Il cavaliere kadosh Achille Lienart (4)

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Il cavaliere Kadosh Achille Lienart

Il nostro cavaliere kadosh, che nella loggia giura “Adonay nokem” e che maledice benedicendo, secondo quanto Malachia trascrive nel suo libro che, lo ricordiamo solo per inciso, è parola di Dio, è indubbiamente un censurato ed uno scomunicato, e proprio di quelli D.O.C. Leggiamo allora dalla nostra inseparabile Enciclopedia Cattolica cosa viene riportato alla voce “SCOMUNICA”, vol. XI, col. 145 e segg. Al punto II c’è scritto: “Il CIC definisce ancora la scomunica (s.) [2257, par.1]: “la censura che esclude il punito dalla comunione dei fedeli e che produce gli effetti elencati nei canoni seguenti” (cann. 2258 – 67). Ma la separazione dello scomunicato dalla comunione dei fedeli è più un ricordo del passato che una realtà effettiva: il vescovo scomunicato, ad es., continua ad essere il capo della propria diocesi con tutti i diritti inerenti. – (…) Scomunica: Effetti. – Neppure è esatto che la scomunica produce effetti inseparabili e che essi vengono elencati nei cann. 2258-67. Gli effetti della scomunica sono molteplici e vengono sanciti in numerosi canoni, che non fanno parte del diritto penale. Essi poi sono più o meno gravi, secondo che la scomunica sia semplicemente incorsa, divenga notoria, sia inflitta o dichiarata con sentenza o decreto penale; gravissimi se lo scomunicato viene dichiarato « vitando ». A “qualsiasi” scomunicato è vietato di: a) ricevere i Sacramenti; b) fare e amministrare i Sacramenti e i sacramentali; c) assistere agli Uffici divini; d) porre gli atti legittimi ecclesiastici, di cui al can. 2256, n. 2 ° ; e) esercitare le funzioni inerenti ad un ufficio o incarico ecclesiastico; ) usufruire di un privilegio ecclesiastico ; g) eleggere, presentare, nominare; h) conseguire dignità, uffici, benefici, pensioni ed incarichi nella Chiesa; i ) porre atti di giurisdizione ecclesiastica. Egli non partecipa delle indulgenze, suffragi e preghiere pubbliche della Chiesa. Se viola la censura, ponendo un atto di ordine, riservato ai chierici in sacris, diviene irregolare (can. 985, n. 70 ) . Se poi persiste per un anno intero nella contumacia, è sospetto di eresia (can. 2340 §1), a tutti gli effetti di legge. Se il fedele è notoriamente incorso nella scomunica non può lecitamente fungere da padrino nel Battesimo (can. 766, n. 20) e nella Cresima (can. 796, n. 30 combinato col can. 766, n. 2°); inoltre non può essere scusato dall’osservanza della censura per evitare l’infamia (can. 2232 §1, ultimo comma), né assolto dal semplice confessore, nei casi urgenti, dalla censura, se riservata, a norma del can. 2254 §1, primo comma; infine gli deve essere impedita l’assistenza attiva agli Uffici divini (can. 2259 § 2, ultimo comma). Se poi è stato scomunicato o dichiarato tale con sentenza o precetto penale non può lecitamente ricevere neppure i sacramentali (can. 2260 §1, secondo comma); validamente fungere da padrino nel Battesimo o nella Cresima, essere nominato arbitro ( can. 1931, primo comma), esercitare il diritto di elettorato attivo, presentazione o designazione, porre atti di giurisdizione (can. 2264, secondo comma), ottenere una grazia pontificia, se nel rescritto non viene fatta menzione della s.: perde la capacità di conseguire dignità, uffici, benefici ed incarichi nelle Chiese, di ottenere pensioni ecclesiastiche (can. 2265 §1, 2° combinato col § 2), e di acquistare il diritto di patronato (can. 1453 §1, ultimo comma ). Inoltre egli rimane privato dei frutti della dignità, uffici, benefici, pensioni ed incarichi, se