, ed eccoti i demoni disparire. Il mago ne lo rimprovera, e ricomincia le sue evocazioni. Di nuovo le istesse apparizioni. Giuliano si segna nuovamente, e gli spiriti dispariscono. Questo fatto è riferito da San Gregorio di Nazianzo, da Teodoreto ed altri Padri [“Ad crucem confugit, eaque se adversus terrores consignat, eumque quem persequabatur in auxilium adsciscit. Valuit signaculum, caedunt doemones, pelluntur timores. Quid deinde? Reviviscit malum, rursus ad audaciam redit; rursus aggreditur; rursus iidem terrores urgent, sursus obiecto signáculo daemones conquiescunt, perplexusque haeret discipulus.” (S. Gregor. Nazianz. Orat. I contra Julian.)]. – Il secondo è più noto nell’Occidente. La conoscenza di esso noi la dobbiamo al Pontefice San Gregorio, che siffattamente ce ne parla. « Quanto narro non può essere che certo, avvegnaché quanti sono gli abitanti di Fondi ne sono testimoni » [“Nec res est dubia quam narro, quia paene tanti in ea testes sunt, quanti et eiusdem loci habitatores existant.” (S. Greg. Dial. lib. III, c. 72)]. Un Giudeo dalla Campania si conduceva a Roma per la via Appia. Annottatosi verso Fondi, né potendo trovare ove passar la notte, si cacciò in un diruto tempio di Apollo. Quest’antica dimora di demoni gl’inspirava paura; però, tuttavolta non fosse cristiano, si munì del segno della croce. Ma che! era già scorsa la metà della notte, ed il timore non gli consentiva dormire, quando una moltitudine di demoni entrò nel tempio, e pareva vi si recassero a rendere omaggio al loro capo, assiso nel fondo del tempio. Questi domandava a ciascun di loro quel tanto che avesse fatto per indurre le anime a peccare, e ciascuno gli discopriva le male arti all’uopo usate. Nel mezzo di tali racconti, uno si avanza per narrare come avesse saputo tentare il vescovo della città. Fino al presente, diceva, tutto a vuoto: ma ieri, verso sera ho potuto instigarlo a dare un piccolo colpo sulla spalla della santa donna, che ha in cura l’azienda di lui. Continua, gli rispose l’antico inimico del genere umano, continua e compisci l’opera cominciata; da sì grande vittoria ti verrà eccezionale compenso. – A siffatto spettacolo il Giudeo respirava a pena: a farlo morir di paura, il presidente dell’infernale convegno ordinò che si prendessero indagini sul temerario, che ardiva rifuggiarsi nel suo tempio. La folla degli spiriti si avvicina curiosa al Giudeo, e vedendolo segnato della croce esclama: Malore! malore! un vaso vuoto e segnato. “Vae, Vae! vas vacuum et signatum”. E cosi detto disparvero! Parimente il Giudeo si affrettò di sortire dal tempio, e si portò alla Chiesa, dimora del vescovo, e gli narrò come sapesse del colpo dato il giorno innanzi, e lo scopo che il demonio si proponesse. Il vescovo sorpreso il più che immaginar si possa, commiato la santa donna ed inibì ad ogni femmina entrare nella sua dimora; sacrò a Sant’Andrea il vecchio tempio di Apollo, ed il Giudeo si rese cristiano. [S. Ambr. Dial. lib. III, cap. 7]. – Citiamo un’altro fatto. Le storie di Niceforo ci raccontano come Maurizio Cosro, secondo re di Persia inviasse a Costantinopoli de’ Persiani in ambasciata, i quali avevano nella fronte il segno della croce. L’imperatore domandò loro perché portassero quel segno, cui non credevano. “Questo che vedi, risposero, è segno di un benefizio in altri tempi ricevuto; poiché la peste disertava il nostro paese, ed alcuni cristiani ci consigliarono di segnarci siffattamente come preservativo contro del male. E didatti noi lo credemmo, ed eccoci salvi nel mezzo di migliaia di famiglie distrutte dalla peste [Hist. lib. XVIII, c. 20]. – A questi fatti naturalmente si unisce la riflessione del gran vescovo d’Ippona, che pare decisiva in favore dell’insegnamento cattolico. « Non è da meravigliare, dice egli, se il segno della Croce abbia gran potere quando è eseguito dai buoni cristiani; poiché dessa è potente ancora quando è messa in uso da quelli che non credono, e ciò solo in onore del gran Re » [“Nec mirum quod haec signa valent, cum a bonis christianis adhibentur, quando etiam cum usurpantur extranei, qui omnino suum nomen ad istam militiam non dederunt, propter honorem tamen excellentissimi Imperatoris valent”. (S. August. Lib. 83. De quaest. 