“L’esame di coscienza”

“L’esame di coscienza”,

di p. Gian Battista Scaramelli, S.J.

(da: il Directorium Asceticum, vol III. Settima edizione, 1917. R. & T. Washbourne, Ltd., Londra. pp. 334-364)

 

Articolo IX. — ottavo mezzo per conseguire la perfezione cristiana. –

confessione

L’ESAME DI COSCIENZA QUOTIDIANO.

Capitolo I.

Che il quotidiano esame di coscienza sia un importante mezzo di perfezione cristiana è indicato dall’autorità dei Padri della Chiesa.

Ci sono due tipi di confessione per cui una persona devota può cancellare i peccati che macchiano la sua coscienza: la prima è la sacramentale, fatta ai piedi di un confessore; l’altra è totalmente segreta, e si svolge tra Dio e l’anima, con l’esclusione di ogni altra persona; e questa è chiamato “l’esame di coscienza quotidiano”, perché esso viene generalmente praticato ogni giorno onde raggiungere la purezza di cuore ed il progresso nella perfezione. In entrambi i tipi di confessione, sono necessarie, perche siano efficaci, la ricerca del peccato e l’umile dolore, allo scopo di emendarsi. In entrambi i casi, dobbiamo accusarci dei nostri peccati: nel primo caso, attraverso le orecchie del sacerdote, nel secondo, alla presenza di Dio. Se in questa solitaria accusa di noi stessi, il nostro pentimento raggiunge la contrizione perfetta, sia nell’uno che nell’altro tipo di confessione, si ottiene il perdono ed il ripristino della purezza della nostra anima. C’è, tuttavia, questa differenza, che quando uno è colpevole di un peccato grave, è un obbligo grave di renderlo noto nella Confessione sacramentale, altrimenti ricadrebbe nuovamente sotto la giustizia di Dio per la sua negligenza rispetto ad un gravoso comandamento divino. Ma anche quando si è consapevoli solo di colpe più lievi, si è tuttavia ancora tenuti a confessarle nella Confessione sacramentale, cosa persino necessario, come abbiamo visto sopra, se la persona aspira alla perfezione, in modo tale da poter essere in grado di ottenere la purezza della coscienza che, più di qualsiasi altra cosa, ci dispone all’amore perfetto di Dio. Ciò nonostante, la confessione che facciamo a Dio da soli ha alcuni vantaggi rispetto alla Confessione sacramentale: infatti la possiamo fare in qualsiasi luogo, a qualsiasi ora, in qualsiasi momento; infatti, ogni volta che scegliamo che non sia il caso di ricorrere alla Confessione sacramentale, non abbiamo necessità della presenza fisica di un prete come ministro, né di convenire in un determinato luogo ad un’ora fissa. – Avendo poi nel presente articolo già parlato della Confessione sacramentale, che è affidata ai ministri della Santa Chiesa, non sarà fuori luogo trattare ora di questo altro tipo di confessione, che, senza l’intervento di qualsiasi ministro, e fatta davanti a Dio, non è altro che il “quotidiano esame di coscienza”. E si deve trattare di questo argomento più volentieri, poiché esso è un mezzo tanto importante per acquisire la purezza di cuore e di conseguenza per il raggiungimento della perfezione. Questo sarà indicato nel presente capitolo, con l’autorità dei Santi Padri, e in quello seguente, con prove intrinseche. – San Basilio dice: “Alla fine di ogni giorno, quando tutte le nostre fatiche, sia corporali che mentali, sono state portate a conclusione, ognuno, prima di ritirarsi a riposare, dovrebbe indirizzare se stesso verso un attento esame della propria coscienza, al fine di scoprire i peccati che ha commesso durante il giorno appena trascorso. Sant’Efrem, un autore di così grande autorità nella Chiesa primitiva, paragona questo esercizio ad un mercante che, mattina e sera, ordina i suoi conti e poiché è ansioso di veder prosperare i suoi affari, diligentemente esamina quali siano stati i suoi guadagni e quali le sue perdite. E così dovremmo fare anche noi, dice il Santo, se abbiamo il desiderio di progredire nella perfezione cristiana: sia mattina che sera dobbiamo esaminare lo stato dei nostri conti e gestire il traffico spirituale che noi stiamo portando avanti davanti a Dio. Per venire più nei particolari egli scrive: “di notte, ritirandoti nel chiuso del tuo cuore, tu dovresti interrogare te stesso, dicendo: “ho io in questo giorno offeso il mio Dio in qualche punto? Ho proferito parole inutili? Ho, per negligenza o disprezzo, omesso di fare ogni buona azione come avrei dovuto? Ho ferito i sentimenti del mio prossimo in qualche particolare? La mia lingua ha ceduto a qualsivoglia tipo di detrazione? .. e così via. E quando arriva il mattino, si esamina di nuovo come gli affari ed il traffico spirituale abbiano proceduto nel corso della notte passata. “Ho avuto qualche cattivo pensiero, sono stato negligente nell’indugiare su di essi?'”. Si conclude allora decidendo, qualora avessimo scoperto qualsiasi tipo di peccato o mancanza, che questi devono essere cancellati da sincero pentimento e lavati via con le lacrime della contrizione. – Avete mai osservato con quanta esattezza e diligenza il padrone di una casa regola le sue incombenze domestiche? Ogni giorno egli chiama il suo intendente, tiene conto della sua spesa, insistendo su di una accurata relazione del tutto; egli esamina tutto con cura per vedere se le spese fatte siano state superflue o stravaganti, o se, al contrario, siano state troppo limitate ed insufficienti. E fa questo per modo che egli non vada oltre le sue possibilità, né discenderne al di sotto in ciò che è necessario ed opportuno al corretto sostegno della sua famiglia. Allo stesso modo dovremmo agire nel regolare noi stessi. Nel nostro piccolo mondo interiore, la padrona che comanda è le facoltà dell’anima, mentre i sensi del nostro corpo sono i servi dai quali essa deve pretendere obbedienza e sottomissione. Lasciate poi le motivazioni per evocare i poteri dell’anima nel chiedere conto ogni giorno di ciò che hanno fatto. Lasciate che siano chiamati alla comprensione ed al rendiconto dei proprii pensieri per esaminare se questi siano stati vanitosi, orgogliosi, risentiti, impudichi, o al contrario animati da amore fraterno, e se essi si siano intenzionalmente o involontariamente soffermati su tali soggetti. Lasciate che si evochi la volontà di dar conto dei proprii affetti, se siano stati cioè peccaminosi o imperfetti od abbiano trovato consenso volontario. Lasciate rigorosamente esaminare tutti i sensi del corpo: gli occhi devono essere valutati se siano stati intuitivi, immodesti, o troppo liberi e sfrenati; La lingua deve essere esaminata per quanto riguarda le parole pronunziate: sono state esse offensive, impudiche, rabbiose, o al contrario avare di carità? Le orecchie, il tatto, il gusto, le mani, tutti devono essere chiamati a rendere conto esattamente di tutto ciò che hanno fatto. Successivamente, con un profondo pentimento dobbiamo correggere qualunque cosa scopriremo essere stata disordinata e peccaminosa, e tutto deve essere reimpostato con ordine, con il nuovo obiettivo, fermo e risoluto, di un emendamento. Da questa ricerca quotidiana in ogni nostra azione, si trarrà motivo di regolare tutto con giustizia ed esattezza e faremo un facile, rapido e sicuro progresso verso la perfezione alla quale siamo chiamati. Questo confronto è mutuato interamente da San Giovanni Crisostomo, che si prodiga al fine di mostrare l’importanza di questo esame di coscienza quotidiano, e ci esorta alla pratica costante dello stesso. – San Gregorio Magno dice dal suo canto, che chi non riesce a esaminarsi ogni giorno in tutto ciò che ha fatto, ha detto, e ha pensato, sia a casa con se stesso, che alla presenza di astanti, vive solo una vita esteriore con la possibilità conseguente di perdere di vista complessivamente la sua perfezione. San Bernardo ci assicura che se ci sapremo esaminarci, mattina e sera correggendoci prima o poi, facendone la regola della nostra vita, mai cadremo in una qualsiasi colpa grave. E per non stancare il nostro gentile lettore col citare molteplici e lunghi testi, voglio solo aggiungere che S. Doroteo, uno dei primi Padri, pur raccomandando l’esame di coscienza come uno dei mezzi più sicuri per mantenere l’anima pura e senza macchia, dice, che questa lezione era stata tramandata a suo tempo dai suoi antenati e dai loro predecessori. È quindi indiscutibile che da sempre, molto primo della Chiesa, i Santi hanno ritenuto l’esame di coscienza quotidiano come il mezzo più potente per giungere rapidamente alla purezza del cuore e, attraverso questo, alla perfezione cristiana. – Non solo i Santi consigliano questo esame di coscienza nei loro insegnamenti, ma ce ne incoraggiano ulteriormente mediante l’assidua pratica dello stesso con il loro esempio; infatti, sarebbe difficile trovare un solo Santo confessore che non abbia fatto ricorso ad esso a partire da una immaginaria scala che raggiunge la vetta della perfezione in S. Ignazio di Loyola che, non contento di esaminare la sua coscienza due volte al giorno, in accordo con le istruzioni degli antichi padri, non lasciava mai che passasse una sola ora senza ricordare a se stesso la ricerca minuziosa delle imperfezioni in tutti i suoi pensieri, parole ed azioni, intercorse durante quel breve lasso di tempo; pentendosi di ognuna delle più leggere di queste imperfezioni che potevano essere colte dall’occhio puro della sua mente, rinnovando nel suo spirito il proposito di trascorrere la successiva ora in maniera il più possibile impeccabile. Egli riuscì anche a comprendere come non sia possibile aspirare alla santità senza mantenere una vigilanza costante sul proprio cuore con l’esaminare tutti i suoi movimenti. Quindi, chiunque fosse stato un osservatore attento del corso di tutta la sua vita, era in grado di dire che la vita di S. Ignazio era stata un continuo ed ininterrotto esame di coscienza. Non sarà estraneo al soggetto presente il riferire un’espressione di stupore da parte del Santo che lo rende degno di grande meraviglia da parte nostra: avendo avuto un giorno la fortuna di incontrare uno dei padri della sua compagnia, gli chiese, con tono familiare, quante volte si fosse ritirato in sé per l’esame di coscienza fino a quell’ora. “Sette volte,” rispose quest’ultimo. “ahimè, ahimè … così raramente?” rispose il Santo, abbastanza stupito. E non era ancora giunta la sera quando questo accadeva, e dovevano ancora trascorrere parecchie ore del giorno. San Francesco Borgia aveva anch’egli l’abitudine di praticarlo, almeno una volta in ogni ora: e pure S. Doroteo raccomanda la pia pratica a tutte le persone devote, come la più vantaggiosa per l’anima. “Possiamo quindi dedurre, da come i Santi abbiano inculcato con tenacia ed intensità la pratica diligente sì intensa, che questo quotidiano esame di coscienza, debba essere uno dei mezzi più necessari per il raggiungimento della perfezione.

