Gregorio XVII cardinal Siri – 4 articoli

Gregorio XVII, G. Siri

4 articoli

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Articolo 1:

Poteva il cardinale Siri essere il Papa?

     In uno dei suoi scritti, il principe Scortesco, cugino tedesco del principe Borghese, presidente del Conclave che elesse Montini al Sommo Pontificato, ha redatto le seguenti informazioni a riguardo del Conclave del 21 giugno 1963: “Durante il Conclave, un cardinale ha lasciato la Cappella Sistina, ha incontrato i rappresentanti del B’nai – B’rith, che, mentre i cardinali  si accingevano ad annunciare l’elezione del cardinale Siri, hanno minacciato l’esacerbazione delle persecuzioni contro la Chiesa. Tornando al Conclave, egli fece in modo che fosse eletto Montini. ”

Nel corso di una visita a Monsieur de la Franquerie, nel novembre 1984, con il mio amico François Dallais, abbiamo parlato di nuovo di questo grave problema. Monsieur de La Franquerie, nel 1963, era in contatto permanente con numerosi prelati romani, e lui ci ha confermato di aver sentito parlare in modo confidenziale, di questo avvenimento, diverse persone delle quali ci si potesse fidare per essere ben a conoscenza di questi fatti. – Abbiamo deciso così, al fine di alleviare la nostra coscienza, di vedere il Cardinale Siri a Genova. Poiché Monsieur de la Franquerie aveva già avuto la possibilità di vederlo in passato nel corso di piacevoli conversazioni avute con lui, gli scrisse per chiedere un incontro, incontro che il Cardinale ci concesse il Venerdì dopo l’Ascensione, del 1985. – Pertanto, il 17 maggio del 1985, ci siamo incontrati insieme a casa mia a Lione, Monsieur de la Franquerie, e François Dallais. La serata è stata meravigliosa. Ammetto che io sono sensibile al fascino dell’antica Francia, e con il nostro caro marchese, abbiamo trascorso, fino alle ore molto avanzate della notte, momenti indimenticabili ascoltando i suoi ricordi di una vita piena e feconda. Nei suoi ricordi di Monsignor [Paul] Jouin, del maresciallo Pétain o di Pio XII, Monsieur de la Franquerie è incantevole ed appassionato. – Il giorno seguente ci siamo recati di buon mattino a Genova dove il cardinale ci aspettava per le dieci concedendoci un incontro durato più di due ore. Siamo stati accolti con molta attenzione nello splendido palazzo vescovile di Genova. Il Cardinale, che parla francese molto bene, è stato molto cordiale, attento, e di una cortesia propria di persone che sono sì grandi per la loro funzione, ma ancora più per il loro cuore. Ha avuto luogo un dialogo tra queste persone rispettabili, con un linguaggio diplomatico che non conoscevo, e che possiede un fascino ed una delicatezza derivante da una formazione secolare che purtroppo oggi non esiste più. – Si è discusso di diversi problemi attuali e del passato, dei quali non parleremo qui. La nostra più viva intenzione, come d’accordo la sera prima, è stata quello di indagare, innanzitutto, in merito al Cardinal Tisserant per sapere se fosse veramente uscito dal conclave. Quando abbiamo ricordato questo fatto, la reazione del cardinale Siri è stata chiara, precisa, ferma, ed indiscutibile: “No, nessuno ha lasciato il Conclave!” Egli poteva dare solo testimonianza di ciò che aveva visto, ma non di quello che potesse essere accaduto mentre dormiva, oppure si fosse verificato dietro alle sue spalle. Ma ciò che ha allertato la nostra attenzione è stata questa sua fermezza, questo NO categorico del Cardinale. – Alcuni istanti dopo, quando gli abbiamo chiesto se fosse stato eletto Papa, la sua reazione è stata completamente diversa. Ha iniziato col rimanere in silenzio per un lungo periodo di tempo, poi alzando gli occhi al cielo, con una smorfia di sofferenza e di dolore, unite le mani, ha detto, soppesando ogni parola con gravità: “Io sono legato dal segreto” Poi, dopo un lungo silenzio, pesante per tutti noi, ha detto ancora: “Io sono legato dal segreto. Questo segreto è orribile. Avrei libri da scrivere sui diversi conclavi. Si sono verificate cose molto gravi … ma posso dire nulla. ” – Ci chiediamo a questo proposito. Se non fosse stato eletto Papa, egli avrebbe risposto con altrettanta prontezza e fermezza, così come aveva risposto alla domanda precedente. Che era stato eletto, non poteva dirlo, poiché era vincolato dal segreto; poiché egli non poteva mentire, ecco che si rifugiava dietro questo segreto. – In realtà, qualcuno tra i miei amici fidati, che lo conosce molto bene, mi ha assicurato che il cardinale gli aveva riferito di essere era stato eletto due volte Papa: al posto di Paolo VI e poi di Wojtyla. La prima volta pare che egli si era rifiutato, la seconda volta che fosse stato costretto a rifiutare sotto la minacciata pressione di uno scisma! – Eravamo tre testimoni, e siamo rimasti molto turbati, ma praticamente convinti della sua elezione. – Ed ora si impongono delle domande molto serie, alle quali dover rispondere: egli si è dimesso? È stato costretto a dimettersi? Che dire di queste elezioni? Quali pesanti segreti pesano su di lui? –  Durante l’ultimo Sinodo, è rimasto alcune ore alla sinistra della cappella. Nonostante la sua età avanzata ed il fatto che avesse superato i 75 anni, non ha dato le sue dimissioni, e non gli è stato mai chiesto di farlo [a partire da questa pubblicazione nel luglio 1986]. – E ora? Lasciamo agli storici ed ai teologi l’incombenza di studiare a fondo le questioni inerenti l’ultima Cardinale nominato da Pio XII e rispondere ad esse. Noi abbiamo voluto semplicemente lasciare questo grave testimonianza.