19]. – Ma per restare fra i limiti dell’ortodossia, è da aggiungere, che il segno della croce non opera da sé puramente e semplicemente, ma secondo che è utile alla, nostra salute, o a quella degli altri, come di altre pratiche ha luogo, a mo’ d’esempio, gli esorcismi, a cui nessuna promessa divina assicura un effetto infallibile, e senza condizione alcuna. Aggiungasi ancora che la pietà di colui che fa il segno della Croce contribuisce alla efficacia di esso. II segno della Croce è una invocazione tacita di Gesù crocifisso, epperò la efficacia si proporziona al fervore con cui è invocato. Di maniera, che la invocazione del cuore, o della bocca è tanto più propria ad ottenere il suo effetto, quanto il fedele è più virtuoso e caro a Dio [Gretzer, ubi supra]. – È una preghiera universale. In un senso il segno della croce può dire come il Salvatore istesso: “Ogni potere mi è stato dato nel Cielo e nella terra”. Qui ancora più che altrove è da ragionare con i fatti, i quali sono sì numerosi da tornar solo difficile la scelta di essi. Tutti e ciascuno di essi, a sua maniera, proclama, da una parte la fede de’ nostri avi, e dall’altra l’impero del segno della Croce sul mondo visibile ed invisibile, e come desso provveda a’ bisogni dell’anima e del corpo. – Per l’anima l’uomo ha bisogno di lumi, ed il segno della croce li ottiene. S. Porfirio, vescovo di Gaza, deve disputare con una femmina manichea. Per dissipare con la chiarezza del ragionamento le tenebre in che era inviluppata la infelice, fa il segno della croce, e la luce brilla in questa intelligenza traviata. – Giuliano, il sofista coronato provoca a disputa Cesario fratello di san Gregorio di Nazianzo. Il generoso atleta scende nell’arena munito del segno della Croce, ed appone ad un nemico peritissimo nell’arte della guerra, e della dialettica lo stendardo del Verbo, e lo spirito di menzogna si trovò arreticato nella propria rete [S. Greg. Nazianz. In laud. Caesar]. – San Cirillo di Gerusalemme, sì potente in opere ed in parole, comanda si ricorra a questo segno tutte le volte che si debbono combattere i pagani, ed egli afferma che saranno ridotti al silenzio [“Accipe arma contra adversarios hujus crucis; cum enim de Domino cruceque contra infideles quaestio tibi erit, prius statue manu tua Signum, et obmutescet contradicens”. (S. Cyrill. Hieros. Catech. IUI]. – Nell’ordine temporale non meno che nell’ordine spirituale i lumi divini sono necessari all’uomo: il segno della croce li ottiene. Per la qual cosa gi’imperatori di Oriente, successori di Costantino, costumarono, parlando al Senato di cominciare dal segno della croce [“…Ipse coronatus solium conscendit avitum, Àtque crucis faciens signum venerabile sedit. Erectaque manu, cuncto presente Senatu, Ore pio haec orans, ait .… (Coripp. de laud. Justin Junior.)]