CAPITOLO II.

Motivi per i quali i Santi considerano l’esame di coscienza quotidiano come cosa assolutamente necessaria.

La ragione principale per la quale i santi esortano così ardentemente a vegliare su ogni nostra azione mediante l’esame di coscienza quotidiano, si basa sulla corruzione della nostra natura, conseguenza del peccato dei nostri progenitori, a causa della quale le nostre carenze non tendono mai a regredire in noi, generando sempre gli stessi peccati e facendo sì che le stesse passioni imperversino costantemente nei nostri cuori. Quindi è necessario osservare, almeno una volta al giorno, quali erbe velenose siano spuntate nei nostri cuori, affinché noi possiamo sradicarle con il coltello di una vera contrizione. Così riterremmo poco saggio quel giardiniere che, dopo avere eliminato dalla terra le erbacce, non lo rifacesse mai più, visto che il terreno inizierà nuovamente a germogliare piante inutili e nocive che soffocano la crescita di quelle buone ed utili. Si potrebbe con giustezza sicuramente ritenere insensato e stolto un vignaiuolo se, dopo aver provveduto a rimuovere dagli alberi e dalle viti tutti i rami superflui e i viticci, non tornasse mai più per eseguire una nuova potatura in modo da consentire un eccessivo rigoglio dei rami e delle foglie a discapito dei frutti. Non meno folle sarebbe un cristiano che, avendo con una buona confessione sradicata dal suo cuore la crescita velenosa delle sue colpe e potato il rigoglio e l’eccesso dei suoi sentimenti, dovesse poi trascurare di ripetere la stessa cosa giorno dopo giorno, attraverso un diligente esame di coscienza, essendo pienamente consapevole, com’è giusto che sia, che si ripresenti qualche erbaccia diabolica o altra mollezza quotidiana, che qualche ramo del peccato rimetta fuori i suoi germogli, che si risvegli qualche passione; per cui, senza una costante potatura, la bellezza acquisita del giardino dell’anima ben presto diverrebbe un orribile groviglio di peccati. Ma Fateci ascoltare San Bernardo su questo punto: “Chi c’è,” dice, “in questo mondo, che ha così perfettamente tagliato ed allontanato dal proprio intimo tutte le scorie inutili e superflue, per cui non abbia più bisogno di tagliare o recidere nient’altro. Credetemi, i mali che sono stati abbattuti con volontà hanno prodotto nuovi germogli; dopo essere stati allontanati, sicuramente torneranno; e benché le sterpaglie siano state bruciate, ancora una volta potrebbero provocare fiamme; e le passioni, anche se ora, mentendo, sembrano dormienti, presto si sveglieranno nuovamente. Quindi, serve a ben poco l’avere utilizzato la potatura e la falce una sola volta: dobbiamo usarla spesso e, per quanto ci possa essere possibile, non lasciarla mai fuori della nostra portata; infatti, a meno che non vogliamo ingannarci e renderci ciechi, noi potremo sempre trovare qualcosa in noi stessi che abbia bisogno di essere eliminata.” Il Santo stesso poi aggiunge: “Finché tu abiterai in questo corpo mortale, qualunque siano gli sforzi ed il progresso nella tua vita spirituale, inganneresti te stesso ritenendo che i tuoi vizi e le tue passioni siano morte e non siano piuttosto forzatamente soppresse solo per un certo tempo.” Quindi mai dobbiamo lasciarci cullare da una falsa sicurezza, bensì occorre mantenere una vigilanza quotidiana ed indagare sulle nostre tendenze viziose esaminando frequentemente la nostra coscienza e colpendole maggiormente, quando rifanno la loro comparsa, con ripetute azioni di contrizione. – Se un re dovesse ritenere per certo che entro i confini del suo Regno siano in agguato i suoi nemici nascosti tra i boschi e foreste, egli certamente non mancherebbe di perseguirli con vigore. E quando li avesse trovati, credi che li lascerebbe liberi e latitanti? Senza dubbio no. Dopo averli scovati con la massima diligenza, li passerebbe tutti a fil di spada e ne farebbe una strage non appena completamente esposti. “Ora, ricorda,” continua S. Bernardo, “che avete dentro di voi un nemico che si può superare e sottomettere, ma che non si può sterminare; che tu lo voglia o no, questo nemico vivrà dentro di te e porterà avanti una guerra implacabile contro di te. Chi è, quindi, questo nemico grande, immortale, o meglio: chi sono questi nemici numerosi che possono morire solo quando vengano isolati? Rispondo: sono le passioni, i tuoi vizi e le debolezze che generano la tue passioni e i vizi. “Ecco perché si cercano, quindi, ogni giorno con l’esame di coscienza; e avendoli, attraverso una ricerca diligente, scoperti, si possono uccidere con la spada di un vero dolore; li abbattiamo infatti con la serietà della vostra decisione; finché essi vengono lasciati sul campo, non sono veramente morti, e quantunque feriti e resi inabili, possono essere ancora in grado di ostacolare il nostro progresso verso la perfezione. Ditemi, vi prego, se avete mai sentito di un maestro d’ascia che sia riuscito ad allestire una nave così fortemente strutturata che né il battere delle onde, né la violenza dei venti abbia mai potuto produrre la benché minima lesione? Si risponde che questo sarebbe impossibile, poiché una nave è costituita da così tante travi, tavole, articolazioni fissate insieme, che con il battere incessante della turbolenza del vento e dell’acqua, qualcuna di loro prima o poi finisce per allentarsi. Quindi che cosa deve essere fatto per evitare che la povera nave, che prende costantemente acqua, goccia dopo goccia, venga alla fine ad affondare e ad essere sommersa in mezzo all’oceano? C’è solo un rimedio: quello di attivare le pompe regolarmente, al fine di evitare che l’acqua si accumuli nella stiva. Ora l’uomo, nell’oceano della miseria in cui siamo costretti a navigare, è molto simile ad una nave investita dalla forza della tempesta, ed essendo costituita da, diciamo così, poteri che tendono ad allentarsi, come i sensi deboli, le passioni sempre pronte a tradire, non c’è da aspettarsi che, in mezzo al sopravvenire di così tante tentazioni, all’incontrare così tante occasioni e pericoli diversi, non si aprirà qualche falla a causa di qualche peccato veniale, di banali errori che apriranno la strada nell’anima provocando, con il loro accumulo nel corso del tempo, il naufragio che noi chiamiamo: peccato mortale; e questo, in ogni caso, crea ostacoli nel raggiungere in sicurezza il porto così come è desiderabile fare, cioè con il raggiungere la perfezione. Che cosa c’è allora da fare per ostacolare questa terribile disgrazia che è