ne abbia precedentemente conseguito qualcuno (can. 2266). Personalmente può stare in giudizio solo per impugnare la giustizia o la legittimità della scomunica inflittagli; per mezzo di un procuratore per scongiurare un pericolo che sovrasti al bene della sua anima; nel resto è privo della capacità processuale (can. 1654,§1). Se muore, senza aver dato segni di penitenza, gli deve essere negata la sepoltura ecclesiastica (can. 1240 § 1,2°) con tutte le conseguenze di legge (can. 1241). E se, nonostante tale divieto, egli viene seppellito nel luogo sacro, questo rimane profanato (can. 1172 §1, 4° e 1207). Allo scomunicato « vitando » infine, cioè a colui che sia stato dichiarato tale in una sentenza o decreto di condanna, pronunciati dalla S. Sede e pubblicati nelle forme stabilite dalla legge, e al reo di ingiuria reale sulla persona del Sommo Pontefice (can. 2258 § 2), deve essere impedito di assistere alla sacre funzioni, e se riesce impossibile allontanarlo, queste ordinariamente non possono aver luogo o essere continuate (can. 2259, § 2, I comma). – Egli rimane privato non solo dei frutti, ma delle stesse dignità, benefici, uffici o incarichi ecclesiastici (can. 2266, ultimo comma) . È permesso aver relazioni con lui nelle cose di ordine temporale solo ai genitori, al coniuge, ai figli, ai dipendenti e a coloro che abbiano un giusto motivo di farlo (can. 2267). Gravi pene sono comminate ai suoi correi, complici, e ai chierici, che lo ammettono alle sacre funzioni (can. 2338 § 2) . – 2. Comparazioni con le altre censure. — È facile cogliere le profonde differenze tra la scomunica e le altre censure: l’interdetto e la sospensione. La prima esclude il punito dalla comunione dei fedeli, sia pure nei limiti indicati di sopra; il secondo invece vieta soltanto alcuni atti della comunione, i quali sono diversi a seconda della specie dell’interdetto; la sospensione poi, i cui effetti sono separabili e quasi sempre separati, proibisce soltanto l’esercizio della potestà ecclesiastica, inerente all’ufficio o beneficio. Inoltre la scomunica è sempre censura, mentre l’interdetto e la sospensione possono essere anche pena vendicativa (v .). Infine la scomunica può colpire soltanto le persone fisiche, pertanto se viene inflitta ad un corpo morale soltanto i singoli colpevoli sono tenuti a sottostare ad essa. Invece la sospensione può colpire sia una persona fisica che morale collegiale e l’interdetto anche un luogo (can. 2255 § p. 2). – 3. Riserva e assoluzione della scomunica – Nel CIC sono comminate 37 s., di esse sono riservate alla S. Sede 4 specialissimo modo, 11 speciali modo, 11 simpliciter, all’Ordinario 6 e 5 non sono riservate. – Le prime colpiscono i seguenti gravissimi delitti: 1) profanazione delle Sacre Specie (can. 2320); 2) ingiuria reale sulla persona del Sommo Pontefice (can. 2343 § 1°); 3) assoluzione del complice nel peccato d’impudicizia semplice o qualificata (can. 2367); 4) violazione diretta del sigillo sacramentale (can. 2369 § 1, comma 1). Le seconde ordinariamente sono comminate ai rei di delitti contro la fede o che comunque fanno presumere la mancanza di fede nel colpevole, e in specie dei seguenti: 1) apostasia, eresia e scisma (can. 2314); 2) edizione, difesa, ritenzione e lettura dei libri che p r o pugnano l’apostasia o lo scisma (can. 2318 § 1); 3) simulazione della celebrazione della S. Messa e dell’amministrazione del sacramento della Penitenza da parte di uno che non sia sacerdote (can. 2322, n. 1°); 4 ) ricorso al concilio universale avverso leggi, decreti e ordini del Sommo Pontefice vivente (can. 2332 ); 5) ricorso al potere