20 settembre S. EUSTACHIO m.

S.  EUSTACHIO MARTIRE

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[da: “I Santi per ogni giorno dell’anno”. 1933 – imprimatur -]

Eustachio, nominato dapprima Placido, celebre fra i Romani per i suoi natali, ricchezze e gloria militare, meritò sotto l’imperatore Traiano il titolo di maestro della milizia. Esercitandosi un giorno alla caccia inseguiva un cervo di straordinaria grandezza che d’un tratto si fermò e vide fra le sue corna un’immagine radiosa di Gesù Cristo che gli disse — Placido, perché mi perseguiti? Ti sono apparso in forma di questo animale perché voglio la tua salvezza. Io sono Gesù Cristo cui tu servi inconsciamente. Le tue elemosine sono salite fino a me ed io sono venuto a prendere te, mentre tu pensavi di prendere un cervo. — Colpito da tali parole l’Ufficiale cadde da cavallo. Ritornato in sé esclamò: « Dimmi chi sei, perché io creda in te ». E Gesù gli rispose « Io sono il Creatore del mondo, il tuo Redentore ». – A tale risposta Placido vinto dalla grazia cadde a terra per la seconda volta, esclamando « Io credo, Signore che tu sei il Creatore dell’universo e che converti chi è nell’errore ». Ed il Signore: « Se tu credi, istruisci la tua sposa e i tuoi figli,va dal Vescovo e chiedi di essere battezzato ». A mezzanotte adunque, si recarono dal Vescovo di Roma, il quale dopo di aver innalzato al Signore un inno di ringraziamento, li battezzò imponendo a Placido il nome di Eustachio, alla sposa quello di Teospita, ed ai figli i nomi di Agapito e Teospito. – Eustachio il giorno dopo ritornato come gli aveva ordinato il Signore, sul luogo della visione avuta, sentì predirsi da Lui quanto avrebbe dovuto soffrire per la sua gloria. Poco dopo sostenne con pazienza ammirabile gravissime calamità sì da essere ridotto in breve tempo alla più squallida miseria. Costretto a fuggire di nascosto, con strazio si vide miseramente rapire nel viaggio dapprima sua sposa e poi anche i figli. Oppresso da tante prove, dimorò a lungo nascosto in una lontana regione, finché confortato da una luce celeste e chiamato da Traiano per una nuova impresa militare fu eletto capo delle truppe dell’impero. In quella spedizione, ricuperati inaspettatamente i figiuoli insieme alla loro madre, entrò in Roma vincitore tra le universali acclamazioni. Ricevuto l’ordine di sacrificare ai falsi dei per la riportata vittoria, si rifiutò energicamente. L’imperatore, dopo di aver cercato invano di fargli rinnegare la fede di Gesù Cristo, lo espose colla sposa e coi figliuoli ai leoni. Ma questi si mantennero mansueti, onde l’imperatore irritato li fece rinchiudere in un toro di bronzo arroventato donde, terminato il martirio al canto delle divine lodi, se ne volarono alla felicità eterna il 20 di Settembre. I loro corpi sepolti religiosamente dai fedeli, vennero poi ritrovati intatti e trasferiti nella Chiesa eretta a loro nome.

RICORDO. — Vanità delle vanità, e tutte le cose sono vanità, salvo che amare Iddio, ed a lui solo servire.

PREGHIERA. — O Dio, che concedi di celebrare il natale dei tuoi santi martiri Eustachio e Compagni suoi: danne di godere della loro compagnia nell’eterna beatitudine. Così sia.

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In questo giorno preferiamo festeggiare la memoria di questo Santo martire con tutta la propria famiglia, a differenza di altri che celebrano i “momenti” gloriosi (si fa per dire) della Massoneria, braccio operativo delle “serpi” velenose che odiano Dio e tutti gli uomini, tra i quali la vile presa di porta Pia a Roma da parte dei “buzzurri” prezzolati. Tra i festeggianti “figli della vedova” oramai si fanno notare anche “finti” prelati del novus ordo, giusto per sottolineare l’identità di vedute e di scopi. Vediamo in queste foto, un sorridente e soddisfatto “fratello”, partecipare, da bravo “Giuda al guinzaglio”, alle celebrazioni di un evento tanto “spirituale” da meritare la presenza di un cardinale, seppur finto! Che il Grande Santo, invocato contro il fuoco, ci liberi dal fuoco eterno e dal “novus ordo”, via sicura per accedere allo stagno della Geenna, ove sarà “pianto e stridor di denti” … e non solo il 20 settembre!

W.  S. Eustachio.

170° anniversario delle APPARIZIONI della Beata Vergine a La Salette

17-settembre 2016: 170° anniversario delle APPARIZIONI della Beata Vergine sulla montagna della SALETTE il 19 settembre 1846.

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Quella odierna è una gran festa mariana, per lo più dimenticata o passata in secondo ordine: 170 anni orsono la Vergine, Madre di Gesù Cristo, dava un messaggio di allerta ai cattolici e a tutti gli uomini di estrema gravità ed importanza, con parole profetiche tutte puntualmente verificatesi, ed oggi più che mai in piena attuazione, in particolare quelle che riguardano il Santo Padre. Riportiamo un testo con imprimatur (garanzia ecclesiastica) nel quale è compreso il famoso ed attualissimo segreto, poi confermato in buona parte a Fatima.

Pubblicato da

La pastorella de La Salette

con

Imprimatur di Mgr. Zola, Vescovo di Lecce.

Ebbene, figli miei, voi le farete conoscere a tutto il mio popolo.

Semplice riproduzione senza commento o polemica dell’edizione originale di Lecce nel 1879.

L’APPARIZIONE

Solo la testimonianza della stessa Melanie, insieme a Massimino, può rendere conto dell’apparizione. Dopo averla raccontata per un numero incalcolabile di volte, ella ha deciso di scrivere tutto nel 1878. Il tutto fu pubblicato a Lecce il 15 novembre 1879 con l’Imprimatur del vescovo Zola – e ristampato “ne varietur” a Lione nel 1904, pochi mesi prima della morte di Melanie. Questo booklet slim ora è una rarità. Il testo è seguito esattamente qui.

RICONOSCIMENTI

I testi originali del messaggio e del segreto di La Salette, approvato dalla Chiesa cattolica, sono pubblicati qui nella loro interezza. Ringraziamo il signor Joseph Corteville, Presidente dell’associazione dei bambini di Notre Dame de La Salette e di Saint Louis Marie Grignion di Montford, e direttore del L’Impartial, una rivista mariana, per averci gentilmente fornito con questo manoscritto, l’autorizzazione a pubblicarlo. – A nostra volta autorizziamo tutte le persone, giornalisti, editori o associazioni, a ripubblicarlo fedelmente in tutto o in parte. -È essenziale che questi messaggi profetici siano diffusi sempre più in tutto del mondo e il più rapidamente possibile. È un ordine della Madre di Dio. “Ebbene, figli miei, passateli a tutto il mio popolo”.! – Contiamo sul sostegno e l’iniziativa di tutti gli uomini di buona volontà per raggiungere il nostro obiettivo. Chiediamo la benedizione della Madonna su questo apostolato e i suoi sostenitori.

I redattori

+ Associazione dei figli di nostra signora di La Salette, 12 Avenue of Grain d’Or, 49600, Beaupreau, Francia.

+ L’Impartial, stesso indirizzo. – Bollettino bimestrale, francese,

I

Il 18 settembre (1846), vigilia della Santa apparizione della Santa Vergine, ero da sola, come al solito, a pascolare le mucche dei miei padroni. Circa alle 11 del mattino, ho visto un ragazzino che mi si avvicinava. A quella vista rimasi sbigottita, perché mi sembrava che tutti dovessero sapere che rifuggissi da ogni compagnia. Questo ragazzino mi si è avvicinato e ha detto: “piccola, io vengo con te, sono anch’io di Corps”. A queste parole, subito dimostrai il mio brutto carattere e facendo qualche passo indietro, gli ho detto: “io non voglio nessuno intorno. Voglio stare da sola”. Ma il ragazzino mi ha seguito, dicendo: “Dai, fammi stare con te. Il mio padrone mi ha detto di venire a pascolare le mie mucche insieme alle tue; io sono di Corps”. – Mi allontanavo però da lui, facendogli segno che non volevo nessuno intorno; e ormai ad una certa distanza, mi sono seduta sull’erba. Lì, io parlavo con i fiorellini del buon Dio. – Un attimo dopo, ho guardato dietro di me ed ho trovato Massimino seduto vicino a me. Mi ha detto subito: Tienimi con te, sarò buonissimo. – Ma il mio brutto carattere non volle saperne: me ne andai di corsa un po’ lontano senza dire una parola, e ancora una volta cominciai a giocare con i fiorellini del buon Dio. Un istante dopo, Massimino ancora una volta era lì vicino a me, e mi stava dicendo che sarebbe stato buonissimo, che non avrebbe parlato, che egli si sarebbe annoiato a star tutto da solo, e che il suo padrone lo aveva inviato da me, ecc. Questa volta, ne ebbi pietà, e fatto cenno a lui di sedersi, continuai a giocare con i fiorellini del buon Dio. – Non passò molto tempo prima che Massimino rompesse il silenzio scoppiando in una risata (credo che egli si stesse prendendo gioco di me). Lo guardai ed egli mi disse: “divertiamoci, facciamo un gioco”. Non gli risposi, perché ero così ignorante che non sapevo nulla dei giochi con altre persone, per essere stata sempre da sola. Ho giocato con i fiori, e Massimino è arrivato proprio vicino a me, e non faceva che ridere, dicendomi che i fiori non hanno orecchie per ascoltarmi e che invece avremmo dovuto giocare insieme. Ma io non avuto alcuna simpatia per il gioco che mi proponeva fare. Ho iniziato a parlare tuttavia con lui , ed egli mi ha detto che i dieci giorni che doveva trascorrere con il suo padrone sarebbero presto finiti, e che dopo sarebbe tornato a casa del padre a Corps, ecc… – Mentre stava parlando, ho sentito la campana di La Salette, era l’Angelus. Ho fatto cenno a Massimino di elevare la sua anima a Dio. Egli si tolse il cappello e rimase in silenzio per un momento. Allora ho detto: “vuoi mangiare”? Egli mi ha risposto: “sì, andiamo a mangiare”. Ci siamo seduti e ho preso dalla mia borsa le provviste che il mio padrone mi aveva dato. Come era mia abitudine, prima di affettare la mia piccola pagnotta tonda, ho fatto una croce con la punta del mio coltello sul pane ed un piccolo buco in mezzo, dicendo: “se vi è il diavolo ne esca, e se vi è il buon Dio, che vi resti!”E rapidamente lo ricoprii. Massimino scoppiò in una risata e diede un colpo con il piede alla mia pagnottella che sfuggì dalle mie mani, rotolò giù per la montagna ed si perse alla vista. Avevo un altro pezzo di pane che abbiamo mangiato insieme. Poi abbiamo giocato, e così, rendendomi conto che Massimino doveva ancora essere affamato, gli ho indicato un posto sul fianco della montagna pieno di molti frutti. Lo convinsi ad andarli a mangiare ed egli subito vi si diresse. Mangiati che ne ebbe alcuni, ne riportò il suo cappello pieno. La sera abbiamo camminato insieme verso la montagna e ci siamo ripromessi di tornare il giorno successivo a pascolare insieme le nostre mucche . – Il giorno successivo, il 19 settembre, ho incontrato Massimino sulla strada. Siamo saliti insieme sul fianco della montagna. Ho scoperto che Massimino era un ragazzino molto buono, semplice e disposto a parlare volentieri di quello che volessi. Egli era anche molto docile e non mostrava nessuna ostinazione. Era solo un po’ curioso, infatti, quando mi allontanavo da lui, appena mi fermavo, subito mi si avvicinava per vedere ciò che stava facendo e sentire quello che dicevo ai fiori del buon Dio. E se non arrivava in tempo, mi chiedeva che cosa avessi detto. – Massimino mi chiese di insegnargli un gioco. Era già tarda mattinata. Gli dissi di raccogliere dei fiori per fare il “paradiso”. Abbiamo cominciato a lavorare insieme e presto abbiamo preso una serie di fiori di diversi colori. Dal villaggio si sentì l’Angelus, perché era tempo era bello e non c’era una nuvola in cielo. Dopo aver detto al buon Dio le preghiere che conoscevamo, ho detto a Massimino che avremmo dovuto guidare le nostre mucche su un piccolo altopiano vicino ad un ruscello dove avremmo trovato delle pietre adatte a costruire il “Paradiso”. Abbiamo guidato le nostre mucche al punto stabilito e poi abbiamo fatto un piccolo pasto. Poi abbiamo iniziato a raccogliere delle pietre per costruire la nostra casetta, che si componeva di un cosiddetto piano terra, (rappresentante la nostra abitazione) e sopra di esso un (altro) piano, il quale doveva essere, come abbiamo detto, il “Paradiso”. – Questo piano superiore era guarnito tutto con fiori di diversi colori, con ghirlande appese con steli di fiore. Questo “Paradiso” era ricoperto da una singola grande pietra che avevamo cosparsa di fiori. Avevamo inoltre sospeso delle corone di fiori. Una volta finito, ci siamo seduti ad ammirare il “Paradiso”. Abbiamo poi iniziato ad avere sonnolenza e dopo esserci spostati di un paio di passi, ci siamo addormentati sull’erba.

II

Quando mi sono svegliata, non vedendo le nostre mucche, ho chiamato Massimino e sono salita su di una piccola altura. Da lì ho potuto vedere le mucche al pascolo pacificamente sdraiate; ridiscesi, mentre Massimino saliva, quando all’improvviso ho visto una bella luce splendere più del sole. Con fatica potei dire queste parole: “Massimino, guarda cosa c’è laggiù? Oh! Mio Dio”! Nello stesso momento, ho lasciato cadere il bastone che avevo in mano. Qualcosa di inconcepibilmente delizioso accadeva di me in quel momento e mi sono sentita attrarre. Provavo un grande rispetto, pieno di amore, e il mio cuore batteva velocemente. – Tenevo gli occhi saldamente fissati su questa luce, che era statica e, come se fosse aperta, me ne mostrava un’altra, molto più brillante ed in movimento, e dentro a questa luce ho visto una Signora bellissima seduta sulla cima del nostro “Paradiso”, con la testa tra le mani. – Questa bella Signora si alzò; incrociò un poco le sue braccia mentre ci guardava e ci ha detto: “Avvicinatevi a me, figli miei, non temete, Io sono qui per proclamare una grande notizia. – Queste parole dolci mi fecero volare fino a Lei, il mio cuore desiderava attaccarsi a Lei per sempre. Arrivata vicino alla bella Signora, davanti a Lei, portatami alla sua destra, Ella cominciò a parlare ma anche cominciarono a fluire lacrime dagli occhi suoi belli: – “Se il mio popolo non desidera sottomettersi, io sono costretta a lasciar andare la mano di mio Figlio. La sua mano è così grave e pesante che io non posso più trattenerla. – Da quanto tempo soffro per causa vostra! Se non voglio che mio Figlio vi abbandoni, sono costretta a pregarLo continuamente. Ma voi altri non ve ne curate. Voi per quanto preghiate, per quanto facciate, mai sarete in grado di compensare la pena che mi sono presa per voi. Io vi ho dato sei giorni per lavorare e mi sono riservato il settimo, ma nessuno me lo vuole concedere. Questo è ciò che appesantisce così tanto il braccio di mio Figlio. – Coloro che guidano i carri non sanno parlare senza mettervi il Nome di mio Figlio nel mezzo. – Queste sono le due cose che appesantisce tanto il braccio di mio Figlio. Se il raccolto si guasta, è solo per causa vostra. Ve l’ho fatto vedere l’anno scorso con le patate, ma voi non avete tenuto in nessun conto l’avvertimento, anzi, quando ne trovavate di guaste, bestemmiando usavate il Nome di mio Figlio. Le patate continueranno a guastarsi, e a Natale non ve ne saranno più.” – A questo punto, io cercavo di interpretare la parola “pommes de terre” [patate]: credendo di capire che significava “mele”, ma la bella e buona Signora, leggendo i miei pensieri, riprese così [in dialetto]: Non capite, figli miei. Ora ve lo dico in un altro modo. [in dialetto – ndr. -] – “Se il raccolto si guasta, ciò avviene per colpa vostra. Ve l’ho fatto notare l’anno scorso con le patate, ma voi non avete tenuto conto dell’avvertimento; al contrario, quando le trovavate guaste, succedeva che vi mettevate a bestemmiare il Nome di mio Figlio. Esse continueranno a guastarsi, e a Natale, non ce ne saranno più”. – “Se avete del grano, non seminatelo. Tutto quello che seminate lo mangeranno vermi e parassiti, e quel che crescerà si ridurrà tutto in polvere quando lo trebbierete. Verrà una grande carestia. Prima che essa venga, i bambini sotto i sette anni saranno colpiti da un fremito e moriranno tra le mani di coloro che li tengono in braccio; gli altri faranno penitenza con la fame. Le noci andranno a male, l’uva marcirà”. – A questo punto, la bella Signora, che era con me, coprendosi gli occhi, restò un momento senza farsi capire. Io vedevo tuttavia, che Ella continuava, come se parlasse, a muovere graziosamente le sue labbra amabili. In questo momento, Massimino stava ricevendo il suo segreto. Poi, rivolgendosi a me, la Santissima Vergine mi ha parlato e mi ha dato un segreto in francese. E questo segreto nella sua interezza è qui, così come Lei me lo ha dato.

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III

J.M.J.+ Melania ciò che sto per dirti ora, non resterà sempre segreto; lo potrai pubblicare nel 1858.

“I Sacerdoti, ministri di mio Figlio, i sacerdoti con la loro cattiva vita, con la loro irriverenza ed empietà nella celebrazione dei Santi Misteri, con l’amore per i soldi, con l’amore per l’onore ed i piaceri, i sacerdoti sono diventati delle cloache d’impurità. I sacerdoti domandano vendetta, e la vendetta è sospesa sulle loro teste. Guai ai preti e alle persone consacrate a Dio, che con la loro infedeltà e la loro cattiva vita, crocifiggono di nuovo mio Figlio! I peccati delle persone consacrate a Dio, gridano verso il cielo e richiedono vendetta, ed ecco che la vendetta è alla loro porta, non vi è infatti più alcuno che implori misericordia e perdono per il popolo; non vi sono più anime generose, non vi è più nessuno degno di offrire la Vittima senza macchia all’Eterno in favore del mondo. Dio colpirà in modo senza pari. Guai agli abitanti della terra! Dio darà fondo alla sua collera e nessuno potrà sottrarsi a tanti mali messi insieme.

I capi e i conduttori del popolo di Dio hanno trascurato la preghiera e la penitenza e il demonio ha ottenebrato la loro intelligenza, essi sono diventati delle stelle erranti che il vecchio diavolo trascinerà con la sua coda per farli perire. Dio permetterà al vecchio serpente di mettere divisioni tra i regnanti, in ogni società ed in ogni famiglia. Si soffriranno pene fisiche e morali; Dio abbandonerà gli uomini a se stessi, e manderà dei castighi che si succederanno per oltre trentacinque anni. La Società è alla vigilia dei flagelli più terribili e dei più grandi avvenimenti; ci si deve aspettare di essere governati con una verga di ferro ed a bere il calice della collera di Dio.

Che il Vicario di mio Figlio il Sommo Pontefice Pio IX non esca da Roma dopo il 1859; ma che sia fermo e generoso e combatta con le armi della fede e dell’amore; io sarò con lui. Che non si fidi di Napoleone; il suo cuore è doppio, e allorché vorrà essere simultaneamente Papa ed Imperatore, presto Dio l’abbandonerà ; lui è quell’aquila che volendo sempre più innalzarsi, cadrà sulla spada di cui voleva servirsi per costringere i popoli ad innalzarlo. L’Italia sarà punita per l’ambizione di voler scuotere il giogo del Signore dei Signori; per cui sarà abbandonata alla guerra; il sangue scorrerà per ogni dove; le chiese saranno chiuse o profanate; i preti e i religiosi saranno scacciati, saranno fatti morire e morire di una morte crudele. Diversi abbandoneranno la fede, ed il numero dei preti e dei religiosi che si separeranno dalla vera religione sarà grande; fra queste persone vi saranno anche dei vescovi. Che il Papa si tenga in guardia dai facitori di miracoli, è venuto infatti il tempo in cui sia in aria che sulla terra vi saranno i prodigi più sbalorditivi.

Nell’anno 1864, Lucifero con un gran numero di demoni saranno staccati dall’inferno; essi, piano piano, aboliranno la fede, anche nelle persone consacrate a Dio, li accecheranno in tal modo che, senza una speciale grazia, queste persone finiranno per prendere lo spirito di questi angeli perversi; diverse case religiose perderanno completamente la fede e perderanno molte anime. I libri cattivi abbonderanno sulla terra, e gli spiriti delle tenebre spanderanno dappertutto un rilassamento universale per quel che concerne il servizio di Dio; essi avranno un grandissimo potere sulla natura: vi saranno delle chiese per servire questi spiriti. Delle persone saranno trasportate da un luogo all’altro da questi cattivi spiriti, ed anche dei preti, perché non seguiranno lo spirito del Vangelo che è spirito d’umiltà , di carità e di zelo per la gloria di Dio. Si faranno risuscitare dei morti e dei giusti. (Cioè che questi morti assumeranno la fisionomia delle anime giuste che erano vissute sulla terra per meglio sedurre gli uomini; questi cosiddetti morti risuscitati, che poi non sono altro che il demonio in quelle sembianze, predicheranno un altro Vangelo contrario a quello del vero Gesù Cristo, negando l’esistenza del Cielo ed anche delle anime dei dannati. Tutte queste anime appariranno come unite al loro corpo). In ogni luogo vi saranno prodigi straordinari poiché, essendosi spenta la vera fede, la falsa luce rischiara il mondo.

Guai ai Principi della Chiesa che saranno intenti ad ammassare soltanto ricchezze su ricchezze, a salvare la propria autorità e a dominare con orgoglio! Il Vicario di mio Figlio dovrà soffrire molto, poiché per un certo tempo la Chiesa sarà data a grandi persecuzioni; e questo sarà il tempo delle tenebre; la Chiesa subirà una crisi spaventosa. La santa fede di Dio essendo dimenticata, ogni individuo vorrà guidarsi da solo ed essere superiore ai suoi simili. Saranno aboliti i poteri civili ed ecclesiastici, ogni ordine ed ogni giustizia saranno calpestati; non si vedrà che omicidi, odio, gelosia, menzogna, discordia, senza amore per la patria né per la famiglia. Il Santo Padre soffrirà molto, Io sarò con lui fino alla fine, per ricevere il suo sacrificio. I cattivi attenteranno diverse volte alla sua vita senza poter nuocere ai suoi giorni; ma né lui né il suo successore… vedranno il trionfo della Chiesa di Dio. I governanti avranno tutti un medesimo progetto, che sarà di abolire e fare scomparire tutti i princìpi religiosi per sostituirli con il materialismo, l’ateismo, lo spiritismo, e ogni sorta di vizi. Nell’anno 1865 si vedrà l’abominio nei luoghi santi; nei conventi i fiori della Chiesa saranno putrefatti e il demonio diventerà come il re dei cuori. Coloro che sono a capo delle comunità religiose si guardino dalle persone che esse devono ricevere, perché il demonio userà tutta la sua malizia per introdurre negli ordini religiosi delle persone dedite al peccato, perché i disordini e l’amore dei piaceri carnali saranno diffusi su tutta la terra.

La Francia, l’Italia, la Spagna e l’Inghilterra saranno in guerra: il sangue scorrerà per le strade; il francese combatterà contro il francese, l’italiano contro l’italiano, vi sarà poi una guerra generale che sarà spaventevole. Per qualche tempo Dio non si ricorderà più della Francia né dell’Italia, perché il Vangelo di Gesù Cristo non è più conosciuto. I malvagi useranno tutta la loro astuzia; ci si ucciderà, ci si massacrerà reciprocamente perfino nelle case. Al primo colpo della Sua spada fulminante le montagne e la natura tutta tremeranno di spavento perché i disordini e i crimini degli uomini trafiggono la volta celeste. Parigi sarà bruciata e Marsiglia inghiottita; molte grandi città saranno scosse e inghiottite da terremoti; si crederà che tutto è perduto; non si vedranno che omicidi; non si sentiranno che colpi d’arma e bestemmie.

I giusti soffriranno molto, le loro preghiere, la loro penitenza e le loro lacrime saliranno fino al Cielo e tutto il popolo di Dio chiederà perdono e misericordia e chiederà il Mio aiuto e la Mia intercessione. Allora Gesù Cristo con un atto della Sua misericordia grande per i giusti comanderà ai Suoi angeli che tutti i Suoi nemici siano messi a morte. Improvvisamente i persecutori della Chiesa di Gesù Cristo e tutti gli uomini dediti al peccato moriranno e la terra diventerà come un deserto. Allora si farà la pace, la riconciliazione di Dio con gli uomini; Gesù Cristo sarà servito, adorato e glorificato; dappertutto fiorirà la carità.

I nuovi re saranno il braccio destro della Santa Chiesa, che sarà forte, umile, pia, povera, zelante e imitatrice delle virtù di Gesù Cristo. Il Vangelo sarà predicato dappertutto e gli uomini faranno grandi progressi nella fede perché vi sarà unità tra gli operai di Gesù Cristo e perché gli uomini vivranno nel timore di Dio. Questa pace tra gli uomini non sarà lunga: venticinque anni di abbondanti raccolti faranno loro dimenticare che i peccati degli uomini sono causa di tutte le pene che arrivano sulla terra.

Un precursore dell’anticristo, con le sue truppe di parecchie nazioni, combatterà contro il vero Cristo, il solo Salvatore del mondo, egli spargerà molto sangue e vorrà annientare il culto di Dio per farsi guardare come un Dio. La terra sarà colpita da ogni sorta di piaghe, (oltre la peste e la carestia che saranno dovunque), vi saranno delle guerre fino all’ultima guerra, che sarà allora fatta da dieci re dell’anticristo, i quali re avranno tutti lo stesso progetto e saranno i soli a governare il mondo. Prima che ciò succeda vi sarà una specie di falsa pace nel mondo; non si penserà che a divertirsi; i malvagi si abbandoneranno a ogni sorta di peccato; ma i figli della Santa Chiesa, i figli della fede, i miei veri imitatori crederanno nell’amore di Dio e nelle virtù che mi sono più care. Felici le anime umili guidate dallo Spirito Santo! Io combatterò con esse fino a che esse saranno nella pienezza dell’età.

La natura chiede vendetta per gli uomini ed essa freme di spavento nell’attesa di ciò che deve arrivare alla terra insudiciata dai crimini. Tremate terra e voi che fate professione di adorare Gesù Cristo e che dentro di voi adorate solo voi stessi; tremate perché Dio sta per consegnarvi al Suo nemico, perché i luoghi santi sono nella corruzione, molti conventi non sono più le case di Dio, ma i pascoli di Asmodeo e dei suoi. Sarà durante questo tempo che nascerà l’anticristo da una religiosa ebrea, da una falsa vergine che sarà in comunicazione con il vecchio serpente, il padrone dell’impurità; suo padre sarà Vescovo, nascendo vomiterà delle bestemmie, egli avrà dei denti, in una parola sarà il diavolo incarnato; egli lancerà delle grida spaventose, farà dei prodigi, non si nutrirà che di impurità. Egli avrà dei fratelli che, sebbene non siano dei demoni incarnati come lui, saranno dei figli del male; a dodici anni essi si faranno notare per le prodi vittorie che otterranno; presto essi saranno ognuno alla testa degli eserciti assistiti dalle legioni dell’inferno.

Le stagioni saranno cambiate, la terra non produrrà che frutti cattivi, gli astri perderanno i loro movimenti regolari, la luna non rifletterà che una debole luce rossastra; l’acqua e il fuoco daranno al pianeta terrestre dei movimenti convulsi e degli orribili terremoti che inghiottiranno delle montagne, delle città. Roma perderà la fede e diventerà la sede dell’anticristo. I demoni dell’aria con l’anticristo faranno dei grandi prodigi sulla terra e nell’aria e gli uomini si pervertiranno sempre più.

Dio avrà cura dei suoi fedeli servitori e degli uomini di buona volontà; il Vangelo sarà predicato dappertutto, tutti i popoli e tutte le nazioni conosceranno la verità. Io rivolgo un appello urgente alla terra; Io chiamo i veri imitatori di Cristo fatto uomo, il solo e vero Salvatore degli uomini; Io chiamo i miei figli, i miei veri devoti, quelli che si sono dati a Me perché io li conduca dal Mio divin Figlio, quelli che Io porto, per così dire, nelle mie braccia, quelli che sono vissuti del Mio Spirito; infine Io chiamo gli Apostoli degli ultimi tempi, i discepoli di Gesù Cristo che sono vissuti nel disprezzo del mondo e di loro stessi, nella povertà e nell’umiltà, nel disprezzo e nel silenzio, nella preghiera e nella mortificazione, nella castità e nell’unione con Dio, nella sofferenza e sconosciuti al mondo. È tempo che escano e vengano ad illuminare la terra. Andate e mostratevi come i miei cari figli; Io sono con voi e in voi purché la vostra fede sia la luce che vi illumina in questi giorni di disgrazia. Che il vostro zelo vi renda come gli affamati per la gloria e l’onore di Gesù Cristo.

Combattete, figli della luce, voi, piccolo numero che ci vedete, perché ecco il tempo dei tempi, la fine delle fini. La Chiesa sarà eclissata, il mondo sarà nella costernazione. Ma ecco Enoch ed Elia riempiti dello Spirito di Dio; essi predicheranno con la forza di Dio e gli uomini di buona volontà crederanno in Dio e molte anime saranno consolate; essi faranno grandi progressi per virtù dello Spirito Santo e condanneranno gli errori diabolici dell’anticristo. Sciagura agli abitanti della terra!

Vi saranno guerre spaventose e carestie; pesti e malattie contagiose; pioverà una grandine spaventosa di animali; tuoni che scuoteranno le città; terremoti che inghiottiranno paesi; si udiranno delle voci nell’aria; gli uomini batteranno la testa contro i muri, essi chiameranno la morte, da un’altra parte la morte li supplizierà; il sangue scorrerà da ogni parte. Chi potrà vivere se Dio non diminuirà il tempo della prova ? Dal sangue, dalle lacrime e dalle preghiere dei giusti Dio si lascerà placare; Enoch ed Elia saranno messi a morte; Roma pagana sparirà; il fuoco del cielo cadrà e distruggerà tre città; tutto l’universo sarà colpito dal terrore e molti si lasceranno sedurre perché essi non hanno adorato il vero Cristo vivente tra loro. È tempo, il sole si oscura; la fede sola vivrà.

Ecco il tempo, l’abisso si apre. Ecco il re delle tenebre. Ecco la bestia con i suoi sudditi, sedicente salvatore del mondo. Egli si alzerà con orgoglio nell’aria per andare fino al Cielo; egli sarà soffocato dal respiro di San Michele Arcangelo. Egli cadrà e la terra che da tre giorni sarà in continue evoluzioni, aprirà il suo seno pieno di fuoco; egli sarà sprofondato per sempre con tutti i suoi nei baratri eterni dell’inferno. Allora l’acqua e il fuoco purificheranno la terra e consumeranno tutte le opere dell’orgoglio degli uomini e tutto sarà rinnovato: Dio sarà servito e glorificato.

IV

 Poi la Santa Vergine mi ha dato, anche in francese, la regola di un nuovo ordine religioso. Dopo avermi dato la regola di questo nuovo ordine religioso, la Santa Vergine ha continuato il discorso: “Se si convertiranno, le pietre e le rocce si trasformeranno in grano e le patate si troveranno seminato nei campi. – Voi dite le vostre preghiere correttamente, figli miei? – Entrambi abbiamo risposto: Oh! No, Madame, non molto. – Oh! figli miei, dovete dirle bene, mattina e sera. Quando non potete far di meglio, dite un Pater e un’Ave Maria; e quando avrete il tempo di fare meglio, ne direte di più. – “Solo poche donne anziane vanno a Messa; gli altri lavorano di Domenica per tutta l’estate e in inverno, quando non sanno cosa fare, vanno a Messa per burlarsi della Religione. Durante la Quaresima, vanno dal macellaio come cani affamati”. – Non avete mai visto del grano guasto, figli miei? -Entrambi abbiamo risposto: Oh no, Madame. – La Santa Vergine si è rivolta a Maximin, dicendo: “Ma tu, figlio mio, lei deve averne visto una volta vicino le Coin, con tuo padre. L’agricoltore ha detto a tuo padre: “Venite a vedere come il mio grano è andato male!” Sei andato a vedere. Tuo padre ha preso due o tre spighe in mano, le sfregò, ed esse si ridussero in polvere. Poi, sulla via del ritorno, quando eri a non più di mezz’ora da Corps, tuo padre ti ha dato un pezzo di pane e ha detto: prendila, mangialo ora che ancora è possibile, figlio mio, per non so chi mangerà l’anno prossimo se il grano si rovinerà come quello!” – Massimino rispose: “È verissimo, Signora, non me lo ricordavo”.

La Santissima Vergine terminò il suo discorso in francese.

COMMIATO

La bellissima Signora attraversò il ruscello e, a due passi da esso, senza rigirarsi verso noi che la seguivamo (perché ci attirava a sé con il suo splendore e più ancora con la sua bontà che mi inebriava e sembrava farmi sciogliere il cuore) ci disse ancora: – Eh bene! figli miei, voi lo farete conoscere a tutto il mio popolo. – Poi continuò a camminare fino al luogo in cui io ero salita per guardare dove fossero le nostre vacche. I suoi piedi non toccavano che la punta dell’erba, senza piegarla. Arrivata sulla piccola altura, la bella Signora si fermò e subito io mi misi davanti a Lei, per guardarla ben bene e per cercare di capire da che parte avrebbe preferito andare, perché mi era successo che avevo dimenticato sia le mie vacche sia i miei padroni, dai quali ero a servizio: mi ero attaccata per sempre e senza condizioni alla mia Signora, sì, non volevo mai più, mai più lasciarla, La seguivo senza secondi fini e nella disposizione di servirLa per tutta la vita. – Con la Mia Signora io credevo di aver dimenticato il «paradiso». Non avevo altro pensiero che quello di servirLa bene in tutto, e credevo che avrei potuto fare tutto quello che mi avrebbe ordinato, perché mi sembrava che avesse molto potere. – Mi guardava con una tenera bontà che mi attirava a Sé: io avrei voluto lanciarmi ad occhi chiusi tra le sue braccia, ma non mi diede il tempo di farlo. – La Santa Vergine si levò insensibilmente da terra a un’altezza di circa un metro e più e, restando così sospesa nell’aria un breve istante, la Mia bella Signora guardò il Cielo, poi la terra alla sua destra e alla sua sinistra, poi me con occhi così dolci, così amabili e così buoni, che credevo che mi attirasse dentro di Sé, e mi sembrava che il mio cuore si aprisse al suo. – E mentre il mio cuore si scioglieva in una dolce dilatazione, la bella figura della Mia buona Signora spariva a poco a poco: mi pareva che la luce in movimento si moltiplicasse o piuttosto si condensasse attorno alla Santissima Vergine per impedirmi di vederLa più a lungo. Così la luce sostituiva le parti del corpo che sparivano ai miei occhi; ovvero sembrava che il Corpo della Mia Signora si tramutasse in luce, fondendosi in essa. Così la luce in forma di globo si alzava dolcemente verso destra. Io non posso dire se i l volume della luce diminuiva man mano che Ella si alzava o se era invece l’allontanamento che faceva sì che io vedessi diminuire la luce man mano che Lei si alzava; ciò che so è che rimasi con la testa alzata e gli occhi fissi sulla luce, anche dopo che quella luce, continuando ad allontanarsi e a diminuire di volume, finì per scomparire. – Dopo che i miei occhi si staccarono dal firmamento, mi guardai attorno e vidi Massimino che mi fissava: – Memin, – gli dissi- quello doveva essere il buon Dio di mio padre o la Santa Vergine o qualche grande Santa. E Massimino agitando la mano in alto esclamò: – Ah! se io l’avessi saputo!