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2 Articolo

 Durante “L’elezione del Romano Pontefice” Siri parla di “forze esterne” che hanno cercato di influenzare il conclave.

L’ELEZIONE DEL ROMANO PONTEFICE

del: Cardinale Giuseppe Siri

Pubblicazione originale in RENOVATIO VII (1972), inst. 2, pp. 155-156

da: “Il Dovere Dell’Ortodossia”

 

Molti, troppi, hanno parlato a proposito e più spesso, a sproposito sulle future elezioni del Romano Pontefice, in particolare, in merito alla legge che regola il conclave. E’ evidente che essi hanno cercato di esercitare una pressione assolutamente impropria, circa l’adozione di criteri nuovi e molto discutibili nell’elezione papale. La questione è estremamente grave, e così la nostra rivista si sente in dovere di discutere. – Chiunque voglia proporre la questione della riforma del Conclave deve sapere che questa ricade unicamente sotto la suprema Autorità della Chiesa, e che eventuali interlocutori, al momento di proporre riforme, devono quindi sempre prendere in considerazione questo principio. – Rivediamo l’aspetto centrale teologico. Il Concilio Vaticano I, nel canone, che segue il capitolo 2 della “Pastor Aeternus” , così recita: «Si quis ergo dixerit non esse ex ipsius Christi Domini institutione seu diritto divino ut beatus Petrus in primatu eccellente universam perpetuos Ecclesiam habeat Successores, aut Romanum Pontificem non esse beati PETRI in eodem primatu successorem, sit anatema »(DS 3058) (Se, poi, qualcuno dirà che non per è l’istituzione di Cristo, il Signore stesso, o per diritto divino, che il Beato Pietro ha perpetui successori nel primato sulla Chiesa universale, oppure che il Romano Pontefice, non è il successore del Beato Pietro nel medesimo primato: sia anatema). Ciò significa che la successione di Pietro è la prerogativa del vescovo di Roma. Se la successione è la prerogativa del vescovo di Roma, e non di un altro, ciò significa che vi è legame assoluto tra l’episcopato romano e la successione petrina. Pertanto si deve logicamente e necessariamente dedurre che il Papa è tale perché è il vescovo di Roma. Questo legame di causalità tra l’episcopato romano e la successione petrina diventa più chiaro se si legge l’intero citato secondo capitolo della Costituzione (DS 3057); diventa ancor più chiaro quando si osserva tutta la Tradizione, in particolare la tradizione primitiva, quella che beneficia con immediatezza e certezza delle disposizioni adottate dal principe degli apostoli. Infatti Clemente I (I secolo) interviene con forza nella Chiesa di Corinto, con una lunga e solenne lettera, mentre l’apostolo Giovanni è ancora in vita e geograficamente più vicino, a nome della Chiesa di Roma. E’ evidente che intende dedurre, dalla sua sede episcopale, il potere di badare alla lontana chiesa di Corinto, su cui poteva intervenire solo come Pastore universale, essendo Corinto ben fuori dalla giurisdizione romana. I due grandi testimoni dell’età molto antica, Ignazio di Antiochia e Ireneo, nei testi noti, usano lo stesso linguaggio di Clemente. – Detto questo, è difficile capire come si possa teologicamente sostenere una tesi diversa circa la supremazia nella Chiesa Episcopale della sede romana, o ragionevolmente negare che il Romano possa attribuirsi il titolo legale della successione a