secolare per impedire l’emanazione, la promulgazione o l’esecuzione di atti della S. Sede o dei suoi legati (can. 2333); 6) emanazione di leggi, ordini o decreti lesivi della libertà o dei diritti della Chiesa; l’impedire, facendo ricorso al potere secolare, l’esercizio della giurisdizione ecclesiastica (can. 2334); 7) il convenire davanti ad un giudice laico un cardinale, un legato della S. Sede, un ufficiale maggiore della Curia Romana (assessori, segretari, sottosegretari o sostituti delle SS. Congregazioni ed altri prelati ad essi equiparati) per atti del loro ufficio, e il proprio Ordinario (can. 2341,1 comma); 8) ingiuria reale sulla persona di un cardinale o di un legato del Sommo Pontefice (can. 2343 § 2, 1°); 9) usurpazione o detenzione di beni o di diritti della Chiesa Romana (can. 2345); 10) contraffazione o alterazione di lettere, decreti o rescritti della S. Sede ed uso doloso di essi (can. 2360 § 1 ) ; 11) calunniosa denunzia ai superiori di un confessore per sollecitazione (can. 2363). – Le simpliciter riservate colpiscono i seguenti delitti: 1) traffico sacrilego delle indulgenze (can. 2327); 2) iscrizioni alla massoneria o ad associazioni affini (can. 2335); 3) assoluzione, data con dolo senza la necessaria facoltà, di una scomunica riservata specialissimo o speciali modo alla S. Sede (can. 2338 § 1 ) ; 4 ) correità o complicità in un delitto per cui uno viene dichiarato scomunicato « vitando », sua ammissione a prendere parte agli uffici divini o comunicazione in divinis con lui, consapevole e spontanea da parte di un chierico (can. 2338 § 2) ; 5) il convenire davanti ad un giudice laico un vescovo che non sia il proprio Ordinario, un abate o prelato nullius, o un superiore generale di un istituto religioso di diritto pontificio (can. 2341, comma 11); 6) violazione della clausura delle monache o dei regolari e illegittima uscita delle prime dal monastero (can. 2342, nn. 1 °, 2 °, 30); 7) usurpazione o distrazione di beni ecclesiastici (can. 2346) ; 8) duello (c a n. 2351 § 1); 9) Matrimonio attentato da chierici in sacris (vescovi, sacerdoti, diaconi, suddiaconi), e da regolari o monache che abbiano emesso la professione solenne (can. 2388 § 1); 10) simonia circa gli uffici, i benefici e le dignità ecclesiastici (can. 2392, n. i °); 11) sottrazione, distruzione, occultamento o alterazione di un documento appartenente alla Curia vescovile (can. 2405). – (…) Certo ci vuole un po’ di pazienza per districarsi tra i canoni, ma chi vuole vedere, ne ha abbastanza per farsi un’idea chiara di censure e scomuniche, e come molti di essi si possano tranquillamente applicare al nostro cavaliere e ai suoi figliocci”. L’unica sottolineatura è quella che riguarda il canone 2343, nel quale è detto: “Chi usa violenza contro il Papa, incorre la scomunica in modo specialissimo riservata alla Sede Apostolica; è infame e se chierico, deve degradarsi; ( … ) sarà privato di benefici, uffici, dignità, pensioni o incarichi … Ora è lecito chiedersi: “ma uno che giura morte solennemente al Papa, con patto di sangue con lucifero, è o non è uno che usa violenza contro il Papa? Qui non stiamo parlando di un massone muratore apprendista di basso grado, bensì di un “cavaliere kadosh” 30° grado, che ha giurato fedeltà eterna a lucifero, e di cui abbiamo potuto costatare il grado di infamia che raggiunto con l’investitura, non c’è alcuna scappatoia, replica, mancata consapevolezza, ignoranze o inganni, qui è tutto alla luce del sole. Calpestare la tiara Papale, colpire con un pugnale un cranio ricoperto dalla tiara, è forse onorare il Cristo in terra? … fargli i