V

DAI PADRONI

La sera del 19 Settembre, ci ritirammo un poco più presto del solito. Arrivata dai miei padroni, pensai a legare le mie vacche e a mettere tutto in ordine nella stalla. Non avevo finito di lavorare, quando la mia padrona venne a me piangendo e mi disse: – “Bambina mia, perché non vieni a dirmi che cosa ti è successo sulla montagna?” (Massimino, non avendo trovato i suoi padroni, che non erano ancora ritornati dal lavoro, era venuto dai miei e aveva raccontato tutto ciò che aveva visto e sentito). Le risposi: – Volevo certamente dirvelo, ma volevo finire prima il mio lavoro. Un momento dopo, andai in casa e la mia padrona mi disse: – Racconta ciò che hai visto; il pastorello di Bruite (questo era il soprannome di Pietro Selme, padrone di Massimino) mi ha raccontato tutto. – Cominciai a parlare e verso la metà del racconto arrivò il mio padrone dai campi; la mia padrona, che piangeva sentendo le lamentele e le minacce della nostra tenera Madre, disse: – Ah! tu vorresti andare a raccogliere il grano domani [domenica – ndr. – ], guardatene bene, vieni a sentire ciò che è successo oggi a questa bambina e al pastorello di Selme. – E girandosi verso di me disse: – Ripeti tutto ciò che mi hai detto. Ricominciai e, quand’ebbi terminato, il mio padrone disse: – E la Santa Vergine o forse una grande Santa che è venuta da parte del buon Dio; ma è come se fosse venuto il buon Dio stesso: bisogna fare tutto ciò che quella Santa ha detto. Come farete voi per comunicare il messaggio a tutto il suo popolo? – Gli risposi: – Sarete voi a dirmi come devo fare, e io lo farò. Dopo, guardando sua madre, sua moglie e suo fratello, [il mio padrone] aggiunse: – Bisogna pensarci. – Poi ognuno si diede alle proprie incombenze. – Dopo cena, Massimino e i suoi padroni vennero dai miei per raccontare ciò che Massimino aveva loro detto e per consigliarsi su cosa c’era da fare: – Perché -dissero- a noi sembra che è la Santa Vergine che è stata mandata dal buon Dio: lo fanno credere le parole che Ella ha detto. Lei ha detto ai bambini di farlo sapere a tutto il suo popolo; forse bisognerà che questi bambini percorrano il mondo intero per fare conoscere la necessità che tutti osservino i comandamenti del buon Dio, altrimenti grandi disgrazie cadranno su di noi. – Dopo un po’ di silenzio il mio padrone disse, rivolgendosi a me e a Massimino: di buon mattino, andate tutti e due dal Reverendo Parroco e raccontategli tutto quello che avete visto e sentito. Ditegli ben bene come è successo il fatto: egli vi dirà quel che dovrete fare.

DAL CURATO, IL SINDACO, IL COLLEGIO

Il 20 settembre, l’indomani dell’apparizione, partii di buon’ora con Massimino. Arrivati alla Canonica, bussai alla porta.La domestica del Parroco venne ad aprire e ci chiese cosa volessimo. Le risposi (in francese, io che non l’avevo mai parlato1 0): – Noi vorremmo parlare al Parroco. – E che cosa volete dirgli? – ci domandò la domestica- – Vogliamo dirgli, signorina, che ieri siamo andati a guardare le vacche al pascolo sulla montagna delle Baisses e, dopo aver mangiato, ecc. ecc…. Le raccontammo buona parte del discorso della Santissima Vergine. In quel momento la campana della chiesa suonò: era l’ultimo avviso della Santa Messa. Don Perrin, Parroco della Salette, che ci aveva sentito, aprì la porta con fracasso e ci disse piangendo e battendosi il petto: – Bambini miei, siamo perduti, il buon Dio sta per punirci. Ah! mio Dio, è la Santa Vergine che vi è apparsa. – Ed andò a celebrare la Santa Messa. Io, Massimino e la domestica ci guardammo; poi Massimino mi disse: – Io me ne vado da mio padre, a Corps. E ci separammo. Non avendo io avuto dai miei padroni l’ordine di ritornare subito dopo aver parlato al Parroco, non credetti di far male attardandomi per assistere alla Messa e andai quindi in chiesa. Iniziò la Messa e dopo il primo Vangelo il Parroco si girò verso i fedeli e provò a raccontare ai suoi parrocchiani l’apparizione che era appena avvenuta, la vigilia, su una delle loro montagne, esortandoli a non lavorare più di Domenica: la sua voce era spezzata dai singhiozzi e tutti i presenti erano emozionati. – Dopo la Santa Messa ritornai a casa, dai miei padroni. – Il signor Peytard, che è ancor oggi sindaco della Salette, venne lì ad interrogarmi sul fatto dell’apparizione e se ne andò dopo essersi convinto della verità di ciò che io gli dicevo. – Continuai a restare al servizio dei miei padroni fino alla festa di Tutti i Santi. In seguito andai come collegiale presso le religiose della Provvidenza, nel mio paese, a Corps.

VI

DESCRIZIONE DELLA SANTISSIMA VERGINE

[Da questo punto alla fine riportiamo i brani dopo averli un po’ ordinati, in modo tale che il racconto risulti più uniforme, più unitario e, in ultima analisi, più comprensibile e più piacevole, ma senza nulla togliere o aggiungere, premettendo all’inizio di ogni capoverso, a mo’ di nota, la numerazione dei punti così come indicata nell’originale riportato in Appendice]

[32]La Santa Vergine era circondata da due luci. La prima, più vicina alla Santissima Vergine, arrivava fino a noi e brillava di una luminosità bellissima e scintillante; la seconda si spandeva un poco di più attorno alla bella Signora, e noi ci trovavamo in questa seconda, la quale era immobile (nel senso che non scintillava), ma molto più brillante del nostro povero sole della terra.

[33]Tutte quelle luci non facevano male agli occhi e non affaticavano per nulla la vista.

[34] Oltre a tutte quelle luci, a tutto quello splendore, uscivano gruppi o fasci di luce o di raggi luminosi dal corpo della Santa Vergine, dai suoi abiti e dappertutto. – [31] La visione della Santissima Vergine era essa stessa un Paradiso perfetto. Tale visione aveva nella Santissima Vergine tutto ciò che poteva soddisfare, poiché la terra veniva dimenticata. – [8] Ella appariva bella, bianca, immacolata, cristallina, abbagliante, celeste, fresca, nuova come una Vergine; sembrava che la parola Amore sfuggisse dalle sue labbra argentee e purissime. [2] La sua fisionomia era maestosa, imponente, ma non come lo sono i Signori di quaggiù. Ella incuteva un timore rispettoso e, nel medesimo tempo che la Sua Maestà imponeva del rispetto misto all’amore, attirava a Sé. – [1] La Santissima Vergine era molto alta e ben proporzionata; pareva così leggera che con un soffio La si sarebbe fatta muovere, tuttavia era immobile e ben posata. – [6] La Santa Vergine era tutta bella e tutta fatta d’amore; guardandola io mi struggevo di fondermi in Lei. – [9] Mi appariva come una buona Madre, piena di bontà, di amabilità e di amore per noi, di compassione e di misericordia. – [25] O Madre più che buona! Voi siete stata formata con tutte le prerogative di cui Dio è capace; Voi avete, in un certo senso, esaurito la potenza di Dio; Voi siete buona, e per di più buona della bontà di Dio stesso; Dio si è ingrandito in Voi formando il Suo capolavoro terrestre e celeste. – “Nei Suoi ornamenti come nella Sua persona, tutto spirava la maestà, lo splendore e la magnificenza di una Regina incomparabile. – [10] La corona di rose che Ella aveva sulla testa era così bella e così brillante che non ce ne si può fare un’idea: le rose, di colori diversi, non erano di questa terra: era un insieme di fiori che circondava la testa della Santissima Vergine in forma di corona; ma le rose si mutavano o si ricambiavano; poi dal cuore di ogni rosa usciva una luce, così bella che affascinava e rendeva le rose di una bellezza splendente. Dalla corona di rose si elevavano come dei rami d’oro e una quantità di altri piccoli fiori misti a brillanti: il tutto formava un bellissimo diadema che da solo brillava più del nostro sole terreno. – [5] I1 vestito della Santissima Vergine era bianco argentato e completamente brillante; non aveva nulla di materiale: era fatto di luce e di gloria, vario e scintillante. Sulla terra non vi è espressione per descriverlo né si può fare un paragone.

IL CROCIFISSO DELLA VERGINE

[11] La Santa Vergine aveva una graziosissima Croce sospesa al collo. Questa Croce sembrava essere dorata (dico dorata per non dirla una piastra d’oro massiccio, perché io ho visto qualche volta degli oggetti dorati con diverse gradazioni d’oro), la qual cosa faceva ai miei occhi un effetto molto più bello di una semplice piastra d’oro. – [12] Su questa croce bella e tutta splendente di luce c’era un Cristo, era Nostro Signore, con le braccia stese sulla Croce. Quasi alle due estremità della Croce, da un lato v i era un martello e dall’altro una tenaglia. Il Cristo era color carne naturale, ma brillava di grande luminosità e la luce che usciva da tutto il suo corpo sembrava fatta di dardi di grande splendore che mi infiammavano il cuore di desiderio di fondermi in Lui. – [13] Talvolta il Cristo sembrava essere morto: aveva la testa inclinata e il corpo rilassato, come se stesse per cadere, se non fosse stato trattenuto dai chiodi che Lo fissavano alla Croce. – [14] Io ne avevo una viva compassione e avrei voluto ripetere al mondo intero il suo amore sconosciuto e infondere nelle anime dei mortali l’amore più sentito e la riconoscenza più viva verso un Dio che non aveva affatto bisogno di noi per essere quello che Egli è, quello che Egli era e quello che Egli sarà sempre; e tuttavia, oh amore incomprensibile per l’uomo! si è fatto uomo ed ha voluto morire, sì morire, per meglio scrivere nelle nostre anime e nella nostra memoria l’amore folle che ha per noi! Oh! come sono infelice nel trovarmi così povera di parole per riferire l’amore, sì, l’amore del nostro buon Salvatore per noi! Ma d’altro lato come siamo felici di potere sentire meglio ciò che non possiamo esprimere! – [15] Atre volte il Cristo mi sembrava vivo: la testa alta, gli occhi aperti e sembrava essere sulla Croce di sua propria volontà. – [16] Qualche volta ancora sembrava parlare e voler mostrarci che era in Croce per noi, per amor nostro, per attirarci al suo amore, mostrarci che Egli ha per noi un amore sempre nuovo, che il suo amore dell’inizio e dell’anno 33 é sempre lo stesso, oggi e per sempre. – [27] Tutto nella Santissima Vergine mi estasiava [12] fortemente e mi spingeva ad adorare e ad amare il mio Gesù in tutti gli stadi della sua vita di sofferenza.

ANCORA SULLA DESCRIZIONE DELLA SANTISSIMA VERGINE

[28] La Santissima Vergine aveva due catene, l’una un poco più larga dell’altra. Alla più stretta era sospesa la Croce della quale ho già parlato prima. Queste catene (perché bisogna dar loro il nome di catene) erano come dei raggi di gloria di un grande splendore variante e scintillante. – [26] La Santissima Vergine aveva un grembiule giallo. Che dico, giallo? Un grembiule più brillante di parecchi soli messi insieme. Non era di stoffa materiale, era un composto di gloria e questa gloria era sfavillante e di una bellezza affascinante. – [29] Le scarpe (perché scarpe bisogna dirle) erano bianche, ma di un bianco argenteo, brillante, con delle rose intorno. Queste rose erano di una bellezza abbagliante e dal cuore di ognuna di esse usciva una fiamma di luce bellissima e piacevolissima a vedersi. – [30] Sulle scarpe vi era una fibbia d’oro, non oro della terra, ma proprio oro del Paradiso.

LA VOCE E GLI OCCHI DELLA VERGINE

[35] La voce della Bella Signora era dolce, incantava, affascinava, faceva bene al cuore, saziava, appianava ogni ostacolo, calmava, addolciva. Mi sembrava che io avrei voluto sempre mangiare della Sua bella voce e il mio cuore pareva danzare o volersi incontrare con Lei per sciogliersi in Lei. [3] I1 suo sguardo era dolce e penetrante; i suoi occhi sembravano parlare con i miei, ma la conversazione nasceva da un profondo e vivo sentimento d’amore verso quella bellezza stupenda che mi liquefaceva. – [4] La dolcezza del suo sguardo, la sua aria di bontà incomprensibile faceva comprendere e sentire che Ella attirava a Sé e voleva donarsi; era una espressione d’amore che non si può manifestare con lingua umana né con lettere dell’alfabeto. – [36] Gli occhi della Santissima Vergine, nostra tenera Madre, non si possono descrivere con lingua umana. Per parlarne, ci vorrebbe un Serafino, anzi, di più, sarebbe necessaria la lingua di Dio stesso, di quel Dio che ha fatto la Vergine Immacolata, capolavoro di tutta la sua potenza. – [37] Gli occhi dell’augusta Maria parevano mille e mille volte più belli dei brillanti, dei diamanti e delle pietre preziose più ricercate; essi brillavano come due soli: erano dolci come la stessa dolcezza, chiari come uno specchio. Nei suoi occhi si vedeva il Paradiso; essi attiravano a Lei: sembrava che Ella volesse donarsi e attirare. [38] Più La guardavo e più La volevo vedere; più La volevo vedere e più L’amavo, e L’amavo con tutte le mie forze. – [39] Gliocchi della bella Immacolata erano come la porta di Dio attraverso la quale si vedeva tutto ciò che può inebriare l’anima. – [40] Quando i miei occhi si incontravano con quelli della Madre di Dio e mia, io provavo dentro me stessa una felice rivoluzione d’amore e di ferma ed esplicita volontà [13] di amarLa e di struggermi d’amore. – [41] Guardandoci, i nostri occhi si parlavano a modo loro e io amavo tanto Lei, che avrei voluto abbracciarLa nell’intimo di quei suoi occhi, che intenerivano la mia anima e sembravano attirarLa e farla fondere con la sua. – [42] I suoi occhi mi davano un dolce tremito in tutto il mio essere: e io temevo di fare il minimo movimento che potesse esserLe pur minimamente sgradevole. – [43] La sola vista degli occhi della più pura delle Vergini sarebbe sufficiente ad essere il Cielo di un Beato, sarebbe sufficiente per fare entrare un’anima nella pienezza della volontà dell’Altissimo in mezzo a tutti gli avvenimenti che capitano nel corso della vita mortale, sarebbe sufficiente per far fare a quest’anima dei continui atti di lode, di ringraziamento, di riparazione e di espiazione. – [44] Questa vista, da sola, concentra l’anima in Dio e la rende come una morta-vivente, che considera come giochi da bambini tutte le cose della terra, anche quelle che sembrano le più serie; quell’anima vorrebbe sentir parlare soltanto di Dio e di ciò che riguarda la sua gloria.

IL PIANTO DELLA VERGINE

[17] La Santa Vergine piangeva quasi sempre, mentre mi parlava. Le Sue lacrime scorrevano una ad una lentamente, fin verso le sue ginocchia; poi, come scintille di luce, sparivano. Esse erano brillanti e piene d’amore. – [18] Io avrei voluto consolarLa e che non piangesse più. Ma mi sembrava che Ella avesse bisogno di mostrare le sue lacrime per meglio far vedere il suo Amore dimenticato dagli uomini. – [19] Avrei voluto gettarmi fra le sue braccia e dirLe: -Mia buona Madre, non piangete! Io voglio amarVi per tutti gli uomini della terra! – [20] Ma mi sembrava che mi rispondesse: -Ve ne sono tanti che non mi conoscono! – [21] I o ero tra la morte e la vita, vedendo da un lato tanto amore, tanto desiderio di essere amata e dall’altro tanta freddezza, tanta indifferenza… – [22] Oh! Madre mia, Madre bellissima e amabilissima, mio amore, cuore del mio cuore! – [23] Le lacrime della nostra tenera Madre lungi dallo sminuire la sua aria di Maestà, di Regina e di Signora, sembravano, al contrario, imbellirLa, renderLa più amabile, più bella, più potente, più piena d’amore, più materna, più affascinante: io avrei mangiato le sue lacrime, che facevano sobbalzare il mio cuore di compassione e di amore. – [24] E comprensibile veder piangere una Madre, e una tale Madre, senza prendere tutti i mezzi immaginabili per consolarLa, per cambiare il suo dolore in gioia? – [45] Il peccato è il solo male che la Vergine vede sulla terra: Ella re morirebbe di dolore se Dio non La sostenesse – Amen.

Castellammare, il 21 Novembre 1878

Maria della Croce, Vittima di Gesù,

nata Melania Calvat, pastorella de La Salette.

Nihil obstat: imprimatur.

Datum Lycii ex Curia Ep1′ die 15 Nov. 1879

Vicarius Generalis

Carmelus Archus Cosma

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Ulteriori parole di Melanie:

Il grande castigo verrà, perché gli uomini non vorranno convertirsi; Eppure è solo la loro conversione che possa ostacolare questi flagelli. Dio comincerà a colpire gli uomini con l’infliggere punizioni più leggere al fine di aprire i loro occhi; poi si ferma, o può ripetere i suoi avvertimenti per dare luogo al pentimento. Ma i peccatori non saranno in grado di avvalersi di queste opportunità; Di conseguenza, Egli manderà le più severe riprovazioni, ansioso di condurre i peccatori al pentimento, ma invano. Infine, la caparbietà dei peccatori attirerà sulle loro teste le calamità più grandi e più terribili. – Siamo tutti colpevoli! Non viene fatto penitenza, e il peccato aumenta ogni giorno. Chi dovrebbe farsi avanti a fare il bene viene trattenuto dalla paura. Il male è grande. Una moderata punizione serve solo a irritare gli spiriti, perché vedono tutte le cose con occhi umani. Dio poteva compiere un miracolo per convertire e modificare l’aspetto della terra senza castigo. Dio opererà un miracolo; sarà un colpo della sua misericordia; ma dopo che i malvagi si saranno inebriati con il sangue, il flagello arriverà. – Quali paesi sono preservati da tali calamità? Dove andremo a rifugiarci? Io, a mia volta, pregherò, qual è il paese che osserva i comandamenti di Dio? Quale paese non è influenzato dalla paura umana dove sono in gioco l’interesse della Chiesa e la gloria di Dio? (Ah, anzi! Quale paese, quale nazione sulla terra?) Con il favore dei miei superiori, ho spesso chiesto a me stessa dove potevamo andare a rifugiarci, se avremmo avuto i mezzi per il viaggio e per la nostra sussistenza, a condizione che nessuno venisse a conoscenza di esso? Ma rinunciamo a questi pensieri inutili. Siamo molto in colpa! In conseguenza di ciò, è necessario che grande e terribile flagello venga a ravvivare la nostra fede ed a ripristinare la nostra ragione, che abbiamo quasi interamente perduta. Uomini malvagi sono divorati dalla sete di esercitare la loro crudeltà; ma quando si è raggiunto il punto più lontano della barbarie, Dio stesso stenderà la sua mano per fermarli, e poco dopo, un cambiamento completo sarà attuato in tutte le persone sopravvissute. Poi canteranno il Te Deum Laudamus con la più viva gratitudine e amore. La Vergine Maria, nostra Madre, deve essere la nostra liberatrice. Regnerà la pace e la carità di Gesù Cristo che deve unire tutti i cuori… Preghiamo perché Dio non vuole punirci severamente. Egli ci parla in tanti, tanti modi per farci ritornare a Lui. Per quanto tempo resteremo testardi? Preghiamo e preghiamo; non dobbiamo mai cessare di pregare e fare penitenza. Preghiamo per il nostro Santo Padre il Papa, l’unica luce per i fedeli in questi tempi di tenebre. O sì, cerchiamo con tutti i mezzi di pregare molto. Preghiamo la buona, dolce, misericordiosa Vergine Maria, perché abbiamo un grande bisogno delle sue mani potenti sopra le nostre teste.

Parole di Massimino:

In questo tempo l’Anticristo nascerà da una suora di origine ebraica, una falsa Vergine, che ha rapporti sessuali con il serpente antico, con il maestro di impurità e putrefazione. Suo padre sarà un vescovo. Egli eseguirà falsi miracoli e sussistere solo su che viziano di fede. Egli avrà fratelli, che saranno figli del male, ma non diavoli incarnati come lui. Presto saranno alla testa degli eserciti, supportati dalle legioni infernali.

A partire dal 1851 Melania stese diverse altre redazioni del segreto da lei ricevuto. Per la prima volta, il 15 novembre 1879 lo fece pubblicare a Lecce con l’imprimatur dell’arcivescovo Mons. Salvatore Zola, del quale è aperta la causa di beatificazione.

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Consacrazione alla SS. Vergine di La Salette

 O Santissima Madre, Nostra Signora di La Salette, che solo per mio amore, avete versato tante lacrime amare nella vostra misericordiosa apparizione, guardatemi dall’alto con benevolenza mentre mi consacro a Voi senza riserva alcuna. Da questo giorno, la mia gloria sarà quella di sapere che io sono un vostro figlio, per poter asciugare le vostre lacrime e consolare il vostro afflitto cuore. Cara Madre, ricevetemi sotto la vostra protezione e singolare custodia, nel seno della vostra misericordia, a Voi raccomando oggi e sempre l’anima mia, e il corpo mio; a voi affido ogni mia speranza e consolazione, ogni angustia e miseria, la vita mia e la fine della vita mia.

Degnatevi, o carissima Santa Madre, di illuminare la mia intelligenza, di dirigere i miei passi, di consolarmi con la vostra materna protezione, in modo che, esente da ogni errore, al riparo da ogni pericolo di peccato, rafforzato contro i miei nemici, possa, con ardore e coraggio intrepido, camminare nei sentieri tracciati per me da Voi e dal vostro Figliuolo. Amen.

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ALLA MADONNA DE LA SALETTE

[da “Manuale di Filotea” del sac. G. Rima, Milano 1988 – imprim. – ]

I. Vergine Santissima, riconciliatrice dei peccatori, per la vostra bontà, veramente celeste, otteneteci la grazia di attendere così assiduamente a tutti i doveri del nostro stato, da meritarci di essere dal divin Lume istruiti e corretti, quando per colpa nostra, trascurassimo quello che è più importante, la scienza e la pratica della pietà, vero fondamento di tutti i beni presenti e futuri. Ave.

II- Vergine Santissima, riconciliatrice dei peccatori, per la vostra tenerissima misericordia, otteneteci la grazia di guardarci ma sempre gelosamente da quanto potrebbe irritare la collera divina contro di noi, e specialmente da qualunque profanazione dei giorni sacri al riposo, all’astinenza, al digiuno; e da qualsiasi abuso del nome santo di Dio, onde arrestar quei flagelli che abbiamo già meritati, e procurarci in lor vece le più elette benedizioni. Ave.

III. – Vergine Santissima, riconciliatrice de’ peccatori, per l’ammirabile vostra fermezza, impetrateci la grazia di essere sempre quai rupi immobili ad ogni sorta di tentazioni tendenti a trarci fuori dal cammino a noi assegnato dal cielo, e di rispettare mai sempre in tutti gli Ecclesiastici Superiori i veri interpreti dei divini voleri, seguendo i quali noi siamo sempre certi di camminare nella via della salute. Ave.

IV.  Vergine Santissima, riconciliatrice de’ peccatori, per la vostra sapienza tutta divina, impetrateci la grazia di fare nostra delizia la meditazione dei patimenti del nostro divin Redentore e la detenzione continua dei falli nostri ed altrui, dacché questo è l’unico mezzo per abituarci a quella santa tristezza che è propria del vero cristiano e che sarà infallibilmente compensata da Dio con l’interna quiete in questa vita, e col gaudio perpetuo nell’altra. Ave.

V.– Vergine Santissima, riconciliatrice de’ peccatori, per quei prodigi singolarissimi onde vi degnaste mostrare il vostro aggradimento di essere venerata sulla montagna della Salette, spandendo infinite benedizioni e grazie le più portentose sui pellegrini che a migliaia vi concorrono continuamente e suoi devoti che da lontano vi indirizzano ferventi i propri voti, impetrate a noi tutti la grazia di non vacillar mai nella fede, onde meritare con certezza quella speciale beatitudine che fu promessa solennemente a chiunque, senza vedere, riposa da vero credente sulla divina parola. Ave, Gloria.

Oremus

Famulorum tuorum, quaesumus, Domine, delictis ignosce, ut qui tibi placere de actibus nostris non valeamus, Genitricis Filii tui Domini nostri intercessione salvemur. Per eundem Dom. , etc.

A Marie Julie Jahenny era stato rivelato come Satana avrebbe cercato di distruggere le vere rivelazioni celesti: “Durante il tempo dell’inizio delle punizioni annunciate a La Salette, una quantità illimitata di false rivelazioni nasceranno dall’inferno come uno sciame di mosche; un ultimo tentativo di satana di soffocare e distruggere la credenza nelle rivelazioni vere attraverso quelle false….”

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Immagine del segreto di Massimino a lui confidato da Nostra Signora di La Salette (recentemente ottenuto dall’Archivio Segreto Vaticano).

Ecco la lettera originale del segreto di La Salette scritta dal veggente Maximin Giraud, ed inviato al Papa Pio IX a Roma nel 1851, ottenuta piuttosto recentemente dall’archivio segreto del Vaticano.

* “A questo punto, (Nostra Signora) per un momento ha fatto silenzio. Ho potuto vedere, tuttavia, che lei continuava, come se parlasse, a spostare delicatamente le amabili labbra. È in questo momento, che Maximin stava ricevendo il suo segreto“.

La seguente parte della lettera di Maximin [segreto inviato a Pio IX], evidenzia ed illumina il papato attualmente “in eclissi” (in esilio). TCW è intervenuta nella corretta interpretazione evidenziata dal carattere di colore rosso

“Prima che tutto ciò avverrà, ci saranno numerosi disastri, nella Chiesa ed ovunque. Poi, il nostro il Santo Padre Papa (Gregorio XVII) sarà perseguitato. Il suo successore sarà un Pontefice che nessuno si aspetta (Gregorio XVIII) .” Massimino.

 Segreto di Maximin, 3 luglio 1851

Massimino ha scritto il suo segreto presso il Palazzo del Vescovo, davanti alla persona del Vescovo de Bruillard, perfettamente indifferente, la sera del 3 luglio. Gli fu chiesto di riscriverlo di nuovo a causa di alcune macchie di inchiostro. L’autografo della copia sporca è stato bruciato. Infine, il signor Dausse ha consegnato il segreto al Vescovo de Bruillard, per essere sicuri della sua importanza, prima di apporvi il proprio sigillo ed inviarlo al Papa. La busta sigillata è stata controfirmata da due testimoni, alle 19:0.

Quella che segue è una traduzione letterale dal francese con l’ortografia, la punteggiatura ed un formato, che lo rendono più leggibile.

* C’erano segni di punteggiatura ed errori di ortografia fatti dal giovane pastore nel segreto sigillato inviato al Papa Pio IX. – Come tutte le profezie, questo è una chiamata alla vigilanza. Mette in guardia per il futuro, senza soddisfare la curiosità. I veggenti usano termini pittoreschi che non sanno interpretare. Essi estrapolano, confondendo i piani temporali e logici (come ad es. San Paolo l’Apostolo nella lettera ai Tessalonicesi).

Il 19 settembre 1846, abbiamo visto una bella Signora. Non abbiamo mai detto che questa signora era la Beata Vergine, ma abbiamo sempre detto che era una bella Signora. – Non so se è la Beata Vergine o un’altra persona. Quanto a me, credo oggi che sia la Beata Vergine. Ecco che cosa mi ha detto questa Signora: “Se il mio popolo continua, quello che ti dirò ora avverrà prima, se cambia un po’, accadrà un po’ più tardi. – La Francia ha corrotto l’universo. La fede si estinguerà in Francia: tre quarti della Francia non praticherà più la religione, o quasi, l’altra crederà di praticarla senza praticarla davvero. Poi, dopo [che] convertirà delle Nazioni, la fede sarà riaccesa ovunque. Un grande Paese, ora protestante, nel nord dell’Europa, si convertirà; con il supporto di questo Paese verranno convertite tutte le altre nazioni del mondo. – Prima di tutto quel che avverrà, ci saranno numerosi turbamenti, nella Chiesa e ovunque. Quindi, dopo, il nostro Santo Padre, il Papa, sarà perseguitato. Il suo successore sarà un Pontefice che nessuno si aspetta. – Dopo, ci sarà una grande pace, ma non durerà a lungo. Un mostro verrà a disturbare. –  Tutto ciò che dico qui avverrà in un altro secolo, al più tardi nell’anno Duemila”.

 Maximin Giraud – Grenoble, 3 luglio 1851.

Il Frutto della Vita Eterna.

Il Frutto della Vita Eterna.

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[Mrg. J.-J. Gaume: “Il trattato dello Spirito Santo”, cap. XL]

