Omelia della Domenica XIX dopo Pentecoste

Domenica XIX dopo Pentecoste

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. II -1851-]

(Vangelo sec. S. Matteo XXII, 1-14)

giudiz.univ. giotto. part.

Piccolo numero degli eletti

“Molti sono i chiamati, pochi gli eletti”. È questo il grave, il sentenzioso, il tremendo epifonema con cui Gesù Cristo conchiude l’evangelica parabola: “Multi sunt vocati pauci vero electi”. Molli furono infatti i chiamati da un Re che volle solennizzare le nozze del proprio figlio. Alcuni francamente negarono d’intervenirvi, altri produssero scuse di affari di campagna, di negozi di città. Uccisero altri i servi mandati ad invitarli. Uno finalmente si presentò, ma senza veste nuziale, e tutti questi furono per sempre esclusi dal regale convito. Il Re che fa le nozze al proprio figlio è l’eterno Padre, il figlio è Gesù che ha sposato l’umana nostra natura unendola con unione ipostatica alla sua divinità. Negl’invitati a queste mistiche nozze, vale a dire alla fede e alla penitenza, sono espressi gl’increduli che con franca negativa si rifiutano: in quei che allegano scuse, i peccatori che da un tempo all’altro differiscono la loro conversione: negli uccisori dei servi, quei che soffocano le sante ispirazioni e i movimenti della grazia: finalmente in colui che s’introduce senza veste nuziale, quegli infelici privi della carità e della santificante grazia.Che meraviglia perciò che pochi siano quei che si salvano, se la moltitudine dei chiamati si oppone ai disegni, ai desideri di Dio che li vuol salvi? Questa formidabile verità, che pochi sono fra i cristiani adulti quei che si salvano, io prendo a dimostrarvi colla ragione e coll’autorità. Udite, o fedeli, il soggetto del mio e del vostro salutare spavento.