Pietro. – Chiarito l’aspetto fondamentale teologico, non è affatto inutile considerare la logica che Cristo ha messo dentro la sua Chiesa. C’è un Primate; ci sono Vescovi successori degli Apostoli, che sono tali per diritto divino, nel quadro della cattolicità del collegio e del diritto del Primate. Cellule costitutive della Chiesa sono le singole chiese locali, guidati da un successore degli Apostoli. Tutti i fedeli appartengono alla Chiesa, ma la ragione immediata per la sua unità e cattolicità risiede nelle Chiese particolari sotto l’autorità di Pietro. L’errore fatto da molti, che si è chiaramente testimoniato nelle diatribe recenti come non ortodosso nell’ambito della «Lex fundamentalis,» è proprio quello di assimilare la Costituzione divina della Chiesa ad una qualsiasi costituzione politica dello Stato. La prima è assolutamente unica ed inimitabile, così come le altre cose nella Chiesa. Appare quindi chiaro il motivo per cui Cristo ha affidato il Primato a Pietro, e perché quest’ultimo ha esercitato ed ha lasciato in eredità ai suoi successori, come Vescovo di una cellula, designato della Chiesa, la diocesi di Roma. – Per quel posto, non può emergere nessuna idea di costituzione democratica o federalista, poiché la questione dell’elezione del Romano Pontefice si pone teologicamente e giuridicamente. È la Chiesa romana che deve eleggere il suo Vescovo. Non si può lasciare fuori l’aspetto pratico della questione, un aspetto che per sua natura appartiene alla storia. – La legge del conclave, emanata da Nicola II nel 1059, pose fine alla questione, che aveva determinato un’agonia a volte umiliante, per un migliaio di anni, riservando il diritto di elezione esclusivamente ai Cardinali. Si noti che i cardinali, in quanto tali, appartengono alla Chiesa di Roma e solo ad essa, come i suoi Vescovi suburbicari, sacerdoti e diaconi. La ragione teologica della riforma, necessaria e inevitabile di Nicola II, era perfettamente rispettata. – La legge del Conclave si basa su due cardini: il diritto esclusivo del Sacro Collegio, e la “clausura” (segregazione). Quest’ultimo non è stato subito evidenziato: è arrivato in un secondo momento per soddisfare situazioni di evidenti e gravi necessità. Le due cerniere si sostengono l’un l’altra. E’ ovvio che l’elezione, affidata ad un corpo elettorale troppo ampio, si sarebbe, umanamente parlando, rivelata più difficile e facilmente influenzabile, offrendo quindi una garanzia minore di ragionevolezza e di corrispondenza agli interessi supremi della Chiesa. Solo con un gruppo di uomini, accuratamente selezionati, è possibile che nella scheda elettorale prevalga, per quanto umanamente possibile, il criterio del vero bene. La “segregazione” del Conclave è ancora più necessaria; con mezzi moderni, con la moderna tecnologia soprattutto, senza una separazione assoluta, non sarebbe possibile salvare un’elezione dalla pressione di ingerenze esterne. Oggi le superpotenze (e quelle meno potenti allo stesso modo) hanno un eccessivo interesse ad avere dalla loro parte, attraverso condiscendenza o debolezza, la più alta Autorità morale del mondo, e … potrebbero fare tutto quello che sono così bravi a fare. Le pressioni nel rovesciare la sostanza della legge del Conclave, potrebbe essere guidate dalla volontà di ottenere proprio questo risultato.