La grazia infusa nell’anima nel giorno del Battesimo, per opera dello Spirito Santo, costituisce la vita soprannaturale. Le virtù infuse ne sono le forze vive. I doni dello Spirito Santo mettono queste forze in moto, e fanno loro produrre degli atti beatifici, chiamati beatitudini. Questi atti beatifici condotti all’ultima perfezione, prendono il nome di frutti, perché essi producono nell’anima una soavità, simile a quella di un eccellente frutto in piena maturità. Questi stessi frutti non sono relativamente che fiori, di fronte al frutto della vita eterna. A procurare all’uomo quest’unico frutto tendono tutte le operazioni dello Spirito Santo: essendo appunto questo frutto, il cielo. [“Cum fructus habeat quodammodo rationem ultimi et finis, nihil prohibet alicujus fructus esse alium fructum; sicut finis ad finem ordinatur : opera igitur nostra, in quantum sunt effectus quidam Spiritus sancti in nobis operantis, habent rationem fructus; sed in quantum ordinantur ad finem vitae aeternae, sic magis habent rationem florum: unde dicitur”: (Eccli XXIV, 23): “Flores mei fructus honoris et gratiae”. S. Th., l a, 2ae, q. 70, art. 1, ad 1]. – «Delle buone fatiche, dice il libro della Sapienza, glorioso è il frutto. » [“Bonorum enim laborum gloriosus est fructus”. Sap., III, 15]. E nel Vangelo: « Colui che miete, riceve ricompensa, e accumula il frutto per la vita eterna. » [Qui metit, mercedem accipit, et congregat fructum in vitam aeternam”. Joan., IV, 36]. E nell’ Apocalisse : « Al vincitore, io darò a mangiare l’abero di vita che è nel paradiso del mio Dio. » [“Vincenti dabo edere de ligno vitae, quod est in paradiso Dei mei”. Apoc., II, 7]. – Perché la felicità, l’immortalità, il cielo infine ci é presentato sotto il nome di frutto? Nel paradiso terrestre, figura del paradiso celeste, era l’albero della vita, il cui frutto di un sapore squisito e di una bellezza sorprendente, aveva la proprietà di comunicare l’immortalità. Accanto a quest’albero era l’albero della scienza del bene e del male, il cui frutto dava la morte. Adamo, posto tra questi due alberi che conosceva perfettamente, vinto dalla tentazione, mangiò del frutto dell’albero proibito, prima d’aver mangiato del frutto dell’albero di vita. È di fede che l’albero di vita, come l’albero della scienza del bene e del male, era un albero vero. Una volta che si fosse mangiato, doveva prolungare la vita per parecchie migliaia d’anni; e dopo avere mantenuto l’uomo in una giovinezza costante, l’avrebbe fatto entrare, senza passare per la morte, nella vita senza fine dell’eternità. [“De fide est fuisse hanc veram arborem…. hoc lignum prorogasset homini vitam et vigorem ad aliquot annorum millia, donec Deus eum transtulissef in coelum, quae aeternitas quaedam est”. Corn. a Lap., Gen., II, 9. — Nell’ambrosia, nel nettare e altri alimenti che comunicavano agli Dei l’immortalità, il paganesimo stesso aveva conservato una memoria di quest’albero di vita]. – Che vi é da meravigliarsi se lo Spirito Santo restauratore di tutte le cose, ci ha presentato il cielo come il frutto dell’albero di vita, ma perfezionato e dotato della virtù di far vivere l’uomo cosi lungo tempo finché Dio sarà Dio, e di una vita divinamente beata? Un frutto è stata la disgrazia dell’uomo, e un frutto sarà la felicità. La vittoria poteva essere meglio proporzionata alla sconfitta: “Ut qui in Ugno vincebat, in ligno quoque vinceretur?” Quando dunque il genere umano, nutrito dei frutti dello Spirito Santo, avrà dormito il suo sonno di morte, lo spirito divino, continuando la sua opera di deificazione, verrà ad aggiungere un benefizio a tutti i suoi benefici. Come ha fatto ad uscire dal sepolcro il Verbo incarnato, tipo dell’ uomo, cosi ne farà uscire tutte le sue membra. « Se lo Spirito di colui il quale ha risuscitato Gesù Cristo tra i morti, dice san Paolo, abita in voi, quegli che ha risuscitato Gesù Cristo tra i morti,, richiamerà pure alla vita i vostri corpi mortali, a cagione del suo Spirito che abita in voi. » [Rom VIII, 11]. – Che cosa farà dell’uomo gloriosamente risuscitato? Egli lo condurrà in cielo, nel vero Eden della felicità e della gloria, dove gli farà mangiare il frutto di vita che è nel Paradiso di Dio. Grazie alle proprietà di questo frutto misterioso, in quel luogo, per le creature e per l’uomo, tutto sarà restaurazione. Perché? perché il cielo sarà il regno assoluto dello Spirito Santo, vale a dire il regno dell’ amore infinito, che opera nella pienezza della sua espansione, senza ostacoli, senza limiti, senza diminuzione; che penetra tutto, anima tutto, illumina tutto, divinizza tutto, immerge tutti gli abitanti della sua Città immensa, tanto uomini che angeli, nello stesso Oceano di luce, d’amore e di eterne voluttà. Ecco il capo d’opera dello Spirito Santo, e il termine finale al quale ci conduce con le sue operazioni successive. – Quale sarebbe sopra di noi l’effetto di questo amore sostanziale, infinito, che opera nella sua incomprensibile energia? la morte istantanea, se noi dimorassimo nella debolezza attuale della nostra natura. Qual essere creato potrebbe sostenere il peso dell’infinito? Ma non sarà cosi. Come la virtù dell’Altissimo fortificò Maria nel di dell’incarnazione, cosi Egli ci circonderà della sua ombra: “Virtus Altissimi obumbrabit tibi”. Affinché non sieno né consunti da ardori infiniti, né accecati da una luce infinita, né schiacciati sotto il peso di una felicità infinita, lo Spirito Santo comunicherà agli esseri, sottoposti alla sua azione, una energia tale, che essi vivranno in quell’immensa atmosfera d’amore, di luce e di felicità, liberi, agili, felici, come il pesce nell’Oceano! La vita della grazia sarà divenuta la vita della gloria. Cosi preparati, l’effetto dell’amore infinito sarà su di essi, simile a quello del fuoco sull’oro. Il fuoco non consuma 1’oro, ma lo trasfigura. – La trasfigurazione divina si estenderà a tutto ciò che ne sarà degno; imperocché lo Spirito di vita non distrugge nulla di ciò che ha fatto. Così saranno trasfigurati e il mondo che noi abitiamo, e l’uomo tutto intero. – Trasfigurazione del mondo, cioè della terra e del cielo. La creazione fisica segue la condizione dell’uomo, della quale è padrone. Poiché l’uomo fu felice finché fu innocente, infelice quando divenne colpevole, cosi essa sarà glorificata allorché lui medesimo sarà glorioso. Il cielo sarà dunque il compimento plenario ed eterno di questo voto, espresso dall’Apostolo, a nome della creazione tutta quanta. « Ogni creatura, dice san Paolo, aspetta con impazienza la manifestazione dei figli di Dio. Imperocché la creazione è sottoposta alla vanità non volontariamente, ma a cagione di colui che ve l’ha sottomessa con speranza; perché la stessa creatura sarà prosciolta dalla servitù della corruzione mediante la libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che qualunque. Creatura geme ed esperimenta fin qui i dolori del parto. Non solamente essa, ma noi pure, che possediamo in noi le primizie dello Spirito. » [Rom., VIII, 19-28]. Che cosa significano questi patimenti e questi sospiri di tutta la natura? Essi significano che la creazione non è arrivata al suo fine. Significano, che la vita attuale sarebbe un’amara ironia, se non ve ne fosse un’altra. Significano, che la creazione tutta quanta aspira non alla sua distruzione ma al suo rinnovamento, e che a suo modo essa rivolge a Dio, come l’uomo medesimo, questa domanda del Pater : “che venga il vostro regno”. – Ogni essere, dice san Tommaso, ripugna alla sua distruzione. Desiderando ardentemente la fine di questo mondo, le creature non desiderano dunque il loro annientamento, ma la loro liberazione e il loro rinnovamento. – Quindi, i dottori cattolici concludono molto logicamente, che le creature non saranno distrutte, ma purificate dal fuoco dell’ultimo giorno : come l’oro non è distrutto passando pel crogiuolo, ma reso più puro e più fulgido. [Vedi le autorità nel Catechismo di perseveranza, t. VIII, Riassunto generale. Vi si troverà pure, riguardo al cielo, assai lunghi particolari che la mancanza di spazio non ci permette di riprodurre]. – Quale sarà in sé medesima e nei suoi risultati questa trasfigurazione del mondo? Essa sarà in sé medesima la partecipazione la più grande possibile delle creature materiali verso le perfezioni di Dio. Dio è eternità, luce, amore. Per quanto la loro natura può comportarlo, le creature saranno dunque eternità; luce, amore. Eternità. Esse dureranno sempre senza alterazione di forma né di bellezza. « Gli astri, dice san Tommaso, fissi nel punto del firmamento il più conveniente, per risplendere di tutta la loro luce sulla beata Gerusalemme, diverranno immobili. I tempi, per cui sono destinati quaggiù a segnare la successione, susseguiranno al giorno senza notte dell’eternità. La terra sempre egualmente illuminata, godrà di una temperatura costantemente uguale; e gli altri elementi, sempre simili in sé medesimi, non avranno al nostro sguardo, nessuna delle imperfezioni delle quali si lamentano. » [Supplem ., q. 91, art. 2. — 8. Hier., in Hàbac III] . Luce. È rivelato in Isaia che la luce della luna sarà come la luce del sole: e che la luce del sole sarà sette volte maggiore di quella d’oggidì. [“Erit lux lunae sicut lux solis, et lux solis septempliciter”. Js., xxx, 26]. – Ma il cielo, in cui il sole e la luna formano il più bell’ornamento, è la più nobile porzione del mondo corporeo. Come il resto della creazione, così il cielo sarà rinnovato; né può esserlo, che acquistando una maggior chiarezza; attesoché la chiarezza è la sua beltà principale. La stessa terra parteciperà à questa chiarezza del cielo. – Da un lato è di fede che il corpo dell’uomo diverrà luminoso; e il corpo dell’uomo Scomposto di elementi materiali. Dunque gli elementi materiali di cui si comporrà il corpo dell’uomo rivestito di lucentezza, saranno essi medesimi luminosi. Ma gli elementi che compongono il corpo dell’uomo, sono presi in tutti i regni della natura. Dunque, a meno di una anomalia che ripugna, la condizione del tutto seguirà la condizione delle parti: cioè che tutta la creazione materiale diverrà luminosa. [S. Th., ubi supra, art. 4]. D’altra parte, siccome esiste un ordine tra gli spiriti superiori, gli angeli, e tra gli spiriti inferiori, le anime, così ne esiste uno tra i corpi celesti e i corpi terrestri. Ora, la creazione materiale essendo fatta per la creazione spirituale, e dovendo per mezzo suo, essere regolata e condotta al suo fine, risulta che ella ne segue la condizione, alzandosi o abbassandosi con lei e per cagion sua. Nell’universale rinnovamento gli spiriti inferiori, le anime, acquisteranno le proprietà degli spiriti superiori. Gli uomini, dice il Vangelo, saranno simili agli angeli. – Per la stessa ragione i corpi inferiori acquisteranno le proprietà dei corpi superiori. Ma i corpi inferiori non potendo prendere ad imprestito dai corpi celesti fuorché la chiarezza, ne segue di necessità che essi diventeranno luminosi. Cosi tutti gli elementi saranno rivestiti di un manto di luce; non tutti del pari, ma ciascuno secondo la sua natura. È detto infatti che la terra sarà trasparente come il vetro, l’acqua come il cristallo, l’aria pura, quanto il cielo, il fuoco brillante come i luminari del firmamento. [“Unde omnia elem enta claritate quadam vestientur; non tam en aequaliter, sed secundum suum modum: dicitur enim quod terra erit in superfìcie exteriori pervia sicut vitrum , aqua sicut crystallus, aèr ut còelum, ignis ut luminaria coeli”. [Ibid ., corp.]. Amore, Nei suoi risultati, il rinnovamento del mondo sarà una manifestazione la più splendida delle perfezioni di Dio, e per conseguenza un invito più eloquente alla nostra ammirazione e alla nostra riconoscenza. Il mondo é uno specchio creato per riflettere gli attributi del Creatore. Lo specchio è tanto più perfetto, quanto più riflette meglio l’immagine che gii si presenta. Dopo la loro rinnovazione, le creature libere da ogni macchia di peccato, saranno arricchite di nuove qualità, in armonia con i sensi dell’uomo deificato; e divenute trasparenti lasceranno vedere senz’ombra le bellezze del Creatore. Allora 1’uomo, doppiamente soddisfatto nei suoi sensi e nelle sue facoltà, sarà nei trasporti d’un amore sempre crescente. [S. Thom. ubi supra, art. 1, corp.]. – Riassumendo: l’abitazione deve convenire all’abitante. Il mondo è stato fatto per essere l’abitazione dell’uomo; dunque deve essére conveniente all’uomo. Ma l’uomo sarà rinnovato; dunque parimente il mondo. [“Habitatio debet babitatori congruere, sed mundus factus est ut sit habitatio hominis. Ergo debet homini congruere; sed homo innovabitur. Ergo sim iliter et m undus. Ibid. – Trasfigurazione dell’uomo. Noi conosciamo la dimora: e quale ne sarà l’abitatore? L’uomo. Esso raggiunge quaggiù più di qualunque altra creatura il fine della vita. Come esse, ei sospira verso la sua trasfigurazione. I suoi voti non saranno compiti che alla fine della prova. Il cielo sarà dunque la dimora dell’uomo divenuto quale lo esige la legge del suo essere simile all’Angelo, simile a Dio. Simile a Dio, eternità, luce, amore, felicità, quanto lo può essere una creatura: tale sarà l’uomo trasfigurato. Eternità. L’uomo, unito a Dio, viverà come Dio; unito al Verbo incarnato, vivrà come uomo deificato, della vita del corpo e dell’anima. Egli vivrà della pienezza di questa doppia vita, vivrà sempre. Vivere è godere, vivere pienamente è godere pienamente; vivere sempre, è godere eternamente. Egli vivrà della vita del corpo, ne vivrà pienamente e sempre. Il corpo dell’uomo conserverà tutta la sua integrità, i suoi sepsi, i suoi organi. Resuscitato nell’età della forza e della bellezza, spogliato dal travaglio della tomba di tutte le imperfezioni, risultati del peccato, dotato di nuove qualità, egli godrà di una eterna gioventù. Queste nuove qualità .sono: l’impassibilità, la sottigliezza, l’agilità, la chiarezza. – Il corpo seminato corruttibile risusciterà incorruttibile: [1 Cor., XV , 42], dunque impassibile. L’impassibilità sarà l’effetto necessario della glorificazione. Nelle cose corruttibili, il principio vitale non domina abbastanza perfettamente la materia, da preservarla da ogni offesa contraria alla sua volontà. Ma dopo la risurrezione, l’anima dei santi sarà completamente padrona del corpo. Quest’impero sarà immutabile, poiché l’anima stessa sarà immutabilmente sottomessa a Dio. Sarà perfetto, poiché la stessa anima sarà perfetta, e per conseguenza dotata del potere e della volontà d’impedire tutto ciò che potrebbe nuocere al corpo. Inoltre, nel cielo la felicità dell’uomo sarà completa: né lo sarebbe, se il corpo rimanesse soggetto a patimenti. – Del resto l’impassibilità non distruggerà la sensibilità. Contuttoché conservi intatta la natura dei corpi, la divina potenza può toglierle le qualità che le piace. – Così al fuoco della fornace di Babilonia essa tolse la virtù di ardere certe cose, poiché i corpi dei giovani Ebrei rimasero intatti; ma gli lasciò la virtù di bruciare certe altre cose, poiché il legno fu consumato. Altrettanto avverrà per i corpi gloriosi: Dio toglierà la passibilità e conserverà la natura. [S. Th., Suppl., q. 82, art. 2, ad 4] D’altronde se i corpi gloriosi non fossero sensibili, la vita dei santi, dopo la risurrezione, rassomiglierebbe più al sonno che alla veglia. Ora il sonno non è la vita, soprattutto la vita nella sua pienezza: non è che una mezza vita. Il corpo seminato animale risusciterà spirituale [I Cor., XV, 42]; dunque sottile. La sottigliezza è una delle principali qualità degli spiriti; e la sottigliezza degli esseri spirituali supera infinitamente quella degli esseri corporei. I corpi gloriosi saranno dunque sottilissimi. La sottigliezza di un corpo consiste, nel poter penetrare attraverso un altro corpo, press’a poco come il raggio luminoso penetra il cristallo senza guastarlo né alterarlo. Due cause, naturali la rendono possibile; la prima, la tenuità del corpo penetrante; la seconda l’esistenza dei pori, o spazi lasciati vuoti tra le parti del corpo penetrato. – Ma il vero principio della sottigliezza dei corpi gloriosi, sarà la loro perfetta sottomissione all’anima glorificata. Il primo effetto di questa sottomissione sarà di fare nei limiti del possibile partecipare il corpo alla natura dell’anima, e per conseguenza alle operazioni dell’anima. Cosi nessun ostacolo alle comunicazioni più intime dei santi tra di loro e con tutte le parti della gloriosa Gerusalemme. [S. Th., Suppl., q. 83, art. 1, corp.]. – Ciononostante i corpi gloriosi resteranno palpabili. Riformati sul modello del corpo del Verbo resuscitato, ne avranno le qualità. Ora, il corpo del Verbo resuscitato era palpabile. « Palpate e vedete, diceva il buon Maestro ai suoi discepoli meravigliati: uno spirito non ha né carne né ossa; come voi vedete io l’ho. » [Luc., XXIV, 39]. – È articolo di fede; sanzionato dalla Chiesa nella condanna d’Eutichete, patriarca di Costantinopoli, il quale sosteneva l’impalpabiìità dei corpi gloriosi. [S. Th., ubi supra. art. 6]. – Il corpo seminato debole risusciterà forte, [I Cor., XV, 13]. Perciò agile e pieno di vita. Agile, vuol dire, facile nel movimento. Dunque i corpi gloriosi saranno agili. Di più, la lentezza ripugna essenzialmente alla spiritualità. Dunque essi saranno agili. D’altronde l’anima è unita al corpo, non solamente come forma o principio vitale, ma altresì come motore. Sotto l’uno e l’altro aspetto il corpo glorioso gli sarà perfettamente soggetto. Per la sottigliezza, il corpo perfettamente sottomesso all’anima come forma, riceve un essere specifico; cosi perfettamente sottomesso all’anima come motore, riceve l’estrema facilità di moto, che chiamasi agilità. [S. Th., ubi supra, q. 84, art. 1, corp.]. – Potersi trasportare senza fatica e in un istante impercettibile, qualunque siasi la distanza da un luogo a un altro, e con la stessa prontezza ritornare nel punto donde era partito; tale sarà la deliziosa prerogativa dei corpi gloriosi. Diciamo deliziosa, poiché di tutte le qualità dei corpi, 1’agilità è quella che il mondo attuale sembra ricercare con più ardore. Egli non vede più distanza. Il peso della materia lo molesta, ad ogni costo vuole liberarsene. Lungi dunque da noi il pensiero che l’immobilità regnerà nel cielo, e che noi vi saremo come statue in tante nicchie. Il moto, l’agilità di quaggiù non sono, che un’ombra di moto e di agilità che regneranno nella Città dello Spirito Santo. [Ibid., art. 2, coip . ; et art. 8, corp.]. Seminato ignobile, il corpo risusciterà glorioso: [I Cor., XV, 48]: dunque luminoso. Tale è il significato dell’Apostolo medesimo, dato alla parola glorioso, poiché paragona la gloria dei corpi risuscitati alla chiarezza delle stelle. Già abbiamo detto la ragione per la quale i corpi dei santi saranno luminosi, come tutti i corpi materiali. Aggiungiamo che questa luce verrà loro dalla sovrabbondante luce dell’anima glorificata; essa ne sarà penetrata e circondata. Padrona assoluta del corpo, al quale sarà unita colla più intima unione, lo penetrerà .da parte a parte, e lo circonderà completamente di luce. Questa atmosfera luminosa sarà tanto più brillante, quanto più l’anima sarà più santa, cioè dire più vicina a Dio, luce infinita. Così dalla chiarezza del corpo si giudicherà della gloria dell’anima, come attraverso il vetro si conosce il colore del liquido contenuto in un vaso di vetro. [S . Th., ibid., q. 85, art. 1, corp.]. – Impassibile, sottile, agile, luminoso, tale sarà dunque non per un giorno, non per alcuni anni fugaci, ma per tutta l’eternità, il corpo glorificato dallo Spirito Santo. O uomini, voi amate tanto il vostro corpo, e non desiderate il cielo! – Da questa glorificazione generale risulterà il perfezionamento di tutti i sensi, e per ciascuno in particolare la soddisfazione che gli è propria. Da un lato, l’uomo sarà nel cielo non troncato o minorato, ma intero e perfezionato; d’altra parte i sensi non saranno solamente in potenza, ma in atto, attesoché la facoltà in atto è più perfetta della facoltà in potenza; e che tutti i sensi del corpo, essendo stati gli istrumenti dell’anima, saranno ricompensati secondo i meriti dell’anima stessa. [“Corpus praemiabitur vel punietur propter merita vel demerita animae. Ergo et omnes sensns praemiabuntur in beatis, etc.”. S . Th., ubi supra, q. 82, art. 4]. – Non entreremo nei particolari dei godimenti di ciascun senso particolarmente, né delle diverse facoltà dell’anima. Ci basterà notare che esse saranno reali e in armonia con i sensi perfezionati, ma conservanti la loro natura.22 [“Oculi, aures, nares, os, manus, guttur, jecur, pulmo, ossa, medullae…. beatorum, mirabili delectationis et dulcedinis sensu replebuntur”. S. Anselm., de Similitud., c. CVII]. – Cosi nulla ci obbliga a prendere in un senso figurato, tutto ciò che dice la Scrittura, dei piaceri sensibili riserbati ai beati. « Io aspiro, esclamava David, a vedere i beni del Signore nella terra dei viventi. » [Ps. XXVI]. – Su di che Cornelio a Lapide, riassumendo l’insegnamento dei dottori, così si esprime: « Per questo il fiume del paradiso, gli alberi e i frutti di cui è parlato, possono prendersi alla lettera. E perché no? Se nel paradiso terrestre Adamo ha goduto di tutti questi beni, tanto più i beati ne godranno nel paradiso celeste; imperocché il primo non era che un saggio e l’immagine del secondo. [“Quocirca fiuvius bic, arbores et poma ad litteram, uti sonant, accipi possunt. Quid enim obstat? Nam si his in paradiso terrestri fruitus est Adam, multo magis iisdem fruentur beati in paradiso coelesti; bujus enim specimen et imago fuit terrestris. In Apoc., XXII , 2]. – Del resto, si ammettono abbastanza facilmente i piaceri della vista, dell’udito, dell’odorato, del tatto; solo i godimenti del gusto sembrano disputabili. Per farli accettare, possiamo notare che il senso del gusto non più degli altri, può esser privo della sua ricompensa, attesoché egli ha meritato per i digiuni, per le astinenze, per le austerità d’ogni genere, come lo vediamo in un sì gran numero di santi: che il bere e il mangiare non saranno più destinati come quaggiù, a riparare alle forze del corpo, ma a procurare al senso del gusto la sua legittima soddisfazione; che i frutti e non la carne, essendo stato il cibo dell’uomo innocente, ridiventeranno dell’uomo rigenerato; che il corpo spiritualizzato spiritualizzerà il nutrimento, in modo che non darà luogo a nessuna delle conseguenze nelle condizioni della vita terrena. [V. le autorità citate da Corn., ubi supra]. – Secondo il parere dei dottori si aggiunge, in prova di ciò che diciamo, un fatto, la cui autenticità non è mai stata posta in dubbio. L’anno 304, nel colmo della persecuzione di Diocleziano, una vergine cristiana, per nome Dorotea, fu condotta al tribunale di Sapricio, governatore di Cesarea in Cappadocia. Era il sesto giorno di febbraio. Per il suo rifiuto di sacrificare ai demoni, la sposa del Verbo incarnato viene distesa sul cavalletto. Calma in mezzo alle torture, essa dice al giudice: « Affrettati di fare ciò che tu vuoi, e che i tuoi supplizi siano la strada che mi conducano al mio sposo. Io L’amo e non temo. Io desidero altresì i tuoi tormenti: il mio Sposo mi chiama. Con questi patimenti, brevi e lievi andiamo al paradiso delle delizie, dove sono dei pomi di una meravigliosa bellezza, rose e gigli e fiori innumerevoli che mai si seccano, fonti d’acque vive che mai si asciugano, e delle quali i santi godono con felicità, pieni d’ allegrezza nel Cristo. » A queste parole l’assessore del giudice, un letterato, un Renan del tempo, nominato Teofilo, si rivolge alla santa, e gli dice sogghignando: « Mandami dei pomi del paradiso del tuo sposo, allorché tu vi sarai arrivata. — Lo farò volentieri, rispose la giovane martire. » “Mitte mihi poma e paradiso sponsi tui, cum eo perveneris. Faciam, inquit illa”.- Non si dimentichi che eravamo nel cuor dell’ inverno. Il carnefice si impadronisce della vittima e gli tronca la testa. Frattanto Teofìlo se n’era tornato a casa facendosi bello della sua frivolezza, la raccontavi a’ suoi amici, con molte lepidezze intorno a questi stupidi cristiani. Tutt’ad un tratto, apparisce un giovinetto di una sorprendente bellezza, recante nel grembo del suo abito tre magnifici pomi e tre rose di una bellezza e di una freschezza inarrivabili. « Ecco, gli disse, ciò che la santa vergine Dorotea ha promesso di mandarti dal paradiso del suo sposo. » Teofilo, stupefatto, riceve dalle sue mani quei pomi e le rose, ed esclama: « Veramente il Cristo è Dio, il Dio che non inganna! » Facendo questa professione di cristianesimo, Teofìlo ha pronunziato il suo decreto di morte. Di li a poche ore, lo si vide condotto al supplizio, diventando uno dei gloriosi martiri della fede, della quale si era burlato. – Ora, siccome nessuno mai si è fatto tagliare il capo per un simbolo, quindi è che questi pomi e queste rose erano ben realmente pomi e rose.[Baron an. 304, n. LXIX; et Corn. a Lap., Apoc. XXII— In memoria appunto di questo miracolo, in certi luoghi si benedicono ancora dei pomi il giorno di santa Dorotea.] – Luce. Dio non è solamente eternità, ma è luce. Al modo stesso che il nostro corpo trasfigurato sarà luce, così il nostro spirito sarà luce e luce senz’ombra. Come i nostri occhi vedranno tutte le bellezze sensibili, per cui potranno essi senza fatica sostenere lo splendore abbagliante, così il nostro spirito in cui vivrà lo Spirito Santo con la pienezza di cui una creatura finita può esser capace, conoscerà tutte le bellezze spirituali, cioè dire tutta la verità, “omnem verìtatem”. Allora sarà completamente e eternamente soddisfatto uno dei più ardenti desideri dell’uomo. – L’instancabile investigatore della verità, che fa egli dalla culla sino alla tomba? Appena svegliato alla vita dell’intelligenza, ci domanda la verità di tutto ciò che lo circonda, come quando chiede il pane che lo nutrisce. Che cosa fa durante tutto il corso della sua esistenza, se non andare in cerca della verità: verità in religione, verità in politica, in istoria, in filosofia, in matematiche, in industria, in arte, in commercio, in agricoltura? Non lo vedete rinchiudersi per lunghi anni nelle faticose scuole, intraprendere lunghi viaggi, attraversare mari, salire in vetta delle più alte montagne, scendere fin dentro le viscere della terra, consumandosi in veglie prolungate che lo consumano avanti tempo? Perché cosa? Per conoscere qualche verità di più. Inconsolabile, se il successo non corona i suoi sforzi, egli è al colmo della felicità, se perviene a strappare alla natura uno solo dei suoi segreti, a decifrare un solo enimma della storia, a intravedere la più piccola bellezza del mondo spirituale. – E nonostante che cosa sono tutte queste verità tanto faticosamente cercate? Delle particelle, degli atomi, delle ombre, viste attraverso altre ombre. Ma il cielo sarà la vista della verità, e della verità completa, contemplata faccia a faccia e senza velo. Introdotti nel santuario dell’augusta Trinità, conosceremo Dio; il finito conoscerà l’infinito; ei si vedrà tale quale è. Videbimus eun sicut est Questo Dio sì grande, sì incomprensibile, del quale si è tanto parlato e che non abbiamo mai veduto, noi Lo conosceremo e vedremo: questo dice tutto. – In Lui noi conosceremo i consigli più intimi della eterna sapienza: la creazione del mondo, la caduta dell’angelo e dell’uomo, la redenzione dell’universo, tutte le rivoluzioni materiali e morali, che da seimila anni meravigliano la scienza e la sfidano. Nel gran giorno ci compariranno tutti i segreti della natura e delle anime diventate trasparenti; e questa conoscenza prodigiosa andrà sempre crescendo senza mai raggiungere il suo ultimo limite: De claritate in claritatem. Amore. Dio è amore, e il cielo è l’amore infinito, che agisce in tutta la libertà dei suoi movimenti. Immagine di Dio, l’uomo pure è amore. Se è vero che amare ed essere amato è il bisogno più imperioso del cuore dell’uomo, è vero altresì che amare ed essere amato, è il bisogno più imperioso del cuore di Dio. Se è vero che amare ed essere amato è la suprema felicità dell’uomo, è vero eziandio che amare ed essere amato è la suprema felicità di Dio. Se è vero che l’amore tende all’unione, che l’amore eterno tende all’unione eterna, l’amore infinito all’unione infinita; chi può dire l’intimità dell’unione di Dio e dell’uomo? Chi può sospettarne gli incanti e le ebbrezze? – Essi saranno tanto più grandi, quanto più saranno accompagnati dalla certezza di non li veder mai finire. – Oceano di vita, oceano di luce, oceano d’amore; ecco Dio. Ed è in questo triplice oceano che vivranno per sempre gli abitanti trasfigurati della Città del bene. – Noi conosciamo il termine finale al quale lo Spirito Santo conduce l’umanità, docile alla sua azione. Ci resta da considerare l’eterna dimora, dove lo spirito del male trascina i suoi adepti: questo è l’ultimo tratto del parallelismo tra l’opera divina e l’opera satanica. – Il cielo di Satana è l’inferno. Vita e vita eterna, luce e luce eterna, amore e amore eterno, felicità eterna: “Beati quelli che abitano la tua casa, essi ti loderanno nei secoli dei secoli”. [Ps. LXXXIII]. Morte e morte eterna, tenebre e tenebre eterne, odio e odio eterno, supplizi e supplizi eterni: “Saranno tormentati notte e giorno per tutti i secoli dei secoli”. Questo è il cielo di Satana. [Apoc. XX, 10] – Fra questi due soggiorni non vi è via di mezzo. Ad ogni ora l’umanità entra in uno, o nell’altro. Essa vi entra e non ne esce più. Come fare ad evitare l’inferno, e arrivare al cielo? Tale vita, tale morte. Vivere sotto l’impero dello Spirito Santo, a fine di morire nella sua grazia; morire nella grazia, a fine di regnare nella gloria: per l’uomo, tutto consiste in questo. Per tutte quante le società ogni cosa è qui. Benché esse non vadano in corpo nell’altro mondo, guai però alle nazioni che si sottraessero all’azione dello Spirito di giustizia e di verità. Esse fanno paura e compassione; e la loro storia vera non può scriversi che con lacrime, con sangue e con fango. Ma come vivere sotto l ‘impero dello Spirito Santo? Rendendogli il culto che solo può meritarci i suoi favori. Qual’è questo culto? I capitoli seguenti ce lo insegneranno.

Omelia della Domenica XVIII dopo Pentecoste

Domenica XVIII dopo Pentecoste

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. II -1851-]

(Vangelo sec. S. Matteo IX, 1-8)

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Carità verso gli Infermi

Due esempi assai luminosi di carità ci presenta la odierna evangelica storia. Il primo nella persona di alcuni uomini di Cafarnao, che adoprano ogni fatica ed ogn’industria per procurare la sanità di un povero paralitico, con recarlo al cospetto di Gesù Cristo. Il secondo in Gesù Cristo medesimo, che rimette i peccati a quel misero infermo, e spiritualmente lo risana. Il primo esempio riguarda la salute corporale, il secondo la spirituale. Ed ecco in ciò tutta la nostra istruzione. Quando il Signore visita le nostre famiglie con qualche malattia, come sono trattati i nostri infermi in rapporto al corpo? Come sono trattati riguardo all’anima? Vediamo se possiamo paragonarci ai pietosi Cafarnaiti per la carità corporale, e al misericordioso Redentore per la spirituale carità. Ohimè! Uditori miei cari, che io temo invece di questa doppia carità, di riscontrare in alcuno di voi una vera e forse non conosciuta crudeltà! L’importante argomento richiede tutta la vostra attenzione.

I. – Il primo esempio di una carità tutta singolare, ed oltre modo industriosa ci presentano i già indicali uomini di Cafarnao. Quattro di questi, come narra l’Evangelista S. Marco (II, 3), toltosi sulle braccia un paralitico disteso nel suo letticciuolo vogliono presentarlo al divin Salvatore; ma la casa, ove Egli trovavasi era così piena zeppa di popolo, che per ogni tentativo e sforzo immaginabile non fu possibile romper la folla, e farsi strada. Ma che? Si avvidero di una scala esteriore, che portava fino alla sommità della medesima casa. Ivi giunti, scoprirono il tetto, e, fatta una larga apertura, calarono giù con funi il letto e l’infermo a’ piedi di Gesù Cristo. – Che dite, ascoltanti, di questa carità? È tale la vostra per procurare a qualche infermo di vostra famiglia la corporale salute? Vi spinge a tentar ogni mezzo, a cercar ogni modo, onde possa ricuperare la pristina sanità? Sì, è tale; ma quando? Quando si tratta di persona a voi necessaria, che colle fatiche o col traffico o coll’impiego sostiene la casa, e guai se venisse a mancare: soffrirebbe un rovescio la desolata famiglia. Io non condanno, lodo anzi la vostra sollecitudine, il vostro impegno per quell’ infermo a voi sì caro e necessario. Ma se questa stessa persona, cotanto cara e vantaggiosa, per vecchiezza, o per altro infausto accidente, si rende inabile, come l’odierno paralitico, e divenga inutile, non è egli vero che svaniscono allora tutte le cure, le assistenze, i soccorsi, e si riguarda come un imbarazzo di casa, come un peso notevole, di cui non vedete l’ora di esserne sgravati? Così avvenne al S. Giobbe: finché come principe Idumeo colle sue ricchezze fu occhio al cieco, piede allo zoppo, padre dell’orfano e del pupillo, sostegno delle vedove, consolator de’ miseri, riscosse da tutti stima, venerazione ed applausi. Quando poi spogliato di tutti i suoi beni, coperto di piaghe, lo videro steso su di vile letamaio, i falsi amici, e perfino l’insultante consorte, lo abbandonarono in braccio alla sua miseria e al suo dolore. “Fratres mei praeterierunt me sicut torrens, qui raptim transit in convallibus” (Iob. VI, 13). I miei più cari (se ne lagnò dolcemente quest’esemplare di pazienza), i miei più stretti congiunti mi hanno trattato in quella guisa che si usa con un torrente. Finché questo nell’aprile, o nell’autunno abbonda di acque, ad esse accorre il pastore per abbeverare la greggia, il contadino per innaffiare le piante; poi nella estate arsiccia manca e si dissecca, l’alveo suo asciutto viene calpestato dal contadino, dal viandante, dal pastore e dall’armento: “Praeterierunt me sicut torrens”. – “Ma, direte voi, se vi trovaste presente a vedere quanto son tediosi e incontentabili i nostri infermi, e singolarmente i vecchi; se udiste il continuo loro brontolare, e le indiscrete loro lagnanze, degnereste di qualche compassione quei che debbono trattare con essi, e loro prestare assistenza e servitù. Si rifletta inoltre che abbiamo i nostri affari, campagna, impieghi, negozi, e non possiamo trovarci sempre ad essi intorno”.E se vi dirò che quel tanto, che asserite difficile, aspro, gravoso e quasi impossibile, l’avete già praticato, che risponderete? Vi sovviene di quella vostra vecchia parente a letto inferma? Per aver parte nel suo testamento, o donazione irrevocabile de’ suoi beni, quanti giorni perdeste, quante notti vegliaste, quanta pazienza, quanta buona grazia usata avete per non disgustarla, per incontrare il suo genio! Non vi han ritirato dall’assisterla né le sue querele, né i mali odori, né i più bassi servigi.Confessate adunque che la brama di divenire eredi, che la mira alle sue sostanze, che, in una parola, l’interesse è quella gran molla che vi ha fatto agire, sopportare, e tutto vi ha reso facile e leggiero. Ha bel dire l’Apostolo che la carità è paziente, è benigna, e tutto soffre, e tollera tutto : “Charitas patiens est, benigna est … omnia suffert, omnia sustinet” (Ad Cor. XIII, 4. 7.) Tutto ciò nella massima parte de cristiani opera bensì l’interesse, ma non la carità. O nostra confusione!

II. – Il secondo esempio di carità l’abbiamo nella Persona di Gesù Cristo. Appena Egli si vide innanzi in quella strana forma il paralitico, “confida, gli disse, confide fili, remittuntur tibi peccata tua”. Figliuol mio, abbi fede, i tuoi peccati ti son rimessi. Ma come, mio buon Salvatore? Vi vien cercata la salute del corpo, e Voi cominciate a dargli quella dell’anima? Per nostra istruzione parla ed opera così il nostro divin Maestro, e ci avvisa che più della corporal sanità ci deve star a cuore la salvezza dell’anima. – Che diremo ora di quei cristiani, i quali avendo in casa un infermo colto da grave malattia, non l’avvisano del suo pericolo, e non si curano, o neppur pensano a farlo munire dei SS. Sacramenti? Più che da dire, vi sarebbe da piangere. – Qual è l’ordinario costume del mondo, allorché giace a letto un infermo? Accorrono i congiunti, gli amici, portati da un certo dovere di parentado, e di urbanità; le prime visite passano in complimenti: i discorsi sogliono aggirarsi sulle novelle della città, o de’ pubblici fogli; indi parlando della qualità del morbo: “Eh, dice uno, questa è una febbre effimera, il sudore è in moto, ben presto sarete franco”. “Il polso non mi dispiace, ripiglia un altro, la lingua è morbida, fatevi, coraggio, non c’è luogo a temere”. Si lagna però il povero infermo, che oppresso nell’animo, tormentato nel corpo non trova riposo. Ed ecco nuove lusinghe: “buon segno quanto il male si sente: avete più apprensione che male, non temete, una nuova crisi vi libera affatto, fra pochi giorni ci rivedremo al ridotto, alla caccia, alla villeggiatura”. Ad un infermo aggravato si parla, così? Sapete che parlare è questo? Ve lo dirò con tutto rispetto, ma insieme con tutta verità. Quest’è un parlare da demonio. Udite con pazienza. – Colà nel terreno paradiso disse a’ nostri progenitori il grande Iddio: “In quel giorno, che voi gusterete il frutto di quest’albero, che vi proibisco, sarete colti da inevitabile morte: “Morte moriemini”. Eva parlando di quel pomo col rio serpente. “Se noi, disse, ci diamo a mangiarne, forse morremo”: “Ne forte moriamur”. Il demonio nel corpo del serpente l’assicura, che non saranno soggetti alla morte: “Nequaquim moriemini”. Osservate, Iddio parla con affermativa certezza, Eva con dubbio, il demonio con negativa sicurezza. Io non dico che parliate come Dio con affermare, che quel malato morrà: a Dio solo è noto l’avvenire; ma nemmeno dovete parlar da demonio con assicurarlo che non morrà. Parlate, se vi piace, all’umana, come Eva in senso dubbioso: non fate il profeta né per la morte, né per la vita: dite, che essendo la malattia seria, pericolosa, sarebbe bene provvedere ad ogni sinistro avvenimento: che i santi Sacramenti giovano anche alla salute del corpo, che in pericolo di morte corre stretta obbligazione di riceverli, che il male potrebbe occupare la testa, e non esser più in tempo. – Se tale sarà il vostro linguaggio, sarà da uomini sensati, sarà da buoni cristiani; ma lusinghe, no, ma sicurezze, molto meno, per non parlare da demoni. – Torniamo all’infermo. Le buone parola, le buone speranze non lo fanno star meglio: cominciano i vaneggiamenti, succedono i deliqui, crescono i sintomi maligni: il medico stringe le labbra, dimena il capo, dà a conoscere che ne teme, e ne dispera. Chi si accosta intanto al letto di questo moribondo? Chi l’avvisa del suo pericolo? Chi esorta quest’anima ad aggiustar le partite di sua coscienza, a prepararsi con buona confessione al gran passaggio dal tempo all’eternità? Dove troveremo noi un altro Isaia, che si conduce alla stanza dell’infermo re di Giuda, e via su, gli intima, disponetevi alla partenza, che la morte a voi si avvicina! “Dispone domui tuae, quia morieris tu, et non vives(Is. XXXVIII, 1). Pensate: piange la moglie nell’estrema desolazione, piangono i figli e non hanno cuore, si scusano i parenti, si ritirano gli amici, il medico si affida al confessore, il confessore riposa sul medico, e intanto il povero moribondo fa strada, e se ne va, senza saperlo, in braccio alla morte ed alla eternità. – Lo so: egli è questo un tremendo castigo della divina giustizia per chi aspetta a ravvedersi in quegli estremi, castigo, per cui chi più ne abbisogna è meno avvertito. Ad un uomo dabbene, ad un buon cristiano niuno ha difficoltà di parlare di confessione, e del santo viatico. – Ad un uomo di mondo, massime di qualche qualità secondo il mondo, ognun si ritira, ognuno si scusa. Castigo di Dio per parte del moribondo, crudeltà per conto di chi l’assiste. Non si fa già così quando lo stesso infermo giace sepolto in mortale letargo. Si adopera allora ogni più violento rimedio per invogliarlo e torlo dalle fauci di morte; e perché non si fa altrettanto per destarlo da peggiore letargo di morte spirituale ed eterna? Avete timore di disgustarlo? “meglio, dice S. Agostino, esser severo con carità, che ingannar con dolcezza”: “Melius est cum severitate diligere, quam cum suavitate decìpere(Lib. IX, conf.). Indorate quanto volete la pillola amara, ma non cessate di porgerla. Eppure qualche volta si avvisa. Ma chi dà la spinta all’avviso? La carità? Eh pensate: Fra tanti parenti, amici o vicini, v’è finalmente chi dice: Olà, l’infermo fa cammino, va a precipizio, e non si parla ancor di Sacramenti? Che si dirà di voi, padre, madre, figli, consorte, se lo lasciate morir così? Tutti la colpa in faccia al parentado e presso il pubblico sarà la vostra, tutto il vostro il disonore. Ho inteso. L’umano rispetto ottiene la carità. Ma ohimè! il malato è già ai momenti estremi, presto confessori, sacerdoti, Sacramenti: ma il confessore non si trova, non si sa chi sia, o non giunge a tempo, e l’infelice se ne muore senza alcuno spirituale aiuto, senz’alcun sussidio della Chiesa, e senza neppure aver potuto salvare l’apparenza. O parenti crudeli, o nemici del proprio sangue! “Inimici hominis, domestici eius” (Matt. X, 31). – Ah! fedeli amatissimi, imitiamo i pietosi Cafarnaiti in procurare ai nostri infermi la sanità corporale, ma ad esempio di Gesù Cristo siamo assai più solleciti della salute dell’anima, e della loro eterna salvezza. Sia nostra premura l’avvertirli in tempo, acciò possano ben disporsi a ricevere salutarmente i santi Sacramenti, e a noi non resti il rancore di averli abbandonati nel maggior bisogno, la colpa di averli privati di tanto bene, il rimorso della loro forse eterna dannazione.