I . Il Regno dei cieli ci vien rappresentato nel S. Vangelo a guisa di alta rocca da vincersi a forza d’armi, da conquistarsi con violenza d’estremo valore. “Regnum coelorum vim patitur, et violenti rapiunt illud(Matt. XI, 12). Ora una rocca è difficile a superarsi quando vi concorre l’arduità del sito, la moltitudine dei nemici, la debolezza degli assediatori. L’arduità del sito, primamente non può esser maggiore. Si tratta di salire al cielo nel regno di Dio e dei beati, ov’essi son giunti a stento per molte tabolazioni, pel disprezzo del mondo, per l’austerità della vita, per l’esercizio della penitenza, per le sofferte persecuzioni, per lo spargimento del sangue, pel sacrificio della vita. Senza violentar se stesso non può lo spirito sollevarsi da terra. Il corpo è un peso che tira al basso. “Una pietra dice S. Tommaso, perché dall’alto d’una torre discenda a terra, non ha bisogno di forza, basta aprir la mano; ma perché da terra arrivi alla cima, onde discese, è necessaria forza di braccio e destrezza di mano”. “Facilis discensus Averni” (Virgil.), l’intese anche un Gentile, ascender su per le vie del cielo, “hoc opus, hic labor”. L’acque del fiume Giordano secondo la natural pendenza andavano a seppellirsi nel mar morto; per far che con corso retrogrado tornassero addietro fu necessaria l’arca del Signore e l’ opera de’ sacerdoti. Per andar dopo morte a seppellirsi nell’inferno, basta lasciare operar la natura; e la natura corrotta, i sensi e le malnate passioni ci porteranno infallibilmente laggiù; ma per tornare alla nostra sorgente, al nostro principio, che è Dio, ci vuol la forza e l’efficacia della sua grazia e la nostra cooperazione, conviene vincere le ritrosie della guasta natura, superare gli ostacoli al bene, l’inclinazione al male, mortificare l’opere della carne, vivere secondo lo spirito e menar sulla terra una vita celeste. – Cresce la difficoltà per la moltitudine dei nemici. La vita dell’uomo, dice il Santo Giobbe è una vera milizia su questa terra. “Militia est vita hominis super terram” (Cap. VII, 1). Bisogna star sempre coll’armi alla mano, ed oh con quanti nemici abbiamo a combattere! Nemici interni, nemici esterni, nemici visibili, nemici invisibili: tutti i sentimenti del nostro corpo sono altrettanti nemici, tutte le nostre passioni, l’irascibile, la concupiscibile, la superbia, l’avarizia, la gola, l’invidia, sono fiere racchiuse nel serraglio del nostro cuore, che ci fa sentire i loro ruggiti, e ci minacciano de’ loro morsi: nemico l’intelletto facile a deviare dal vero, soggetto a mille impressioni malvagie, nemica la memoria fomento di perverse rimembranze, nemica la volontà inclinata ad ogni specie di male. Si aggiunge all’esercito di tanti nemici il mondo, il demonio, la carne, i mali esempi, i cattivi consigli, le false massime, l’erronee dottrine, i libri seducenti, gli scandali passati in costume. Oh Dio, quanti inciampi, quanti pericoli, quanti lacci! Di questi lacci vide S. Antonio Abate tutta sparsa la faccia della terra, e S. Agostino forse alludendo a questa visione, “ecco, dice, il mondo ha tesi innanzi ai nostri piedi infiniti lacci; e chi potrà scansarli?” “Ecce ante pedes tetendit laqueos infinitas, et quis effugiet? (Apud Rossig.). – Cresce vie più la difficoltà di conquistare il regno dei cieli per la debolezza dei combattenti. Chi più debole ed incostante dell’uomo? Una canna è di lui men fievole, un vetro è di lui men fragile. Mirate i nostri progenitori nel terrestre paradiso, creati nell’originale giustizia, senza stimolo di passioni; e pure la vista di un pomo, due parole del demonio nascosto nel corpo di un serpente, bastarono a sedurli ed a farli prevaricare. Mirate Saul prima da Dio eletto e a Dio fedele e poi disubbidiente e riprovato. Davide santo, Profeta, uomo secondo il cuor di Dio, per uno sguardo diviene adultero e omicida; Giuda, oggi Apostolo, domani apostata; Tertulliano prima padre della Chiesa, apologista della religione cristiana, indi eretico Montanista; Lucifero, famoso Vescovo di Cagliari già difensore della fede cattolica, e dopo morto scismatico. Io vidi, dice S. Agostino, cadere a terra cedri del Libano, colonne della Chiesa, condottieri del gregge di Cristo, della rovina dei quali non avrei mai ammesso minimo dubbio, siccome mai avrei dubitato di un Gregorio Nazianzeno e di un Ambrogio. Oh Dio! quanto è grande, quanto è deplorabile l’umana fragilità! Chi si terrà sicuro? Chi si fiderà delle proprie forze? Chi in vista dell’altrui rovina non temerà della propria? – Che pochi siano quei che van salvi, dopo la ragione ce ne convince l’autorità. Apriamo le divine Scritture e riscontriamo prima le immagini che al dir dell’Apostolo “in figura facto, sunt nostri, (ad Cor. X, 6), poi le sentenze che comprovano questa spaventosa verità. Dal diluvio universale, che affogò tutta l’umana generazione, quanti furono gli scampati? Solo otto persone, Noè, e la sua famiglia. Dall’incendio delle popolose città di Pentapoli quanti fuggirono? Quattro soltanto. Lot con la consorte e due sue figlie. Di seicento mila Israeliti abili all’armi, senza contar le donne e i fanciulli, usciti dall’Egitto per entrare nella terra promessa, quanti vi posero piede? Due soli, Giosuè e Caleb). Molte, dice Gesù Cristo nel Vangelo di S. Luca, furono le vedove in Israele ai tempi d’Elia angustiate per la gran fame, e ad una sola, la vedova di Sarepta, fu recato soccorso. Molti furono i lebbrosi ne’ giorni d’Eliseo, e uno solo fu risanato, cioè Naaman Siro. La terra è infetta dai