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3) Articolo 3:

In “La Roccia” (1967), “Siri” fa velate allusioni al Papato in Eclissi

(LA ROCCIA)

del Cardinale Giuseppe Siri,

da: “Il Dovere Dell’Ortodossia” Pag. 6. in RENOVATIO II (1967), fasc. 2, pp. 183-184

 

Nel Vangelo di Matteo (16,18), la “roccia”, non è solo una persona, ma anche una “istituzione”.

La Chiesa, fondata da Cristo su quella “roccia”- Pietro, appare chiaramente (nel citato Vangelo) acquisire solidità, stabilità, indefettibilità. – Il legame tra la fermezza della “roccia” – Pietro – e la fermezza della Chiesa appare assolutamente fuori discussione, e non si può fare alcuna inferenza indebita, qualificando la Chiesa stessa come “roccia” (la roccia). – Ora noi parliamo di questa roccia come Cristo vuole. Ciò premesso, cisonomolte considerazioni importanti da fare. – La Chiesa fornisce la sicurezza, perché è la “roccia” compatta, e non fatta di sabbia. Si tratta di un significato che va oltre il senso materiale della metafora: infatti le rocce della terra si sbriciolano nel tempo, a causa degli effetti degli elementi. Questa “roccia” invece non potrà mai crollare, né fiocco, dato che la sua solidità è garantita nel testo di Matteo, fino alla fine dei tempi. La “roccia” rimane e nessuno può graffiarla, implicato com’è in un’impresa divina. Ma a volte alcuni uomini possono prendere da altri la visione della roccia. Altre cose possono essere fatte per “apparire” come la roccia, altre cose che possono apparire a tutti come tale. La distinzione è una sola e profonda: anche se gli errori di questi uomini sono in grado di velarne la realtà (verità), essi non possono distruggerla. La domanda, facile per tutti, che si presenta è quella della visibilità della roccia. Se poi si dovessero verificare delle situazioni, per cui certi uomini assumono la visibilità della “roccia” (rock) nella Chiesa, le conseguenze sarebbero gravi. Coloro che convertono alla Chiesa, convertono perché sono convinti di aver trovato la “roccia” , non dubitano, non hanno esitazioni, contraddizioni o anarchia dottrinale. Una converte quando sa che la sua speranza non è vana. Se si togliere la visibilità della “roccia” : che cosa succede? – È necessario che la “roccia” (roccia) rimanga visibile nella sua unità e la sua invulnerabilità.    Forse è meglio che noi usciamo dalla metafora per un momento. Qui ci sono gli elementi per cui la Chiesa può essere, nel suo significato pieno e puro, considerata la “roccia” . Essa ha per capo e garante divino Gesù Cristo. Egli ha assegnato a lei i quattro segni distintivi citati nel Credo di Nicea. – Essa (la Chiesa) ha legittima e sicura efficacia sacramentale. – Ha capacità di conciliare, una distinzione che non può essere trascurata (o omessa) tra la verità acquisita con certezza e l’ipotesi, l’opinione, la ricerca sempre gratuita. In sintesi, perché Essa (la Chiesa) gestisce una Magistero infallibile.

Il Magistero infallibile è legato alla struttura gerarchica della Chiesa. E’ per questo motivo che chi non vede la Gerarchia, non vede la “roccia”. Perde anziché acquisire facilmente la sicurezza.