NO TONSURA – NO PRETE

NO TONSURA – NO PRETE

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Esercitare il sacerdozio cattolico non è certo incarico da nulla, ma proprio perché è ufficio di fondamentale importanza, è regolato da una serie di “momenti” preliminari, definiti nei secoli dalla Chiesa in Concili e Codici, atti che, facendo parte del Magistero irreformabile in eterno, non possono essere da nessuno alterati, o addirittura aboliti. Ci voleva giustamente un falso papa, il sodomita Montini, il beato (leggi: dannato)  della sinagoga di satana, il marrano sedicente Paolo VI, capo degli Illuminati di Baviera del suo tempo, con in petto l’efod del sommo sacerdote della sinagoga e del gran kahal, l’usurpante il soglio di Pietro che, con la complicità delle conventicole massoniche al guinzaglio delle vipere che “odiano Dio e tutti gli uomini”, era stato “impedito” al legittimo eletto, S.S. Gregorio XVII, Giuseppe Siri, per distruggere il momento fondamentale e la cerimonia in cui un laico diventa chierico per così potersi preparare all’ufficio più importante affidato da Dio agli uomini, ufficio che non è stato accordato né agli Angeli, né alla Madre di Dio. Come tutti gli atti del “sommo sodomita”, anche questo è stato mirato per mettere in atto il piano della “ruspa”, cioè l’annichilimento (… si fieri potest) della Chiesa di Cristo, la Chiesa cattolica, l’unica in cui c’è salvezza. Il sommo marrano sapeva bene che eliminare la tonsura, equivaleva ad eliminare il sacerdozio cattolico, al cui posto insediare un finto sacerdozio apostato-modernista, il blasfemo sacerdozio ecumenico-conciliare, sacrilego e per tanti aspetti luciferino, sacerdozio che sta trascinando una infinità di anime nell’abisso della eterna perdizione. – Il finto Pontefice, il sedicente Paolo VI, G.B. Montini, nella Lettera Apostolica Motu Proprio “Ministeria Quidam” del 15 agosto 1972 ha abolito gli ordini minori: Ostiariato, Lettorato Esorcistato ed Accolitato e riguardo alla tonsura così scriveva: “La prima Tonsura non viene più conferita; l’ingresso nello stato clericale è ammesso al diaconato”. Lo stesso apostata marrano, nella lettera Apostolica Motu Proprio “Ad Pascendam” sempre del 15 agosto 1972, non contento della prima performance, per fingere sicurezza agli occhi degli esterrefatti lettori, precisava ulteriormente: “poiché l’ingresso nello stato clericale è differito fino al diaconato, non ha più luogo il rito della prima Tonsura, per il quale in precedenza il laico diventa chierico. Viene, tuttavia, introdotto un nuovo rito, grazie al quale colui che aspira al diaconato e al presbiterato manifesta pubblicamente la sua volontà di offrirsi a Dio e alla Chiesa per esercitare l’ordine sacro; la Chiesa, da parte sua, ricevendo questa offerta, lo sceglie e lo chiama perché si prepari a ricevere l’ordine sacro, e sia in tal modo regolarmente ammesso tra i candidati al diaconato e al presbiterato”. In tal modo un’altra colonna dell’edificio cattolico, veniva demolito da documenti peraltro invalidi ed illeciti, in primo luogo perché proposti in dispregio all’intero Magistero Cattolico, in vigore dalla fondazione della Chiesa, – e nessuno, [de fide], può mai impugnare le decisioni della Sede Apostolica -; e poi perché promulgati da una falsa autorità mai designata dallo Spirito Santo a governare la Chiesa di Cristo. Qui sento già le proteste ed i mugugnii dei modernisti ecumenici contro-cattolici, quelli che adorano i Baal con protestanti, islamici, ebrei e massoni … ma calma, procediamo con ordine, basta semplicemente dare un’occhiata ai documenti accessibili a tutti per capire l’inganno perpetrato sia ai danni di ignari non-sacerdoti, sia ad altrettanto ignari ed ingannati non-fedeli. – Sappiamo infatti dai documenti che esistevano due generi di Tonsura: Quella imposta ai futuri sacerdoti, era la rasura a forma di corona, che era un modo qualsiasi di portare i capelli. Nel primo caso, che è il senso veramente primitivo, la Tonsura non era che un simbolo di adozione. Anticamente, particolarmente, in Roma, l’adozione teneva un posto importante nel diritto privato. – Col progresso dei tempi il modo con cui avveniva quest’adozione ha subito delle variazioni; però una delle forme più in uso spesso tra i popoli che si divisero l’impero romano, fu quella di tagliare qualche ciocca di capelli alla persona adottata. Il nuovo sacerdote non sarà più scelto in una sola tribù, come in antico, perciò era necessario ricorrere ad una vera adozione spirituale per introdurre un giovane nella grande famiglia dei leviti della nuova legge. La Chiesa trovò nella vita civile una forma di adozione e non si curò di cercarne un’altra: l’accettò, la santificò e l’ammise fra le sue istituzioni. La cerimonia della Tonsura lo nobilita e lo separa dalla razza comune e lo pone sotto la sua protezione ornandolo delle proprie insegne. – Fu solo molto più tardi che la tonsura divenne un modo di pettinatura legalmente imposto. – Fino al V secolo, infatti, la Chiesa si limitò a prescrivere ai chierici di portare capelli corti e modesti, avendo così già insegnato S. Paolo; ma non v’è traccia alcuna dell’attuale tonsura. Fu nel VI secolo che, per protesta all’uso barbarico d’arrotondarsi la capigliatura in modo esagerato, ed anche per spirito di umiltà, i monaci cominciarono a radersi completamente. – Questa rasatura totale fu chiamata la “Tonsura di S. Paolo”. I chierici imitarono poco a poco questo esempio; ma per distinguersi dai monaci, e più ancora dai penitenti, lasciarono intorno alla testa una breve corona di capelli, detta “Corona di S. Pietro”. Questa corona man mano si allargò e la parte rasata si restrinse fino a diventar la tonsura attuale. – Tali usanze non presero forme stabili, ma variarono secondo il capriccio d’ognuno. Finalmente, per riportare un po’ d’ordine e far cessare ogni disputa, il IV Concilio di Toledo, tenuto nel 633, i cui atti sono parte integrante del Magistero irreformabile della Chiesa, perché ai suoi lavori parteciparono, come osservatori e relatori, legati pontifici, impose la Tonsura a forma di corona. E’ il primo accenno in un documento ufficiale e magisteriale: e dopo il mille (durante il pontificato di Innocenzo III), divenne regola generale della Chiesa. Il seguito, il clero secolare ridusse poco a poco la Tonsura e non si curò più di dar forma di corona ai capelli. – Il Concilio di Worcester del 1210, credé opportuno stabilire che la Tonsura dovesse variare secondo la dignità dell’Ordine. – E’ chiaro dunque che la Tonsura ha due differenti significati; ed è bello rivelare come le due forme siano conservate e ben combinate nel Cerimoniale tridentino dell’ordinazione. La Tonsura non formava nella Chiesa primitiva un’ordinazione separata, ma precedeva (obbligatoriamente) il conferimento del primo ordine cui si era ammessi. – Fu solamente verso la fine dell’VIII secolo che si incominciò a tonsurare i giovani che si dedicavano al servizio della Chiesa, senza tuttavia compiere alcuna cerimonia sacra. In seguito divenne generale l’uso di dar la Tonsura, senza Ordine alcuno, ad una quantità di adulti, col solo scopo di sottrarli al foro civile e renderli capaci di benefici ecclesiastici. Si videro così quelli che rimasero chierici per tutta la vita, come pure si videro dei chierici ammogliati. Era un abuso che bisognava togliere.

Il codice di Diritto canonico del 1917 prescrive che la Tonsura non si potrà più ricevere se non da coloro che hanno intenzione di arrivare fino al sacerdozio. (can. 973 e 976). Ministro ordinario per il conferimento della tonsura è il proprio vescovo con giurisdizione (can. 955). Ministri straordinari: cardinali ed abati regolari di governo (Can. 957).

tonsura

Tonsura

Senza tonsura, un individuo non può diventare un chierico e solo i chierici sono in grado di essere ordinati, (canoni 108 [qui divinis ministeriis per primam saltem tonsuram mancipati sunt, clerici dicuntur]; 118): solo i sacerdoti possono diventare pastori e ottenere un ufficio, (canoni 154, 453). – Per coloro che, scomunicati da Pio II in “Execrabilis”, aderiscono al “novus ordo”, non c’è più tonsura, pertanto, dal 15 agosto del 1972, coloro che si spacciano, magari anche in buona fede, per sacerdoti sono, canonicamente parlando, esattamente come colui che scrive, cioè dei semplici laici, che però, abusando di oggetti, cerimonie e sacramenti illecitamente, commettono di continuo peccato mortale ed orribili sacrilegi. In particolare i peccati contro lo Spirito Santo [1) – impugnare la verità conosciuta (cioè il Magistero della Chiesa), 2) – l’ostinazione nel peccato e, per la maggior parte, ancora: 3) – l’impenitenza finale e 4). – la presunzione di salvarsi] a condannare, gli incauti falsi consacrati e falsi fedeli, al fuoco eterno come da promessa evangelica del divin Maestro … “il peccato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato né in cielo, né in terra”. – Ai soliti tromboni, ai sommi soloni che sogliono affermare che il Codice Canonico pio-benedettino sia sorpassato, ricordiamo che il codice stesso è parte integrante del Magistero della Chiesa, essendo stato “allegato” alla lettera enciclica di Benedetto XV “Providentissima mater”di Pentecoste del 1917, ove in particolare, benché superfluo, era specificato, per i finti sordi ed i finti ritardati mentali, che al “Codex Juris Canonicus”…. intendiamo attribuire validità perpetua, e promulghiamo il presente Codice, così come è stato redatto, e decretiamo e comandiamo che esso abbia d’ora in poi forza di legge per tutta la Chiesa, e lo affidiamo alla vostra salvaguardia e vigilanza … E addirittura al Concilio di Trento è stata pronunziata sentenza di anatema per chi non riconosce gli ordini minori ed i gradi che progressivamente conducono al Sacerdozio. Evidentemente al marrano usurpante del 1972, nessuno aveva fatto conoscere tale anatema, per cui abolendo tonsura ed ordini minori, incorreva [ma tanto a lui non è che la cosa interessasse più di tanto …] e faceva incorrere direttamente in questo ennesimo anatema, pronunziato in eterno da disposizione irreformabile. Per chi volesse approfondire la questione, già fin troppo chiara, diamo il riferimento documentale, onde evitare spreco di tempo e di … stupidaggini! Concilio di Trento, Sess. XXIII [15 luglio 1563] – Capit. IV – Canoni sul sacram. Dell’Ordine: 2., pag. 742-743, Conciliorum oecumenicorum Decreta – EDB 2013 [imprim. 1962]: “Se qualcuno dirà che oltre al sacerdozio non vi sono nella Chiesa cattolica altri ordini, maggiori e minori, attraverso i quali, come per gradi si tenda al sacerdozio, sia anatema”.

Ma ce n’è anche per i falsi tradizionalisti, per quelli cioè che millantano la purezza della loro fede e dei loro sacramenti, quelli che utilizzano a loro uso e consumo il Magistero, utilizzando cioè ciò che è funzionale al loro vile ed ipocrita agire, occultando, o facendo finta di dubitare di documenti inoppugnabili, con il “difetto” di non adeguarsi alle loro pretestuose illazioni. – Secondo i canoni 107 e 108 del C.J.C., decreti di legge divina, c’è una netta distinzione tra laici e clero. Questa distinzione è contrassegnata dall’ingresso nello stato clericale. Questa entrata garantisce la “vocazione” di un candidato al sacerdozio ad un Vescovo “legittimo” in comunione con il Pontefice Romano, ed il cui Seminario sia stato eretto con ordinanza dello stesso Pontefice e con l’approvazione della Santa Sede. Il rito della tonsura è solo un rito. Non si tratta di un ordine che comporti la necessità della trasmissione apostolica. Il rev. Charles Augustine, nel suo “Commentario di diritto canonico” afferma che la tonsura è chiaramente un atto giurisdizionale che deriva interamente dalla “facoltà giurisdizionale del Vescovo” (can. 957). Un vescovo che non ha mai ricevuto tale giurisdizione, che solo un Papa può conferire, e quindi canonicamente è fuori dalla Chiesa cattolica, non può esercitarlo per conferire la tonsura. Non c’è nessun “tradizionalista” [Nota: i nemici più accaniti del “vero” Papato in esilio], intruppato in fraternità sacrileghe, istituti e pseudo-chiesette varie, o agente da “cane sciolto” liberamente scorrazzante, che oggi possa vantare una missione con “Giurisdizione canonica” e facoltà speciali ricevuta da un Vescovo consacrato sotto Papa Pio XII, l’ultimo Papa validamente eletto che abbia potuto esercitare liberamente il suo ufficio; così tutti questi attuali pretesi, sedicenti “vescovi”, innegabilmente mancano di giurisdizione, che solo può derivare loro dal Romano Pontefice (Papa Pio XII in “Mystici Corporis” e “Ad Sinarum Gentum“).

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La Enciclopedia Cattolica, l’ultima opera cattolica prodotta in Vaticano, quando ancora ivi si praticava il Cattolicesimo, riassume bene la questione:; nell’ultimo volume, il XII, alle coll. 308-309, leggiamo alla voce:

TONSURA.

– Rito sacro istituito dalla Chiesa mediante il quale il fedele battezzato e cresimato col taglio dei capelli e con l’imposizione della cotta, nonché con una formula propria, da laico diventa chierico. – La t. clericale però non è da confondersi con quella monastica o religiosa, mediante la quale il candidato si separa dal mondo per dedicarsi allo stato religioso. Questa si conferisce anche alle novizie e non si amministra con la formula propria della t. chiericale. – La t. non è un ordine, ma un rito che precede gli Ordini sacri, come si rivela chiaramente dal Concilio di Trento (Sess. XXIII cap. 2 De Sacram. Ordinis e cap. 6 De Reformat.; sess. XIV, cap. 2 De Ref.). – Quanto alla forma della t., quella romana aveva la forma di una corona, quella celtica invece di una mezza corona, in quanto i celti, ecclesiastici e monaci, si radevano tutta la parte anteriore della testa da un orecchio all’altro lasciando una striscia di capelli sulla fronte. Tale originale t. suscitò vivaci polemiche nel sec. VII tra celti e missionari cattolici inviati da Roma per l’evangelizzazione degli Angli. La t., che, all’inizio, si conferisce col primo ordine, dal secolo VII se ne separa, dapprima soltanto per i bambini, poi anche per gli adulti; e la prassi d’iniziazione degli adulti, mediante la t., allo stato clericale fu approvata dalla Chiesa e riservata al Vescovo (cap. 11. X de aetate 1, 14 Decr., Innoc. III); dal quale testo risulta che tale prassi fu universalmente ammessa fin dal sec. XII e ritenuta, a parte quanto riguarda l’età anche dal Concilio di Trento.

DIRITTO VIGENTE. – Ministro ordinario per il conferimento della t. è il proprio vescovo (can. 955) ai sensi del canone 956. Ministri straordinari nel diritto antico erano soltanto i cardinali preti nei loro titoli; nel diritto vigente sono tutti i cardinali (can. 239 § 1, n. 2) e non solo per i chierici dei loro titoli, ma per tutti, purché s’intende, muniti delle dimissorie del proprio Ordinario. Sono inoltre ministri straordinari della t. gli abati regolari di governo, quantunque senza territorio, purché siano sacerdoti, abbiano ricevuto la benedizione abbaziale e si tratti dei loro sudditi, in virtù della professione almeno semplice (can. 625), pena la nullità, salvo che l’abate non sia insignito del carattere episcopale (can. 957 § 2). – Quanto ai requisiti da parte del candidato, il can. 973 C.I.C. stabilisce: la t. e gli ordini minori si conferiscono soltanto a coloro che intendono farsi preti e si prevedono degni (cfr. l’istruzione della S.C. dei Sacramenti del 27 dic. 1930: A.S.S., 23 [1931], p . 12° e segg. circa la petizione del candidato da esibirsi al rettore del seminario due mesi prima dell’Ordinazione). Requisiti questi che, oltre quelli richiesti ad validitatem (can. 968 § 1), devono riscontrarsi con altri espressamente indicati (can. 974), per la liceità di ogni ordinazione. Per l’età del tonsurando la disciplina immediatamente anteriore al C.J.C. stabiliva il settennio completo (C.41,9 in 60; Conc. Trid., sess. XXIII, c. 4 De reform. Pontificale Romanum: De ordinibus conferendis). In alcuni luoghi, però, per diritto particolare, si richiedeva l’età di 14 anni. Nel diritto vigente nessuna età è stabilita direttamente; è sancito però che la t. non si può conferire prima dell’inizio del corso teologico, per il chierico sia secolare, sia religioso (can. 976 § 1). Mediante la t., che esprime la rinuncia al mondo e la consacrazione a Dio, il laico diventa chierico (can. 108 § 1) e viene incardinato automaticamente a quella diocesi per il servizio della quale è stato tonsurato (can. 111 § 2);: vien fatto capace di giurisdizione e di ricevere benefici c5 § 1, 119 § 3); acquista i diritti e privilegi propri dei chierici (cann. 119-23); può fare da suddiacono, per quanto senza manipolo, nella Messa solenne; è tenuto a speciali doveri (cann. 124-25 ecc.) ed a portare la t., salvo le consuetudini particolari; e ad evitare ogni ricercatezza nella chioma (can. 136). Se i chierici minori smettano l’abito e la t. ed ammoniti non si emendino, dopo un mese decadono dallo stato clericale salvo il disposto del can. 2379 e del can. 188, 7. – La prima t. si può conferire in qualunque giorno ed ora (Can. 1006 § 4) ed anche negli oratori privati (can. 1009 § 3). Il rito della t., come viene descritto nel Sacramentario Gregoriano, che riporta la disciplina del sec. VIII consta del taglio dei capelli e dell’invito ai fedeli perché invochino dal Signore la grazia per il nuovo chierico. Il rito odierno è descritto dal Pontificale Romanum nel titolo: De ordinibus conferendis et de clerico faciendo. – Il rito essenziale comprende il taglio delle estremità dei capelli in cinque parti del capo: cioè sulla fronte, sull’occipite, sulle due orecchie, ed in mezzo alla testa, accompagnato con le parole « Dominus pars hereditatis meae et calicis mei tu es qui restitues hereditatem meam mihi ». – Se invece poi dei capelli veri si tagliano quelli della “coma adscititia”, il conferimento della t. è dubbio e, perciò, deve chiedersi la sanatoria o deve ripetersi sotto condizione. – Non appartiene certo all’essenza del rito l’imposizione della cotta con formula « Induat te Dominus » ecc. – La t. è un sacramentale. [Innocenzo Parisella].

A questo punto, come bambini davanti al pallottoliere, cerchiamo di capire quanto fa “1 + 1”. Chiunque sia stato ordinato sacerdote dopo il 15 agosto del 1972, non ha mai posseduto e non possiede un ordine valido, poiché non gli è stata imposta la propedeutica indispensabile tonsura. I sacerdoti consacrati previa tonsura, secondo le leggi della Chiesa cattolica, prima del 1968 sono sicuramente “veri” sacerdoti, anche se scomunicati da “execrabilis” per aver aderito al conciliabolo ribaltone, il cosiddetto Concilio Vaticano II; per quelli ordinati tra il 1968 ed il 1972 resta da vedere se la loro ordinazione sia stata effettuata da un Vescovo “vero” – ordinato cioè a sua volta prima del 18 giugno 1968, data della promulgazione del falso rito montiniano officiato con formula eretica ed assolutamente invalida – , oppure da un “finto” vescovo invalido ordinato dopo la data “spartitraffico” sopra riportata. In ogni caso, salvo l’ordinazione di qualche superstite ottuagenario, al quale ricorrere in “articulo mortis” per confessione ed estrema unzione, il sacerdozio cattolico è praticamente scomparso, sostituito da carnevaleschi, pittoreschi “laici” modernisti, che non possiedono alcun ordine, giurisdizione né missione canonica, e quindi nessuna facoltà né di celebrare il Sacrificio eucaristico, né di amministrare sacramenti. Si tratta, canonicamente parlando, e ci piange il cuore il doverlo dire, di zombi sacrileghi. Ecco a cosa è giunto il tradimento di Giuda, dei tanti Giuda Iscariota che non hanno mai preso posizione, conniventi traditori mai ribellati agli inganni palesi e che, per tenere le posizioni acquisite, hanno preferito obbedire agli uomini e ai Baal, piuttosto che a Dio, causando la rovina eterna di un numero immenso ed incalcolabile di anime. Preghiamo allora le Vergine Maria, la Madre di Cristo e la Madre nostra, con il santo Rosario quotidiano, affinché il suo Cuore Immacolato trionfi quanto prima, come da promessa profetica, onde occupi il legittimo soglio e visibilmente il successore di S. Pietro, attualmente “impedito” ed esiliato, e vi sia un rinnovato splendore per la Chiesa Cattolica, l’unica vera Chiesa di Gesù-Cristo, nella quale unicamente c’è salvezza eterna.

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“Et Ipsa conteret caput tuum!”

FESTA DEI SETTE DOLORI DELLA BEATA VERGINE

Due feste della Madonna: Natività e Addolorata.

[Dom Guèranger: l’Anno liturgico, vol. II]

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Dopo il ricordo dell’infanzia di Maria, ecco che la Chiesa subito ci invita a meditare sui dolori, che segnarono la vita della Madre del Messia, Corredentrice del genere umano. Mentre il giorno della nascita consideravamo la grazia, la bellezza della Bambina che era nata non ci si presentava il pensiero del dolore, ma se ci fossimo posta la domanda: « Che cosa sarà mai di questa bambina? » avremmo veduto che se tutte le nazioni dovevano un giorno proclamarla beata, Maria doveva prima soffrire con il Figlio per la salvezza del mondo.

La sofferenza di Maria.

Maria stessa ci invita, con la voce della Liturgia, a considerare il suo dolore: « Voi tutti che passate per la strada guardate e vedete e dite se vi è dolore simile al mio… Dio mi ha posta e come stabilita nella desolazione » (Ger. Lamentazioni, 1, 12-13). Il dolore della Santa Vergine è l’opera di Dio. Predestinandola ad essere Madre del Figlio suo, l’ha unita in modo indissolubile alla persona, alla vita, ai misteri, alla sofferenza di Gesù, perché fosse cooperatrice fedele nell’opera della redenzione, e tra il Figlio e la Madre doveva esservi comunità perfetta di sofferenze. Quando una madre vede che il figlio soffre, soffre con lui e sente, per riverbero, ciò che egli prova e Maria ha sentito nel suo cuore tutto ciò che Gesù ha sofferto nel suo corpo per gli stessi fini, con la stessa fede e con lo stesso amore. « Il Padre e il Figlio, disse Bossuet, dividono per l’eternità la stessa gloria e la Madre e il Figlio dividono nel tempo le stesse sofferenze; il Padre e il Figlio una stessa sorgente di gioia, la Madre e il Figlio uno stesso torrente di amarezza; il Padre e il Figlio lo stesso trono, la Madre e il Figlio la stessa croce. Se si crivella di colpi il corpo di Gesù, Maria ne sente tutte le ferite, se si trafigge la sua testa con le spine, Maria è straziata da tutti quegli aculei, se gli presentano il fiele e aceto. Maria ne beve tutta l’amarezza, se si stende il corpo sulla croce. Maria ne soffre tutto il tormento » (Discorso per la Compassione. Opere orat., II, p. 472).

La Compassione.

La comunione di sofferenze tra il Figlio e la Madre ci spiega perché è stato scelto il termine Compassione per esprimere i dolori di Maria. Compassione è l’eco fedele, è il contraccolpo della Passione. Patire è soffrire e compatire qualcuno è soffrire con lui, è risentire nel proprio cuore, come se fossero nostre, le sue pene, le sue tristezze, i suoi dolori. La Compassione fu così per la Santa Vergine la comunione perfetta con le sofferenze e la Passione del Figlio e con le disposizioni che lo animavano nel suo sacrificio.

Perché Maria soffre.

Parrebbe che Maria, concepita senza peccato, ignara di ogni male morale, non avrebbe dovuto soffrire. Se Dio, che tanto ama il Figlio, gli diede la sofferenza in eredità, bisogna che la sofferenza sia un bene notevole, ma siccome, dopo il Figlio ama la Santissima Vergine più che tutte le altre creature, anche a Lei l’ha offerta come il più ricco dei doni. Del resto unita come era al Figlio, era opportuno e in certo modo necessario che Maria provasse la sofferenza e la morte, perché noi imparassimo da Lei, come dal Figlio, ad accettare la sofferenza, che Dio permette per il nostro maggior bene. – Maria si offrì liberamente, unì volontariamente il suo sacrificio e la sua obbedienza al sacrificio e all’obbedienza del Figlio Gesù, per portare con lui tutto il peso della espiazione richiesta dalla giustizia divina e non ha sentito i dolori del Figlio solo per simpatia, ma è entrata nella Passione realmente con tutto il suo essere, con il cuore, con l’anima, con l’amore più vivo, con la più serena tranquillità, ha sofferto nel cuore quanto Gesù ha sofferto nella carne e vi sono teologi che affermano che abbia sentito anche nel corpo le stesse sofferenze provate da Gesù nel suo e, dato che alcuni Santi hanno avuto l’onore di tale privilegio, ci è permesso pensare che anche Maria lo abbia avuto.

La sofferenza di Maria viene da Gesù.

La sofferenza di Maria non comincia solo sul Calvario. La sua infanzia fu senza dubbio tranquilla ed esente da pene. La sofferenza cominciò con Gesù « questo bambino molesto, dice Bossuet, perché dove entra, entra con la sua croce, porta con sé le spine, e le divide con quelli che ama » (Panegirico di san Giuseppe, t. II, 137) «Causa dei dolori di Maria, dice ancora Mons. Gay, è Gesù. Tutto quello che soffre viene da Gesù, si riferisce a Gesù, ha la sua ragione di essere, il suo fondamento in Gesù» (41.a Conferenza alle Madri Cristiane, t. II, 199). La solennità di oggi, che ci presenta Maria al Calvario, ci ricorda, insieme con il dolore supremo, tutti gli altri noti ed ignoti, che riempirono la vita della Santa Vergine. La Chiesa si è fermata a considerarne sette solo, perché questo numero esprime sempre l’idea della totalità e dell’universalità e, nel responsorio del Mattutino richiama in modo particolare i sette dolori che le procurarono la profezia del vecchio Simeone, la fuga in Egitto, la perdita di Gesù a Gerusalemme, il trasporto della croce, la crocifissione, la deposizione dalla croce e la sepoltura del divin Figlio, dolori che fecero veramente di lei la Regina dei martiri.

Regina dei martiri.

Con questo bel titolo la saluta la Chiesa nelle litanie. « Che abbia veramente sofferto, dice san Pascasio Radberto, lo afferma Simeone quando le dice: Una spada trapasserà la tua anima. Di qui è evidente che supera tutti i martiri, perché gli altri hanno sofferto per Cristo nelle loro carni, ma non hanno sofferto nella loro anima, che è immortale, mentre Maria ha sofferto in questa parte di sé, che è impassibile, la sua carne ha sofferto, per così dire, spiritualmente la spada della Passione di Cristo ed è così più che martire. – Avendo amato più di tutti, più di tutti ha sofferto e la violenza del dolore trapassò la sua anima, ne prese possesso a testimonianza del suo amore indicibile. Avendo sofferto nella sua anima, fu più che martire, perché il suo amore, più forte della morte, fece sua la morte di Cristo » (Lettera sull’Assunzione, n. 14. P. L. 30, 138).

Il suo amore, causa di sofferenza.

Per misurare l’estensione e l’intensità della sofferenza della Santissima Vergine, bisognerebbe capire quale fu il suo amore per Gesù. Fu amore ben diverso da quello dei Santi e dei martiri. Questi soffrono per Cristo, ma il loro amore addolcisce i tormenti e qualche volta li fa dimenticare. In Maria niente di tutto questo: il suo amore aumenta la sofferenza. « Natura e grazia, dice Bossuet, concorrono a determinare nel cuore di Maria impressioni profondissime. – Nulla è più forte e più pressante dell’amore naturale per un figlio e dell’amore che sa dare la grazia per Dio. I due amori sono due abissi dei quali non si penetra il fondo, né si comprende l’immensità… » (Discorso sull’Assunzione, t. Ili, 493).

La sofferenza è gioia per Maria.

Ma, se l’amore è per Maria sorgente di sofferenza, è pure sorgente di gioia. Perciò soffrì sempre con calma inalterabile e grande forza d’animo. Meglio di san Paolo, Maria sapeva che nulla, neppure la morte, l’avrebbe separata dall’amore del suo Figlio, suo Dio. Il santo Papa Pio X scriveva che « nell’opera suprema si vide la Vergine ritta presso la croce, oppressa senza dubbio dall’orrore della scena, ma tuttavia felice e gioiosa, perché il Figlio si immolava per la salvezza del genere umano » (Encicl. Ad diem Ubimi 2 febbraio 1904). Più di san Paolo, Maria sovrabbondava di gioia in mezzo al dolore. In lei, come in Gesù, salve le proporzioni, la gioia più profonda sta insieme alla sofferenza più grande che creatura di quaggiù possa sopportare. Maria ama Dio e la divina volontà più di ogni altra cosa al mondo e sa che sul Calvario si compie questa volontà, che la morte del Figlio offre a Dio il riscatto che Dio esige per la redenzione degli uomini, i quali le sono lasciati come figli suoi e li amerà e già li ama come ha amato Gesù.

Riconoscenza verso Maria.

Disse sant’Alberto Magno: « Come il mondo tutto è debitore di nostro Signore Dio, così lo è della Vergine per la sua Compassione » (Questione Super Missus, 150). Conosciamo oggi meglio, o Maria, che cosa hai fatto per noi e quanto ti dobbiamo. Tu ti lamentasti perchè « guardando gli uomini e cercando fra essi quelli che ricordavano il tuo dolore e ti compativano ne trovasti troppo pochi ». (Santa Brigida, Rivelazioni, 1. II c. 24). Non vogliamo aumentare il numero dei figli ingrati e ci uniamo perciò alla Chiesa nel ricordare le tue sofferenze e mostrarti la nostra gratitudine. Sappiamo, o Regina dei martiri, che una spada di dolore ti trapassò l’anima e che solo lo Spirito di vita e di consolazione poté sostenerti e fortificarti nel momento della morte di tuo Figlio. – Sappiamo soprattutto che, se Tu hai salito il Calvario, se tutta la tua vita, come quella di Gesù, fu un lungo martirio, ciò avvenne perché tu dovevi compiere presso il Redentore e in unione con Lui il ruolo che la nostra prima madre, Eva, compì presso Adamo nella nostra caduta. Tu con Gesù ci hai riscattati, con Lui e in dipendenza da Lui, hai meritato de congruo, per convenienza, la grazia che Egli meritò de condigno, in giustizia, per ragione della sua dignità infinita. Ti salutiamo così, con amore e riconoscenza, « nostra Regina, Madre di misericordia, nostra vita e nostra speranza» e, sapendo che la nostra salvezza è nelle tue mani, ti consacriamo tutta la nostra vita, perché, sotto la tua potente protezione, con la tua materna guida, possiamo raggiungerti nella gloria del Paradiso ove, con il Figlio, vivi, incoronata e felice per sempre. Così sia.

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Maria corredentrice.

Oh, grandezza della nostra nuova Giuditta fra le creature! « Dio, nota il Padre Faber, pare scelga in sé le cose più incomunicabili per comunicarle in modo misterioso a Maria. Vedete come già l’ha posta nei disegni eterni dell’universo del quale la rende quasi causa e parzialmente tipo. La cooperazione della Santa Vergine alla salvezza del mondo ci presenta un aspetto nuovo della sua magnificenza. Né l’Immacolato Concepimento, né l’Assunzione ci danno un’idea più alta di Maria del titolo di Corredentrice. I suoi dolori non erano alla Redenzione necessari, ma nel pensiero di Dio ne erano inseparabili e appartenevano alla integrità del piano divino. I misteri di Gesù non sono forse i misteri di Maria e i misteri di Maria non sono i misteri di Gesù? La verità sembra essere questa: I misteri di Gesù e quelli di Maria sono per Dio un solo mistero. Gesù stesso è il dolore di Maria sette volte ripetuto, sette volte ingrandito. – Nelle ore della Passione, l’offerta di Gesù e quella di Maria erano una sola offerta e, sebbene diverse per dignità e valore, erano simili per le disposizioni, avevano lo stesso ritmo, lo stesso profumo ed erano consumate dallo stesso fuoco: oblazione simultanea fatta al Padre da due cuori senza macchia, per i peccati di un mondo colpevole del quale si erano liberamente addossati i demeriti » (Il piede della Croce, IX, 1, 2). Uniamo le nostre lacrime ai tormenti di Gesù e al pianto di Maria. Nella misura in cui l’avremo fatto in questa vita, potremo poi, col Figlio e con la Madre, godere in cielo.

Sequentia

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Stabat Mater dolorósa

Iuxta Crucem lacrimósa, Dum pendébat Fílius. Cuius ánimam geméntem, Contristátam et doléntem Pertransívit gládius. O quam tristis et afflícta Fuit illa benedícta Mater Unigéniti! Quæ mærébat et dolébat, Pia Mater, dum vidébat Nati poenas íncliti. Quis est homo, qui non fleret, Matrem Christi si vidéret In tanto supplício? Quis non posset contristári, Christi Matrem contemplári Doléntem cum Fílio? Pro peccátis suæ gentis Vidit Iesum in torméntis Et flagéllis súbditum. Vidit suum dulcem Natum Moriéndo desolátum, Dum emísit spíritum. Eia, Mater, fons amóris, Me sentíre vim dolóris Fac, ut tecum lúgeam. Fac, ut árdeat cor meum In amándo Christum Deum, Ut sibi compláceam. Sancta Mater, istud agas, Crucifixi fige plagas Cordi meo válida. Tui Nati vulneráti, Tam dignáti pro me pati, Poenas mecum dívide. Fac me tecum pie flere, Crucifíxo condolére, Donec ego víxero. Iuxta Crucem tecum stare Et me tibi sociáre In planctu desídero. Virgo vírginum præclára. Mihi iam non sis amára: Fac me tecum plángere. Fac, ut portem Christi mortem, Passiónis fac consórtem Et plagas recólere. Fac me plagis vulnerári, Fac me Cruce inebriári Et cruóre Fílii. Flammis ne urar succénsus, Per te, Virgo, sim defénsus In die iudícii. Christe, cum sit hinc exíre. Da per Matrem me veníre Ad palmam victóriæ. Quando corpus moriétur, Fac, ut ánimæ donétur Paradísi glória. Amen.