quella di affondare poco a poco? Che cosa, se non tutti i giorni svuotare la coscienza degli errori che abbiamo commesso, mediante un serio esame di noi stessi, gettarli fuori con la contrizione, chiudere le falle attraverso le quali hanno trovato un’entrata, trovare costantemente delle rinnovate risoluzioni nel modificarle? Questa similitudine è presa in prestito da S. Agostino. “Le acque agitate dei peccati veniali,” dice il santo dottore, “risiedono quotidianamente nella stiva dei nostri cuori; Chi, quindi, desidera non perire, deve svuotare ricacciandoli ogni giorno, proprio come fanno i marinai con la stiva di una nave, con un esame di coscienza attento e contrito “. – Da questo argomento ne può dedursi un altro che porta a dimostrare come sia impossibile il miraggio di raggiungere la perfezione cristiana senza esaminare la nostra coscienza; se ciò che abbiamo finora dimostrato è vero, se, cioè, senza un controllo giornaliero del nostro cuore non saremo in grado di liberarci dei vizi, dei peccati e delle mancanze alle quali siamo così inclini, è altrettanto dimostrabile che senza questo esame, le virtù non possono avere alcuna crescita, qualunque cosa ci sia dentro di noi; ancora meno è possibile che il fiore divino della carità fiorisca nei nostri cuori. In effetti, perché il grano cresca nel campo, il terreno deve essere ripulito prima di tutto da rovi ed ingombri vari: noi dobbiamo innanzitutto portare via le pietre che occupano il terreno, altrimenti, come leggiamo nella parabola evangelica, le spine soffocheranno il seme e le pietre assorbiranno l’umidità necessaria. Così certamente, il seme scelto della virtù non può nascere e fiorire nel terreno dei nostri cuori, se questo non venga ripulito prima delle radici dei vizi e delle cattive passioni; e non venga precedentemente deterso di tali difetti, che quotidianamente, poco a poco, si induriscono e diventano più solidi di una roccia: tutto questo è mirabilmente espresso nel linguaggio dolce di S. Bernardo. “La virtù”, egli scrive, “non può crescere in compagnia del vizio. Se l’uno fiorisce, l’altro necessariamente è destinato a perire. Chiaro, quindi, che ciò che è superfluo e vizioso e ciò che è sano e virtuoso non possono contemporaneamente coesistere. Qualunque cosa trattenga le nostre concupiscenze porterà profitto e vantaggio alla vostra vita spirituale”. “Quindi, conclude il santo dottore, badate bene di tagliare quanto più in basso, con un diligente esame di coscienza, la crescita nociva di difetti, vizi e difetti, se volete assistere alla fioritura di ogni virtù nel giardino delle nostre anime.” – S. Agostino, trattando soprattutto della carità che, come abbiamo spesso detto, è la linfa essenziale della nostra perfezione, afferma positivamente, che essa aumenterà nella misura in cui ci sforzeremo di contenere le voglie delle nostre passioni disordinate, e che la carità sarà perfetta in colui che ha completamente mortificato e spento i suoi desideri egoistici. Un vaso pieno d’acqua diventerà gradualmente pieno d’aria, allorquando il liquido evapora, e quando si sarà svuotato di tutta l’acqua, non conterrà nient’altro che aria; così, e molto di più, dice S. Agostino, i nostri cuori si riempiranno di amore divino in proporzione a come siano stati svuotati dai desideri egoisti, e saranno quindi solo ripieni di amore, quando saranno perfettamente svuotati di ogni inclinazione disordinata. S. Paolo conferma questo concetto con tali parole: “Alla fine di tutti i comandamenti” — e come conseguenza rigorosa, il coronamento dell’edificio della nostra perfezione — “è la carità.” Ma questo fiore di paradiso fiorisce solo in cuori puri, nelle coscienze purificate da tutti i desideri malvagi. Ora, per portare il cuore a questa purezza assoluta, nessun mezzo può essere più efficace dell’uso frequente di un auto-esame; una cura perfetta per purificare l’anima dalle sue impurità è il dolore dei nostri difetti, e contro le macchie future, il buon proposito di non far mai trascorrere un giorno senza coltivare l’anima così da veder crescere le rose rosse della carità, i gigli bianchi della purezza, il violetto dell’umiltà e della penitenza; infatti i fiori di tutte le virtù fioriranno nel nostro cuore, se ci si applica frequentemente a questo santo esercizio per cui l’anima diventerà perfetta, amabile e bella a vedersi, e il Re del cielo scenderà in essa a godere come in un paradiso di delizie. – A nessuno sembrerà una materia straordinaria l’applicarsi per pochi minuti al giorno all’esame che separi e purifichi il nostro cuore, se egli richiama alla mente che anche gli antichi saggi, benché fossero pagani, pensavano che questo esame di coscienza quotidiano fosse necessario per il miglioramento della loro vita e ne facessero uso per quello scopo. Pitagora lo prescrive ai suoi discepoli, molti dei quali avevano l’abitudine di scrutarsi regolarmente ogni sera. Cicerone ci dice di se stesso come sempre, alla fine di ogni giorno, si raccogliesse per rendere conto di tutto ciò che aveva detto, sentito e fatto nel corso intero di quel giorno. Seneca ci dice che ogni notte dava sentenze sulle proprie azioni. “Ogni notte,” egli scrive, “quando la lampada è messa fuori nella mia camera e mia moglie, consapevole della mia consuetudine, tace, esamino in tutto, il corso del giorno passato. Credo che tutto quello che ho detto e fatto, senza nulla nascondere a me stesso, non sia passato per niente. Se scopro qualcosa, mi dico, “io questa volta ti perdono, ma non farlo più.’ ” Ora, se i pagani, che avevano desiderio di saggezza, facevano uso quotidiano di questo esame di coscienza, quanto piuttosto non dovrebbe questo essere praticato dai cristiani che hanno il desiderio di diventare graditi a Dio con una pulizia del cuore, per raggiungere la perfezione soprannaturale e poter giungere al possesso di quei beni che sono in serbo per l’uomo perfetto oltre le stelle.- Io posso addurre un motivo ulteriore che, conosciuto già dai saggi antichi, dovrebbe essere meglio conosciuto anche da noi che siamo dotati della luce della fede. È questo: se frequentemente e minuziosamente guarderemo dentro di noi in modo non superficiale, ma con una compunzione interiore spirituale, noi potremo sfuggire al giudizio severo e rigoroso che altrimenti ci attende davanti al Tribunale di Dio; perché, come dice S. Paolo: “se giudichiamo noi stessi, non saremo giudicati”. Cornelio a Lapide applica queste parole al nostro argomento nel senso e nei termini seguenti: — “Se ci esaminiamo e cerchiamo nella nostra coscienza, con un rigoroso processo e, quando scopriamo eventuali peccati, li laviamo via con le lacrime della contrizione, non saremo giudicati da Dio; in altre parole, scamperemo alla punizione del suo terribile giudizio.”