. – Come di già vedemmo, San Luigi innanzi discutesse in consiglio gli affari del regno, si conformava a questa religiosa ed antica pratica. – Se al pari de’ principi, i più grandi che abbiano governato il mondo, i re e gl’imperatori del secolo decimonono ricorressero a questo segno, pensi che gli affari anserebbero si male? Per me son convinto, come della mia esistenza, che andrebbero molto meglio. I governi nostri contemporanei hanno minor bisogno di lumi, che quelli d’altri tempi? Hanno essi la pretensione di trovarli altrove che in Colui che n’è la sorgente, “lux mundi”? Conoscono eglino un mezzo più efficace del segno della Croce per invocarlo con successo? Tutti i secoli non depongono per la sua efficacia con ogni maniera di testimonianze? La Chiesa, che dovrebbe essere loro oracolo non rifinisce dal proclamarlo. V’ha un concilio, un conclave, un’assemblea religiosa che non cominci dal segno della croce? Fedeli ereditieri della tradizione, i preti cattolici parlano essi dall’alto della cattedra senza armarsi di questo segno? Con ciò eseguiscono la prescrizione degli antichi Padri : « Fate il segno della croce, scrive san Cirillo di Gerusalemme e voi parlerete. “Fac hoc signum, et loqueris”Catech. illuminat. IV]. – Quanto dissi de’ re, è da dire di quelli cui è commesso l’insegnamento altrui. Il Verbo incarnato, non è forse il Signore di tutte le scienze, il professore de’ professori, il maestro de’ maestri? Se il segno della Croce presiedesse all’insegnamento moderno, a’ libri che si stampano, credi tu che sarebbero inondati di errori, di sofismi, d’idee false, di sistemi incoerenti, il cui effetto certo è di far discendere il mondo moderno nelle tenebre intellettuali, dalle quali il Cristianesimo l’aveva tratto? Per l’anima l’uomo ha bisogno di forza: il segno della Croce n’è sorgente feconda. Guarda i tuoi illustri avi, i martiri. A chi questi domandano il coraggio pel trionfo nelle loro battaglie? Alla croce! Generali, centurioni, soldati, magistrati, senatori, patrizi o plebei, giovani e vecchi, matrone e candide vergini, tutti domandano scendere nell’arena, muniti di questa invincibile armatura, “insuperabilis christianorum armatura”. – Vieni, te ne mostrerò qualcuno. A Cesarea il generoso martire che cammina al supplizio è il centurione Gordio. Lo vedi? calmo ed in sé raccolto, egli arma della croce la sua fronte [S. Basil. Orat, in S. Gord.). – Qual è questa città dell’Armenia assisa nel mezzo delle nevi, e sulle sponde del lago di ghiaccio? È Sebaste. Eccoti verso sera quaranta uomini fra i ceppi, e nudi trasportati nel mezzo del lago condannati a passarvi la notte. Chi sono? Quaranta veterani dell’armata di Licinio. Una forza sovraumana è loro altrettanto più necessaria per resistere, che sulla riva son disposti de’ bagni caldi per quelli che rinunziassero alla fede. Fanno il segno della croce, ed una morte eroica corona il loro coraggio [“Isti autem in uno crucifixi signáculo Christum in se quasi legis loco ómnibus praseripserunt… crucem signífera figura in mente gestabant.” (S. Ephrem, Encom. in 40 SS. Martyr.). – Abbiamo di già veduta Agnese segno di croce vivente nel mezzo delle fiamme. Ecco altre vergini nate all’epoca d’oro de’ martiri. La prima è Tecla d’illustre prosapia e più illustre ancora per la fede. I carnefici padroni di essa la conducono al rogo, e dessa coraggiosa l’ascende, e fatto il segno della Croce tranquilla resta nel mezzo delle fiamme, ma una pioggia caduta a torrenti estingue le fiamme senza che un capello solo della giovane eroina venisse bruciato [“Capta ab apparitoribus, ut in focuru jactaretur, sponte pyram ascendit, et signo crucis facto, virili animo inter medias flammas stetit, subitoque lauta inundatione pluviarum, ignis extinctus est, et beata virgo illaesa, virtute superna erigitur.” (Ado, in Martyrol. 23 Sept]. – La seconda è Eufemia non meno celebre della prima. Il giudice la condanna alla ruota ed in un batter d’occhio il fatale strumento è allestito, per ricevere le delicate membra della giovane vergine. Questa si segna, e tutta sola s’avanza contro la spaventevole macchina armata di punte di ferro, la guarda senza neppure impallidire, ed al suo sguardo lo strumento va in pezzi e schegge [“Postquam autem ipso; machina; dicto citius fuerunt construcue et martyr in eas erat conjicenda, validis continuo in se paratis armis, nempe divina crucis figura, et ea signata adversus rotas processit nullam quidem vultu ostendens tristitiam, etc.” (Apud Sur., t. v, et Baron. Martirol. 