[trad. in versi del sac. G. Riva, 1888, impr.]

Stava Maria dolente

Senza respiro e voce,

Mentre pendeva in croce,

Del mondo il Redentor.

E nel fatale istante

Crudo Materno affetto,

Le trafìggeva il petto,

Le lacerava il cor.

Qual di quell’alma bella

Fosse lo strazio indegno.

No, che l’umano ingegno,

Immaginar nol può.

Qual madre mai provò?

Alla funerea scena

Chi tiene il pianto a freno

Ha un cor di tigre in seno

0 cuore in sen non ha:

Chi può mirare in tante

Pene una madre, un figlio

E non bagnare il ciglio,

E non sentir pietà?

Per cancellare i falli

D’un popol empio, ingrato,

Vide Gesù piagato

Languire e spasimar:

Vide sul monte infame

Il figlio suo diletto –

Chinar la fronte al petto

E l’anima esalar

0 dolce Madre, o pura,

Sorgente di dolore,

Parte del tuo amore,

Fa’ che mi scenda al cor.

Fa’ che ogni ardor profano

Sdegnosamente io sprezzi,

Che a sospirar m’avvezzi

Sol di celeste ardor.

Le barbare ferite,

Prezzo del mio delitto,

Dal tiglio tuo trafitto,

Passino, o Madre, in me.

A me dovuti sono

Gli strazj ch’Ei soffrìo;

Deh! fa che possa anch’io

Piangere almen con Te,

Teco si strugga in lagrime

Quest’anima gemente:

E se non fu innocente,

Terga il suo fallo almen.

Teco alla Croce accanto

Star, cara Madre, io voglio;

Compagno del cordoglio

Che ti divora il sen.

Ah t u che delle vergini

Regina in ciel t’assidi

Ah t u propizia arridi

Ai voti del mio cor!

Del buon Gesù spirante

Sul fero tronco esangue,

La croce, il fiele, il sangue

Fa ch’io rammenti ognor.

Del Salvator rinnova

In me lo scempio atroce,

Il sangue, il fiel, la croce,

Tutto provar mi fa

Ma nell’estremo giorno,

Quand’Ei verrà sdegnato.

Rendalo a me placato.

Maria la tua pietà.

Gesù che nulla nieghi

A chi tua madre implora.

Del mio morir nell’ora,

Non mi negar mercè.

E quando ria disciolto

Dal suo corporeo velo,

Fa che il mio spirito in cielo

Voli a regnar con Te.

 

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LITANIE DELL’ADDOLORATA .

Signore, misericordia di noi.

Gesù Cristo, misericordia di noi

Signore, misericordia di noi.

Gesù Cristo, ascoltateci.

Gesù Cristo, esauditeci.

Dio Padre, dall’alto de’ cieli, pietà, di noi.

Dio Spirito Santo, pietà di noi.

Santissima Trinità, unico Dio, pietà di noi.

Santa Maria, ………………… pregate per noi.

Santa Genitrice di Dio, ….

Santa Vergine de’Vergini, ….

Madre crocifissa, ….

Madre dolorosa, ….

Madre lagrimosa, ….

Madre afflitta, ….

Madre desolata, ….

Madre derelitta, ….

Madre orbata del Figlio, .…

Madre trafitta da spada, ….

Madre ricolma di sciagure, ….

Madre ripiena d’angustie, ….

Madre col cuore confitto in croce, ….

Madre mestissima, ….

Fonte di lagrime, ….

Cumolo di patimenti, ….

Specchio di pazienza, ….

Rupe di costanza, ….

Ancora di confidenza, ….

Rifugio de’ derelitti, ….

Scudo degli oppressi, ….

Debellatrice degli increduli, ….

Sollievo dei miseri, ….

Medicina dei languenti, ….

Fortezza dei deboli, ….

Porto dei naufraghi, ….

Sedatrice delle procelle, ….

Asilo dei dolenti, ….

Terrore degli insidiatori, ….

Tesoro dei fedeli, ….

Occhio dei profeti, ….

I Sostegno degli Apostoli, ….

Corona de’ martiri, ….

Lume de’ confessori, ….

Gemma delle vergini, ….

Consolazione delle vedove, ….

Allegrezza di tutti i santi, ….

Agnello di Dio che togliete i peccati del mondo:

perdonateci , o Signore.

Anello di Dio che togliete i peccati del mondo:

esauditeci, o Signore.

Agnello di Dio che togliete i peccati del mondo:

abbiate pietà di noi.

 

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In piedi presso la Croce.

« Stabat iuxta crucem ». Bisogna mettersi ben vicini alla Croce e bisogna essere in piedi. In piedi, perchè questo è l’atteggiamento del coraggio e perché si resta così più vicini al Signore. Unico modo per fare questo è essere con la Santa Vergine. Non si potranno mai unire le due prime parole alla terza senza il tecum, se ciò non avviene con Maria e in Maria. La Croce è troppo spaventosa. Lo stabat di Maria, è dominato da quello di Gesù, elevato sopra la terra, che tutto attira a sé, appunto perché elevato sopra la terra. – Maria è in piedi per essere il tratto di unione… la Mediatrice. La sua testa e il suo cuore sono alti, per essere vicini al Figlio, i suoi piedi toccano la nostra terra, per essere vicino a noi, che siamo pure suoi figli. È in piedi, perché è nostra Madre: «Ecco, tua Madre» e Maria può dire come Gesù: « Trarrò tutto a me, come madre ». Per il mistero della Croce, tutta l’umanità è attirata a Gesù e a Maria…

(P. Dehau, La Compassione della Vergine).

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CORONINO DEL CUORE ADDOLORATO

… cui Pio VII, 14 Genn. 1815, concesse 300 giorni d’indulgenza a chi la reciterà divotamente e con cuore contrito.

I . Vi compatisco, addolorata Maria, per quell’afflizione che il vostro tenero cuore soffri nella profezia del santo vecchio Simeone. Cara Madre, pel vostro cuore così afflitto, impetratemi la virtù dell’Umiltà, il dono del santo timor di Dio. Ave.

II . Vi compatisco, addolorata Maria, per quell’angustie che il vostro sensibilissimo cuore soffrì nella fuga e dimora in Egitto. Cara Madre, pel vostro cuore tanto angustiato, impetratemi la virtù della Liberalità specialmente verso de’ poveri, e il dono della Pietà. Ave.

III. Vi compatisco, addolorata Maria, per quegli affanni che il sollecito cuor vostro provò nella perdita del vostro caro Gesù. Cara Madre, pel vostro cuore sì fattamente agitato, impetratemi la virtù della Castità, e il dono della Scienza. Ave.

IV. Vi compatisco, addolorata Maria, per quella costernazione che il vostro materno cuore sentì nell’incontrar Gesù che portava la croce. Cara Madre, per l’amoroso vostro cuore in tal guisa travagliato, impetratemi la virtù della Pazienza e il dono della Fortezza. Ave.

V. Vi compatisco, addolorata Maria, per quel martirio che il vostro cuor generoso sostenne nell’assistere a Gesù agonizzante. Cara Madre, pel cuor vostro in tal modo martirizzato, impetratemi la virtù della Temperanza, e il dono del Consiglio.

VI. Vi compatisco, addolorata Maria, per quella ferita che il pietoso cuor vostro soffrì nella lanciata che squarciò il costato di Gesù, e ferì l’amabilissimo suo Cuore. Cara Madre, per il cuor vostro in tal maniera trafitto, impetratemi la virtù della Carità fraterna, e il dono dell’Intelletto. Ave.

VII. Vi compatisco, addolorata Maria, per quello spasimo che l’amantissimo vostro cuore sperimentò nella sepoltura di Gesù. Cara Madre, pel sacro vostro cuore in estremo rammaricato, impetratemi la virtù della Diligenza, e il dono della Sapienza. A. G. !

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CONSACRAZIONE E PROTESTA

O cara mia Madre, Maria, io mi metto nel vostro abilissimo Cuore con tutta la confidenza e tenerezza di cui sono capace. Voi sarete l’oggetto più caro del mio amore e della mia venerazione. A voi che siete la depositaria e la dispensatrice di tutti i celesti tesori, io ricorrerò prontamente nelle mie agitazioni per tranquillarmi, ne’ miei dubbii per illuminarmi, ne’ miei pericoli per esser difeso in tutti quanti i miei bisogni ed ottenere da voi soccorso. Voi siate adunque il mio rifugio, la mia forza, la mia consolazione. Quando poi sarà venuto il momento del mio trapasso, ricevete gli ultimi sospiri del mio cuore, ottenetemi un posto nel celeste soggiorno, in cui tutti i cuori uniti loderanno ed esalteranno per sempre il Cuore adorabile di Gesù Cristo insieme al Cuore sempre amabile di voi, che ne siete la Madre.

I sette dolori della Madonna

Mater Dolorosa

Memorare Triste.

Ricordatevi, o Vergine Maria, la più triste delle afflitte figlie di Eva, non si è mai udito in ogni tempo, che alcuno implorando nella sofferenza il vostro aiuto, non sia riuscito ad ottenere la vostra compassione e protezione. Animato da tale confidenza, a voi, o Regina dei martiri e Vergine Madre, vengo, come peccatore contrito, piangendo ed in ginocchio. O madre di Gesù crocifisso, non disprezzate la mia voce supplichevole, ma ascoltate ed esaudite la mia preghiera. Amen.

[Fonte: Manuale di devozioni in onore dei sette dolori della B.V. Maria, di p. Sebastiano del Santissimo Sacramento, 1868.]

I SETTE DOLORI DELLA BEATA VERGINE MARIA
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La Beata Vergine Maria dona sette grazie alle anime che La onorano pregando quotidianamente sette Ave Maria e meditando sulle sue lacrime e i suoi dolori. La devozione fu trasmessa da S. Brigida.

Le sette grazie che la Beata Vergine concederà a chi in suo onore ogni giorno reciterà 7 Ave Maria e mediterà sui suoi dolori:

  1. Concederà pace alle loro famiglie.
  2. Saranno illuminati circa i misteri divini.
  3. Li consolerà nelle loro pene e li accompagnerà nel loro lavoro.
  4. Darà loro tutto quanto chiedono, purché non si opponga alla volontà adorabile del suo Figlio divino o alla santificazione delle loro anime.
  5. Li difenderà nelle loro battaglie spirituali contro il nemico infernale e li proteggerà in ogni istante della loro vita.
  6. Li aiuterà visibilmente nel momento della loro morte, quando vedranno il volto della loro Madre.
  7. “Ho ottenuto dal mio divino Figlio, che coloro che propagano questa devozione alle mie lacrime e dolori, saranno prelevati direttamente da questa vita terrena per la felicità eterna, poiché tutti i loro peccati saranno perdonati e mio Figlio ed Io saremo la loro gioia e la consolazione eterna”.

MEDITAZIONI SUI SETTE DOLORI

sept. 2

 La profezia di Simeone

“E Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua Madre: “Ecco questo bambino è posto per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione; anzi a te pure una spada tra­passerà l’anima, affin­ché vengano svelati i pensieri di molti cuori”. – (Luca II, 34-35).

Meditazione: Quanto grande è stato il colpo al cuore di Maria nel sentire le dolorose parole con cui San Simeone preannunziava la passione e la morte del suo dolce Gesù, tanto amara, dato che in quello stesso momento Lei ha visto nella sua mente tutti gli insulti, i vilipendi ed i tormenti che uomini empi dovevano procurare al Redentore del mondo. Ma una spada ancora più tagliente ha trafitto la sua anima: il pensiero dell’ingratitudine degli uomini verso il suo amato Figliuolo. Considerate ora che a causa dei vostri peccati, siete ancor voi infelicemente tra questi ingrati. (Ave Maria)

 La fuga in Egitto

“Par­titi che furono quelli, ecco, un Angelo del Si­gnore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: « Alzati, prendi il Bam­bino e sua Madre, fug­gi in Egitto, e restaci finché non t’avviserò, perché Erode cercherà il Bambino per farlo morire ». Egli si alzò e, di notte, prese il Bambino e sua Madre, si ritirò in Egitto, e vi rimase fino alla mor­te di Erode. [Marco. II, 13-14].

Meditazione: Considera il dolore tagliente che Maria ha provato quando San Giuseppe viene avvertito da un Angelo che deve fuggire di notte, al fine di preservare il suo Figlio amato dalla strage decretata da Erode. Quale angoscia ha provato nel lasciare la Giudea, per timore di poter essere raggiunta dai soldati del crudele re! Quanto grandi le sue privazioni in quel lungo viaggio! Quali sofferenze patisce in quella terra di esilio, quali dolori in mezzo a quella gente schiava dell’idolatria! Ma considerate voi quante volte avete rinnovato quell’amaro dolore di Maria, quando i vostri peccati hanno obbligato il suo Figlio a fuggire dal vostro cuore. (Ave Maria)

 3. la perdita del Bambino Gesù al tempio

“Or, quando egli giunse al­l’età di dodici anni, re­catisi a Gerusalemme, secondo il rito della fe­sta, e terminati quei giorni, al loro ritorno, il fanciullo Gesù rima­se a Gerusalemme; ma i suoi genitori non se ne accorsero. Sicché, cre­dendo ch’Egli fosse tra i compagni di viaggio, fecero una giornata di cammino, poi andavano cercandolo fra i paren­ti e i conoscenti. Ma, non avendolo trovato, ritornarono a Gerusa­lemme in cerca di lui. E avvenne che, dopo tre giorni, lo ritrovaro­no nel tempio, seduto in mezzo ai dottori ad ascoltarli e interrogar­li”. [Luca II, 42-45].

Meditazione: Come pieno di terrore doveva essere il dolore di Maria, quando Ella ha temuto di perdere il suo amato Figlio! Ed ancora maggiore è stato il suo dolore quando, avendolo cercato diligentemente tra i parenti e i conoscenti, non riusciva ad avere alcuna notizia di Lui. Non ci sono stati in Lei ostacoli, né stanchezza, né pericoli; ma i genitori, immediatamente tornati a Gerusalemme, per tre lunghi giorni Lo hanno cercato angosciati. Grande sia la tua confusione, anima mia, ché così spesso hai perso il tuo Gesù per i tuoi peccati e non hai avuto alcuna premura nel cercarLo una sola volta, segno che rende di molto poco o di nessun conto del prezioso tesoro dell’amore divino. (Ave Maria)

4. L’incontro di Gesù e Maria sulla via della Croce

“Lo seguiva una grande moltitudine di gente, di donne che si battevano il petto e si lamentavano su di Lui”. [S. Luca XXIII, 27].

Meditazione: Venite, o voi peccatori, venite a vedere se si può sopportare una vista così triste. Questa Madre, così tenera ed amorevole, incontra il suo Figlio amato, Lo incontra in mezzo ad empia gentaglia che Lo trascina in una morte crudele, ferito, lacerato da flagelli, coronato di spine, ricoperto di sangue, sotto il peso di una pesante croce. Ah, considera, anima mia, il dolore della Beata Vergine nel contemplare così il suo Figliuolo! Chi non avrebbe pianto nel vedere il dolore di questa Madre? Ma chi è stato la causa di tale dolore? Io, sono io, che con i miei peccati ho così crudelmente ferito il cuore della mia Madre dolente! E ancora non mi commuovo; sono duro come una pietra, mentre il mio cuore dovrebbe sciogliersi in lacrime per la mia ingratitudine. (Ave Maria)

5. La crocifissione

“Ora, presso la croce di Gesù stavano sua Ma­dre e la sorella di sua Madre (… ), Gesù dunque, vedendo sua Madre e lì pre­sente il discepolo che Egli amava, disse a sua Madre: «Donna, ecco il tuo figlio: Poi disse al discepolo: « Ecco la tua Madre ». E da quel momento il discepolo la prese con sé” [Giovanni XIX, l8-25-27].

Meditazione: Guarda, anima devota, guarda verso il Calvario, sul quale sono stati eretti i due altari del Sacrificio, uno sul Corpo di Gesù, l’altro sul Cuore di Maria. Triste è la vista di quella cara Madre annegata in un mare di desolazioni nel vedere il suo amato Figlio, parte di se stessa, crudelmente inchiodato all’albero vergognoso della Croce. Ahimè! Ogni colpo di martello, ogni flagello sul corpo del Salvatore, è penetrato pure nello spirito sconsolato della Vergine. Allora si ferma ai piedi della Croce, trafitta dalla spada del dolore, volge gli occhi verso di Lui, fino a quando vede che non vive più, dopo aver rimesso lo spirito al Padre suo eterno. Ed anche la sua anima, come avendo lasciato il corpo, si è unita a quella di Gesù. (Ave Maria)

6. La discesa del corpo di Gesù dalla Croce

“Giuseppe d’Arimatea, membro distinto del Consiglio, che aspettava pure il regno di Dio, venne ed ebbe il corag­gio di presentarsi dinan­zi a Pilato, per domandargli il corpo di Gesù. Pilato si meravigliò che fosse già morto, ma, fatto chiamare il Centu­rione, gli domandò se era già morto. E ac­certato dal Centurione, concesse il cadavere a Giuseppe. Egli, com­prato un lenzuolo e de­posto il corpo, lo avvol­se nel lenzuolo e lo mi­se in un sepolcro che era stato scavato nella roccia, poi rotolò all’en­trata del sepolcro una pietra”.– [Marco XV, 43-46].

Meditazione: Considera il dolore più amaro che afflisse l’anima di Maria, quando ha visto il cadavere del suo caro Gesù sulle sue ginocchia, ricoperto di sangue, tutto lacerato da profonde ferite. O Madre dolente, un fascio di mirra, infatti, è per il vostro amato. Chi non avrebbe pietà di Voi? Quale cuore non è ammorbidito, vedendo l’afflizione che vi rende come impietrita? Ecco l’inconsolabile Giovanni, la Maddalena e l’altra Maria in profonda afflizione e Nicodemo, che a malapena può sopportare il suo dolore. (Ave Maria)

7. la sepoltura di Gesù

“Ora, nel luogo dov’egli fu croci­fisso, v’era un giardino, e nel giardino un sepol­cro nuovo, nel quale non era ancora stato po­sto nessuno. 42Lì, adun­que, a motivo della Pa­rasceve dei Giudei, giac­ché il sepolcro era vici­no, deposero Gesù.” [Giovanni XIX, 41-42].

Meditazione: Considera i sospiri che proruppero dal cuore triste di Maria quando vide il suo amato Gesù deposto nella tomba. Quale dolore quando Lei ha visto la pietra sollevata per coprire quella tomba sacra! Lei guarda un’ultima volta il corpo senza vita di suo Figlio e non riesce a staccare gli occhi da quelle ferite aperte. E quando la pietra grande viene rotolata per rinchiudere la porta del sepolcro, oh, allora davvero il suo cuore sembra strappato dal suo corpo! (Ave Maria)

Omelia di sant’Ambrogio Vescovo

Sulla Form, delle Vergini c. 7

La Madre stava presso la croce, e, mentre gli uomini fuggivano, Ella restava intrepida. Guardate se la Madre di Gesù poteva diventar timida, non avendo cangiato sentimenti. Contemplava con occhi pietosi le ferite del Figlio, che sapeva essere la redenzione di tutti. Non era indegna d’assistere a tanto spettacolo questa Madre, che non avrebbe temuto per la propria vita. Il Figlio pendeva dalla croce, la Madre si offriva ai carnefici.

Lettera 25 alla Chiesa di Vercelli, verso la fine

La Madre del Signore, Maria stava in piedi davanti alla croce del Figlio. Nessun altro me l’ha detto fuori di san Giovanni Evangelista, Gli altri raccontano come durante la passione del Signore la terra tremò, il cielo si ricopri di tenebre, il sole si oscurò, il ladrone, dopo l’umile confessione, fu ricevuto in paradiso. Ma Giovanni mi ha detto quel che non dicono gli altri, come cioè egli già sulla croce chiamò la Madre. Egli sembra dare più importanza ai doveri di pietà che Gesù, vincitore dei supplizi, rendeva a sua Madre, che alla promessa stessa del regno dei cieli. Infatti se muove a tenerezza il perdono che riceveva il ladrone, è ancora assai più tenero lo spettacolo del Figlio che onora sua Madre di tanto affetto.

Da: S. Alfonso M. de Liguori; “Le glorie di Maria”

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Raviglione della Compagnia di Gesù, racconta che un certo giovane aveva la devozione di fare ogni giorno una visita ad un’immagine di Maria Addolorata rappresentata con sette spade nel petto. Una notte commise un peccato mortale e quando la mattina seguente si recò a visitare l’immagine, vide nel petto della Beata Vergine non sette, ma otto spade. Mentre stava osservando l’immagine, udì una voce dirgli che quel suo peccato aveva aggiunto l’ottava spada al Cuore di Maria. Egli, commosso e contrito, subito andò a confessarsi, e per l’intercessione della sua Avvocata, recuperò la grazia divina.

Preghiera

Madre mia Addolorata, non Vi voglio lasciare sola a piangere, no, io voglio unire alle vostre, anche le mia lacrime. Oggi Vi chiedo questa grazia, ottenetemi il ricordo continuo ed una tenera devozione verso la Passione di Gesù e la vostra, perché in tutti i giorni che mi rimangono da vivere io possa piangere le vostre sofferenze, o Madre mia, e quelle del mio Redentore. I vostri dolori mi otterranno il perdono, la perseveranza, il Paradiso, dove spero di giungere per rallegrarmi con Voi e cantare le misericordie infinite del mio Dio per tutta l’eternità. Così spero, così sia. Amen, Amen.

 

ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE

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ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE

Il senso della festa della Croce

[Dom Guéranger: l’Anno liturgico – vol. II]

« Abbiate in voi, fratelli miei, lo stesso sentimento da cui era animato il Cristo Gesù il quale esistendo nella forma di Dio, non considerò questa sua eguaglianza con Dio come una rapina, ma annichilì se stesso, prendendo la forma di servo e, divenendo simile agli uomini, apparve come semplice uomo. Egli umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce ». Le parole dell’Apostolo, che leggiamo nell’Epistola della Messa, ci danno il senso della festa che oggi celebriamo. I termini schiavo, croce sono, è vero, per noi parole correnti, perché hanno perduto il senso abbietto che avevano nel mondo antico, prima dell’era cristiana e perciò i destinatari della lettera di san Paolo capivano meglio di noi l’orrore della cosa e misuravano meglio di noi quanto Gesù Cristo si era abbassato con l’Incarnazione e la morte sulla Croce.

Il supplizio della Croce.

Non era la croce considerata dagli antichi come « il supplizio più terribile e più infamante » (Cicerone, In Verr. II )? Era allora cosa frequente vedere un ladro o uno schiavo messo in croce e ciò che di questo supplizio indirettamente conosciamo ci permette di valutarne l’atrocità. Il crocifisso moriva con lenta agonia, soffocato per l’asfissia, determinata dalla estensione delle braccia in alto, e torturato da crampi ai nervi irrigiditi.

Il culto della Croce.

Il Cristo ha subito lo spaventevole supplizio per ciascuno di noi; ha offerto al Padre, con un amore infinito il sacrificio del suo corpo disteso sulla Croce. Lo strumento di supplizio, fino allora oggetto di infamia, diventa per i cristiani la gloria e san Paolo non vuole aver gloria che nella croce del Signore, nella quale risiede la nostra salvezza, la nostra vita, la risurrezione, e per la quale siamo stati salvati e liberati (Introito della Messa). Il culto della Croce, strumento della nostra redenzione, si è molto diffuso nella Chiesa: la Croce è adorata e riceve omaggi, che non si concedono ad altre reliquie e le feste della Santa Croce rivestono particolare splendore. È stato già festeggiato il fortunato avvenimento del rinvenimento della Croce il tre maggio, oggi la Chiesa celebra l’Esaltazione della Croce, festa, che ha un’origine complessa ma che la storia ci permetterà di precisare.

Origine della festa.

La data del 14 settembre segna l’anniversario di una dedicazione, che lasciò nella storia ecclesiastica un profondo ricordo. Il 14 settembre del 335 una folla considerevole di curiosi, di pellegrini, di monaci, di clero, di prelati, accorsi da tutte le province dell’Impero, si riunivano a Gerusalemme per la Dedicazione del magnifico santuario restaurato dall’Imperatore Costantino nel luogo stesso dove il Signore aveva sofferto ed era stato sepolto. L’anniversario continuò ad essere celebrato con non minore splendore negli anni seguenti. La pellegrina Eteria, venuta a Gerusalemme, al tramonto del IV secolo, ci riferisce che più di 50 vescovi assistevano ogni anno alle solennità del 14 settembre. La Dedicazione aveva rito pari alla Pasqua e all’Epifania e si protraeva per otto giorni con immenso concorso di pellegrini.

Doppio oggetto della festa.

Altri elementi si aggiunsero in seguito alla festa anniversaria della Dedicazione. Primo fu il ricordo dell’antica festa giudaica dei Tabernacoli, che coronava le fatiche della vendemmia. Si credeva che fosse celebrata il 14 settembre e la festa cristiana della Dedicazione doveva prenderne il posto. Dal secolo IV un altro ricordo, questo prettamente cristiano, si attaccava alla festa del 14 settembre. e cioè il ritrovamento del legno sacro della Croce. Una cerimonia liturgica detta elevazione o esaltazione (hypsosis) della Croce ricordava tutti gli anni la fortunata scoperta. Il luogo in cui la Croce era stata innalzata era considerato centro del mondo e per questo un sacerdote alzava il legno sacro della Croce verso le quattro diverse parti del mondo. I pellegrini, a ricordo della cerimonia, si portavano a casa una minuscola ampolla contenente dell’olio, che era stata posta a contatto del legno della Croce.

Diffusione della festa.

La cerimonia prese un’importanza sempre più grande e avvenne che nel VI secolo il ricordo del rinvenimento della Croce e la Dedicazione avvenuta sul Golgota passarono in secondo piano. – I frammenti del sacro legno furono distribuiti nel mondo e con i frammenti si diffuse nelle Chiese cristiane la cerimonia della Esaltazione. – Costantinopoli adottò la festa nel 612, sotto l’Imperatore Eraclio e Roma l’ebbe nel corso del secolo VII. Sotto Papa Sergio (f 701) al Laterano il 14 settembre si ripeteva l’adorazione della Croce del Venerdì Santo e gli antichi Sacramentari hanno conservata un’orazione ad crucem salutandam in uso in tale cerimonia. Il rito durò poco e scomparve dagli usi romani, ma l’orazione restò nelle raccolte di orazioni private (Ephemerides liturgicae, 1932, p. 33 e 38, n. 16). Ai nostri tempi l’adorazione della Croce il 14 settembre si fa ormai solo nei monasteri e in poche Chiese.

Nuovo splendore della festa.

Un avvenimento venne nel corso dei secoli a rinnovare lo splendore della festa della Esaltazione. Gerusalemme nel 614 era stata occupata dai Persiani e messa a ferro e fuoco. Dopo le vittorie del pio Imperatore Eraclio, la città santa era stata restaurata ed Eraclio aveva ottenuto che fosse restituita la Santa Croce, portata dagli invasori a Ctesifonte. Il 21 marzo del 630, la Croce fu di nuovo eretta nella Chiesa del Santo Sepolcro e si riprese il 14 settembre seguente la cerimonia della Esaltazione.

Carattere nuovo della Festa.

Si resta stupiti nel vedere che la festa, ripristinata con l’antica cerimonia, ha un nuovo carattere di tristezza e di penitenza. Hanno forse contribuito a fare della cerimonia di adorazione un rito di intercessione, nel corso del quale si ripete il Kyrie eleison, le sventure dell’Impero. Il digiuno diventa in quel giorno di rigore, almeno nel mondo monastico. Il carattere di intercessione resta nei testi della nostra liturgia proprii della festa di questo giorno (Gli altri testi sono presi dalla festa del 3 maggio o dalla Settimana Santa). Offertorio e Postcommunio chiedono protezione e soccorso mentre il Vangelo ricorda l’Esaltazione del Figlio dell’uomo sulla Croce, figurata dal serpente di bronzo.Essendo stata l’adorazione della Croce un rito della festa di oggi per molto tempo, riportiamo la preghiera composta da sant’Anselmo per la cerimonia del Venerdì Santo.

Preghiera composta da sant’Anselmo

O Croce Santa, la vista della quale ci ricorda un’altra croce, quella sulla quale Nostro Signore Gesù Cristo ci ha strappati con la sua morte alla morte eterna, nella quale stavamo precipitando miseramente, risuscitandoci alla vita eterna perduta per il peccato, adoro, venero, glorifico in te la Croce che rappresenti e, in essa, il misericordioso Signore. Per essa egli compì la sua opera di misericordia. O amabile Croce, in cui sono salvezza, vita e resurrezione nostra! O legno prezioso per il quale fummo salvati e liberati! O simbolo di cui Dio ci ha segnati! O Croce gloriosa della quale soltanto dobbiamo gloriarci! Come ti lodiamo? Come ti esaltiamo? Con quale cuore ti preghiamo? Con quale gioia ci glorieremo di te? Per te è spogliato l’inferno; è chiuso per tutti coloro che in te sono stati riscattati. Per te i demoni sono terrificati, compressi, vinti, schiacciati. Per te il mondo è rinnovato, abbellito, in virtù della verità che splende e della giustizia che regna in Lui. Per te la natura umana peccatrice è giustificata: era condannata ed è salvata; era schiava del peccato e dell’inferno ed è resa libera; era morta ed è risuscitata. Per te la beata città celeste è restaurata e perfezionata. Per te Dio, Figlio di Dio, volle per noi obbedire al Padre fino alla morte (Fil. 2, 8-9). Per questo Egli, elevato da terra, ebbe un Nome che è al di sopra di ogni nome. Per te Egli ha preparato il suo trono (Sal. IX, 8) e ristabilito il suo regno. Sia su di te e in te la mia gloria, in te e per te la mia vera speranza. Per te siano cancellati i miei peccati, per te la mia anima muoia alla sua vita vecchia e sorga a vita nuova, la vita della giustizia. Fa’, te ne prego, che, avendomi purificato nel battesimo dai peccati nei quali fui concepito e nacqui, tu ancora mi purifichi da quelli che ho contratto dopo la nascita alla seconda vita, e che per te io pervenga ai beni per i quali l’uomo è stato creato per il medesimo Gesù Cristo -Nostro Signore, cui sia benedizione nei secoli.

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Preghiera

[Manuale di Filotea – Milano 1888 impr.]

“Con tutte le forze del mio cuore, vi amo, vi lodo, vi benedico, vi adoro, o vera Cattedra di sapienza, per tutti i popoli della terra, o Arma debellatrice di tutte le infernali potenze, o Strumento stimabile della comun redenzione, santissima Croce di Gesù Cristo. Voi, nobilitata dal sangue dell’Agnello divino, siete divenuta tutt’assieme la speranza dei peccatori, il conforto de’penitenti, la consolazione dei giusti, e il carattere distintivo di tutti i discepoli del vero Dio. I più potenti Re della terra si recano sempre ad onore il farvi ossequio, e, piantandovi in mezzo alle lor corone, vi dichiarano pubblicamente per la loro difesa, per la loro gloria. Deh apprenda io una volta quelle divine lezioni di umiltà, di pazienza, di mansuetudine, di carità, di costanza che ci diede morendo sopra di voi l’Autore di nostra fede, il Consumatore della nostra salvezza! Colla contrizione la più sincera io detesto tutto quel tempo in cui ho ricusato di conformare ai vostri insegnamenti la mia condotta: e colla risoluzione la più ferma, protesto di volere per l’avvenire portarvi con santo coraggio e con edificante allegrezza, mortificando in ogni maniera gli affetti sregolati del mio cuore, i sensi sempre ribelli del mio corpo, e sopportando con pazienza e con gioia, tutte quelle traversie con che l’amoroso mio Salvatore si compiacerà di provarmi, onde, dopo essere stato con Lui compagno degli obbrobri e delle pene che soffrì disteso sulle vostre braccia, possa partecipare con Lui alla beatitudine di quel regno di cui voi siete la chiave.” 3 Pater all’agonia di Gesù.

A S. Elena Imperatrice.

Per la premura che voi aveste di trarre dalle rovine in cui stava nascosta la santa Croce di Gesù-Cristo, e per lo strepitoso miracolo dell’immediato e perfetto risanamento di un moribondo con cui il cielo benedisse i vostri desideri, perché si distinguesse da tutti gli altri il legno della comun redenzione, impetrateci, o incomparabile S. Elena, di non gloriarci mai d’altro che della Croce di Gesù Cristo, e di portare con santa rassegnazione la mistica croce dei patimenti. 3 Gloria.

 

LITANIE DELLA SANTA CROCE.

Voglio amarvi sempre più,

Santa Croce di Gesù.

Fondamento della Chiesa,

Stendardo dei Cristiani,

Redenzione degli uomini,

Venerazione degli Angioli,

Sconfitta dei Demomi,

Speranza dei peccatori,

Conforto dei penitenti,

Allegrezza de’ giusti.

.Magnificenza dei Re,

Vaticinio dei Profeti,

Predicazione degli Apostoli

Fortezza dei Martiri,

Sapienza dei Dottori.

Porto dei naufragati,

Baluardo agli assediati.

Guida dei ciechi.

Sostegno dei deboli,

Sollievo degli afflitti,

Medicina degli infermi,

Risurrezione dei morti

Gaudio dei sacerdoti

Mortificazione dei monaci,

Castità delle vergini,

Concordia dei coniugati,

Custodia dei bamboli,

Istruzione dei giovani,

Direzione degli adulti,

Meta dei vecchi,

Ricchezza dei poveri.

Moderazione dei ricchi,

Nutrimento degli orfani,

Protezione delle vedove.

Luce nelle tenebre,

Consiglio ne’ dubbi,

Difesa ne’ pericoli.

Principio della salute,

Strada della vita.

Distruzione del peccato,

Conservazione della grazia,

Misura della gloria,

Terrore dell’Inferno,

Chiave del Paradiso.

Ad ogni Litania si può ripetere:

Voglio amarvi sempre più – Santa Croce di Gesù.

 

INVOCAZIONE ALLA CROCE DI S. TOMASO D’AQUINO.

Crux mihi cèrta salus,

Crux est quam semper adoro

Crux Domini mecum.

Crux mihi refugium,

[La Croce è la mia salute.

La Croce io sempre adoro

La Croce del Signore è con me

La Croce è il mio rifugio.]

Il S Padre Pio IX, con Rescritto di propria mano, 21 gennaio 1874 concesse Indulgenza di 300 giorni una volta al giorno a chiunque reciterà devotamente e con cuore almeno contrito le suddette preci espresse in forma di Croce dall’Angelico Dottore S Tommaso.

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INNO ALLA SANTA CROCE

Vexilla Regis prodeunt;

Fulget Crucis mysterium,

Qua vita mortem pertulit,

Et mortem vita reddidit.

Vigunt cruenti Numinis

clavi manus vestigia;

Redemptionis gratia,

Hic immolatur hostia.

Post vulneratus impiane

Muerone diro lanceæ,

Ut nos lavaret crimine,

Manavit unda et sanguine.

Impleta sunt quæ concinit

David fideli Carmine,

Dìcendo nationibus.

Regnavit a ligno Deus.

Arbor decora et fulgida,

Ornata Regis purpura,

Electa digno stipite

Tum sancta membra tangere

Beata, cujus brachiis,

Salus pependit saeculi,

Statera facta est corporis,

Tulitque prædam Tartari;

O Crux, Ave, spes unica,

Hoc passionis tempore (1)

Piis adauge gratiam,

reisque dele crimina.

Te, summa cœlis Trinitas,

Collaudet omnis spiritus

Quos, per Crucis mysterium,

Salvas, tuere jugiter. Amen.