- Tale è la faccenda, ed il lettore farà bene a riflettere sul timore di Dio nel giorno del giudizio, per l’esame che verrà effettuato con la ricerca delle sue colpe; si pensi a come il Giudice si mostrerà inesorabile e a quanto sia grave la punizione che seguirà ad una sentenza irrevocabile: egli può quindi essere abbastanza sicuro di sentirsi felice per il proprio esame di coscienza fatto non solo una volta, ma più volte al giorno, per sfuggire così ad un terribile giudizio. Un religioso di santa vita apparve dopo la sua morte, rivestito con abito dimesso, con volto smunto e malinconico ad uno dei suoi fratelli, un suo ex amico. Il suo amico gli chiese perché apparisse con quell’aspetto così triste. L’uomo morto rispose, “è incredibile! è incredibile!” “Ma che cosa …” rispose l’amico, ” … che cosa è incredibile?” – “Si,” rispose l’uomo morto, ” … il rigore del giudizio di Dio, … e la severità dei suoi castighi”. A queste parole scomparve, lasciando il suo amico più morto che vivo per il forte spavento. Piacque a Dio dare un esempio del rigore delle sentenze divine a S. Maria Maddalena de Pazzi durante la sua vita temporale, in modo tale che il suo esempio ci potesse ispirare un “sano” terrore. Essendosi una sera inginocchiata per il suo consueto esame di coscienza, venne improvvisamente rapita in estasi e si ritrovò alla presenza di Dio. Allora nostro Signore, con un raggio della sua luce più pura, penetrò in lei mostrando un tale senso della malizia messa in ciascuna delle sue colpe, che a quelle che lei aveva già rilevato nel fare il suo esame ad alta voce, nel corso dell’estasi, si aggiunsero le altre con orrore non meno grave di se stessa. La colpa primaria che a lei fu rimproverata, fu l’aver omesso, al risveglio la mattina, di dirigere i suoi primi pensieri a Dio, essendo impegnata nel compito di richiamare le consorelle, in modo da potersi così tenere pronta a lodare Dio, e temendo di giungere in ritardo alle lodi. Questa omissione, che senza dubbio per molti di noi rappresenterebbe un atto di santo zelo, è apparso così atroce alla Santa, che ha ella ha implorato la misericordia di Dio, dichiarando nel frattempo che lei ne era indegna e meritevole di mille inferni. Successivamente ha accusato se stessa che, stando in coro, invece di essere totalmente assorbita nella lode di Dio, aveva avvertito qualche disturbo nell’assumere le prescritte inclinazioni della testa ed omettendo altre pratiche. Qui ancora una volta lei chiedeva misericordia per una cosa che dovremmo considerare lo zelo per l’onore di Dio. Si è poi accusata, come aveva già fatto nella confessione quel giorno, di aver rimproverato una delle sue novizie con un’espressione non molto dolce e gentile. Ha pregato Dio di perdonarla e, al fine di ottenere il perdono, ha supplicato i meriti più amari ottenuti dalla sua Passione. Quello stesso giorno, conversando alla grata con una sua zia, era stata rapita in estasi e portata via con forza dalla potenza di Dio. Sentendo la mozione interiore dello Spirito di Dio, lei aveva pregato le monache consorelle di portarla via, per timore che lei potesse essere vista in quella condizione da un laico. Le monache, tuttavia, non avevano capito quello che ella voleva trasmettere loro con questi segnali, cosicché ella cadde in estasi in pubblico, senza essere in grado di impedirlo. Ora, per questo fatto, per il quale nessuno di noi scoprirebbe neanche l’ombra di una colpa, lei si sentì rea con molta amarezza, definendo il proprio errore una grande ipocrisia, poiché era come se lei volesse apparire migliore delle altre; assetata per questo del perdono di Dio, si sentiva meritevole di essere gettata nell’inferno e di essere per punizione calpestata da Giuda. Continuava poi ad accusare se stessa di difetti lievi come questi, con espressioni di contrizione e concludendo con parole che si potevano applicare ad un pentito adultero o assassino, per l’enormità dei suoi crimini, tanto era spinta alla disperazione della misericordia di Dio, dicendo: “O Dio, siccome Ti ho già così spesso offeso oggi, non vorrei aggiungere agli altri peccati il reato di disperare della tua misericordia. Pertanto io so, o Signore, di essere indegna del tuo perdono, ma il sangue che Tu hai versato per me mi induce a chiedere il tuo perdono.” In un’altra occasione Dio ha mostrato alla Santa in estasi, tutti i peccati che aveva commesso nella sua vita passata. Rivedendoli, Lei singhiozzava amaramente esclamando: “Volentieri andrei all’inferno, se solo in questo modo potessi cancellare le offese che Vi ho fatto!” Eppure è ben noto come questa Santa avesse vissuto in modo irreprensibile, fin dai suoi più teneri anni. Questo perché i guasti dei nostri peccati si mostrano tanto gravi quando Dio stesso si incarica di esaminarli e li mostra all’anima come realmente sono in se stessi. Quale sarà il nostro stato all’esame della sentenza di un Dio che contempla i nostri crimini in una luce molto più nitida e molto più penetrante di quello in cui la Santa Vergine carmelitana vedeva le sue lievi mancanze? Veramente, le anime disincarnate vedono le cose in una luce molto diversa da quella in cui le medesime si contemplano mentre ancora si è legati della carne! Come non temere, e quale sarà un giorno il nostro orrore! Sono sicuro che se la vista delle nostre colpe potesse causarci la morte nell’aldilà, dovremmo noi moriremmo mille volte di puro spavento. Ma quale rimedio c’è per questo? Nientemeno che affidarsi al consiglio dell’Apostolo: “portare ora il nostro giudizio su di noi. “Se giudichiamo noi stessi ora, non saremo giudicati poi. E questo semplicemente richiamando le nostre coscienze a dare conto del proprio operato almeno una volta nel corso della giornata, ricercandone le varie dinamiche; esaminandole tutte con occhio critico e attento; ed una volta scoperto qualcosa decidersi a porvi riparo, impegnandosi in vivi atti di contrizione e con la finalità costante di un vero emendamento; teniamo presente che, come dice S. Agostino: “Dio ama perdonare coloro che confessano a Lui le proprie mancanze con umile pentimento, astenendosi dal giudicare gravemente coloro che con cuore contrito, portano il giudizio su di sé.”