suoi abitatori, soggiunge Isaia, e perciò sulla faccia della medesima si spargerà la maledizione ad esterminarla. Pochi restarono ad abitarla “relinquentur homines pauci” (XXIV, 6), e saranno tanto pochi che potranno rassomigliarsi a quelle rare e poche olive che restano sull’albero dopo essere stato bene scosso e perticato, e a quegli scarsi grappoli d’uva che in un’abbondante vendemmia sfuggono all’occhio dell’attento vignaiuolo. Tutti corrono al pallio, ricorda San Paolo, ma un solo è quello che arriverà a conseguirlo, “omnes quidem currunt, sed unus accipit bravium(1 Cor. IX, 24). E giacché di S. Paolo abbiamo fatto menzione, udite come parla di sé questo vaso di elezione, questo grande Apostolo già rapito fino al terzo cielo. “Miei cari, per grazia di Dio la mia coscienza di nulla mi rimorde”, “nihil mihi conscius sum(1 Cor. IV, 4), ma non per questo mi tengo per giusto, “sed non in hoc iustificatus sum”. Anzi castigo il mio corpo per tenérlo a guisa di schiavo insolente soggetto alla ragione ed alla fede, perché temo che procurando colla mia predicazione l’altrui salvezza, io non divenga un misero riprovato, “ne cum aliis praedìcaverim, ipse reprobus efficiar” (1 Cor. IX, 27). – Ma che cercare esempi e figure quando in chiari termini precisi parla l’Incarnata Sapienza, la stessa Verità, Cristo Gesù? Interrogato Egli se pochi sono quei che si salvano, “si pauci sunt qui salvantur(Luc. XV, 24)? Rispose: “Angusta è la porta del cielo, fate ogni sforzo per entrarvi”, “contendite intrare per angustam portam”, così in S. Luca. Passate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa è la strada che mena alla perdizione, e molti son quelli che per questa si avviano, “et multi sunt qui intrant per eam”. E di nuovo esclamando ripete: “oh quanto è stretta la porta e angusta la strada che conduce alla vita!” e pochi son quei che a questa si appigliano, “et pauci sunt qui inveniunt eam” (Cap. VII, 14). Così in S. Matteo. In somma conchiude, “molti sono i chiamati alla fede, alla penitenza, alla salute, ma pochi sono gli arrendevoli a queste chiamate, per conseguenza pochi sono gli eletti” “multi sunt vocati, pauci vero electi(Matt. XX, 10). A questa irrefragabile autorità appoggiati i santi Padri Agostino, Girolamo, Gregorio, Crisostomo, Anselmo, Efrem, Teodoro, Basilio, tutti concordano che dei cristiani adulti che possono colla libertà dell’arbitrio cooperare alla propria salute, il maggior numero sia dei reprobi, non degli eletti. Per non esser prolisso non vi reciterò le loro sentenze: basterà per tutti S. Giovanni Crisostomo. Predicando questi nella gran città di Costantinopoli, tutta allora cristiana, città la più numerosa di popolo dopo Roma, arrivò a dire che di una sì vasta popolazione, appena cento avrebbero nazione, e di questi cento aveva pure alcun dubbio: “Non possut in tot millibus inveniri centum qui salventur, quia et de his dubito”. Forse allora era meno corrotto il costume. E che avrebbe detto a’ tempi nostri in vedere la religione derisa, la devozione schernita, la Chiesa perseguitata, la bestemmia in costume, la disonestà in trionfo, la sevizia dei mariti, l’infedeltà delle mogli, fuggita la frequenza nei divorzi, la scostumatezza dei figli, la licenza delle zitelle, la frode nei contratti, l’usura nei prestiti, la prepotenza nelle liti, la facilità negli spergiuri, la profanazione delle Chiese, lo scandalo delle mode, lo scandalo nelle pitture, lo scandalo nelle canzoni, nei libri osceni, nei libri eretici? Mio Dio, che torbido rovinoso torrente d’ogni iniquità inonda la terra! E dopo ciò; farà sorpresa il dire che pochi si salvano? Ah, miei dilettissimi, se per bene vostro io vi son cagione di spavento, perdonate per pietà, ad uno ch’è più di voi spaventato: “Territus, terreo(D. Aug.). – Misero me! mi salverò? mi perderò? Sarò nel numero de’ pochi salvi? O in quello dei molti riprovati? Io son vicino alla tomba, i capelli son bianchi, le forze mancano, la vista è debole, poco mi resta di vita. Che sarà di me al tremendo giudizio di Dio? Che sentenza mi toccherà? propizia o contraria? Se do uno sguardo alla mia coscienza aggravata di tante colpe, se rifletto alla difficoltà della salute, io mi do per perduto. La divina giustizia io l’ho irritata: la divina misericordia non me la rendo propizia. Fui peccatore, son peccatore, non rimedio al passato, non profitto del presente, non provvedo all’avvenire. Ah! che dovunque mi volgo non trovo che oggetti di spavento e di disperazione. In tanto orrore di me stesso mi resta una sola speranza: Maria, rifugio dei peccatori, mi getto a’ vostri piedi, mi nascondo sotto del vostro manto, difendetemi dalla giusta collera di un Dio da me troppo indegnamente offeso. In questo giorno in cui tutto il popolo cristiano a voi ricorre e tanto vi onora, [cadeva in questa domenica la solennità di Nostra Signora del Rosario], non rigettate dal vostro cospetto un peccator ravveduto. Madre dolcissima, avvocata de’ peccatori, difendete la mia causa, dite al vostro Figlio che son pentito delle mie colpe e delle sue offese, che più non peccherò, che voglio da qui innanzi vivere nel numero dei pochi per salvarmi coi pochi. Pochi sono i cristiani timorati, casti, sobri, pii, giusti, umili, limosinieri, devoti, sarò di questo numero? Se il mondo è perverso e pervertitore, ne starò lontano; vivrò come Abramo in mezzo a’ Caldei, vivrò come Tobia nella prevaricazione d’Israele, avrò sempre vivo alla mente il ricordo di S. Giovanni Climaco : “Vive cum paucis, si vii regnare cum paucis”.