(1) Nel tempo pasquale — Paschale quae fers gaudium.

Nella festa dell’Esaltazione — In hoc triumphi gloria.

[Indulgentia quinque annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo quotidie per integrum mensem hymnus pie recitatus fuerit – S. C. Indulg. , 16 Ian. 1886; S. Pæn. Ap., 29 Apr. 1934]

[trad. in versi]

[Del Monarca s’avanza il vessillo

Della Croce rifulge il mistero

Onde a morte distrusse l’impero

Ei che a tutti la vita rendè.

Del divino Paziente le mani

Qui trafissero i chiodi ferali

E a riscatto di tutti i mortali

Qui l’Eterno olocausto si fe’.

Qui da barbara lancia si vide

I1 divin costato trafitto.

E a mondarci del primo delitto

Sangue insiem con acqua verso.

E fu allor che del regio Profeta

Si compiè la famosa parola.

Lorchè disse: Israel ti consola,

Che l’Eterno da un legno regnò.

O dell’ostro regal rivestito,

Arbor santo, fra mille tu solo

Del Signor della terra e del polo

L’almo corpo prescelto a toccar;

La salute del mondo sostennero

Le tue braccia tre volte beate;

E le schiere d’abisso, spogliate,

Di lor preda, si vider tremar;

Salve, o Croce, che l’unica speme,

Sei dell’uom, deh! compine i voti

Per te cresca la grazia ai devoti

E dei rei si cancelli l’error.

Ogni spirto ti lodi.o granTriade,

E di lor che a salvezza tu guidi

Per la Croce deh! muovanti i gridi

E li guarda con occhio d’amor].

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Omelia di san Leone Papa

Sermone 8 sulla Passione del Signore, dopo la metà

Dopo l’esaltazione di Cristo sulla Croce, o dilettissimi, il vostro spirito non si rappresenti soltanto l’immagine che colpì la vista degli empi, ai quali dice Mosè: «La tua vita sarà sospesa dinanzi ai tuoi occhi, e sarai in timore notte e giorno, e non crederai alla tua vita» (Deut. 28,66). Infatti essi davanti al Signore crocifisso non potevano scorgere in lui che il loro delitto, ed avevano non il timore che giustifica mediante la vera fede, ma quello che tortura una coscienza colpevole. Ma la nostra intelligenza, illuminata dallo spirito di verità, abbracci con cuore puro e libero la Croce, la cui gloria risplende in cielo e in terra; e coll’acume interno penetri il mistero che il Signore, parlando della sua prossima passione, annunziò così: «Adesso si fa il giudizio di questo mondo, adesso il principe di questo mondo sarà cacciato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutto a me» (Joann. 12,21). – O virtù ammirabile della Croce! o gloria ineffabile della Passione, in cui è e il tribunale del Signore, e il giudizio del mondo, e la potenza del Crocifisso! Sì, o Signore, attirasti tutto a te, allorché, «dopo aver steso tutto il giorno le tue mani a un popolo incredulo e ribelle» (Is. 65,2), l’universo intero comprese che doveva rendere omaggio alla tua maestà. Attirasti, Signore. tutto a te, allorché tutti gli elementi non ebbero che una voce sola per esecrare il misfatto dei Giudei; allorché oscuratisi gli astri del cielo e il giorno cangiatosi in notte, anche la terra fu scossa da scosse insolite, e la creazione intera si rifiutò di servire agli empi. Attirasti, Signore, tutto a te, perché squarciatosi il velo del tempio, il Santo dei santi rigettò gl’indegni pontefici, per mostrare che la figura si trasformava in realtà, la profezia in dichiarazioni manifeste, la legge nel Vangelo. – Attirasti, Signore, tutto a te, affinché la pietà di tutte le nazioni che sono sulla terra celebrasse, come un mistero pieno di realtà e senza alcun velo, quanto era nascosto nel solo tempio della Giudea, sotto l’ombre delle figure. Difatti ora e l’ordine dei leviti è più splendido, e la dignità dei sacerdoti è più grande, e l’unzione che consacra i pontefici contiene maggior santità: perché la tua Croce è la sorgente d’ogni benedizione, il principio d’ogni grazia; essa fa passare i credenti dalla debolezza alla forza, dall’obbrobrio alla gloria, dalla morte alla vita. E adesso che i diversi sacrifici d’animali carnali sono cessati, la sola oblazione del corpo e sangue tuo rimpiazza tutte le diverse vittime che la rappresentavano: ché tu sei il vero «Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo» (Joann. 1,29); e così tutti i misteri si compiono talmente in te, che, come tutte le ostie che ti sono offerte non fanno che un solo sacrificio, così tutte le nazioni della terra non fanno che un solo regno.

 

 

L’AMORE DI DIO

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1.-Vi è un doppio amore. — 2. Necessità d’amare Dio. — 3. Motivi d’amare Dio ricavati da Lui medesimo, ossia dalle infinite sue perfezioni. — 4. Motivi d’amare Dio, ricavati dall’amor suo verso gli uomini. — 5. Amore infinito di Dio nella creazione e nel modo di comunicarsi all’uomo. — 6. Come il Padre ci ha dato prova del suo amore nell’Incarnazione e nella Redenzione di Gesù Cristo. 7. Quanto ci ha amati il Figlio facendosi uomo e morendo per noi. — 8. Eccellenza dell’amor di Dio — 9. L’amore ci fa imitatori di Dio. — 10. L’amore ci unisce a Dio, e ci fa vivere di Gesù Cristo e per Gesù Cristo. — 11. Amare Dio è un amare se stesso. — 12. L’amor di Dio unisce gli uomini tra di loro. — 13. L’amor di Dio rende invincibile. 14. L’amor di Dio scaccia i Demoni. — 15. L’amor di Dio distrugge il peccato. — 16. L’amor di Dio ci fa disprezzare tutto il resto. — 17. L’amor di Dio scaccia la tiepidezza. — 18. L’amor di Dio illumina. — 19. A chi ama Dio ogni cosa si volge in bene. — 20. Dolcezza e felicità d’amare Dio. — 21. A chi ama, tutto è facile e leggero. — 22. L’amor divino racchiude tutti i beni. — 23. Per amare Dio bisogna osservare la sua legge. — 24. Diversi gradi dell’amor divino. — 25. Qualità dell’amor divino. — 26. Rammarico di non aver amato Dio. — 27. Quanto sia disgraziato chi non ama Dio. — 28. Come bisogna amare Dio. — 29. Mezzi di amare Dio.

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1. Vi è un doppio amore. — L’amore dell’uomo verso Dio è di due specie: cioè l’amore di concupiscenza, o imperfetto; e l’amore di pura carità, ossia perfetto. Con l’amore di concupiscenza noi studiamo di piacere a Dio, affinchè ci dia per ricompensa la vita eterna; questo amore è buono, ma piuttosto che un atto di carità si deve chiamare un atto di speranza. L’amore perfetto poi, col quale noi ci adoperiamo di piacere a Dio e fare quello che gli è gradito, consiste nell’amarlo esclusivamente per se stesso, senz’avere di mira la ricompensa; questo amore è propriamente quello che si chiama carità perfetta.

2. Necessità d’amare Dio.  — « Tu amerai il tuo Signore Iddio con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima, con tutte le facoltà tue » (Beuter. VI, 5). Questo precetto dava Dio agli Ebrei, e perché fossero ben persuasi dell’alta sua importanza, soggiungeva che scolpissero queste parole dentro il proprio cuore, e le meditassero in casa ed in viaggio, la notte e il giorno, le ripetessero e insegnassero ai figli, le legassero come un ricordo ai polsi e le tenessero scritte innanzi gli occhi; e le scrivessero su le porte della casa (Ib. 7-9). Quest’obbligo ripeteva e inculcava Gesù Cristo nella nuova legge, riportando le medesime parole dell’antica, e avvertiva essere questo il primo ed il più eccellente dei comandamenti (Matth. XXII, 27-28). « Ama, aveva detto anche l’Ecclesiastico, a tutto tuo potere Colui che ti ha creato » (Eccli. VII, 32); ed in altro luogo: « Ama Dio per tutta la tua vita, ed invocalo per la tua salute » (Ib. XIII, 18). Il motivo che ci deve spingere ad amare Dio, è che Dio forma l’anima e la vita dell’anima nostra. Ora non è giusto che l’anima renda a Dio quel che il corpo rende all’anima, e che noi facciamo tutto per amor di Dio? Niente più teme il corpo che d’essere separato dall’anima, niente più deve temere l’anima, che d’essere separata da Dio: quindi l’Apostolo S. Giuda ci fa un obbligo di conservarci nell’amor di Dio (Iud. 21). Il cavallo è nato per correre, ed è questo il suo fine, come il fine dell’uccello è il volare, quel del bue l’arare, quel del cane l’abbaiare, quel del fuoco lo scaldare, quel dell’acqua il dissetare…; l’uomo è nato per amare Dio: questo è il suo ultimo fine. « Quand’io parlassi le lingue degli uomini e degli Angeli scriveva S. Paolo a’ Corinzi, se non ho la carità, sono come un bronzo sonante o un cembalo squillante. E quando avessi la profezia e intendessi tutti i misteri, e tutto lo scibile; e avessi tutta la fede, talmente che trasportassi le montagne, se non ho la carità, sono un niente. E se pure distribuissi in nutrimento ai poveri tutte le mie facoltà, e quando sacrificassi il mio corpo ad essere bruciato, se non ho la carità, nulla mi giova » (1 Cor. XIII, 1-3). Il medesimo Apostolo dice ancora : « La carità di Cristo ci spinge » (II Cor. V, 14). « Gesù Cristo è morto per tutti, affinché quelli che vivono, non vivano più per se stessi, ma per Colui che è morto e risuscitato per loro » (Ib. V, 15). L’amor di Dio è così grande cosa, dice S. Agostino, che a colui che ne è privo, niente giova possedere tutto il resto; e chi ne è fornito, non difetta di nulla. E aggiunge in altro luogo: «Può la fede trovarsi senza la carità, ma non può, senza la carità, essere nè fruttuosa, nè utile ». Udite anche S. Bernardo: « La castità senza la carità è una lampada senz’olio; togliete l’olio e la lucerna, non fa lume; togliete l’amor di Dio e la castità perde il suo pregio ».
« Lo scopo de’ comandamenti è la carità, », dice S. Paolo a Timoteo (I Tim. 1, 5) : e nel precetto dell’amor di Dio tutto si riassume, secondo la parola di Gesù Cristo, la legge e la profezia (Matth. XXII, 40). « O anima mia, esclama S. Agostino, creata a imagine di Dio, riscattata col sangue di Gesù Cristo, sposa della fede, dotata dallo Spirito, ornata di virtù, fatta pari agli Angeli, ama Colui che tanto ti ha amato; pensa a Colui che di te non mai si dimentica; cerca Colui che ti cerca; dònati tutta quanta a Colui che si dona a te tutto intero. Questo gran Dio non si occupa che di te, e tu non occuparti di altri che di Lui; Egli lascia in certo modo ogni cosa per te, e tu ogni altro affare lascia per Lui; Egli è la santità per essenza, e tu sii santa; Egli, è la purità in persona, e tu sii pura… Deh! che il cielo, la terra e tutto quanto in essi è contenuto non cessano un istante dal gridarmi, che ami Voi, mio Dio; e quello che dicono a me, lo predicano senza posa a tutti, affinchè essi siano inescusabili se non V’amano ».

3. Motivi d’amare Dio ricavati da Lui medesimo, ossia dalle infinite sue perfezioni. — Bisogna amare Dio, anzitutto perché Egli è sommamente amabile. Dio è tutto amore, dice S. Giovanni (I Episl. IV, 8); Dio è una fornace ardente che tutto infiamma, predica San Paolo (Hebr. XII, 29); « Che cosa è Dio? soggiunge S. Bernardo; Dio è la volontà onnipotente, la virtù amorosissima, il lume eterno, l’immutabile ragione, la suprema beatitudine ». Dio è l’eternità, la misura, l’ordine, la causa, il fine di tutte le cose. Egli è il principio e il termine di tutte le creature: è il sommo, l’immenso, l’increato bene… Ah! sì! esclama S. Agostino, è povertà e indigenza ogni abbondanza e ogni ricchezza, che non sia il mio Dio. Infinito nella sua essenza, Dio è pur tale nei suoi divini attributi, ed in ciascheduno di essi. Dio ha una santità infinita, una potenza infinita, una sapienza infinita, una misericordia infinita, una scienza infinita, una bontà infinita, e così via di ogni altro attributo. Dio sorpassa all’infinito non solo tutto ciò che esiste, con tutte le sue perfezioni e qualità, ma ancora tutte le cose possibili ed immaginarie; e le sorpassa non di cento, non di mille, non di milioni, di gradi, ma infinitamente al disopra di ogni calcolo. Contemplate finché potete la sapienza, la potenza, la bontà, la bellezza, la ricchezza, ecc…, e spingete coll’immaginazione queste perfezioni all’infinito; quando sarete arrivati a quel punto, sappiate che tutti i vostri pensieri e i vostri calcoli, nè solo i vostri, ma tutti i pensieri e i calcoli di tutti gli uomini e di tutti gli Angeli, non si sono avvicinati e’un passo all’infinità delle perfezioni di Dio: sappiate che tutt’altro che aver raggiunto l’essere divino, voi ve ne trovate tuttavia ad una distanza infinita. Si tacciano, esclama Isaia, tutti gli spiriti, ammutoliscano le lingue e le voci tutte, si velino per riverenza e s’annientino i Cherubini. e i Serafini… perché tutti gli Angeli insieme riuniti, con tutte le loro fiamme d’amore, non sono capaci né d’intendere, né tanto meno di penetrare il più basso grado della vostra gloria, o mio Dio… Esclamiamo anche noi col Salmista: « Grande è il Signore e al di sopra d’ogni lode; la sua grandezza non conosce confini » (Psalm. CXL1V, 3). E col Profeta Baruch: « Dio è grande, eterno, elevato, infinito » (Baruch III, 25).

4. Motivi: d’amare Dio, ricavati dall’amor suo verso gli uomini.  — Bisogna in secondo luogo amare Dio perché Egli ci ha sommamente amati, come già aveva detto il Signore per bocca di Geremia: « Io v’ho amati d’un amore eterno, perciò vi ho a me attirati nella mia misericordia » (Ier. XXXI, 3); e ci ripete S. Giovanni: «Amiamo dunque Iddio, perché Egli ci ha amati per il primo » (I Ioann. IV, 13). Nell’amore infinito che Dio porta all’uomo, noi dobbiamo ammirare : 1° l’amore ch’Egli nutrì per noi da tutta l’eternità, senza che avesse bisogno di noi, perché possiede in se stesso tutte le cose; 2° considerare che non ci ama per qualche necessità, ma affatto liberamente e liberalmente; 3° che Egli ci ama senza utilità veruna a suo riguardo; 4° che Egli ama l’uomo prima che questo abbia la ragione, o qualche merito e dignità che possa cattivarne l’amore; anzi lo ama quando lo vede carico di molti e gravi demeriti per i quali si meriterebbe non amore, ma odio; 5° ch’Egli ha amato anche coloro i quali previde che sarebbero divenuti a Lui ingrati e nemici; 6° questo amore di Dio verso gli uomini non proviene dall’- Ma qual saviezza vi può essere in Dio, ripiglierete voi, nell’amare gli uomini miserabili e peccatori? non è questo per certo un oggetto amabile in se stesso. Ma in Dio, la ragione di amare non proviene, come negli uomini, dall’amabilità dell’oggetto, ma da Dio medesimo. E in vero Dio ci ama per sé, perché è infinitamente buono; perciò vuole spandere sopra di noi la sua liberalità e i suoi benefizi, non ostante l’indegnità nostra. La bontà infinita di Dio è dunque la base e la ragione del suo amore per gli uomini, della comunicazione de’ suoi doni e di se stesso. In Dio vi è una volontà infinita e un desiderio immenso di comunicarsi, i quali nascono dalla perfezione e dalla pienezza infinita della sua essenza, e questa è tale che lo porta a donarsi, e per grandi che siano le sue larghezze, Dio non perde nulla della sua pienezza. Egli è come una sorgente da cui sgorgasse del continuo tant’acqua, quanta se ne attingesse… Dio è per le cose spirituali quello che è il sole per le corporali, dice S. Gregorio Nazianzeno. Come il sole irradia i suoi raggi benefici per ogni parte, per illuminare, scaldare, vivificare, fecondare la natura; così Dio spande sopra tutte le creature, ma specialmente su gli Angeli e su gli uomini, i raggi divini della sua beneficenza, per illuminarli col lume della sua sapienza, scaldarli col fuoco del suo amore, vivificarli con la vita della grazia e della gloria (Distich.), Questa larghezza di benefizi da parte di Dio è immensa e ci apparisce meravigliosa se consideriamo: 1° la maestà di Colui che ama, di Colui che dona; 2° la condizione di coloro ai quali Egli dona, perché se ne osservate la natura, sono uomini e tengono l’ultimo grado tra le intelligenze; se ne considerate le qualità dell’anima, essi sono peccatori, nemici di Dio, orgogliosi, ingrati, carnali, fiacchi nel bene, ardenti nel male; se ne guardate il corpo, sono mortali, acciaccosi, vili, ributtanti e destinati a pasto dei vermi.
5. Amore infinito di Dio nella creazione e nel modo di comunicarsi all’uomo. — Dio poteva lasciarci nel nulla… Creandoci, poteva lasciarci allo stato de’ minerali, de’ vegetali o de’ bruti… Eppure no; ma ci ha creati ragionevoli, fatti a sua immagine, capaci di conoscerlo, di servirlo, d’amarlo… Ci ha creati immortali e destinati all’immortalità beata… Egli si compiace e si diletta di conversare tra gli uomini (Prov. Vili, 31) : 1° perchè si prende specialissima cura di tutti e di ciascuno, vedendo in essi la sua viva immagine e il suggello della divinità; per loro ha creato il mondo e quanto il mondo contiene; 2° perché non ad altri fa parte della sua sapienza se non all’- E notate, prima di tutto, che Dio si comunica agli uomini noni come a servi, a schiavi; ma come a figli chiamati suoi eredi e coeredi di Gesù Cristo. In secondo luogo la sua bontà ha trovato il mezzo di discendere fino al debole, di guarire l’infermo, di raccogliere il derelitto, d’innalzare colui ch’era piccolo, di arricchire abbondantemente il mendico, e di soccorrerci tutti. Dio ha dimostrato d’essere la bontà e l’amore per essenza, scrive S. Bernardo, creando gli spiriti, perché godessero di Lui; dando la vita, per far sentire e comprendere il suo amore; attraendoci, affinché Lo desideriamo; dilatando l’uomo, perché alberghi Dio; giustificandolo, perché meriti la grazia e la gloria; infiammandolo, per portarlo allo zelo; fecondandolo, acciocché produca frutti di vita; dirigendolo verso la giustizia; informandolo alla beneficenza; moderandolo, affinché divenga saggio; fortificandolo, affinché acquisti la virtù; vivificandolo, per consolarlo; illuminan-dolo, perché vegga; conservandolo, per l’immortalità; riempiendolo, per bearlo di felicità; circondandolo, perché abiti in sicurezza (Serm. in Cantic.). In terzo luogo Dio ci si comunica moltissime volte prima che noi pensiamo a Lui, Lo desideriamo, Lo cerchiamo. Così fa in tutte le grazie prevenienti, per eccitarci a sollecitare le grazie conseguenti le quali sono poi anche esse, come osserva S. Ambrogio, sempre più abbondanti di quello che noi abbiamo domandato. Oh sì, quante volte non vi è accaduto di aver chiesto a Dio una grazia speciale, ed Egli ve l’abbia concessa, ma accompagnata da tante altre da voi punto domandate? Il re Ezechia implora soltanto la sanità; Dio gliela concede e vi aggiunge quindici anni di vita, una vittoria miracolosa e la strage di cento ottantacinque mila Assiri (Isai. XXXVIII). Salomone chiede la sapienza; l’ottiene, ed ha per di più ricchezze immense e sfolgorante gloria (III Reg. III). Daniele supplica per la liberazione del popolo schiavo in Babilonia; Dio l’esaudisce e gli fa inoltre la promessa della venuta del Messia, che deve riscattare il mondo intero dalla schiavitù del Demonio (Dan. IX, 14). Davide domanda un figlio e questo figlio è il Messia (lI Reg. VII, 12).

6. Come il Padre ci ha dato prova del suo amore nell’Incarnazione e nella Redenzione di Gesù Cristo.  — « Dio ha talmente amato il mondo, dice S. Giovanni, che ha dato il Figliuol suo Unigenito — (Ioann. IlI, 16). Talmente, cioè ha amato il mondo d’un amore così grande, così eccessivo che non esitò a dargli l’Unigenito Figliuol suo. Non è un re, né un Angelo quegli che tanto ci ha amati il primo e gratuitamente, senza che noi, non solo non abbiamo meritato, ma neppure desiderato così gran dono. Egli ha amato il mondo, suo capitale nemico, il mondo degno dell’eterna riprovazione, e l’ha amato al punto di dargli non uno straniero, non un figlio qualunque adottivo, ma il suo proprio Figlio: e Figlio non scelto fra molti, ma Unigenito. Gliel’ha dato non a prezzo d’oro o d’argento, ma gratuitamente : non gliel’ha dato perché salisse un trono o menasse trionfi, ma perché fosse condannato a morte e crocifisso. Così ha fatto non per proprio vantaggio o per utile del Figliuol suo, ma affinché la morte di quest’unico Figlio renda a noi la vita e ci sollevi a misura delle umiliazioni patite da Gesù Cristo, e dell’annientamento a cui soggiacque, per colmarci di ricchezze, di beni immensi e finalmente d’una gloria eterna. « No, soggiunge ancora l’evangelista S. Giovanni, Dio non ha inviato quaggiù il Figliuol suo, affinché condanni il mondo, ma affinché il mondo sia salvato per mezzo dell’Unigenito di Dio » (Ioann. IlI, 17). Ah! esclama il grande Apostolo in uno slancio d’amore e di riconoscenza, se Dio Padre non ha risparmiato il suo proprio Figlio, e l’ha consegnato alla morte per noi, che cosa non possiamo aspettarci da Lui dopo un tanto dono? (Rom. Vili, 32). Sì, ripiglia l’Apostolo prediletto, « in questo si vide manifesta la grande carità di Dio verso di noi, che ha mandato l’Unigenito suo nel mondo, affinché noi viviamo per Lui » (I Ioann. IV, 9).

7. Quanto ci ha amati il Figlio facendosi uomo e morendo per noi. — Qui si trova la lunghezza, la larghezza, l’altezza, la profondità dell’amor divino; qui dobbiamo esclamare con S. Paolo: — O altitudo! — O mistero impenetrabile del più sublime e del più grande amore! Un Dio si fa uomo (Ioann. I, 14); muore su la croce; ed è il suo amore che lo spinge ad incarnarsi e a morire. O amore!… Dio ci ha amati da tutta l’eternità, ma per questo non gli bisognò che un pensiero; ci ha amati nella creazione, ma gli bastò una parola; nella Redenzione ci ha amati fino a morire per noi. Calcolate la potenza e l’immensità del suo amore dalla sua Incarnazione, dalla vita sua di patimenti e di dolori, dalla sua morte. Il Figlio di Dio ci ha amati del più tenero, del più efficace amore, che non si dimostrò in parole, ma in fatti. Spinto da quest’amore Egli ha volontariamente e liberamente donato non ricchezze terrene a fratelli od amici suoi, ma ha donato se stesso a noi peccatori suoi nemici, per pagare i nostri debiti, espiare i nostri misfatti, distruggere la morte e darci la vita. « La grazia di Nostro Signore ha sovrabbondato », dice S. Paolo (I Tim. I, 14). Ah! diciamo anche noi con Zaccaria: «Benedetto sia il Signore Iddio d’Israele, perché ci ha visitati ed effettuato la liberazione del suo popolo. Ha inalberato lo stendardo della salute, ci ritolse ai nostri nemici, e dalle mani ci strappò di coloro che ci odiavano. Dio, spinto dalla sua misericordia è disceso dall’alto e ci ha visitati » (Luc. I, 67-78).
Gli effetti dell’amor divino a nostro riguardo, amore perfetto ed evidente, sono la sua Incarnazione nel seno d’una Vergine, le sue predicazioni, i suoi viaggi, i suoi travagli, le sue umiliazioni, i suoi miracoli, la sua passione, la sua morte, i suoi Sacramenti, la discesa dello Spirito Santo, la cura tutta speciale Ch’Egli si prende della Chiesa e di ciascun fedele. Sapete, dice Teodoreto, dove sta il più eccelso, il sommo grado della bontà divina, dell’ineffabile misericordia, della immensa clemenza, dell’inenarrabile carità dell’autore e consumatore d’ogni bene? Sta in ciò, che il Creatore e Signore di tutte le cose, il Principe sovrano, il Dio forte, l’Essere immutabile abbia liberato dalla morte e dalla schiavitù del Diavolo quell’atomo, quell’essere soggetto alla morte, corruttibile, ingrato, inutile, che si chiama l’uomo; che gli abbia dato tal libertà, per cui fu assolutamente e completamente affrancato e se lo adottò in figlio; che sia infine divenuto l’amico degli uomini, loro pane, loro vino, loro vita, loro porta, loro via, loro luce, loro risurrezione (In Evang.).
Oh! ben possiamo dire con la Sposa de’ Cantici: «Voce del mio Diletto: ecco ch’Egli viene saltellando pei monti, valicando i colli. Ecco che il mio Diletto mi parla: Sorgi: affrèttati, o mia Diletta, colomba mia, bella mia, e vieni: — Il Diletto mio che si pasce fra i gigli, è tutto a me ed io tutta a Lui » (Cantic. II, 8, 10, 16). – Più si considera l’amore infinito di Gesù Cristo, e più si trasecola per lo stupore. L’oggetto, il motivo dell’amore è il bene, e gli uomini s’inducono ad amare gli uomini perché sono belli, savi, ricchi, delicati, nobili, e veramente buoni. Ora che avete voi, o Salvatore divino, trovato di buono o di bello in noi che abbia potuto guadagnare il vostro amore? Noi poveri, abbietti, mendichi, stolti, miserabili, corrotti, ributtanti? Ah! io ho amato, mi pare di udirvi rispondere, la tua laidezza, per assorbirla e renderla bellezza; ho amato de’ nemici, per farmene degli amici; degli stolti per farne de’ saggi; de’ miseri, per nobilitarli; degli accattoni, per arricchirli; degli infelici, per renderli beati e gloriosi. La grandezza dell’amore dì Gesù Cristo, che vince ogni amore creato, si deduce specialmente da questo, che non si volge su un oggetto amabile, ma lo rende amabile amandolo. Egli ama, per comunicare le sue grazie ai miserabili, chiamarli a parte del suo amore, farne suoi amici, e più ancora che amici, figli ed eredi. Il Verbo eterno, che è la Sapienza del Padre, ha voluto farsi uomo per salvare l’uomo, e insegnargli a parole ed a fatti la vera sapienza: desiderando egli ardentemente di possederci, s’è incarnato, per riposare nelle nostre anime, per dimorarvi come nel suo tempio e tabernacolo; per innestarvi e farvi germogliare le sue virtù, i suoi meriti, il frutto de’ suoi preziosi lavori, acciocché imitandolo meritiamo di vederlo e possederlo. La grandezza dell’amore di Gesù Cristo ha cangiato in miele tutto il fiele delle miserie umane, in delizie tutti i dolori e le croci. Egli s’è addossato tutte le nostre miserie, eccetto il peccato, per colmarci di tutti i suoi beni. L’amore di Gesù Cristo, il quale ha trovato le sue delizie nel dimorare con noi, ha operato questo prodigio di convertire in nostra felicità la fame, la sete, il lavoro, il patimento, il dolore, la morte, e le sofferenze tutte. Studiate i Martiri e ne avrete le prove… Se voi osservate, dice S. Bernardo, venite a conoscere come Gesù Cristo, la gioia per essenza, si rattrista e si conturba; che Egli, nostra salute, soffre; che Egli, forza suprema, è debole; che Egli, nostra vita, muore. E, cosa non meno prodigiosa, la sua tristezza produce la gioia; il suo timore, la forza; la sua passione, la salute; la sua debolezza, il coraggio; la sua morte, la vita. Perciò Gesù Cristo s’è volenteroso e lieto sottoposto alle nostre sciagure, perché la sua felicità divenisse nostra delizia (Serm, in Epiph.). – « Gesù Cristo, soggiunge il Crisologo, è venuto a provare le nostre infermità, per armarci della sua forza; a vestire l’umanità, per parteciparci la divinità; a ricevere gli oltraggi, per renderci degni degli onori; a sopportar le noie, per meritare a noi la pazienza; perché il medico che non compatisce le infermità, non sa guarirle, e chi non sa, essere infermo coll’infermo, non può guarirlo. « O dolcezza, o grazia, o forza dell’amore di Gesù Cristo! esclama San Bernardo; il più grande di tutti gli esseri s’è fatto il più piccolo, l’ultimo di tutti. Chi ha operato meraviglie tali? l’amore di Gesù Cristo, amore non curante della dignità, pieno di misericordia, potente in affezione, efficace in persuasione. Vi è forse qualche cosa di più forte dell’amore, il quale trionfa di Dio medesimo? L’amore trionfa di Dio, per trionfare di noi e sforzarci a ripagare amore con amore, a consacrarci tutti interi all’amore di Cristo, come Gesù Cristo s’è dato tutto quanto al nostro amore ». Per quali ragioni mai Gesù Cristo ama meglio dimorare con gli uomini piuttosto che con gli Angeli? Eccovene due: 1° Egli ha vestito non l’angelica, ma l’umana natura. 2° Siccome la virtù è cosa più ardua e penosa agli uomini, a cagione della loro natura degradata, Esso li fortifica con le sue consolazioni e grazie, li sostiene affinché la pratica della virtù torni loro facile e gradita. Così Egli ha cangiato per S. Pietro e S. Andrea la croce in delizia; S. Lorenzo trovò la sua felicità su la graticola ardente; le frecce portarono refrigerio e dolcezza a S. Sebastiano; tutti i generi di tormenti furono dilettevoli per S. Vincenzo e le stigmate care a S. Francesco d’Assisi, ecc. Qual gioia non ha provato Gesù Cristo ne’ suoi più grandi Santi, in un San Paolo, per es., in un S. Antonio, in una S. Agnese, o Cecilia, o Agata, o Caterina da Siena, o in tanti altri Vergini e Martiri! L’amore di Gesù Cristo per gli uomini l’inebria. E non è forse ebbro d’amore, quando discende dal Cielo nel seno d’una Vergine; quando dal seno di Maria passa a riposare in una greppia, e da questa ascende al Calvario? Non è forse un amore spinto fino all’ebbrezza, quello che gli fa percorrere i borghi ed i villaggi, le città e le capanne per predicare il regno di Dio; soffrire la fame, la sete, il freddo, il caldo, gli insulti, le maledizioni, le derisioni, e le bestemmie per la salvezza degli uomini? E su la croce, non è forse più l’amore che non il dolore quello che lo tormenta? Egli consente di essere creduto un infame, si lascia insultare, spogliare, coprire di piaghe e di sangue, appendere al supplizio de’ ladri come un furfante; incontra finalmente la morte de’ scellerati! Che cosa si può trovare di più forte? L’amore trionfa d’un Dio. Dio è nostro padre, l’umanità di Gesù Cristo è nostra madre; come una madre porta il suo ragazzo nel seno, gli fornisce gli elementi della vita, lo dà alla luce, lo nutrisce, lo leva, lo corica, lo lava, lo diverte, l’istruisce non senza continue e gravi pene, e ne forma un uomo perfetto; così Gesù Cristo, nostra madre, s’è dato, per corso di trentatré anni, a penosi e continui lavori; ha sofferto atroci dolori, principalmente su la croce, e in questa guisa ci ha concepiti, generati alla vita della grazia, allattati, nutriti e allevati. Ecco perché Gesù Cristo nel farsi uomo ha voluto non dover ad altri il suo corpo che ad una madre: perché tutto in Lui fosse viscere materne. Che cosa trovare di più forte? L’amore trionfa di un Dio.
« Avendo Gesù Cristo amato i suoi, dice S. Giovanni, li amò fino alla fine » (Ioann. XIII, 1): e infatti lava loro i piedi, stabilisce il Sacramento eucaristico in cui si dona per nutrimento a’ suoi discepoli prima di morire per essi e per l’universo intero. Contemplate principalmente l’amore di Gesù Cristo su la croce. La croce è la cattedra da cui risuona l’insegnamento della bontà e dell’amore di Gesù Cristo: Ah! voi mi avete amato, ed infinitamente amato, o mio Salvatore; ancorché io vi dessi mille anime e mille vite, che sarebbe mai questo a confronto della vostra vita, ch’è la vita d’un Dio? « Imparate da Gesù ad amare Gesù », esclama S. Bernardino da Siena; « e pensa, soggiunge il Crisostomo, che Egli ti ha dato tutto, nulla per sé riservando »; e San Bernardo dice: « Dònati tutto quanto a Lui, giacché Egli, per salvarti, ha dato tutto quanto se stesso ». « Non ritenete un filo per voi, suggerisce S. Francesco d’Assisi, affinché Gesù Cristo il quale nulla ha riservato per se stesso, vi riceva tutt’interi » (S. Bonaventura, In Vita). Quindi S. Agostino esclamava : « Fate, o Signore, ch’io muoia a me stesso, affinché Voi solo viviate in me ». Ci fu poi tempo in cui questo Dio abbia cessato di amarci? No, mai. « Poveri orfani, Egli disse, state certi ch’io non v’abbandonerò mai, ma verrò a voi » (Ioann. XIV, 18). Non abbandoniamolo dunque mai, neppure noi e diciamo con l’Apostolo: «Chi o che cosa avrà forza da strapparmi dall’amore di Gesù Cristo? Forse le afflizioni, le angosce, la fame, la nudità, i pericoli, le persecuzioni, la spada? Ah no! Né la morte, né la vita, né gli angeli, né i principati, né le potestà, né le cose presenti, né le future, né la violenza, né ciò che v’ha di più alto o di più profondo, né creatura alcuna potrà mai separarmi e farmi rinunziare all’amore di Dio in Gesù Cristo mio Signore » (Rom. VIII, 35-39).