CAPITOLO III.

Spiegazione circa il modo di fare l’esame di coscienza quotidiano.

Secondo il piano previsto da Sant’Ignazio nel libro dei suoi esercizi spirituali, questa devota pratica dovrebbe consistere in cinque parti. 1) – In primo luogo, ci mettiamo in presenza di Dio con un atto di fede e di profonda adorazione con il renderGli grazie per tutti i favori che abbiamo ricevuto dalla bontà divina, soprattutto in quel particolare giorno. San Bernardo ci avverte di essere molto attenti nel non trascurare di offrire il rendimento di grazie a Dio per i benefici che ci concede: “essere ripieni di gratitudine per rendere debitamente grazie al datore di tutti i buoni doni,” per ogni favore, sia esso ordinario, o grande o piccolo. Ora, si scelga l’orario dell’esame di coscienza più adatto a questo scopo, di modo che l’anima sia nel mezzo tra ciò che ha ricevuto da Dio e tra quanto di ritorno ha fatto per Lui. Tanto più così la gratitudine per i favori ricevuti dispone maggiormente l’anima a quel dolore che dovrà seguire il pensiero dell’ingratitudine che abbiamo dimostrato coi nostri peccati. – 2) – In secondo luogo, noi dobbiamo chiedere a Dio di darci luce per conoscere i nostri peccati e le nostre negligenze. Questa preghiera è sommamente necessaria, come S. Gregorio Magno dice: “L’amore di sé ci delude e acceca l’occhio della nostra mente in modo che non riusciamo a percepire le nostre colpe, o che esse ci appaiono molto meno gravi di quanto in realtà esse siano, facendo così una contrizione meno intensa di quanto per esse dovremmo”. Quindi è della massima importanza per noi chiedere a Dio di dissipare le tenebre che l’amor proprio getta sulle nostre menti, e che l’occhio della nostra anima sia ben vigile e purificato per poter essere in grado di scoprire tutti i nostri peccati, penetrare la loro malizia e stimarli adeguatamente nella loro portata. Tanto più poi perché, in mancanza di questa conoscenza di sé, non possiamo avere un vero pentimento per i nostri peccati; e secondo le stesse osservazioni del Papa santo: “Dio non conferisce la grazia della compunzione finché Egli non ci abbia precedentemente reso consapevoli dell’enormità delle nostre colpe.” – 3) – In terzo luogo, dobbiamo fare una ricerca diligente in tutti i peccati o imperfezioni in cui siamo caduti durante il giorno trascorso o durante la notte passata. “Istituire un tribunale all’interno di te stesso”, dice S. Agostino, “e giudicare la causa della vita che tu hai trascorso in questo giorno. Lasciate che i pensieri vadano in cerca dei vostri peccati e fatene accusa davanti a Dio. Lasciate che la vostra coscienza sia testimone contro di voi. Lasciate che la paura e l’amore di Dio siano i carnefici Santi per uccidere i vostri peccati con la spada della penitenza”. Molto diverso dalle sentenze dei tribunali terreni — che di solito finiscono con la condanna degli imputati, — questa auto-sentenza interna sarà la garanzia della vostra assoluzione ed il perdono dei peccati. “Ma per raggiungere questo scopo,” dice S. Giovanni Crisostomo, “tu devi procedere contro te stesso con rigore e precisione. Tu devi esaminare attentamente tutti i pensieri che hanno attraversato la tua mente, tutte le parole proferite dalla tua bocca e tutte le azioni che hai fatto; né per fare questo al meglio ci sarà un momento più adatto del vespro, quando ti metterai disteso sul tuo letto.” “Ma ricordate,” continua il Santo, “che questo esame non deve essere effettuato sulla vita in modo grossolano, passando cioè sopra lievi difetti notati in brevi momenti; perché bisogna tener conto rigoroso anche di questi, così che svuotato da questi, potete fronteggiare difetti ancor più gravi.” Questa quest’ultima attenzione dovrebbe essere ricordata soprattutto da coloro che sono un po’ più avanzati sulla strada della perfezione, e che possono essere considerati come già tra gli abituali, o i perfetti; per tali persone ogni colpa aumenta in grandezza; e, come osserva Sant’Isidoro, ciò che potrebbe essere definito un leggero difetto di un breve momento per un principiante, non può più essere chiamato un piccolo peccato in uno che ha progredito verso la perfezione; in tal caso ogni colpa, per quanto lieve, deve essere contabilizzata e ritenuta come grave. Se un ragazzo a scuola è colpevole di un errore grammaticale, egli è da compiangere; ma se il suo insegnante dovesse incorrere nello stesso errore, egli non merita nessuna compassione perché è tenuto ad essere perfetto o quasi perfetto, nella sua professione. Lo stesso vale per le persone spirituali. Quindi, si dovrebbe procedere nel loro autoesame con occhio particolarmente attento ed osservando ogni cosa, tenendo conto di ogni difetto; e, come dice San Isidoro, considerando che nulla può essere di lieve importanza nella condizione nella quale sono pervenuti. – 4) – In quarto luogo, l’esame deve essere seguito da un atto di dolore e di pentimento per i peccati che abbiamo commesso. “Se tu trovi,” dice San Giovanni Crisostomo, “che nel corso del giorno hai fatto qualche buona azione, devi renderne grazie a Dio; solo per suo dono tu infatti sei stato in grado di farlo. Ma se tu scopri difetti e peccati, li devi asciugare con lacrime di penitenza”. Questo dolore, per quanto possibile, è necessario che sia sincero e pieno di confusione verso l’interno e pieno di umiltà, come abbiamo visto in precedenza, trattando a proposito della confessione. L’autore del reato, a causa dei suoi difetti e della sua infedeltà a Dio, deve presentarsi al cospetto dell’Onnipotente, come un figlio perverso ed ingrato si dovrebbe presentare davanti ad un padre affettuoso, e con sincera confusione dovrebbe dire con le parole di San Bernardo: “come posso essere così sfrontato da alzare gli occhi verso il volto di un padre così gentile, essendo, come io sono, un figlio così irrispettoso? Arrossisco per aver fatto cose indegne della mia condizione, per essermi dimostrato un figlio degenere verso un padre così buono. Deluso, fiumi di lacrime scorrono dai miei occhi; lasciate che la mia faccia sia coperta da confusione, il mio volto arrossisca di vergogna, e la mia anima sia oscurata da profonda umiliazione.” Il lettore può essere sicuro che quanto più questo dolore è umile e sincero, tanto più esso servirà ad eliminare dall’anima ogni contaminazione. – I Santi più grandi consigliano ad una persona devota che scopre