MADONNA DELLA MERCEDE

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MADONNA DELLA MERCEDE

Forza e dolcezza.

Settembre termina con la lettura, nell’Ufficio del tempo, dei libri di Giuditta e di Ester. Ester e Giuditta, liberatrici gloriose, sono figura di Maria, la nascita della quale illumina tutto il mese di un fulgore così puro, che il mondo ha già sperimentato utile. Adonai, Signore, tu sei grande; ti ammiro, O Dio, che rimetti la salvezza nelle mani della donna (Antif. del Magnificat ai primi Vespri della IV domenica di settembre). La Chiesa inizia così la storia dell’eroina che salvò Betulia con la spada, mentre, per strappare il suo popolo dalla morte, la nipote di Mardocheo adoperò soltanto fascino e preghiere. Dolcezza dell’una, valore nell’altra, bellezza in tutte e due; ma la Regina, che si è scelto il Re dei re, tutto eclissa con la sua perfezione senza rivali e la festa di oggi è un monumento della potenza che spiega per liberare, a sua volta, i suoi.

La schiavitù.

L’impero della Mezzaluna non cresceva più. In declino in Spagna, fermato in Oriente dal regno latino di Gerusalemme, nel secolo XII, lo si vide cercare nella pirateria gli schiavi che le conquiste non fornivano più. Ormai poco molestata dalla Crociata, l’Africa saracena corse i mari, per rifornire il mercato mussulmano. L’anima freme al pensiero di innumerevoli sventurati di ogni condizione, di ogni sesso, di ogni età, strappati alle regioni costiere dei paesi cristiani, o catturati sui flutti, e distribuiti negli Harem o nelle galere. – Ma, nel segreto delle prigioni senza storia. Dio non fu meno onorato che nelle lotte degli antichi martiri, perché eroismi ammirabili riempirono il mondo della loro fama e, dopo dodici secoli, sotto gli occhi degli angeli. Maria aprì nel dominio della carità orizzonti nuovi nei quali i cristiani rimasti liberi, votandosi al soccorso dei fratelli avrebbero dato prova di eroismi ancora sconosciuti. Non vi è qui una ragione della presenza del male passeggero di questa terra? Sarebbe, senza di esso meno bello il cielo, che deve durare eternamente.

Gli Ordini per il riscatto degli schiavi.