8. Eccellenza dell’amor di Dio. — « Solo l’amore, scrive S. Agostino, fa distinguere i figli di Dio dai figli del Demonio; questo è l’unico segnale al quale si possono riconoscere. Quelli in cui è la carità, son nati da Dio; non viene da Lui chi non lo ama. La carità è la più vera, la più piena e assoluta giustizia ».
Il medesimo S. Agostino chiama l’amor di Dio « la cittadella di tutte le virtù », e con lui fanno a gara a magnificare l’eccellenza della carità gli altri santi Padri. S. Basilio la chiama « radice di tutti i comandamenti ». S. Gregorio Nazianzeno la dice « punto capitale della dottrina cristiana » (Epl. XX), e Tertulliano, « il segreto supremo della fede, il tesoro del nome cristiano » (De patient.). S. Gerolamo la chiama « madre », S. Efrem « colonna di tutte le virtù ». Per S. Prospero la carità è la più potente di tutte le inspirazioni, è invincibile in tutte le cose, è la regola suprema delle buone azioni, la salvaguardia dei costumi, il fine de’ precetti divini, la morte de’ vizi, la vita delle virtù (De vit. Contemp. lib. IlI, c. 13). San Gregorio la proclama «madre e custode di tutti i beni»; S. Bernardo l’esalta come « la madre degli Angeli e degli uomini, la pa-ciera del Cielo e della terra ». Ascoltate ancora il Crisostomo che vi predica: che chi arde di amore per Gesù Cristo, vive come se fosse solo su la terra. Egli non s’inquieta né della gloria, né dell’ignominia. Disprezza le tentazioni, i flagelli, le carceri quasi che soffrisse in un corpo non suo, ma di un altro, o in una carne di diamante. Se la ride de’ piaceri del secolo e non ne prova maggior solletico di quello che ne proverebbe un morto. A quella guisa che le mosche fuggono il fuoco, così le sensazioni della carne e della concupiscenza s’allontanano da chi ha la carità (Hom. LII in Act. Apost). Nell’amor di Dio vi sono tutti i tesori; fuori di quest’amore non vi è nulla. Da lui dipende e in lui consiste la felicità dell’uomo in questo mondo; esso è l’unica via che mette al Cielo: esso fa e farà in eterno la suprema beatitudine degli eletti. « Se voi avete la carità, dice S. Agostino, voi possedete Dio, e quando si possiede Dio, si hanno tutte le ricchezze ». Ed altrove soggiunge che « l’amor di Dio è il colmo della felicità, il sommo grado della gloria e della gioia, che uguaglia tutti i beni » (De Civ. Dei). Desiderate voi, dice S. Anselmo, d’essere re nel Cielo? Amate Dio e voi sarete tutto quello che bramate (Epist.). La carità è la massima tra le virtù; e di quanto l’oro sopravanza gli altri metalli, il sole vince le stelle, i Serafini superano gli Angeli, di tanto la carità è superiore alle altre virtù. Nessuna virtù è là dove non v’è carità, tutte si trovano dove questa si trova; la carità è una regina a cui tutte le altre virtù formano corteo. Essa è l’oro prezioso e purgato col quale si compra il Cielo; è un fuoco celeste che infiamma i cuori; è un sole che rischiara, feconda e vivifica ogni cosa. È una virtù angelica che cangia gli uomini in Serafini. Ne volete di più? Udite. 1° La carità è la guida, la direttrice, la regina delle virtù. 2° È la lor nutrice che le mantiene, le fortifica, le conserva, come scrive S. Lorenzo Giustiniani (Lib. arbitri. vitae). 3° La carità forma d’ognuno di noi altrettanti amici e figli di Dio, suoi eredi, coeredi di Gesù Cristo, templi dello Spirito Santo, 4° È il distintivo tra gli eletti ed i riprovati. 5° È l’anima delle virtù le quali da lei ritraggono il merito loro : ed è perciò che S. Agostino sostiene che solo la carità conduce a Dio (In Psalm.). 6° È il vincolo che intimamente ci lega a Gesù Cristo. « La nostra conformità col Verbo per mezzo della carità, dice S. Bernardo, congiunge a Lui l’anima nostra come sposa a sposo ». 7° È un fuoco inestinguibile che ammollisce il macigno, e squaglia i cuori più duri, perché l’amore sorpassa tutto, trionfando perfino di Dio. La carità comanda all’odio, alla collera, al timore, alla cupidigia, al fascino de’ sensi, ecc. e tutto dirige verso Dio. 8° Come l’aquila fissa la pupilla nel sole, così, afferma S. Agostino, quegli che ha la carità, contempla Dio, e librato su due ali di fuoco, che sono l’amore di Dio e del prossimo, vola alla volta del Signore (De Morib. Manich.). Osservate di grazia quello che la carità opera in S. Paolo: è San Giovanni Crisostomo che ce lo dice. A quel modo che il ferro posto nel fuoco diventa anch’esso fuoco, così Paolo, infiammato d’amore, diventa tutt’amore. Ora colle epistole, ora di viva voce, tal volta con preghiere, tal altra con minacce, qua in persona, là per mezzo dei discepoli, adoperava tutti i mezzi per incoraggiare i fedeli, tener saldi i forti, rialzare i fiacchi e i caduti nel peccato, guarire i feriti, rianimare i tiepidi, ribattere i nemici della fede : eccellente capitano, intrepido soldato, abile medico, egli bastava a tutto. Oh! se i nostri cuori amassero Dio come l’amava Paolo, noi vedremmo meraviglie non mai più udite (Serm. in Laud. Paul.). «L’amore ed il timore di Dio guidano a tutte le opere buone, lasciò detto S. Agostino, come l’amore ed il timore del mondo menano a tutti i peccati ». La carità è cosa tanto preziosa, che vince il prezzo d’ogni altra; per ottenerla dobbiamo impiegarvi tutte le nostre forze, i nostri sudori, la vita medesima… Un’opera eccellentissima fatta senz’amore di Dio, ha poco o niun pregio, ed una ancorché comunissima, un bicchier d’acqua, per es., dato ad un povero, se fatta per spirito di carità, l’ha grandissimo agli occhi di Dio. Dio pesa gli spiriti, dicono i Proverbi (Prov. XVI, 2). Ora il peso dell’anima e del cuore è l’amor di Dio. Quanto più adunque l’anima ama Dio, tanto più ella ha peso nelle bilance di Dio; l’amore le dà il peso ed il valore. Di che cosa è capace l’amor di Dio? Che cosa non merita la carità, sorgente e principio d’ogni merito? Come mai il Signore abbandonerebbe colui che l’ama? Come potrebbe non amarlo egli medesimo?… L’anima fedele e santa si trova, rispetto all’amore divino, in quella condizione in cui trovasi un generoso soldato in mezzo ad una battaglia, o un erudito in mezzo ad una biblioteca, o un medico in mezzo – ad una munitissima farmacia, o un legista armato della legge, o un lavoratore munito d’ogni attrezzo per la coltura de’ campi, o un orefice padrone d’immensa quantità d’oro. L’amore divino è per quest’anima la sua spada, il suo libro, il suo farmaco, il suo codice, il suo campo, la sua ricchezza, la sua arte, il suo lavoro. Per mezzo dell’amore noi ci tuffiamo in Dio, oceano senza sponde, e vi ci troviamo ad agio come il pesce nell’acqua e l’uccello nell’aria. Ah! riceviamo Dio con un cuore infiammato di amore: Dio lo penetri, come i raggi del sole penetrano l’aria; vi si rifletta, come si riflette su tersissimo specchio la fisionomia dell’uomo. « Non il prezzo dell’offerta guarda Iddio, dice Salviano (lib. II, ad Cler.), ma l’animo, ossia l’amore con cui si porge ». « Il vero amore, soggiunge S. Bernardo, non cerca il premio, ma se lo merita; e questo premio è quel Dio medesimo che si ama ». « Signore, datemi che vi ami, diceva S. Ignazio di Loyola, ed io sarò ricco fuori misura » (In Vita).

9. L’amore ci fa imitatori di Dio. — San Paolo scrive agli Efesini: « Siate imitatori di Dio, come figli carissimi » (Eph. V, 1). Ma come mai, o grande Apostolo, una misera creatura, qual è l’uomo, può imitare Dio? Com’è possibile ciò? Eccovi il mezzo: «Camminate nell’amor di Dio» (lb. 2). Dio è tutto amore; dunque colui che ama di tutto cuore, imita Dio. Dio è tutto amore per noi: siamo tutt’amore per Lui, e noi saremo suoi imitatori.

10. L’amore ci unisce a Dio, e ci fa vivere di Gesù Cristo e per Gesù Cristo. — Per mezzo dell’amore noi ci uniamo a Dio così intimamente da formare, in certo modo, una sola cosa con Lui: l’amore ci divinizza. Come il ferro nella fornace si cangia in fuoco pure conservando la sua natura, così chi ama Dio si trasforma in Dio. Per mezzo dell’amore divino si effettua in noi la parola di Gesù Cristo al Padre : « Padre santo, custodisci nel nome tuo quelli che hai a me consegnati; affinché siano una sola cosa come noi… Io sono in essi, e tu in me, affinché siano consumati nell’unità » (Ioann. XVII, 11, 23). Il fine dell’amore, commenta S. Bernardo, è dunque la consumazione, la perfezione, la pace, la gioia nello Spirito Santo, il silenzio nel Cielo (Serm. in Verb. Ev.). L’amore trasforma l’amante nell’amato: l’anima abita più in colui ch’ella ama che nel corpo a cui dà vita. Dio, per mezzo della grazia, si comunica e si dà all’uomo giusto e con questa comunicazione lo innalza fino a sé, se l’unisce, lo divinizza. Sì, noi per mezzo dell’amore, come dice S. Pietro, diventiamo « partecipi della natura divina » (II Pietr. I, 14). L’amore divino trasforma colui ch’esso riempie; lo fa aderire così intimamente a Dio, che forma, diremo, una sola cosa con lui, affinché egli viva, senta, goda della vita, dei sentimenti, della gioia di Dio. Questo appunto provava S. Paolo in se medesimo, quando diceva: Io vivo, però non sono più io, ma è Gesù Cristo che vive in me (Galat. II, 20). Chi ama Dio, si separa interamente da se stesso; passa a Dio e a Dio si congiunge e non pensa, non comprende, non sente altro che Dio vivendo solo di Dio, perché il bene è comunicativo di sua natura e tende ad espandersi; ora, siccome Dio è il bene supremo e per essenza, non può a meno che comunicarsi ed espandersi al più alto grado. La Sposa dei Cantici gustava le dolcezze di tale unione quando esclamava: « Ah! il mio Diletto è tutto a me, ed io son tutta a Lui » (Cantic. II, 16). Io che sono il puro e il perfetto amore, disse un giorno Iddio a S. Geltrude, ti ho scelta per me, e per quanto l’uomo desidera vivere e respirare, io desidero che tu ti unisca a me d’indissolubile legame; io ti ho accolta nel seno della mia paterna bontà, affinché tu ottenga da me tutto ciò che puoi desiderare. La mia vita, la causa della mia vita è Gesù Cristo, esclama San Paolo (Philipp. I, 21); e questo per tre motivi: 1° Gesù Cristo è la causa efficiente della mia vita spirituale, e me la conserva; 2° è il principio della mia vita per i suoi esempi; 3° ne è lo scopo finale. « Io sono, disse Gesù Cristo, la via, la verità, la vita» (Ioann. XIV, 6); e per conseguenza chi ama Gesù Cristo, possiede la via, la verità e la vita, ossia, come spiega Teofilatto, Gesù Cristo è il suo spirito, la sua luce, la sua vita sì naturale che soprannaturale e beata. « Ognuno di noi, scrive S. Agostino, è quale è il suo amore; ami tu la terra? tu sarai terra; ami Dio? sarai Dio » : perciò S. Paolo scriveva ai Galati: « Io sono crocifisso con Gesù Cristo » Gal. II, 19).

11. Amare Dio è un amare se stesso. — È sentenza di S. Agostino, che la città di Dio si fonda, s’innalza, si compie per mezzo dell’amor di Dio, e si mantiene con l’odio verso se stesso; mentre la città del Diavolo comincia con l’amore di se stesso e cresce fino all’odio di Dio. Amare se stesso è un odiarci. Io non so darmi ragione come altri possa amar sè invece di Dio; perché chi non può vivere con la sua forza, certamente muore se ama se stesso; al contrario quando si ama colui che solo dona la vita e si ha in odio se medesimo, allora è un vero amare se stesso. Si deve amare Dio affinché con l’aiuto del suo amore possiamo dimenticare noi medesimi. Amare Dio è un amare se medesimo: è chi preferisce sé a Dio, costui non ama né Dio, né se medesimo. Non si ama poi Dio, se non per Dio e con Dio.

12. L’amor di Dio unisce gli uomini tra di loro. — « Vi sono tante anime e tanti cuori, quanti sono gli uomini; dice S. Agostino; ma quando si congiungono a Dio per l’amore, non hanno più tra tutti che un cuor solo ed un’anima sola ». E tale è il sublime esempio lasciatoci dai primi cristiani. Giacché non possiamo fare nulla per rendere felice Iddio, adoperiamoci almeno con la carità al bene del prossimo che è immagine di Dio : seminiamo tra i nostri fratelli la sapienza, la grazia, il buon esempio e tutti i doni che abbiamo ricevuto da Dio. La limosina spirituale vince in pregio la corporale, e più noi largheggeremo col prossimo, più largamente noi riceveremo da Dio. Quanto più una sorgente emette acqua, tanto più ne riceve; ma se la polla non potesse zampillare fuori, o, riempiuto il bacino, più non avesse uscita, allora ben presto l’acqua si disperderebbe per altri canali, e il fonte disseccherebbe. Così avviene dei predicatori e di coloro che fanno in qualche modo la limosina spirituale, ecc. ; più aiutano il prossimo, e più Dio aiuta loro e li colma di grazie.
S. Paolo che fu martire della carità prima di essere martire della spada, scriveva a quei di Corinto:- « Io muoio ogni giorno per la vostra gloria, o fratelli, che è mia in Cristo Gesù Signor nostro » (1 Cor. XV) « Chi è infedele a Dio, dice S. Agostino, non può essere fedele all’uomo; e la pietà è la salvaguardia dell’amicizia ». L’amor di Dio e l’amor del prossimo non vanno disgiunti; non formano che un comandamento…
13. L’amor di Dio rende invincibile. — Una viva pittura dell’invincibile forza dell’amor divino ci fu lasciata dal grande Apostolo in quelle parole ai Romani — Chi ci strapperà dall’amore di Gesù Cristo? forse l’afflizione, o l’angoscia, o la fame, o la nudità, o i pericoli, o le persecuzioni, o la spada? Ah no! io sono sicuro, certus sum, che né la morte, né la vita, né gli angeli, né i principati, né le potestà né le cose presenti, né le future, né la violenza, né creatura alcuna, sia pure dei Cieli o dell’Inferno non potrà mai staccarci dall’amore di Dio in Gesù Cristo (Rom. VIII, 35-39). Ammaestrata dall’Apostolo, la vergine e martire S. Agata usciva anch’essa in questi accenti : Io sono così ferma ed incrollabile nell’amore del mio Signore Gesù, sono così fermamente risoluta a mantenere saldo il voto di verginità a Lui fatto, che spero, mercé la grazia sua, di veder mancare la luce al sole, il calore al fuoco, la bianchezza alla neve, piuttosto che tentennare nella volontà e nei proponimenti miei (Surio, In Vita). « Niente v’è di così duro, soggiunge S. Agostino, che non ceda al fuoco dell’amor divino (29) ». Sta scritto nei Cantici che « l’amore è forte come la morte; che le molte acque non poterono estinguere la carità, né le fiumane la soverchieranno » (Cantic. Vili, 6-7). Sì, l’amore è forte come la morte; 1° perché come la morte doma tutto, è padrona di tutto, e nessun vivente può evitarne il colpo, così l’amore di Gesù Cristo ha trionfato delle battiture, de’ chiodi, delle spine, dei dolori, della croce, degli affronti, della fame, della sete, delle nudità, in una parola di tutte le avversità e di tutti gli ostacoli. Chi ama Gesù Cristo è pronto a soffrire per Lui ogni cosa. 2° L’amore di Gesù Cristo è forte al pari della morte : poiché quest’amore l’ha vinta, l’ha soggiogata, l’ha uccisa, come dice il profeta Osea: « O morte, io sarò la tua morte » (XIII, 14). 3° L’amore è forte al par della morte : poiché l’amore prova, e risente in sé tutti i mali dell’oggetto amato. Se questo muore, l’amante muore anch’esso d’angoscia.
L’amore è forte come la morte. È impossibile, nota S. Agostino, esprimere in più bello, e splendido, e ricco, e gagliardo modo la potenza dell’amor divino: che cosa infatti resiste alla morte? Si resiste al fuoco, all’acqua, al ferro, al potere, ai re; ma viene la morte, e non importa sotto quale sembianza, e dov’è chi possa tenerle fronte? Essa è padrona di tutto. Ecco perché la potenza dell’amore è paragonata a quella della morte : e infatti l’amor di Dio uccide e distrugge in noi quello che noi siamo, per trasformarci in quello che non siamo. È una morte, la morte cioè del peccato, ma è ad un tempo la risurrezione e la vita. « Come la morte uccide, scrive S. Gregorio, così l’amore della vita eterna ci fa morire alle cose di questo mondo. L’amor di Dio produce sulle passioni dell’anima lo stesso effetto che la morte sul corpo; ci porta, vale a dire, a calpestare ogni terreno affetto: e a defunti di questo genere l’Apostolo diceva: « Voi siete morti, e la vita vostra è nascosta con Gesù Cristo in Dio» (Coloss: III, 3). La carità è forte come la morte, soggiunge S. Ambrogio, perché la carità uccide e fa scomparire tutti i peccati. Si muore a’ vizi, quando si ama il Signore (In Psalm. CXVIII, serm. XV). E poiché la morte non si stanca mai, né mai si riposa finché vi sia vita d’uomo da mietere, il nostro amore anch’esso duri fino a tanto che abbia estirpato in noi le passioni e i vizi tutti quanti. – L’amore è forte al par della morte. Ci fa morire al mondo, al demonio, a noi stessi, per non vivere che di Gesù Cristo; ci fa desiderare la morte e sacrificar la vita : perché chi ama davvero, non risparmia né ricchezze, né figli, né se medesimo. L’amor divino fa vivere l’anima pel tempo e per l’eternità; l’amore del mondo uccide l’anima pel tempo e per l’eternità. L’anima viene dal celeste amore siffattamente innalzata, dice il Crisostomo, che tiene in conto di suprema sua gloria trascinare le catene di Gesù Cristo, ed essere per Lui perseguitata. Ella si spoglia di ogni affetto terreno, come l’oro nel crogiuolo si purga di ogni scoria. Dove l’amor di Dio è grande, si vedono prodigi di coraggio. Purtroppo che queste verità non ci colpiscono, non ci dànno gusto, perché siamo tiepidi e freddi. S. Agostino, parlando della castità di Giuseppe, esprime questo bel pensiero: Chi ama Dio, non può esser vinto dall’amore di una donna: le lusinghe della gioventù non allettano punto un’anima casta, la quale non si arrende nemmeno alla influenza d’un amore appassionato. Giuseppe è grande, perché schiavo rifiuta d’obbedire; amato, rifiuta d’amare; scongiurato, non si piega; afferrato, fugge (De Civ. Dei, CXXIII). L’amor di Dio mi brucia, mi divora, va gridando S. Francesco d’Assisi: io ho risposto all’amore con l’amore: l’amor divino trionfa nel mio cuore dell’amore che l’uomo naturalmente prova per se stesso. Né le tempeste, né le fiamme, né la spada non me lo rapiranno mai. Oh Signore! muoia io d’amore per Voi, giacché Voi siete morto d’amore per me! « Cercate il Signore per mezzo della carità e voi sarete fortificati » dice il Salmista (Psalm. CIV, 4).

14. L’amor di Dio scaccia i Demoni. — A quel modo che vedete le mosche scostarsi dall’acqua bollente e fermarsi su quella tiepida dove depongono semi di vermiciattoli, così i Demoni fuggono da un’anima avvampante d’amor divino, e si stringono attorno alle tiepide e le tempestano, e le trasformano in sentine di corruzione. Il Demonio soffre di più dentro di sé vedendo l’amor divino in un cuore, che patendo il fuoco dell’Inferno. Questo amore è nelle mani del cristiano un’arma con cui egli si difende dalle astuzie del serpente antico, e gli mozza il capo. Con questo amore si trionfa dell’Inferno e delle passioni tutte.
15. L’amor di Dio distrugge il peccato. — Inspirato certamente da quelle parole di Gesù Cristo alla Maddalena: «Le sono rimessi molti peccati, perché ha molto amato » (Luc. VII, 47). S. Agostino proferì questa sentenza che « l’amor di Dio è la morte de’ vizi e la vita delle virtù ». Tutta la ruggine del peccato viene divorata e tolta via dal fuoco dell’amor divino; e più esso avvampa in un cuore, e più il peccato vi sì trova annientato. « Il vostro Dio è un fuoco che consuma », sta detto nel Deuteronomio (Deuter. IV, 24) : « Dio è chiamato fuoco che consuma, commenta qui S. Gregorio, perché rende netta e pura d’ogni peccato l’anima ch’Egli riempie del suo amore ». « Non ombra di malvagità rimane in un cuore che brucia del fuoco della carità », dice S. Cesario d’Arles. L’amor di Dio rende come impeccabile; e in questo senso S. Agostino sentenziava: «Ama, poi fa quello che t’aggrada ». Quegli infatti che ama Dio, non consentirà giammai ad offenderlo, ad oltraggiarlo, a violar la sua legge, ecc…
16. L’amor di Dio ci fa disprezzare tutto il resto. — Ogni cosa mi pare fango, scriveva il grande Apostolo ai Filippesi, se la paragono alla scienza del mio Signore Gesù Cristo, per il cui amore sono determinato a disprezzare ogni cosa, purché giunga a possederlo (Phil. IlI, 8). « La sanità stessa del corpo ha poco pregio, soggiunge S. Gregorio, per quell’anima che è trafitta dalle frecce dell’amore divino ». Può amare il mondo corrotto, colui che ama Dio incorruttibile? Ah! egli esclama piuttosto con S. Francesco : « Come la terra mi compare brutta, se volgo lo sguardo al Cielo ».
17. L’amor di Dio scaccia la tiepidezza.  — « È impossibile, dice San Bonaventura, che l’accidia ed il languore s’impossessino di un’anima che dal desiderio di amare Dio è spinta ad avanzarsi di giorno in giorno per la via della perfezione ». Il cuore di colui che ha la carità, è come un pezzo di cera, che nel fondere prende l’impronta di Dio; mentre il cuore di chi ne è privo, è come il fango che s’indurisce al sole. Eppure è il medesimo calore del sole che opera su la cera e sul fango!
18. L’amor di Dio illumina. — S. Paolo augurava agli Efesini, che Gesù Cristo abitasse in loro, affinché essendo ben radicati e fondati nell’amore fossero in grado di comprendere con tutti i Santi quanta sia l’ampiezza e la larghezza, l’altezza e la profondità dell’edificio di Dio, amore che sopravanza ogni intendimento, affinché ne fossero riempiti seconda tutta la pienezza di Dio. Nessuno è tanto vicino a Dio, quanto colui che l’ama; e quanto più si ama Dio, tanto più gli si è dappresso: ora Dio è la luce delle luci, la luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (Ioann. I, 9). Ah sì! o mio Dio, « coloro che vi amano, risplendono come il sole al suo levarsi » (Iudic. V, 31).
19. A chi ama Dio ogni cosa si volge in bene. — « Noi sappiamo, dice l’Apostolo, che per coloro i quali amano Dio, tutte le cose tornano a bene » (Rom. VIII, 28). L’amor divino rende facile ogni cosa…, dà valore ad ogni benché minima cosa, ai patimenti, alla povertà, ecc.
20. Dolcezza e felicità di amare Dio. — Rallegratevi con Gerusalemme, esclama il profeta Isaia, tripudiate d’allegrezza con lei, voi tutti che l’amate. Voi sarete riempiti delle sue consolazioni, innondati dal torrente delle sue delizie, su voi si rifletterà lo splendore della sua gloria. È parola del Signore, che la pace scenderà sopra di voi come le onde di un fiume e la gloria delle nazioni come le acque d’un torrente. Voi sarete portati tra le braccia e tenuti su le ginocchia come pargoletti. Io vi consolerò come madre che vezzeggia il bimbo (Isai. LXVI, 11-13). Gesù Cristo prodigando alle anime fedeli il delizioso vino del suo amore, le inebria di amore, poiché, come dice S. Dionigi, l’amore perfetto produce l’estasi ed una santa follia (De celest. Hierar.). Niente vi è di più bello, di così dolce, di così attraente come Dio. « Io li trascinerò, dice il Signore, coi legami che seducono gli uomini, coi vincoli dell’amore » (Osea XI, 4). Io me li incatenerò per mezzo dell’amore che dimostrerò loro, di grazie segnalate, della dolcezza e della grazia. Ed è ciò per l’appunto che ha provato S. Agostino dopo la sua conversione. « O come dolce mi seppe in su l’istante vedermi privato delle gioie fallaci, delle vane delizie!, egli diceva, e quello che in su le prime io temevo di perdere, mi riempiva di gioia dopo averlo perduto. Siete Voi, o mio Dio, Voi la vera e suprema soavità, che avete allontanato dalle mie labbra il calice di quelle dolcezze avvelenatrici e Vi siete sostituito ad esse, Voi più dolce di tutti i piaceri del mondo (Confess.) ». Chi non si avvede da queste parole che l’amor divino è un vigoroso dardo con cui Dio trapassa il cuore? Ah! ve ne persuade ancora S. Paolo che esclama infiammato di amore: « Io possiedo ogni cosa, mi trovo nuotare nell’abbondanza; nulla mi manca » (Philipp IV, 18). Ascoltate Origene che mirabilmente commenta quelle parole dei Cantici: « Io sono ferita d’amore» — Vulnerata charitate ego sum. — « Quanto bella, quant’onorevole cosa è ricevere la ferita dell’amore divino! Chi espone il petto ai dardi dell’amore carnale, chi a quelli del’avarizia; ma voi esponetevi ai dardi deliziosi dell’amore divino, poiché Dio è un arciere, e fortunato chi da Lui è ferito ». Ne erano alla prova S. Efrem, quando diceva: « Fermate, o Signore, il torrente delle vostre dolcezze, perché non posso reggere »; e S. Francesco Saverio, il cui grido era questo: «Basta, o Signore, basta »; e l’Apostolo Paolo che diceva in mezzo alle sue tribolazioni: « Strabocchevole è la gioia che m’inonda il petto » (II Cor. VII, 4). – Ogni bene, ogni dovere dell’uomo, tutta la sua felicità, il fine e la perfezione sua consistono nell’amor di Dio. L’amore trasforma l’uomo in Dio. « E ben giusto, o Signore, esclama S. Agostino, che chi cerca la sua felicità altrove, fuori di Voi, Vi perda. Deh! fate che ogni cosa di quaggiù mi riesca amara, affinché Voi solo riusciate dolce all’anima mia, Voi che siete la dolcezza ineffabile e che rendete soave ogni asprezza ».
«Beati coloro che vi amano, o Signore», diceva già Tobia (Tob. XIII, 18). Niente si trova nelle cose umane, al dire di S. Bernardo, che possa appagare una creatura fatta ad immagine di Dio, se non il Dio carità, il quale solo è maggiore di essa. Se io amo qualche oggetto perché è buono, dice S. Anselmo, io devo a molto maggior ragione amare ciò ch’è infinitamente buono. Perché dunque vai tu, o uomo, qua e là cercando beni per la tua anima e per il tuo corpo? Ama il solo bene che è tutto il bene, e questo basta. In Dio solo è il mare di ogni bene; fuori di Lui non scorrono che ruscelletti. L’apice e la perfezione della sapienza, della felicità, della virtù e dell’uomo e dell’Angelo, sta in Dio; sta nell’indirizzare a Lui ogni pensiero, ogni intenzione, ogni opera nostra: sta nell’amarlo in tutte le creature, e amare le creature in Lui. L’anima colpita dai raggi del suo Creatore ed infiammata dal suo amore, l’anima che a Dio si unisce in dolcissimi abbracciamenti, tutto dirige verso di Lui, tutto vede in Lui e Lui solo vede in ogni cosa: con Lui e dopo di Lui sospira e respira dicendo: Tutti i miei respiri e sospiri sono per Voi e in Voi, o mio Dio. Ecco perché, in qualunque luogo ella sia, qualunque cosa ella faccia, sempre mira Colui ch’ella ama ed opera per Colui che l’ama; ella vive, si riposa e muore in Lui per l’amore e la contemplazione. Questa pace, questo riposo, questa gioia, questa felicità provava Geremia allorché diceva: « Si è acceso nelle mie interiora, come un fuoco ardente chiuso nelle mie ossa, ed io svenni, non potendolo sopportare » (Hier. XX, 9). Dio ha messo nel cuore dell’uomo un desiderio dell’infinito, che niuna cosa limitata può saziare. « Per Voi ci avete fatti, o Signore, esclama S. Agostino, ed inquieto sarà il nostro cuore fino a tanto che in Voi non si riposi ». Desiderate voi delle ricchezze? Dio le possiede tutte. Cercate una sorgente d’acqua viva? e qual acqua più pura che l’acqua della sua grazia? sebbene sia vero che Dio prova quaggiù gli eletti con l’aridità perché la felicità costante è riservata in Cielo. La Sposa dei Cantici se ne lagnava con queste parole : « Io mi alzai per aprire al mio Diletto, gli apersi; ma Egli si era sottratto e allontanato. L’ho cercato e non lo trovai; l’ho chiamato e non mi rispose ». Dio ci mette alla prova; assoggettiamoci: le prove sono un pegno d’amore e noi sforzandoci di obbedire alla sua santa volontà, l’ameremo sempre. Niente è tanto dolce e casto, ed insieme ardente, quanto l’amor di Dio : esso consuma le viscere e il cuore: inebria l’anima fino all’oblio di se medesima.
21. A chi ama tutto è facile e leggero. — Da questa dolcezza, da questa felicità di amare Dio, sorge naturale la facilità di amarlo. « Ogni comandamento di Dio pare leggero a chi ama, e dov’è amore, ivi non è fatica », dice S. Agostino; « anzi è soavità e dolcezza », aggiunge S. Bernardo; cosicché « l’amante, ripiglia S. Agostino, non trova niente di difficile, niente d’impossibile ». L’anima amante s’eleva di tratto in tratto alla celeste Gerusalemme, ne percorre l’ambito: visita i Patriarchi ed i Profeti; saluta gli Apostoli; ammira l’esercito dei Martiri e dei Confessori; contempla i cori delle Vergini e di tutti i Santi. O uomini! esclama S. Agostino, che vi logorate a servire l’avarizia, il vostro amore vi crocifìgge, mentre Dio si ama senza fatica. La cupidigia vi impone lavori, pericoli, angherie, stenti, e voi le obbedite : ed a qual fine? per riempire i vostri scrigni e perdere la pace. Più sicuri e più tranquilli voi eravate quando non possedevate ancora nulla che non adesso che avete ammassato ricchezze senza fine. Avete i granai che riboccano, ma il cuore agitato per timore dei ladri : avete incassato dell’oro, ma perduto il sonno. Dio si acquista e si possiede senza fatica, quando si ama. Traeteci, diceva la Sposa dei Cantici, e noi correremo dietro a Voi all’odore dei vostri aromi (Cant. I, 4). Sì, amate, soggiunge il citato Padre, e voi sarete attratti. Né vogliate credere che la violenza fatta all’anima da Dio sia grave e penosa; essa è anzi dolce e soave, è, dirò meglio, la soavità medesima che v’incatena. Non è forse attratta la pecora che ha fame, quando le si mostra dell’erba? Non è sforzata, ma si eccitano i suoi desideri. E voi ancora venite a Gesù Cristo: non vi spaventi la lunghezza del cammino, perché a Cristo si va amando, non navigando. L’amore è, secondo il medesimo Dottore, una leva così potente, che innalza i più gravi pesi, perché l’amore è il contrappeso di tutti i pesi. « Il mio amore è il mio peso; da lui son tratto dovunque mi porto ». La leva dell’anima è la forza dell’amore il quale la solleva al di sopra del mondo e la fa toccare il Cielo, scrive S. Gregorio (Homil. in Ev.); ed a lui fa riscontro S. Bernardo che dice: « La mia fatica dura appena un’ora; durasse pur più lungo tempo, non me ne accorgerei, perché amo ». Gesù Cristo ha superato con la forza del suo amore tutto il peso della sua Passione e della sua croce. L’amore rende facile e leggero quanto v’ha di più spossante e penoso.
22. L’amor divino racchiude tutti i beni.  — Se Dio abita in un’anima fedele per mezzo del suo amore, vi produce i seguenti mirabili effetti : 1° la monda delle terrene cupidigie, affinché non brami e non gusti che le cose celesti. 2° Questo amore volge a Dio tutti i sentimenti, le facoltà, gli atti, le affezioni dell’anima, acciocché non pensi che a Dio, non veda e non cerchi altro che Dio. E che cosa andrebbe cercando al di fuori, se Dio è in lei? Ella s’immerge e si sprofonda in Lui, sorgente d’ogni bene. 3° L’amore spinge l’anima a desiderare di far cose eroiche per Iddio, di soffrire per Lui, e ritrarre in sé Gesù crocifisso. 4° La fa crescere ogni giorno nella grazia. 5° La porta a comunicare a quanti può, e se fosse possibile, al mondo intero, il fuoco di cui ella è accesa. Poiché l’amore, dice S. Bernardo, non è altro se non una gagliarda volontà per il bene; e perciò chi non ha zelo, non ha punto d’amore, conchiude il citato Padre. 6° L’anima per mezzo dell’amore comanda a Dio medesimo; ottiene tutto ciò che domanda, ed acquista una certa quale onnipotenza. 7° Dio se l’unisce, se l’assimila, le fa parte delle sue virtù divine, le comunica i suoi secreti, le rivela lo stato dei cuori, le dà conoscenza di quello che altrove avviene e perfino dell’avvenire, come ai Profeti ed agli Apostoli. 8° Le dona la tranquillità e la serenità, la rischiara, affinché imperterrita, contenta, lieta nelle avversità e nelle prosperità, sempre gioisca nel Signore, Lo lodi e Lo ringrazi cantando col Salmista: «Io benedirò il Signore in ogni istante, su le mie labbra suoneranno del continuo le sue lodi » (Psalm. XXXIII, 1); e con Giobbe: « Il Signore me l’avea dato, il Signore me l’ha tolto; avvenne come a Lui piacque; sia benedetto il suo santo Nome » (Iob. I, 21). Finalmente l’amante di Dio soccombe, come la benedetta Vergine Maria, vinto dal peso dell’amor di Dio. L’arte di amare Dio è l’arte delle arti, dice S. Bernardo; essa fa tendere all’amore tutti i pensieri dello spirito e volge al desiderio dell’eternità tutti i movimenti del cuore. L’uomo che ama Dio, si compiace del suo amore, vi si adagia e se ne bea: ben presto, non potendo più contenere i sentimenti dai quali è rapito, si solleva al di sopra di se medesimo, tocca l’estasi intellettuale, e penetra nel pensiero di Dio per imparare a non preoccuparsi più d’altro che di Lui, a non riposare altrove fuorché in Lui. L’amore di Gesù si ruba tutte le sue affezioni; trascurando e dimenticando se stesso, egli non altro ormai più sente che Gesù e ciò che riguarda Gesù. A questo punto, il suo amore è perfetto; ed in tale stato la povertà non è più per lui che un incomodo; non sente le ingiurie, si ride degli oltraggi, non bada alle perdite, guarda la morte come un guadagno; anzi non crede di morire, perchè sa che passerà dalla morte alla vita eterna (S. Bernardo, De natura divini amoris, c. II). Chi consacra l’amore alle cose terrene, vili, vergognose, diventa simile ad esse; l’anima, al contrario, che ama Dio e che a Lui solo s’attacca, diviene simile agli spiriti, agli Angioli, a Dio medesimo. Allora, dice S. Ambrogio, il Verbo divino la circonda, la rischiara, rinfiamma, la benedice; essa non forma più che una cosa con Lui (Serm. II). L’amor divino scalda, infiamma, fonde il cuore, e lo cangia del tutto: non avete che a dare uno sguardo a S. Paolo… L’amor divino dà refrigerio, lume, conforto all’anima, e le fa desiderare il possesso di Dio; porta ristoro e pace; rende paziente nelle tribolazioni, toglie il timore, insinua la confidenza, assicura la salute. È questo il Paradiso, dove ci è dato di entrare senza che ci partiamo dalla terra. « Chi ascende a Dio per mezzo dell’amore, ci va come portato da agilissime ali », dice S. Agostino.
23. Per amare Dio bisogna osservare la sua legge.  — « Se veramente mi amate, datene prova, dice Gesù Cristo, con l’osservare i miei comandamenti » (Ioann. XIV, 15) : poiché « la prova dell’amore, dice S. Gregorio, sta nella dimostrazione delle opere ». « Chi mi ama, ripete ancora Gesù Cristo, osserverà la mia parola e il Padre mio l’amerà : e noi verremo a lui e in lui faremo dimora » (Ib. XIV, 23). S. Agostino così commenta queste parole: « Il Padre e il Figlio venendo ad abitare in un’anima, le donano il loro amore, e infine le doneranno il Cielo. Essi vengono a noi quando noi andiamo a loro : essi vengono col soccorrerci, con l’illuminarci, con l’arricchirci; noi andiamo a loro con l’obbedire, col guardare, col ricevere ». « Chi non mi ama, dice ancora Gesù Cristo, non tiene conto delle mie parole » (Ib. XIV, 24). E S. Giovanni soggiunge che dimostra di avere carità perfetta colui che custodisce la parola di Dio : (I, II, 5); poiché la carità, dice il medesimo Apostolo, « consiste nel camminare per la via dei divini precetti » (II, 6). Ora il primo dovere della carità è di obbedire agli ordini di Dio, sottomettervisi, e avere confidenza nelle promesse divine. « Quelli che amano Dio, sta scritto nell’Ecclesiastico, si riempiranno della sua legge », vale a dire, la studieranno, la conosceranno, la praticheranno (Eccli. II, 19).
24. Diversi gradi dell’amor divino. — Il Padre Alvarez trattando della contemplazione indica quindici gradi nell’amore divino : 1° intuizione della verità; 2° raccoglimento; 3° silenzio spirituale; 4° riposo; 5° unione; 6° udire il linguaggio di Dio; 7° sonno dello spirito; 8° estasi; 9° rapimento; 10° apparizione corporale di Gesù Cristo; 11° apparizione spirituale di Gesù Cristo, e dei Santi; 12° visione intellettuale di Dio; 13° visione di Dio a traverso le nubi; 14° manifestazione positiva di Dio; 15° visione chiara e intuitiva di Dio, come l’ebbe, al dire di S. Agostino e di altri Dottori, S. Paolo quando fu rapito al terzo Cielo.
25. Qualità dell’amor divino. — L’amor di Dio dev’essere: 1° inseparabile; 2° insaziabile; 3° invincibile; 4° soave; 5° pieno di desideri; 6° anelante a Dio, che procura di raggiungerlo, lo contempla nelle creature ed è impaziente di possederlo; 7° animato dal desiderio di morire, non per noia della vita, ma per essere con Gesù Cristo, e godere di Lui; 8° liberale; 9° intero.
26. Rammarico di non aver amato Dio. — « Troppo tardi io Vi ho amato, o bellezza sempre antica e sempre nuova; ah! troppo tardi Vi ho amato! andava sospirando, col cuore pieno di tristezza, S. Agostino. Deh! fosse scancellato dal numero dei giorni quel tempo in cui non Vi ho amato! Ahi me misero, me infelicissimo se mai cessassi di amarvi; amerei meglio non essere, che essere senza, o fuori di Voi». Facciamo nostri i lamenti e il pianto di Agostino…
27. Quanto sia disgraziato chi non ama Dio. — « Chi non ama il nostro Signor Gesù Cristo, sia anatema », dice S. Paolo (I Cor. XVI, 22). Ossia, come si esprime l’Apostolo S. Giovanni: «Chi non ama Dio, non lo conosce, perché Dio è carità, e rimane nella morte » (Epl. I, IV, 8) : — “Qui non diligit manet in morte” (7, III, 16); e prima di lui già aveva espresso questo sentimento l’autore dei Proverbi in quelle parole : « Chi non ama me, ama la morte » (Prov. VIII, 36). E da essi trasse S. Agostino quella sentenza: « Chi non ama Dio, cessa di vivere ». « Strappate, ci dice il medesimo Dottore, il vostro cuore dall’amore alla creatura per conservarlo al Creatore: poiché, se abbandonate Colui che vi ha creati e vi abbracciate a ciò ch’Egli ha creato, siete adulteri ». Tremino quindi, conchiude S. Gregorio, quelli che non amano Dio e pensino, soggiunge S. Bernardo, che perfino il linguaggio loro è barbaro e straniero. L’amor di Dio verso gli uomini è così grande, che non solamente si presenta a quelli che lo cercano, ma cerca quelli che non lo cercano, va dietro a quei medesimi che lo fuggono, l’odiano, lo perseguitano : esso li invita, li attrae, e dolcemente li trascina. Quanto non sono adunque disgraziati, ingrati, perversi coloro che non si curano d’amare Dio che tanto li ama! Che suprema sventura per loro il disprezzarlo e combatterlo! Eppure, oh! come grande è il numero di quelli che non amano Dio! Quanti possono dire con S. Pietro : « Voi, o Signore, che tutto conoscete, sapete bene quanto io vi ami? » (Ioann. XXI, 17). Chi oserà esclamare col Profeta: «L’anima mia sta attaccata a voi, o Signore?» (Psalm. LXII, 8). Ah! piangiamo la triste sorte di coloro che non amano Dio.
28. Come bisogna amare Dio. — Gesù Cristo c’insegna il modo di amare Dio con quelle parole: «Voi amerete il Signore vostro Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze vostre » (Matth. XII, 37). Con tutto il cuore, cioè voi consacrerete la vostra memoria a ricordarvi i suoi benefizi, ecc. Con tutta l’anima, cioè applicherete la vostra intelligenza a meditare com’Egli è amabile in se stesso, e quanto vi ha amati. Con tutte le forze, cioè con tutta la volontà. Udite S. Agostino : Allorquando Iddio ci dice : Voi amerete di tutto cuore, di tutta l’anima, di tutto lo spirito vostro, Egli non ci permette di dimenticarci di Lui un solo istante e di godere di qualche altra cosa (Homil. ad pop.). Amare Dio importa: 1° dare a Lui il nostro cuore tutt’intero e niente al demonio, né al peccato; 2° avere Dio per scopo di tutte le nostre azioni, di preferirlo a tutto come nostro sommo bene ed unico fine; 3° obbedirLo in tutto e sempre… Tutti quelli che hanno dato il loro cuore a Dio, dice S. Bernardo, si rallegrino e gioiscano nelle pene, nelle ambascie, nelle tribolazioni, nella fame, nella sete, nella nudità, nel disprezzo, tra le beffe, le calunnie, le maledizioni, gli insulti, e le persecuzioni fino alla morte (Serm. in Psalm.).
29. Mezzi di amare Dio. — S. Tommaso indica tre mezzi d’unirsi a Dio con l’amore: ci vuole il coraggio dello spirito, ossia l’energia; una grande severità contro le cupidigie; la bontà verso il prossimo (1a p. 9, art. 13). Un quarto lo troviamo accennato in quelle parole di S. Gregorio: « Se non moriamo al mondo non siamo atti a vivere di amore per Iddio ». Altri mezzi ci suggerisce S. Bernardo e sono: le letture devote, le quali eccitano l’amore divino; la meditazione, la quale lo nutrisce; l’orazione, che lo illumina e lo conforta. – Eccellenti mezzi sono questi per acquistare e mantenere l’amore di Dio in un’anima. Ne volete altri? Eccoveli. Date orecchio alla voce di Dio. « Non ci ardeva il cuore in petto, mentre per istrada ci parlava, e ci svelava le Scritture? » (Luc. XXIV, 32), andavano dicendo i discepoli di Emmaus. « Il mio cuore s’infiamma di amore e sento un fuoco avvamparmi in petto quando io medito », asserisce di sé il Salmista (Psalm. XXXVIII, 3). La purità del cuore è un mezzo adatto di amare Dio. « Il mio Diletto si delizia tra i gigli», diceva la Sposa dei Cantici (Cant. II, 16). Essa ci indica pure come tale, ed efficacissimo a far nascere e mantenere in noi l’amor divino, il desiderio che se ne mostra, in quelle altre sue esclamazioni : « Io vi scongiuro, o figlie di Gerusalemme, d’annunziare al mio Diletto, se Lo incontrate, che io languisco e vengo meno di amore per Lui… oh! chi mi darà ch’io ti trovi e t’abbracci, o mio Diletto? oh! allora nessuno oserà più insultarmi! » (Ib. V, 8) (Ib. VIII, 1). Il timore del Signore è un mezzo sicuro per giungere ad amarlo. Difatti, come osserva S. Basilio, è necessario che il timore preceda per introdurre la pietà, e a lui terrà dietro l’amore; il quale, al dire di S. Agostino, guarisce le ferite che ha fatto il timore, il cui effetto è di spronare. La fede ci porta ad amare Dio. « Al presente, dice S. Agostino, noi amiamo credendo quello che vedremo; poi nel Cielo ameremo vedendo quello che avremo creduto ». Ma se l’anima trova Dio con la fede e la speranza, lo possiede con la carità: se è assente, lo trova col desiderio; se presente, lo ritiene con la gioia: lo scopre e lo conserva con la pazienza: lo possiede con la consolazione. Finalmente si arriva con ogni certezza a Dio perseverando nel cercarlo e nel desiderio di amarlo. « Cercate il Signore, dice il real Profeta, e voi sarete rassodati e forti, ma cercatelo sempre » (Psalm. CIV, 4). « Sì, Iddio va cercato senza fine, sentenzia S. Agostino, perché Egli dev’essere amato senza fine ». Desideriamo noi davvero d’avere la carità? volgiamoci a chiederla allo Spirito Santo che è il Dio-Amore; poiché la carità, al dire di S. Paolo, fu sparsa nei nostri cuori dallo Spirito Santo che ci fu dato (Rom. V, 5).