nel suo esame qualche difetto degno di nota, di imporsi qualche penitenza in riparazione dell’errore che ha commesso e come misura precauzionale contro le recidive future. S. Giovanni Crisostomo dice: “lascia che la tua mente e tuoi pensieri siedano a giudicare l’anima tua. Guarda le tue azioni, estrapola i tuoi difetti ed a ciascuno di essi assegna un castigo mediante una penitenza proporzionata”. In relazione a questo argomento, Teodoreto riferisce, di tal monaco, di nome Eusebio, che durante la lettura del Santo Vangelo, si distrasse consentendo agli occhi ed alla mente di vagare osservando alcuni contadini che erano al lavoro nei campi vicini. Ricordando questa negligenza nel suo esame di coscienza, egli si impose, per l’errore che aveva commesso, la penitenza non solo di non guardare mai il campo che era stato l’occasione della sua colpevole distrazione, ma di non alzare mai più gli occhi al cielo. Ma dovendo egli percorrere un tragitto rettilineo, appena sufficientemente ampio da consentirgli il passaggio, attraverso il quale raggiungere la cappella e da qui tornare alla sua cella, non metteva mai i piedi fuori da quel vicolo stretto. E temendo che, alzando la testa, egli potesse accidentalmente alzare lo sguardo verso gli oggetti che aveva proibito ai suoi occhi di guardare, cosa ha fatto? Si è posto a mo’ di correzione una cintura di ferro intorno ai suoi lombi ed un collare di ferro al collo, fissati tra loro da una corta filiera, costringendosi così a rimanere sempre con la testa piegata in basso verso il suolo, in modo da essere incapace di vedere i campi o il cielo. Teodoreto di Cirro termina la sua narrazione osservando che in questo curioso castigo per la sua distrazione, il Monaco ha perseverato con grande mortificazione per tutti i quaranta anni che e’ sopravvissuto. – Non ho menzionato questo fatto per sostenere l’opinione che tali penitenze straordinarie siano da imitare, ma solo per mostrare che è stata sempre una usanza dei Santi di Dio l’imporsi qualche mortificazione come punizione per le colpe in cui capitava che cadessero. Naturalmente, nell’uso di tali penitenze, ognuno deve fare i conti con la sua forza fisica e spirituale, in modo da scegliere, su consiglio del suo direttore, la penitenza per lui possibile, senza forzare eccessivamente le proprie potenzialità, ma che lo aiuti a trattenersi e ad essere dissuaso dal ricadere. San Giovanni Crisostomo suggerisce molto tali penitenze discrete; come, per esempio, per le colpe della lingua, il recitare alcune preghiere; per gli sguardi non custoditi, di dare qualche elemosina, o osservare fugacemente cose e persone; per le spese folli, la compensazione mediante una maggiore parsimonia. E altrove, egli consiglia l’uso di bende in castigo delle nostre colpe, assicurandoci che lungi dal morire per queste afflizioni, noi vogliamo essere aiutati a sfuggire alla morte. Tale era la pratica di S. Maria Maddalena de’ Pazzi, che, dopo aver pianto le sue colpe nell’estasi, come già abbiamo accennato, si ritirava poi nella sua cella appartata e sottoponeva il proprio corpo ad una rigorosa disciplina. Se dovesse accadere, tuttavia, che qualcuno si dovesse vedere costretto ad infliggere su di sé dei bendaggi in ogni occasione, a causa della frequenza delle sue cadute, si potrà, almeno, alla sua solita disciplina, sommare alcuni poche pratiche aggiuntive, in proporzione ai peccati commessi. Se si è incapaci di procedere velocemente, si può negare a se stesso qualcosa durante i suoi pasti abituali come punizione delle sue trasgressioni: si può mortificare la lingua sfrenata facendo con essa il segno della Croce così tante volte sul pavimento: si può accompagnare la preghiera con la mortificazione, ponendo ad esempio, durante la recita, le mani sotto le ginocchia, o le braccia allargate a formare una croce; e poi tante altre penitenze secondo quanto la devozione e la compunzione di ognuno può suggerire. – 5) – In quinto luogo, dobbiamo imporsi un fermo proposito di non offendere Dio mai più. Questo scopo, osserva Giovanni Crisostomo, spesso citato da noi, dovrebbe essere raggiunto così efficacemente da infondere nell’anima un santo timore di non ricadere mai più nel peccato; così che, come una persona colpevole che sia stata severamente rimproverata, non possiamo permetterci di alzare la testa per la vergogna, ma tenendola abbassata, sempre teniamo a mente il rimprovero ricevuto. Al fine di essere di qualche utilità reale, questo scopo di emendamento deve penetrare fin nei particolari. Quelle passioni o affetti disordinati che ci hanno sviato, devono essere messi alla tortura, così da procurarci una vera contrizione; con il mezzo che precisamente deve colpirci per ottenere una buona risoluzione per non essere più assaliti o almeno, per subire attaccati di minor violenza. Per questo è di grande importanza procedere ad una eradicazione particolare e poi generale, con la risoluzione che i nostri vizi soliti siano superati, e lavorando a volte su questo e a volte sull’altro dei nostri altri difetti, rafforziamo in generale la volontà nella resistenza costante e generosa, prima verso l’una e poi verso l’altra delle nostre mancanze, e così, a lungo andare, poco a poco, possiamo sbarazzarci di ognuna di tutti loro. – Inoltre dobbiamo guardare alle origine delle nostre colpe; dobbiamo scandagliare le profondità della nostra anima, per scoprire la radice di queste erbacce maligne, in modo da essere in grado di estirparle dal nostro cuore. Quale utilità c’è nello scrollarsi di dosso le foglie o i rami di un albero che non porta frutto senza tagliarlo dalla base lasciandola nel terreno? Se non se ne sia distrutta la radice, tutto questo serve a nulla: l’albero sarà presto coperto da un fogliame di maggiore rigoglio che mai. Così anche le nostre risoluzioni non giungeranno al loro scopo fino a quando non abbiamo tagliato non le occasioni, ma le origini delle nostre colpe, per cui i nostri difetti continuamente torneranno a profanare le nostre anime, senza ottenere la risoluzione di non essere più colpevoli in futuro. Infine, l’esame di coscienza deve terminare con un Padre nostro, un’Ave Maria ed una fervida preghiera a Dio per ottenere la grazia di non offenderLo mai più e di realizzare in pratica tutto ciò che avremmo promesso di fare, ricordando che in ogni caso non possiamo fare nulla senza l’aiuto di Dio.