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4) Articolo 4:

In “ L’ora di Pietro”, Siri parla delle Vere e delle false teologie, droghe ed allocinogeni

(L’Ora di Pietro)

del Cardinale Giuseppe Siri

[da “Il Dovere Dell’Ortodossia” Pag. 33 pubblicato in originale in RENOVATIO V (1970), fasc. 3, pp. 325-326]

Quanti scritti sulla Religione e sul Cristianesimo vengono automaticamente etichettati come teologici. Eppure raramente essi meritano questo titolo, perché la teologia non si fonda unicamente su una base culturale o sull’istruzione, ma piuttosto su di un cristallo trasparente, coerente, su di un metodo coerente, fedele al pensiero della Chiesa vissuto all’interno della Chiesa. È questa connessione precisa e vincolante con la Chiesa che determina la qualità del teologo. – Una folla errante ci porta verso il buio. Noi non diciamo che sono tutti decadenti o ignoranti. Probabilmente non sono sempre in malafede, ma è sicuro che ci portano verso il buio, non certo verso la luce. Hanno oscurato Dio e tra loro ci sono molti che pretendono di mostrarsi come il sostituto di Dio. –  Essi hanno -non i veri teologi-, ma piuttosto gli altri, oscurato e offuscato la Chiesa. Essi attualmente credono che, se l’umanità rifiuta ciò che è reale, possano sostituirla col mettere al suo posto un’immagine idealizzata e sfuggente. Il divino – o più esattamente – questa forma superiore di umanità, vivendo in un tempo come il presente è ancora da soddisfare. Questa comunità non ammette alcuna autorità, che non venga dalla mente di qualche (super) uomo superiore e che poi lo serva. Non si parla più della verità; si accetta come valido solo la singolare opera di Marx: non si parla più di ortodossia, ma piuttosto di un incremento nella prassi. Perché meraviglia allora che alcuni apertamente negano che il Magistero si estenda anche alla verità della morale comune? Questi sono errori da bambini, non da pensatori (filosofi)! Per essere tali, si deve solo dire poco diversamente da ciò che è necessario in una categoria più grande e più elevata, di ciò che necessita per arrivare ad una visione globale della Chiesa, che non è da intendersi come il Regno di Dio, ma piuttosto solo come la coscienza automatica di un essere umano in cui Dio è presente solo nella misura in cui l’uomo ha una dimensione infinita. Il divenire della storia è il divenire di Dio! – Chiesa, Magistero, Papa, Gerarchia, tradizione morale, il celibato, tutto condannato e destinato al falò. E anche se qualcuno non riesce ad ammetterlo, o non comprende la logica di quello che dice, sarà obbligato ad ammettere che, nel cuore di questo falò c’è DIO. Ora si capisce perché gli ideali dell’uomo bruciano tutto in questo grande falò, che sempre coinvolge verità superiori, verità che vengono sostituite da droghe e allucinogeni.  –  Questo fatto è sorprendente. La malattia è a tale punto che addirittura un rappresentante della “nuova teologia” sostiene che ogni pensiero è ortodosso, se si considera all’interno dei propri valori. Ma al di sopra ci sono le persone buone e fedeli che sperano di essere in grado di nutrire la loro fede con chiarezza e semplicità. Sanno cosa vuol dire soffrire e per questo si affidano alla speranza. Avvertono i frutti di odio e per questo chiedono solo amore: ma non devono andare a fonti inquinate. Queste fonti inquinate sono serbatoi oramai esauriti. – Basta con questi predicatori. E’ al Magistero che dobbiamo rivolgerci oggi e i teologi non possono considerare se stessi come fonti genuine, a meno che non si sottomettono ad esso, lo traducano nei fatti e lo salvaguardino. E’ certo che esistano buoni teologi: che Dio aumenti la forza della loro voce nello splendore della loro obbedienza. Ma dove è il Magistero, dove è totalmente sicuro? La Chiesa può senza dubbio insegnare infallibilmente, ma può farlo solo se è con Pietro! – È pertanto necessario ritornare al centro, l’alternativa a questo è la demolizione di tutto, compreso l’uomo. Allora? Questa è l’ora di Pietro!

 

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.