16 sept.]. – Guarda ancora: noi siamo in uno de’ pretori romani che spesso rosseggiò del sangue de’ nostri padri, e fu testimone delle sublimi loro risposte, e della eroica costanza di essi. La persecuzione di Decio è nel suo bollore, e tu conosci questo sanguinario imperatore, che Lattanzio chiama esecrabile animale, execrabile animal Decus. Una folla di cristiani è dinanzi al giudice incolpata dall’accusatore di mille delitti. I cristiani sono condannati avanti il giudizio, ed eglino sel sanno. Che cosa fanno? elevano gli occhi al cielo, fanno il segno della Croce e rivoltisi al proconsole, gli dicono: Vedrai non esser noi uomini timidi, e di nessun coraggio [“Oculis in coelum sublatis, cum se Coristi signáculo muniissent, dixerunt: scias te non incidisse in viros pusilli et abjecti animi”. ,’Apud Sur., 13 april.]. – Se volessi continuar siffatta storia dovrei fare defilare d’inanzi agli occhi tuoi tutta 1’armata de’ martiri non v’ha un solo valoroso soldato del Crocifisso, che non abbia innalzato lo stendardo del suo Re. Basti nominarne alcuni: san Giuliano, san Ponziano, i santi Costante e Crescenzio, santo Isidoro, san Nazario, san Celso, san Massimo, santo Alessandro, santa Sofia con le sue tre figlie, san Paolo e santa Giuliana, san Cipriano e san Giustino. Questi di tutti i paesi e di tutte le condizioni rendono testimonianza al costume de’ martiri di armarsi del segno della forza avanti entrassero in battaglia sia con gli uomini, che con le bestie e gli elementi. – V’ha ancor di più: temendo che il peso delle catene impedisse loro di formare il segno della croce, eglino pregavano i loro fratelli, i preti, loro padri spirituali di armarli del segno della vittoria. Corobo, convertito alla fede dal martire Eleuterio, corre nell’anfiteatro per ottenere la corona di martire: « Prega, per me, dice al suo padre in Gesù Cristo, ed armami col segno della Croce, con che armasti Felice il condottiere dell’ esercito » [“Ora pro me, et me arma bis armis nempe Christi signaculo, quibus ducem exercitus munivisti Felicem” Apud Sur. 18 aprile]. Gliceria, nobile figlia di un padre per tre volte console, è messa nel fondo di una oscura prigione. Vedendosi alle prese con l’inimico, la prima cosa che opera è di pregare il prete Filocrate onde le segni la fronte col segno della croce. Filocrate esegue i suoi desideri dicendole : “Il segno di Cristo compisca i tuoi voti” [“Signa me Christi signo. Ad haec Philocrates preabyter: Signum, inquit, Christi vota tua compleat. (Ibid., t . III, et Baron., t. II.) – Di fatti la giovane eroina discende nell’anfiteatro, e sul punto di raccogliere la palma della vittoria, rivolta a’ cristiani confusi tra la folla degli spettatori, cosi dice loro: Fratelli, sorelle, figli e padri, e voi che potete essermi madre, vedete, e considerate, quale sia l’imperatore, di cui abbiamo il carattere, e quale sia il segno che onora la nostra fronte! [“Fratres, sórores, filii, patres, et quaecumque matris loco mihi estis, videte et vobis cávete, ac diligenter animadvertite. qualis est Imperator ille, cujus characterem habemus, et cnuli forma i n fronte signati sumus. Ibid. – Tu lo vedi; tutti i martiri hanno cercata la loro forza nel segno della croce. Avrebbero eglino cercato un sostegno nel niente ? E questo grande Imperatore, per cui morivano, li avrebbe lasciati in siffatta incurabile illusione ? Se qualcuno lo crede, ne apporti le prove.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.