CAPITOLO IV.

Sull’esame particolare. Suoi vantaggi per il raggiungimento della perfezione. Il metodo per farlo.

È impossibile superare tutte in una volta le passioni che si agitano in noi: sradicare con uno sforzo solo tutto i vizi radicati nella nostra anima e nello stesso tempo giungere ad una modifica completa della nostra condotta. Quindi Cassiano, con tutti gli altri maestri di vita spirituale, insegna che nel correggere le nostre cattive abitudini, dobbiamo procedere metodicamente. Dobbiamo primariamente considerare la nostra passione predominante ed essere determinati a lottare contro di essa con tutta le forze della nostra anima. Contro questo vizio o passione, continua Cassiano, contro il nostro principale nemico, dobbiamo usare tutte le nostre armi; vale a dire tutte le nostre meditazioni, i nostri buoni propositi, le nostre preghiere, i nostri digiuni, le nostre lacrime: tutti i nostri sforzi, in breve, al fine di conquistarla, per batterla e disperderla. Ora, perché tutto questo se non per fare l’esame particolare di cui parleremo ora? Esso infatti consiste in nient’altro che nello scoprire qual sia la nostra passione predominante e quali le colpe di cui siamo maggiormente responsabili per poter impostare un efficace lavoro su di esse, sradicarle con gli esami particolari e gli speciali pii dispositivi, come ci accingiamo ora a mostrare. – Non appena saremo riusciti a superare una passione, o a correggerci di qualche difetto particolare, dovremmo passare successivamente ad un altro e poi un altro ancora, man mano; così, poco a poco, questa “lavorio” spirituale ci aiuterà a salire al culmine della perfezione. La cima di una torre alta non viene raggiunta con un unico balzo, ma per mezzo di passaggi successivi. Quando uno vuole salire in cima, si inizia dal primo gradino della scala, cominciando a lasciare la terra sotto di sé per avvicinarsi al vertice. Si passa quindi al secondo, al terzo, al quarto passo e così via; e più aumenta la sua distanza dal livello del suolo, più ci si avvicina al vertice in alto; e più in alto si monta — continuando a lasciare ulteriormente dietro di sé la base della torre — più ci si avvicina alla cima dell’edificio. Così facendo, potremmo noi, mediante l’esame particolare, liberarci in questo mese di un peccato, nel prossimo sottomettere qualche passione e, dopo sei mesi, sforzandosi, sradicare completamente qualche abitudine viziosa; procedendo ulteriormente lasceremo sempre più lontano lo stato infimo, abietto ed imperfetto, avvicinandoci sempre più al vertice della perfezione. Questa dinamica è presa in prestito da Giovanni Crisostomo, che prende a modello coma figura di questo progresso graduale nella perfezione, per mezzo della correzione di qualche difetto e l’acquisizione di alcune virtù, la ben nota scala del sogno di Giacobbe, scala che dalla terra raggiunge il cielo permettendo di salirne i gradini mediante successivi e progressivi miglioramenti. – E, cosa che è veramente ammirevole, anche i filosofi pagani — se per nostra istruzione o a nostra confusione, non saprei — hanno adottato pratiche simili a quelle che ora sto spiegando, ai fini proprio di un perfetto emendamento. Ascoltate ciò che riferisce Plutarco di se stesso: “essendo un amante della mansuetudine non meno della saggezza, sono determinato in me a trascorrere alcuni giorni senza cedere alla rabbia; proprio come nel caso dovessi decidere di astenermi dall’ubriachezza e dal vino, come è consuetudine in alcune feste, dove è vietato l’uso di questa bevanda. Ho continuato in successione ad esercitare sforzi notevoli per uno o due mesi, facendo brevi prove della mia forza. Così, nel corso del tempo, sono giunto ad imprecare con maggiore difficoltà e fastidio, essendo in grado di mantenere la mia padronanza su me stesso, sì da mantenere la calma, mostrandomi gentile e privo di ogni rabbia. Con questi mezzi mi sono tenuto senza macchiarmi con cattive parole, svilendo le azioni e le cupidigie spudorate che, solo per una gratificazione passeggera, lasciano l’anima trafitta da un profondo rimorso ed uno struggente rimpianto.” – Ora, questi congegni, se riflettiamo un po’ su di essi, sono proprio quelli impliciti nell’esame particolare di cui ora stiamo discorrendo, il cui oggetto è quello di frenare le nostre passioni, sradicare i nostri vizi ed impiantare all’interno dell’anima la perfezione cristiana; cosa che sarà più chiaramente stabilita nel paragrafo seguente. E se un filosofo, con la sola luce della sua ragione naturale, era in grado di scoprire l’efficacia di questo mezzo in relazione all’emendamento della sua vita e lo praticava con tale costanza, quanto più volentieri dovrebbe esso essere abbracciato da un cristiano che ha la luce della fede e l’esempio di tanti Santi e creature spirituali che procedono su questa strada, potendo così raggiungere la perfezione come e più di un pagano che mira ad ottenere una modifica della sua vita. – Veniamo ora alla parte pratica di questo esercizio molto utile. Essa comprende, come possiamo imparare da quel libro d’oro degli esercizi spirituali di Sant’Ignazio, cinque atti distinti. Primo: Al sorgere del mattino, dobbiamo prefiggerci uno scopo costante e forte per evitare l’errore che abbiamo intenzione di correggere mediante l’esame particolare; e questo scopo deve essere rinnovato con serietà nel tempo della meditazione; perché, come dice Thomas a Kempis, “il nostro progresso spirituale è proporzionata al nostro buon proposito”. In secondo luogo: Se ci capita di cadere durante il giorno, noi dobbiamo porre le mani sui nostri cuori e fare un atto di dolore, con la determinazione di essere più vigili per il futuro. Era usanza dei monaci dei tempi antichi annotare le loro colpe non appena le avevano commesse. S. Giovanni Climaco racconta, che dopo aver visitato un monastero della più rigorosa e austera osservanza, vide che il monaco a capo del refettorio, aveva un piccolo libro appeso alla cintura; chiedendogli per cosa venisse utilizzato, il monaco rispose che gli serviva per annotare i pensieri che passavano nella sua mente; e, aggiunge il Santo, da quello che ho potuto osservare tra il resto della fratellanza, ho compreso che questa era l’usanza del maggior numero di loro. Egli conclude con queste lodevoli parole: “Egli è come un buon banchiere spirituale che ogni notte raggiunge l’equilibrio tra le perdite ed i guadagni di ogni giorno. Ma perché questo possa essere fatto con precisione, è necessario prendere nota, ora per ora, dei profitti e delle perdite, del risultato cioè del nostro traffico giornaliero spirituale.” Alcuni, al fine di essere in grado di mantenere più facilmente e regolarmente questo impegno, portano con loro, ben nascosto alla vista altrui, una stringa di perline, su cui registrano i loro difetti come man mano si presentano loro. Con questi mezzi possono tenere un conto esatto dei loro errori senza attirare l’attenzione di altri, o magari fanno ricorso alla propria memoria. In terzo luogo: Di notte, quando facciamo l’esame generale di tutta la giornata, dovremmo prendere nota speciale della colpa che ci proponiamo di sradicare mediante l’esame particolare; questo rende speciale l’atto di contrizione per le nostre mancanze così da rinnovare i nostri buoni propositi con maggiore serietà: dovremmo quindi annotarli su un piccolo pezzo di carta, o in un libricino. S. Ignazio ci offre un modello di queste notazioni. Egli ci suggerisce di disegnare su un foglio di carta alcune linee di lunghezza diversa, la precedente più lunga di quella seguente: su quelle più lunghe annotiamo le colpe commesse nei giorni precedenti della settimana: accorciano le linee che corrispondono alla settimane seguenti gradualmente, supponendo che stiamo migliorando e di conseguenza diminuendo ogni giorno il numero delle nostre colpe. – In quarto luogo: dopo aver trascorso un paio di settimane, dovremmo esaminare il nostro giornale o libro, per vedere il numero di volte nelle quali siamo caduti ogni giorno, confrontando giorno con giorno, settimana con settimana e con attenzione, tenendo conto dei nostri progressi o determinazioni, come insegna S. Giovanni Crisostomo. Se troviamo che c’è stato un miglioramento, dobbiamo rendere grazie a Dio e impegnarci con il cuore a lottare più intensamente anche dopo il nostro emendamento pieno e completo. Dobbiamo tuttavia scoprire anche il caso in cui non ci sia stato alcun emendamento, e che siamo forse persino andati indietro, per determinarci ad impiegare dei mezzi supplementari; così, per esempio, dobbiamo essere più vigili su di noi, fare più frequente ricorso a Dio con la preghiera, fare uso di qualche penitenza corporale, in modo tale da poter muovere il cuore di Dio a concederci una assistenza più potente ed efficace ed aiutarci così a superare la nostra debolezza, … e altre cose di questa genere. –  In quinto luogo: Noi dovremmo inoltre imporre qualche mortificazione a noi stessi, in relazione alla frequenza delle nostre mancanze. È stato già osservato, che questo rimedio deve essere applicato ad ogni importante trasgressione e si può anche aggiungere come mezzo particolarmente adatto a sradicare, mediante la penitenza, quei difetti sui quali è fatto l’esame particolare, e che costituiscono il nostro oggetto principale. In conclusione possiamo sostenere questo, sull’esempio di S. Ignazio, quel grande maestro di vita spirituale: nel venir meno la salute, a causa dell’avanzamento negli anni, essendo stato per lungo tempo arricchito da Dio con tanti doni soprannaturali e volendo, per così dire, consumarsi in tutta la perfezione, egli ha ancora e sempre fatto il suo esame particolare e tenuto presso di lui dei fogli sui quali annotava i suoi fallimenti; neppure in tarda età, e fin’anche al suo ultimo respiro, egli ha omesso mai questa pratica utile e sacrosanta; dopo la sua morte, questo libro è stato ritrovato sotto il suo cuscino, lasciato lì come se fosse il testamento di un morente a tutte le persone devote perché non trascurassero mai una pratica di così grande efficacia per la modifica della loro vita e per il raggiungimento della perfezione.

CAPITOLO V.

Consigli pratici ai direttori sul tema in considerazione.