L’Ordine della Mercede, a differenza di quello della SS. Trinità, che l’aveva preceduto di 20 anni, fondato in pieno campo di battaglia contro i Mori, ebbe alla sua origine più cavalieri che sacerdoti. – Fu chiamato Ordine reale, militare e religioso della Madonna della Mercede per la redenzione degli schiavi e i suoi sacerdoti attendevano all’Ufficio corale nelle Commende dell’Ordine, mentre i cavalieri sorvegliavano le coste e adempivano la missione rischiosa del riscatto dei prigionieri cristiani. San Pietro Nolasco fu il primo Commendatore o Maestro Generale dell’Ordine e quando furono trovati i suoi resti lo si trovò ancora armato di corazza e di spada. – Leggiamo le righe che seguono, nelle quali la Chiesa, ricordando fatti noti, ci dà oggi il suo pensiero (Festa dei santi Pietro Nolasco e Raimondo di Pegnafort, 28 e 23 gennaio). – Quando il giogo Saraceno pesava sulla parte più grande e più bella della Spagna, mentre innumerevoli infelici, in una spaventevole schiavitù, erano esposti al pericolo continuo di rinnegare la fede e di dimenticare la loro eterna salvezza, la Beata Regina del cielo, rimediando nella sua bontà a tanti mali, rivelò la sua grande carità, per riscattare i suoi figli. Apparve a san Pietro Nolasco, che pari alla ricchezza aveva la fede e che, nelle sue meditazioni davanti a Dio, pensava continuamente al modo di portare aiuto ai molti cristiani prigionieri dei Mori. Dolce e benigna, la Beata Vergine si degnò dirgli che, insieme con il suo Figlio, avrebbe gradito la fondazione di un Ordine religioso, che avesse lo scopo di liberare i prigionieri dalla tirannia dei Turchi e, incoraggiato da questa visione, l’uomo di Dio si pose all’opera con un ardore di carità che sarebbe impossibile descrivere ed ebbe da quel momento un solo pensiero: consacrare sé e l’Ordine che avrebbe fondato all’altissima missione di carità di rischiare la vita per i suoi amici e per il prossimo. – Nella stessa notte la Vergine Santissima si era manifestata al beato Raimondo da Pegnafort e al re Giacomo di Aragona, rivelando anche ad essi il suo desiderio e pregandoli di impegnarsi in un’opera così importante. Pietro corse tosto ai piedi di Raimondo, suo confessore, per esporgli ogni cosa, lo trovò già preparato da Dio e si affidò alla sua direzione. Intervenne allora il re Giacomo, onorato egli pure della visione della Beata Vergine e risoluto di realizzare il desiderio da Lei manifestato. – Dopo averne trattato insieme, in perfetto accordo, si dedicarono alla fondazione dell’Ordine in onore della Beata Vergine, che avrebbero intitolato con il nome di Santa Maria della Mercede per la Redenzione degli schiavi. – Il 10 agosto dell’anno del Signore 1218, il re Giacomo pose in opera il progetto già maturato dai santi personaggi e i religiosi si obbligavano con un quarto voto a restare ostaggio presso le potenze pagane, se si fosse reso necessario per liberare i cristiani. Il Re concedette che i religiosi portassero sul proprio petto le sue insegne ed ebbe cura di ottenere da Gregorio IX la conferma dell’Ordine religioso, che si proponeva così grande carità verso il prossimo. Dio stesso, per mezzo della Beata Vergine, diede all’opera tale sviluppo che fu presto nota nel mondo intero ed ebbe molti membri insigni per santità, pietà e carità e, raccogliendo le offerte dei fedeli di Cristo e impiegandole nel riscatto del prossimo, offrendo spesso per il riscatto sè stessi, liberarono molti. Era doveroso rendere grazie a Dio e alla Vergine Madre per una istituzione cosi bella e per tanti benefici operati e la Sede Apostolica, con i mille privilegi concessi all’Ordine, accordò la celebrazione di questa festa particolare e il suo Ufficio.

La Vergine liberatrice.