12 Settembre: IL SANTO NOME DI MARIA

Oggetto della festa.

[D. Guéranger: l’anno liturgico, II vol.]

Qualche giorno dopo la nascita del Salvatore la Chiesa ha consacrato una festa per onorarne il Nome benedetto. Ci insegnava così quanto questo Nome contiene per noi di luce, di forza, di soavità, per incoraggiarci ad invocarlo con fiducia nelle nostre necessità (L’anno Liturgico, 183-187). – Così dopo la festa della Natività della Santissima Vergine, la Chiesa consacra un giorno ad onorare il santo nome di Maria per insegnarci attraverso la Liturgia e l’insegnamento dei santi, tutto quello che questo nome contiene per noi di ricchezze spirituali, perché, come quello di Gesù lo abbiamo sulle labbra e nel cuore.

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Storia della festa.

La festa del santo nome di Maria fu concessa da Roma, nel 1513, ad una diocesi della Spagna, Cuenca. Soppressa da san Pio V, fu ripristinata da Sisto V e poi estesa nel 1671 al Regno di Napoli e a Milano. Il 12 settembre 1683, avendo Giovanni Sobieski coi suoi Polacchi vinto i Turchi che assediavano Vienna e minacciavano la cristianità, S.S. Innocenzo XI, in rendimento di grazie, estese la festa alla Chiesa universale e la fissò alla domenica fra l’Ottava della Natività. Il santo Papa Pio X la riportò al 12 settembre.

nome di Maria

Nome uscito dal cuore di Dio.

Più che il ricordo storico della istituzione della festa, ci interessa il significato del nome benedetto dato alla futura Madre di Dio e nostra. – Il nome presso i Giudei aveva un’importanza grandissima e si soleva imporre con solennità. Sappiamo dalla Scrittura che Dio intervenne qualche volta nella designazione del nome da imporre a qualche suo servo. L’angelo Gabriele previene Zaccaria che suo figlio si chiamerà Giovanni ed egli ancora dice a Giuseppe, spiegandogli l’Incarnazione del Verbo: « Gli porrai nome Gesù ». Si può quindi pensare che Dio in qualche modo sia intervenuto, perché alla Santissima Vergine fosse imposto il nome richiesto dalla sua grandezza e dignità. Gioacchino ed Anna imposero alla loro bambina il nome di Maria che a noi è tanto caro.

Il tuo nome è un olio sparso

1 Santi si sono compiaciuti di paragonare il nome di Maria a quello di Gesù. San Bernardo aveva applicato al Signore il testo della Cantica: « Il tuo nome è un olio sparso » (Cantico dei Cantici, 1, 3), perchè l’olio dà luce, nutrimento e medicina. Anche Riccardo di san Lorenzo dice: « Il nome di Maria è paragonato all’olio, perché, dopo il nome di Gesù, sopra tutti gli altri nomi, rinvigorisce i deboli, intenerisce gli induriti, guarisce i malati, dà luce ai ciechi, dona forza a chi ha perso ogni vigore, lo unge per nuovi combattimenti, spezza la schiavitù del demonio e, come l’olio sorpassa ogni liquore, sorpassa ogni nome » (De Laudibus B. M. V. 1. II, c. 2).

Altre interpretazioni.

Oltre sessantasette interpretazioni diverse sono state date al nome di Maria secondo che fu considerato di origine egiziana, siriaca, ebraica o ancora nome semplice o composto. Non vogliamo trattenerci sulle interpretazioni e scegliamo le quattro principali riferite dagli antichi scrittori. « Il nome di Maria, dice sant’Alberto Magno, ha quattro significati: illuminatrice, stella del mare, mare amaro, signora o padrona» (Comm. su san Luca, 1, 27).

Illuminatrice.

È la Vergine immacolata che l’ombra del peccato non offuscò giammai; è la donna vestita di sole; è « colei la cui vita gloriosa ha illustrato tutte le Chiese » (Liturgia); è infine Colei, che ha dato al mondo la vera luce, la luce di vita.

Stella del mare.

La liturgia la saluta così nell’inno, così poetico e popolare, “Ave maris stella” e ancora nell’Antifona dell’Avvento e del tempo di Natale: “Alma Redemptoris Mater”. Sappiamo che la stella del mare è la stella polare, che è la stella più brillante, più alta e ultima di quelle che formano l’Orsa Minore, vicinissima al polo fino a sembrare immobile e conservare una posizione quasi invariabile per lunghe notti e per questo fatto è di molta utilità per orientarsi sulla carta del cielo e aiuta il navigante a dirigersi, quando non possiede la bussola. – Così Maria, fra le creature, è la più alta in dignità, la più bella, la più vicina a Dio, invariabile nel suo amore e nella sua purezza, è per noi esempio di tutte le virtù, illumina la nostra vita e ci insegna la via per uscire dalle tenebre e giungere a Dio, che è la vera luce.

Mare amaro.

Maria lo è nel senso che, nella sua materna bontà, rende amari per noi i piaceri della terra, che tentano di ingannarci e di farci dimenticare il vero ed unico bene; lo è ancora nel senso che durante la Passione del Figlio il suo cuore fu trapassato dalla spada del dolore. – È mare, perché, come il mare è inesauribile, è inesauribile la bontà e generosità di Maria per tutti i suoi figli. Le gocce d’acqua del mare non possono essere contate se non dalla scienza infinita di Dio e noi possiamo appena sospettare la somma immensa di grazie che Dio ha deposto nell’anima benedetta di Maria, dal momento dell’Immacolato Concepimento alla gloriosa Assunzione in cielo.

Signora o padrona.

Maria è veramente, secondo il titolo datole in Francia, Nostra Signora. Signora vuol dire Regina, Sovrana. Regina è veramente Maria, perché la più santa di tutte le creature, la Madre di Colui, che è Re per titolo di Creazione, Incarnazione e Redenzione; perché, associata al Redentore in tutti i suoi misteri, gli è gloriosamente unita in cielo in corpo e anima e, eternamente beata, intercede continuamente per noi, applicando alle nostre anime i meriti da Lei acquistati davanti a Lui e le grazie delle quali è fatta mediatrice e dispensiera.

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Discorso di san Bernardo.

Preghiamo la Santissima Vergine, perché voglia realizzare per noi i diversi significati, che santi e dottori hanno dato al suo nome benedetto, riportando la conclusione della seconda omelia di san Bernardo sul Vangelo “Missus est”: – « E il nome della Vergine era Maria. Diciamo qualche cosa di questo nome, che significa stella del mare. Si adatta perfettamente alla Madre di Dio, perché come l’astro emette il suo raggio, così la Vergine concepisce suo Figlio e il raggio non diminuisce lo splendore della stella e il Figlio non diminuisce la verginità della Madre. Nobile stella sorta da Giacobbe il cui raggio illumina il mondo, splendente nei cieli, penetra l’abisso, percorre la terra. Riscalda più che i corpi le anime, inaridisce il vizio, feconda la virtù. Sì, Maria è l’astro fulgente e senza uguali che era necessario sul mare immenso, che scintilla di meriti e rischiara coi suoi esempi la nostra vita. » Chiunque tu sia che nel flusso e riflusso del secolo abbia impressione di camminare meno su terra ferma che in mezzo alla tempesta turbinante, non distogliere gli occhi dall’astro splendido, se non vuoi essere inghiottito dall’uragano; se si desta la burrasca delle tentazioni, se si drizzano gli scogli delle tribolazioni, guarda la stella e invoca Maria. Se sei in balìa dei flutti della superbia o dell’ambizione, della calunnia o della gelosia, guarda la stella e invoca Maria. Se collera, avarizia, attrattive della carne, scuotono la nave dell’anima, volgi gli occhi a Maria. Turbato per l’enormità del delitto, vergognoso di te stesso, tremante all’avvicinarsi del terribile giudizio, senti aprirsi sotto i tuoi passi il gorgo della tristezza o l’abisso della disperazione, pensa a Maria. Nei pericoli, nell’angoscia, nel dubbio, pensa a Maria, invoca Maria.» Sia sempre Maria sulle tue labbra, sia sempre nel tuo cuore e vedi di imitarla per assicurarti il suo aiuto. Seguendola non devierai, pregandola non dispererai, pensando a lei tu non potrai smarrirti. Sostenuto da lei non cadrai, protetto da lei non avrai paura, guidato da lei non sentirai stanchezza: chi da lei è aiutato arriva sicuro alla mèta. Sperimenta così in te stesso il bene stabilito in questa parola il nome della Vergine era Maria ».

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VIRTÙ E PREROGATIVE DELLA BEATA VERGINE MARIA

Osserva che la Vergine Maria fu sole sfolgorante nell’annunciazione dell’Angelo, fu arcobaleno splendente nel concepimento del Figlio di Dio, fu rosa e giglio nella nascita di lui. Nel sole ci sono tre prerogative: splendore, candore e calore, che corrispondono alle tre parti del saluto dell’arcangelo Gabriele. La prima: “Ave, piena di grazia”; la seconda: “Non temere”; la terza: “Lo Spirito Santo scenderà su di te”. Quando dice: «Ave, piena di grazia! Il Signore è con te; tu sei benedetta fra le donne» (Le 1,28): ecco lo splendore del sole. E questo può riferirsi anche alle quattro virtù cardinali, ognuna delle quali rifulse in Maria in tre modi. Dalla temperanza le venne la riservatezza nel corpo, la modestia nel parlare, l’umiltà del cuore. Ebbe la prudenza quando tacque nel suo turbamento, quando comprese il significato di ciò che aveva udito, quando rispose a ciò che le veniva proposto.Ebbe la giustizia quando attribuì a ciascuno ciò che gli era dovuto. Si comportò con fermezza di cuore nel suo sposalizio, nella circoncisione del Figlio, nella purificazione stabilita dalla legge. Manifestò la sua compassione a chi soffriva, quando disse: «Non hanno più vino» (Gv II,3). Fu in comunione con i santi, quando perseverava nella preghiera con gli apostoli e le altre donne (cf. At I,14). Per la sua fortezza e grandezza d’animo si assunse l’obbligo della verginità, lo osservò e tenne fede a quell’altissimo impegno. San Bernardo afferma che «le dodici stelle poste sulla corona della donna» (Ap XII,1), della quale parla l’Apocalisse, sono le dodici prerogative della Vergine: quattro del cielo, quattro della carne e quattro del cuore, che scesero su di lei come stelle del firmamento. – Le “prerogative del cielo” furono: la generazione di Maria, il saluto dell’angelo, l’adombrazione dello Spirito Santo, l’ineffabile concepimento del Figlio di Dio. “Le prerogative della carne”: fu la prima di tutte le vergini, fu feconda senza corruzione, gravida senza disagio, partoriente senza dolore. – “Le prerogative del cuore” furono: la pratica dell’umiltà, il culto del pudore, la magnanimità della fede e il martirio spirituale, per il quale una spada trafisse la sua anima (cf. Lc. II,35). Alle prerogative del cielo vanno riferite le parole: «Il Signore è con Te»; alle prerogative della carne, le parole: «Benedetta sei Tu fra le donne»; alle prerogative del cuore, le parole: «Piena di grazia».

Nella festa del Nome di Maria, chi confessato e comunicato assiste alla Messa solenne, per concessione di Innocenzo XI il 17 luglio 1672, confermata da Pio IX il 3 giugno 1836 acquista Ind. Plen. Applicabile ai Defunti. Quest’ultimo poi ha dichiarato che coll’acquisto di tale indulgenza, basta anche la Messa Parrocchiale o Conventuale, celebrala da un prete solo, come avviene in campagna, o fra le Comunità Religiose. – Questa festa, già celebrata in molte parti della Cristianità, fu resa universalmente obbligatoria da Innocenzo XI nel 1683 dopo che nella domenica successiva alla Natività di Maria, fu riportata dai Cristiani, capitanati da Sobieski re di Polonia, ìla più strepitosa vittoria contro i turchi che con spaventevole esercito assediavano Vienna, e di là minacciavano tutta l’Europa.

Preghiera per il Nome di Maria

(da G. Riva, Manuale di Filotea, Milano 1888. – con imprim. -)

 I – A tutta ragione, o Maria, nel significato del vostro nome vi chiamate Padrona, perché, nata dai più illustri personaggi che dominarono la Palestina, voi non vi compiaceste mai d’altro che dell’oscurità e dell’abbandono in cui traeste la maggior parte dei vostri giorni, e del fedele servizio del vostro Dio, a cui vi consacraste irrevocabilmente fino dai vostri primi anni. Deh, impetrate anche a noi questo spirito di umiltà e di fervore, affinché non ci gloriamo mai d’altro che di vivere a vostra imitazione sempre crocifissi con Cristo ond’essere con Cristo glorificati. Ave.

II -Ben vi si addice, o Maria, il glorioso titolo di Illuminata significatoci dal vostro nome, perché, esente da ogni macchia, adorna di ogni virtù fino dal principio della vostra esistenza, foste arricchita di tanti lumi, così nell’ordine della natura, siccome in quello della grazia, da superare i profeti, gli apostoli e tutti gli angeli, ed essere universalmente esaltata per la Sede della Sapienza. Deh! un raggio alieno di tanta luce fate risplendere sopra di noig affinché, dissipate le fitte tenebre della nostra ignoranza, conosciamo con chiarezza il nostro vero bene, e non seguiamo mai altra scorta che quella dei vostri esempi e delle vostre ispirazioni.. Ave.

III. Nelle tempeste che ci minacciano ad ogni istante durante la nostra navigazione in questo mare del mondo, a chi ricorreremo, o Maria, se non al vostro nome che significa “Stella del mare”? per voi si dispersero le eresie, e dalle battaglie più pericolose uscì trionfante la Chiesa. Per voi le persone, le famiglie, gli stati, furono non solo liberati, ma tante volte ancor preservati dalle più gravi calamità, perché i nemici si disperdono, i morti si mettono in fuga, e la morte è costretta a rendere le proprie prede appena si invoca il vostro Nome. Deh! Sia sempre viva la nostra fiducia in una mediazione così potente, affinché in ogni nostro bisogno possiamo sperimentarvi ancor noi per quella che sempre vi dimostraste, il soccorso degli indigenti, la difesa dei perseguitati, la salute degli infermi, la consolazione degli afflitti, il rifugio dei peccatori e la perseveranza dei giusti. Ave, Gloria.

[v. in questo blog anche i “5 salmi sul Nome di Maria”]

La strana sindrome di nonno Basilio 35

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La strana sindrome di nonno Basilio 35-

E rieccoci, caro direttore, sono qui di nuovo per raccontarle come è andata a finire la gita a Pienza, sito Unesco, con i miei nipoti. Eravamo rimasti al tavolo di un locale del centro, nella stupenda piazza intitolata … beh manco a dirlo … a Pio II, con vista del Duomo, dedicato a Santa Maria Assunta, e del pozzo, ove tra uno stuzzichino con il celeberrimo pecorino, ed un bicchiere di Brunello (un goccetto l’ho saggiato anch’io, … eh, caro direttore, quando ci vuole, ci vuole, è un vino che merita, ma non lo faccia sapere alla mia Genoveffa, la prego! … e per questo peccatuccio di gola farò una penitenza, … vediamo, magari starò due giorni a bocca chiusa! …), abbiamo commentato la bolla di Pio II Piccolomini “Execrabilis”, una vera bomba ad orologeria confezionata nel 1459, e che sta esplodendo oggi, bomba che invalida tutti i lavori del Conciliabolo “tradimentino” Vaticano II, riducendolo ad un ammasso di cumuli stercoracei anatemizzati anzitempo ed i cui pseudo e velenosi documenti, eretici e blasfemi, sono da considerarsi solo carta straccia, insieme a tutti i “derivati”: novo ordo missae (la attuale messa del baphomet), il nuovo anticattolico codice canonico, il liber pontificalis (le cui formule sacramentali sono tutte quantomeno dubbie, ed alcune sono sfacciatamente non valide), catechismi blasfemi come lo schizoide CCC ,[il c.d. catechismo della chiesa cattolica (mentre sarebbe meglio leggere “Cavolo, Che Cavolate!), che di cattolico ha solo una pallida parvenza che mal copre lo gnosticismo evidente dell’umanesino luciferino spudoratamente enunciato, contrapposto a centinaia di bolle, encicliche papali, concilii generali e locali … “tutto al macero” sbotta Caterina “… speriamo al più presto!”. Cerco allora a modo mio di fare il punto della situazione e spiegare le implicazioni della bolla ai ragazzi allibiti, i quali sembrano essersi risvegliati da un incubo allucinante, in un’alba nuova, in un’aurora che inizia a chiarire tanti interrogativi angoscianti, e profuma di Chiesa Cattolica “vera” … di sana e santa spiritualità! In questa straordinaria bolla spiccano quattro caratteristiche importanti: 1. la natura vincolante delle decisioni della Chiesa; 2. l’ampia estensione delle persone sulle quali cade la terribile e mortalmente eterna condanna; 3. i requisiti per la rimozione dell’anatema; 4. l’effetto delle leggi della Chiesa sui comitati erroneamente convocati ed utilizzati per allestire concili e conciliaboli. La nozione di “decisione”, utilizzata in Execrabilis e così ben amplificata e riaffermata dal Concilio v-1 nella costituzione dogmatica “Pastor Aeternus”, abbraccia radicalmente: dogma, dottrina, insegnamento e culto. Execrabilis copre non solo le sentenze della Chiesa allora esistenti al tempo di Papa Pio II, ma blocca anche le sentenze dei Papi successivi contro gli attacchi di un Concilio illegale o di un Pontefice illegittimamente usurpante. “Ma questo Papa è stato un vero profeta dei nostri tempi infami, osserva Caterina ammirata, e così viene coinvolto ogni giudizio della Chiesa che riguardi la fede e la morale.”. “Ma allora, osserva Mimmo prontamente, qui sono condannate tutte le soppressioni, innovazioni, modifiche e false dottrine introdotte dal Concilio Vaticano II, tra cui il tentativo di cambiare il pensiero e l’atteggiamento dei cattolici in materia di fede e morale”. “Ma certo, caro Mimmo, questa legge è una difesa contro chi tenta di modificare le passate decisioni della Chiesa contro l’ebraismo rabbinico, il naturalismo, la Massoneria, il comunismo, l’umanesimo, il supernaturalismo, e tutte le porcherie del progressismo agnostico soggettivista della nouvelle théologie. Ma procediamo con ordine: “la successiva notazione riguarda l’ampio coinvolgimento di persone sulle quali ricade la condanna di Execrabilis. Tutti coloro – incluso un eventuale Papa – che violano la legge prevista da Execrabilis, sono ritenuti colpevoli. Allo stesso modo, tutti coloro che tramano e convocano un Concilio illegale… che si insediano in commissioni e progetti agli schemi… anti-cattolici, o che prendono parte nella sua causa contro la Chiesa… o che implementano o promuovano tali Concili con sentenze di rottura, violano tutti l’intento e lo spirito di Execrabilis e automaticamente sono impietosamente cacciati fuori dalla Chiesa perché colpiti da “anatema”, che significa dannazione! “Di conseguenza, interviene Mimmo, allibito, chi ha convocato il Concilio Vaticano II con lo scopo di “adattare” ed eludere le sentenze della Chiesa, chi si è dedicato nel promuovere il Concilio illegale completandone il lavoro, tutti coloro che hanno prodotto i documenti ed acconsentito a vario titolo i lavori del Concilio, si sono posti fuori dalla Chiesa con l’indignazione di Dio sulle loro anime.” .“E sì Mimmo, è proprio così, perché allo stesso modo, scomunicati con l’ira di Dio, sono pure i sacerdoti che hanno lavorato sulle varie commissioni preparatorie ed approntato gli schemi ostili, come pure i prelati, i delegati, i consulenti che hanno partecipato alle attività anti-cattoliche del Concilio Vaticano II in qualsiasi veste, in quanto i loro sforzi costituivano l’adesione, l’appoggio favorente e l’assistenza ai nemici di Cristo, perché sono loro che hanno fatto appello al Concilio Vaticano II. Inoltre allo stesso modo, banditi dalla Chiesa, sono pure tutti i Vescovi diocesani che hanno consentito l’apertura dell’ovile del Salvatore con l’illegale concilio. Tutti coloro che, non costretti o ricattati, hanno firmato i documenti prodotti dalle varie commissioni, gli insegnanti, i capi ed i rettori di facoltà, di seminari, collegi, ed Università che promossero il lavoro di detto Concilio e ne adottano attualmente i decreti, rientrano nelle condanne di Execrabilis, poiché ivi si diffondono le false dottrine dei nemici della Croce in opposizione alle sentenze della Chiesa di Cristo. E così estesa è la copertura dei colpevoli che persino scrittori e testimoni e, in generale, tutti coloro che consapevolmente hanno fornito consigli, aiuto, o favoriscono quelli che hanno fatto appello al Concilio (come ebrei e massoni), sono puniti con la stessa drastica pena. E colpevoli sono tutti coloro che intenzionalmente accettano l’eretico Concilio ed i suoi cattivi frutti: tutti i sacerdoti che, in violazione del loro giuramento di difendere la Chiesa contro l’eresia, abbracciano gli insegnamenti nuovi e strani del Vaticano II, sapendo che si oppongono alle decisioni della Chiesa Cattolica apostolica, sottoscrivendo l’illegale soppressione del Sacrificio della Messa, e tollerando l’anti-cattolico “novus Ordo” che devia dal Catechismo di Trento per insegnare le false dottrine del Vaticano II, o in qualunque altro modo facilitando l’attecchimento dell’esecrabile ed illegale Concilio – sono tutti scomunicati dalla Chiesa Apostolica con l’indignazione di Dio sul loro capo. “Ma cosa c’è ancora da dire allora … tutti all’inferno!”, interviene Mimmo con la solita irruenza! “E sì, sembra proprio così, cari ragazzi, anche perché il terzo notevole aspetto di Execrabilis è la scomunica riservata al Sommo Pontefice” che è l’unico a poter revocare la sentenza di scomunica rimettendo ai colpevoli questo particolare peccato. Questa riserva di assoluzione alla sede Apostolica, naturalmente, presuppone un “legittimo” Pontefice in grado di cancellare il terribile anatema, indicativo di morte certa dell’anima! “Ma allora, esclama Mimmo, dal 1958, se nessun legittimo rappresentante di Cristo occupa la sede del soglio di Pietro? Gli usurpatori, gli uomini che sopprimono il primato e la sovranità della Chiesa di Cristo, che rifiutano il Triregno incoronato e tutto ciò che esso sta a significare, non hanno il potere delle chiavi! Tali impostori possono mai sollevare da una sentenza di scomunica, visto che da se stessi sono scomunicati “ipso facto”? E la scomunica “ipso facto”, non è una cosa astratta, bensì un qualcosa di terribile che imprime un carattere indelebile all’anima, come ci ricorda Pio VI in “Auctorem Fidei”. È come un battesimo “inverso”: il Battesimo imprime un carattere indelebile nell’anima che la dispone all’eterna salvezza, l’anatema “ipso facto” è un sigillo invisibile all’occhio umano che Dio stesso imprime nell’anima che diventa pronta per il fuoco eterno! Ecco come Pio VI condanna infallibilmente la proposizione di chi asserisce che “l’effetto della scomunica è solamente esteriore, perché solo di sua natura esclude dall’esteriore comunicazione della Chiesa“; … Quasi che la scomunica non sia pena spirituale, che lega nel cielo ed obbliga le anime (S. Agostino, Epist. 250, Auxilio Episcopo; Tract. 50 In Johann., n. 12): FALSA, PERNICIOSA, CONDANNATA NELL’ARTICOLO 23 DI LUTERO, PER LO MENO ERRONEA. Questi impostori, nonostante le loro “false elezioni”, con le loro eresie, hanno spinto se stessi fuori dalla Chiesa e pertanto non possono revocare la scomunica, perché colui che è messo fuori della Chiesa non può legittimamente esercitare il potere papale (Vedi p. Saenz, La sede vacante, Veritas, dicembre 1975). Coloro che sono fuori della Chiesa non possono essere all’interno della Chiesa! (principio evidente ed elementare di non contraddizione!). Poiché la sede di Pietro è occupata da tempo da evidenti impostori eretici, autorità fasulle, coloro che sono caduti sotto la scomunica di Execrabilis sono in grande difficoltà perché, come ci dice il Concilio di Trento, “i sacerdoti non hanno alcun potere di assoluzione nei casi riservati alla sede Apostolica eccetto che in punto di morte.” Il Tridentino ci dice pure: “… che l’assoluzione che un sacerdote pronunzia su qualcuno sul quale non ha una giurisdizione normale o delegata, non ha alcun valore …. questo Sinodo conferma essere verissimo – che debba essere di nessun valore quell’assoluzione che il sacerdote pronuncia su colui sul quale non abbia giurisdizione, ordinaria o delegata, poiché la natura e l’indole del giudizio richiede che la sentenza venga pronunziata solo sui sudditi, come vi è stata sempre nella Chiesa di Dio questa persuasione. Cap. VII del Sacramento della penitenza.] Inoltre per un sacerdote che assolva un peccato riservato alla sede Apostolica in punto di morte, è essenziale ci sia un riconoscimento di colpa. È essenziale che il peccatore abiuri ad esempio, nel nostro caso, il Vaticano II; Egli deve pentirsi di aver partecipato al Concilio illegale o di averlo solo promosso, sostenuto o attuato o favorendo coloro che lo hanno convocato ed attuato. Senza pentimento non può esserci nessuna assoluzione del peccato riservato, che rimane così non confessato. In tale stato peccaminoso, impenitente ed insolvente, il peccatore va ad incontrare il suo Creatore … o il suo nemico?!” – “Ragazzi, ma è ora di andare, mangiamo qualcosa, magari un po’ del famoso pecorino locale, quello del palio del cacio fuso, e … senza bere, ma con l’assaggio finale immancabile del panforte senese, ed andiamo verso l’auto”. Così ci siamo messi in vettura per affrontare il viaggio di ritorno oramai all’ora del tramonto in una cornice di colori tenui e sfumati, tra l’arancio, il rosa ed il celeste, con gli ultimi raggi del sole che filtravano tra le vigne verdeggianti. “Ragazzi, dico, vi ringrazio di questa bella gita che mi avete regalato oggi,” – “… ma no, nonno, siamo stati felici noi di non fare sempre le nostre chiazzate con gli amici agitati e vivaci, spesso brilli e rubicondi, e poi … oggi abbiamo saputo tante cose veramente importanti! Grazie, non ce ne scorderemo presto … oh, la polizia, fermiamoci!”. I soliti controlli, patente, libretto, il palloncino … per fortuna tutto in regola! Così, passato il batticuore, ci siamo finalmente incamminati verso casa, ove ci aspettava sull’uscio la cara Genoveffa, che appena fermi, venutaci incontro, esordisce (… del resto non avevo alcun dubbio) “ … vieni Basilio caro, ben tornato, … hai preso le medicine? Ecco, qui ho pure quella della sera!”. Siamo tornati alla solita vita, meno male direttore! La saluto caramente e alla prossima, se Dio vuole.