Primo suggerimento. Riguardo all’uso dell’esame di coscienza quotidiano, ogni direttore verificherà due riflessioni: primo, che questo esercizio possa essere attuato da chiunque, anche da parte di coloro che non ne hanno dimestichezza e sono scarsamente educati nell’uso di altre pratiche religiose, come la meditazione e la lettura di libri spirituali. Ognuno è in grado di andare a confessarsi ed è quindi in grado anche di praticare l’esame di coscienza ogni giorno e piangere sulle proprie colpe. In secondo luogo, che nessuna singola persona dovrebbe mai ritenersi dispensato dal fare questo esame. Non sto parlando solo di coloro che aspirano alla perfezione, ma anche di coloro che professano la semplice fede, poiché si tratta di uno strumento importante non solo per garantire la perfezione, ma la salvezza stessa delle nostre anime. Non sia il direttore superficiale nel credere a questa verità, basta che egli rifletta solo sulla naturale tendenza di tutte le cose umane a deteriorarsi e alla fine a perire e ad annullarsi a meno che non siano costantemente riparate. Un edificio che abbia fuori uso alcune parti, se non viene frequentemente messo in ristrutturazione, non durerà a lungo ed finirà per essere ridotto ad un cumulo di mattoni. Una fattoria tenderà a deteriorarsi se il suolo non venga generosamente arricchito, altrimenti il tutto diventerà alla fine un cumulo di rifiuti. Un indumento che si indossi ogni giorno, subirà delle inevitabili lacerazioni pur minime che, qualora non siano riparate, lo renderanno uno straccio per la raccolta. Ora, sono tante le tipologie delle nostre anime, ma è talmente forte la violenza con cui le nostre passioni ci inclinano al male; così potenti sono gli incitamenti del diavolo che ci spinge a ciò che è sbagliato; tante sono le occasioni pericolose che ci inducono a peccare, che è impossibile per le nostre anime — esposte come sono a così tanti assalti — il non cadere, il non cedere occasionalmente a così tante fascinazioni ed il non scendere gradualmente verso il basso, verso la grande rovina delle nostre anime. Se tali perdite non sono ogni giorno riparate da un esame di coscienza ben fatto, con pentimento e relativo rinnovo dei buoni propositi, può accadere che noi possiamo diventare disorganizzati a tal punto da perire alla lunga miseramente, come in effetti accade ogni giorno con quei cristiani sbadati che non si avvalgono di questi mezzi. Il direttore cercherà, quindi, con uno sforzo Santo di inculcare questa pratica così vantaggiosa in tutti i suoi penitenti a qualunque classe possano essi appartenere. San Gregorio Magno spiega, mediante un paragone con la nostra vita corporale, il decadimento che quotidianamente si svolge nelle nostre anime e la necessità che c’è di fare buoni propositi di lacrime, di pentimento e di esame di coscienza. “I nostri corpi,” egli scrive, “sviluppano un decadimento insensibilmente, senza che noi possiamo percepirlo. Chi ha mai visto l’allungamento graduale e la crescita del corpo di un bambino in giovane età? Chi ha mai visto le membra di un uomo vecchio contrarsi e diventare decrepite e rimpicciolite? Chi è mai consapevole della crescita o del decadimento del proprio corpo? Gradualmente ed impercettibilmente i capelli diventano bianchi, la carne si raggrinza in rughe, gli arti si indeboliscono, il corpo diventa piegato e tutto l’insieme, senza che ce ne avvediamo, va lentamente deperendo fino a consumarsi. “Così, purtroppo,” va avanti il santo dottore, “lo spirito dentro di noi accrescere il suo decadimento senza che ne siamo coscienti; e così come anche le persone devote e diligenti, avanzano in virtù senza avvedersene, così le anime dei negligenti e dei pigri che, non tenendo conto giornaliero dei loro miglioramenti o peggioramenti, continueranno ad affondare verso il basso e a cadere nel disordine, senza che possano percepirlo”. “Quindi,” lo stesso santo Pontefice conclude, “spesso dobbiamo guardare in noi stessi; spesso la nostra coscienza deve esaminarsi e col pentimento sforzarsi di rinnovarsi per riconquistare il nostro stato migliore.” Ripeto, quindi, se un direttore agisce con zelo per la salvezza delle anime delle persone che si sono affidate alle sue cure, egli non mancherà di inculcare l’uso del quotidiano esame di coscienza. – Secondo suggerimento. L’insegnamento dei Santi, come è stato sottolineato già nei capitoli precedenti, è tale che questo esame di coscienza dovrebbe essere effettuato due volte al giorno, mattina e sera. Nelle prove che ne abbiamo riportato da S. Ephrem, S. Doroteo, S. Bernardo, i fondatori di ordini religiosi, seguendo gli insegnamenti dei Santi, lo hanno imposto come regola nelle associazioni dei loro seguaci. Ma, siccome al direttore può essere impossibile ottenere da ognuno questo doppio esame di coscienza, egli deve almeno fare attenzione che nessuno dei suoi penitenti lo ometta prima di coricarsi per riposare, essendo la fine della giornata il momento più adatto per esaminare la nostra coscienza e valutare tutto ciò che abbiamo fatto; infatti il buio stesso e la quiete della notte sono favorevoli per l’attenzione ed il raccoglimento, e di conseguenza per il pentimento per le nostre colpe. Il penitente dovrebbe essere poi così attento, da permettersi un esame attento e diligente, tale da sforzarsi di gettare uno sguardo almeno sugli ultimi giorni, per vedere quali siano le più gravi carenze che si gli presentano contemporaneamente alla mente per poterle emendare efficacemente con un atto di contrizione. Questo servirà non solo per pulire ancora una volta la coscienza dalle sue macchie, ma per renderla più attentamente custodita nel giorno successivo. Eviterà così un destino che è purtroppo molto comune a molti fedeli che, dopo aver iniziato una volta con l’intraprendere una strada sbagliata, gettano poi le redini — diciamo così — sul collo delle loro passioni, andando sempre più sprofondando nel peccato, senza ritegno e senza rimorso. Se il penitente si rifiuta di fare anche questa semplice azione, egli deve allora riconoscere che tiene davvero molto poco alla sua salvezza eterna. Proprio come un commerciante che, non riuscendo mai a trovare un equilibrio tra le sue entrate e le uscite, dà un chiaro segno di essere indifferente a guadagnare o perdere soldi. 3) – Terzo suggerimento. L’esame particolare può essere proposto a persone che, liberate dai legami di gravi peccati, iniziano ad aspirare alla perfezione, essendo questo l’aiuto più efficace per il suo raggiungimento. Per garantire questo risultato, tuttavia, il direttore deve proporre l’oggetto su cui l’esame dovrà essere effettuato. Occorrerà quindi anche osservare, nel resoconto dello stato di coscienza che ha ascoltato dai penitenti, qual sia la passione predominante in ciascuno, così come la colpa più frequente e quindi l’ostacolo maggiore frapposto al suo progresso nello spirito; farà allora gli in modo da dirigere ciascuno nel fare il suo esame particolare essenzialmente su tale punto, prima di continuare ad istruire ognuno sul modo corretto di espletarlo secondo il metodo che abbiamo illustrato dettagliatamente sopra. Tuttavia, è bene fargli notare che, tra i vari difetti rilevati, è meglio iniziare con la correzione di quello più evidente esternamente, poiché questo può costituire comunemente occasione di scandalo, o almeno di scarsa edificazione, nei confronti del prossimo, ed anche perché essi sono più facilmente corretti rispetto ai difetti interiori, che sono radicati nelle nostre anime e sono, per così dire, parte della nostra natura. La comune prudenza impone che sia meglio iniziare con compiti più facili e semplici così da renderli un trampolino di lancio per imprese più ardue e difficili. – Quarto suggerimento. Il direttore dovrebbe impegnare i suoi penitenti nel rendersi conto dei progressi compiuti nell’ambito dei loro esami particolari. Egli stesso dovrebbe poi imporre le mortificazioni e le penitenze da eseguirsi in espiazione delle colpe che ognuno può aver commesso, e dovrebbe suggerire i mezzi da impiegare al fine di garantire una vittoria più ampia e solida. Ma se dovesse scoprire un notevole deterioramento o una colpevole disattenzione, egli può, a volte, per punizione della negligenza, privare il penitente della Santa Comunione, quando naturalmente, la persona stessa possegga virtù sufficienti a sopportarne la privazione con calma ed umiltà. Dranelius ci riferisce che tra alcune nazioni indiane, i maestri di quei giovani che si applicavano all’acquisizione della saggezza, giunta la sera, e prima che gli alunni stessi sedessero per i loro pasti, esigevano un resoconto accurato delle loro buone azioni durante il giorno, e quando scoprivano che essi erano stati disinteressati nell’ottenere progressi, li mandavano a letto digiuni, in modo che il giorno successivo potessero essere più diligenti nel perseguire la virtù. Un simile metodo rapido, nel nostro caso però spirituale, può essere a volte imposto ai nostri penitenti quando si percepisce che siano incuranti nei progressi, e soprattutto nel modificare una colpa per la quale l’esame particolare sarebbe stato efficace nell’aiutarli con facilità a superarla. – Il direttore deve applicare ulteriore attenzione nel timore che, invece di essere per i suoi penitenti un mezzo di miglioramento, l’esame particolare diventi per essi una fonte molto pregiudizievole per l’inquietudine che si potrebbe generare, come spesso accade nel caso delle donne di natura timida, e più specialmente quando a questa timidezza naturale si aggiungono le suggestioni suggerite dal diavolo. Così infatti, visto che, nonostante i loro esami così frequenti non avanzino che poco (almeno in confronto a quello che poteva essere il risultato sperato), e che tendono nuovamente a cadere sempre negli stessi difetti, potrebbero perdersi d’animo e cominciare a pensare che la perfezione per loro sia irraggiungibile, il direttore sarà pronto a deviare dalle loro menti questi allarmi ingiustificati. Egli insegnerà loro ad umiliarsi ma nella pace, per non perdere coraggio alla vista della loro fragilità, e di mettere così tutta la loro fiducia in Dio. Egli ricorderà loro che Dio permette queste ricadute e che le stesse passioni prevalgano su di loro, in modo che riconoscano e provino quanto grande sia la propria miseria, proponendosi in tutta umiltà, di diffidare di se stessi, e guardare unicamente a Dio per la loro liberazione con l’implorazione fatta con la massima fiducia. Egli farà loro capire che se noi dobbiamo fare la nostra parte con la massima serietà per sradicare i nostri difetti e superare le nostre passioni, la vittoria è però un dono di Dio che viene elargito con mani generose, e che bisogna trattenersi dal perdersi d’animo e dallo scoraggiarsi, non perdendo la sfiducia in se stessi, confidando però in Lui solo.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.