Sii benedetta, tu, onore del nostro popolo e nostra gioia (Giudit. XV, 10). Nel giorno della tua Assunzione gloriosa era bello per noi vederti salire a prendere il titolo di Regina (Ester IV, 14) e la storia dell’umanità è piena dei tuoi interventi misericordiosi. Si contano a milioni quelli cui tu hai spezzato le catene, i prigionieri da Te strappati all’inferno dei Saraceni, vestibolo dell’inferno di Satana. In questo mondo, che gioisce al ricordo recentemente rinnovato della tua nascita, il tuo sorriso bastò sempre a dissipare le nubi e ad asciugare il pianto. Quanti dolori tuttavia sono ancora su questa terra sulla quale nei giorni della tua vita terrena anche tu hai voluto gustare a lungo il calice della sofferenza! Dolori che santificano, dolori per qualcuno fecondi ma, purtroppo anche dolori sterili, dannosi, di sventurati che l’ingiustizia sociale inasprisce, per i quali la schiavitù dell’officina, lo sfruttamento multiforme del più forte sul debole appaiono peggiore della schiavitù in Algeria o a Tunisi. Tu sola, o Maria, puoi spezzare questi legami inestricabili coi quali l’ironia del principe del mondo incatena una società che ha portato allo sbandamento in nome della libertà, dell’eguaglianza. Degnati intervenire; mostra che tu sei Regina. Tutta la terra, l’umanità, ti dice, come Mardocheo a colei ch’egli aveva nutrito: Parla al re per noi, liberaci dalla morte (Ester 15, 1-3).

MADONNA DELLA MERCEDE :

ossia della Redenzione degli schiavi

[Manuale di Filotea – 188]

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I- Amabilissima Vergine Maria, che non con tenta di avere cosi efficacemente cooperato alla liberazione delle anime nostre dalla schiavitù del peccato allora quando, col sacrificio del vostro cuore, rendeste più compito e più abbondante quel Sacrificio divino che della propria persona faceva là sul Calvario il vostro divin Figliuolo, voleste ancora diventare la Redentrice dei nostri corpi, ordinando ai vostri devoti d’instituire sotto il santissimo Ordine della Mercede per riscattare i Cristiani dalle barbare mani degli infedeli, ottenete a noi tutti la grazia di riguardarvi mai sempre come la nostra più generosa benefattrice, e di travagliare continuamente, a vostra imitazione, per la salute così spirituale come corporale lei nostri prossimi. Ave.

II- Amabilissima Vergine Maria, che, per liberare dalla tirannia dei Saraceni dominatori della Spagna, tutti i Cristiani che venivano da quegli empi condotti in durissima schiavitù, vi degnaste di comparire nella medesima notte a S. Pietro Nolasco ed a Raimondo di Pegnafort non che a Giacomo, Re d’Aragona, affinché, animati dalla vostra protezione, si applicassero immediatamente all’istituzione dell’Ordine tanto benefico della Mercede, impetrate a noi tutti la grazia di avere a vostra imitazione, una compassione tenera ed efficace per tutti i travagli del nostro prossimo, e di vivere sempre in maniera da meritare lo vostre particolari illustrazioni per procurargli costantemente il miglio bene. Ave.

III. – Amabilissima Vergine Maria, che, ad ottenere efficacissima la Redenzion degli schiavi, mediante l’Ordine santissimo della Mercede da Voi medesima istituito, ora infondeste nei facoltosi una generosità tutta nuova perché largheggiassero nelle elemosine, ora moltiplicaste il denaro nelle mani dei Religiosi quando mancavano del necessario al riscatto dei loro fratelli, ora con aperti miracoli sottraeste alle mani dei barbari gli schiavi vostri devoti, ottenete a noi tutti la grazia di non perdere mai la libertà di figli adottivi di Dio e di esser subito liberati dalla schiavitù del demonio, quando con qualche peccato ci fossimo a lui venduti spontaneamente, onde, dopo avervi servita come nostra Padrona qui in terra, passiamo a graziarvi per tutti ì secoli qual nostra Corredentrice su in cielo. Ave, Gloria.

Oremus

Deus, qui pergloriosissimam Filii tui Matrem ad liberandos Christi fideles a potestate Paganorum, nova Ecclesiam tuam prole amplificare dignatus es, presta, quaesumus: ut quam pie veneramur tanti Operis institutionem, ejus pariter meritis et intercessione a peccatis omnibus et capti vitate daemonis liberèmur. Per eundem Dominum, etc.