complimenti, augurargli ogni bene? Oppure formalmente è violenza e della peggiore, partorita da un odio feroce contro il successore di Pietro, e pronto a tutto anche materialmente? Lasciamo il giudizio a chi ha lumi maggiori dei nostri, in modo da darci spiegazioni convincenti, argomentando magari dal Magistero cattolico. Può darsi che ci sia qualche bolla o enciclica sfuggita al nostro esame … chissà i soloni pseudo teologi forse l’hanno salvata dalle sforbiciate e occultamenti operati dal magistero gallicano, fallibilista, sedevacantista e … chi più ne ha più ne metta! – Una volta assodato questo punto ci chiediamo se il continuare ad esercitare “in sacris” pur essendo “ipso facto” censurato, scomunicato etc. etc., non sia per caso un sacrilegio? Nel dubbio atroce che ci assale, cambiamo volume della succitata Enciclopedia e andiamo alla voce: SACRILEGIO. [col. 1598, 1599, vol X]: È il trattamento irriverente o la profanazione di una cosa sacra. Nella definizione data, si intende per “cosa sacra” non solo quanto di materiale viene messo in relazione con Dio, come oggetti e luoghi, ma anche le stesse persone consacrate a Dio. (…. ). È noto infatti che Gesù Cristo stesso rese sacre alcune cose, quali, ad esempio i Sacramenti e i ministri dell’altare; altre invece le rese sacre la Chiesa. È evidente che il carattere sacro è più intrinseco nelle prime che nelle seconde. (…) il sacrilegio è peccato ex genere suo, grave. Esso ha una propria e intrinseca malizia distinta dalla malizia di ogni altro peccato e pertanto chi, ad es. ruba oggetti sacri commette un doppio peccato, ossia di furto e di sacrilegio. Parimenti che uccide una persona consacrata commette un omicidio ed un sacrilegio. [chi fa sacrilegio perché riceve illecitamente una consacrazione, commette peccato di furto-usurpazione, e sacrilegio –ndr.-]. Il sacrilegio stesso però ammette tre forme specificamente distinte secondo l’oggetto diverso a cui si dirige la profanazione in: s. personale, s. locale e s. reale. [qui a noi interessa in particolare l’ultima tipologia]; (…) IV. Sacrilegio REALE. – Si ha per profanazione di cose sacre diverse dalle persone e dai luoghi. La gravità dei vari sacrilegi reali ha molte gradazioni: altro è una grave profanazione dell’Eucarestia, altro il ridurre a uso profano per breve tempo una veste benedetta, ad es. un manipolo. I modi principali con i quali si commette sacrilegio reale sono l’indegna amministrazione dei Sacramenti, l’indegno accostarsi ad essi, la profanazione delle reliquie o immagini di santi, (etc. … ). – Vediamo cosa ne pensa il Dottore Angelico. Nella Summa c’è un’ampia trattazione della materia: II-II Q. 99: ARGOMENTO 99 IL SACRILEGIO. In particolare si evince che: “… E così tutte le mancanze di rispetto verso le cose sacre costituiscono un‘ingiuria verso Dio, e hanno natura di sacrilegio. [II-II, Q. 99 Art. 1-3]. – “In contrario: Il sacrilegio si contrappone a una virtù specificamente distinta, cioè alla religione, la quale ha il compito di rendere a Dio e alle cose divine l‘onore dovuto. Quindi il sacrilegio è un peccato specifico”. [ibid. a. 2, 3,) – “E così con qualsiasi genere di peccato uno agisca contro l‘onore dovuto alle cose sacre, commette formalmente un sacrilegio, anche se materialmente si tratta di peccati di genere diverso”. [ibid. a2, 2] “E anche la terza specie del sacrilegio, cioè la violazione delle cose sacre, presenta gradi diversi, secondo la differenza delle cose sacre. Tra queste occupano il primo posto i sacramenti, che servono a santificare gli uomini: e il principale dei sacramenti è il sacramento dell‘Eucaristia, che contiene Cristo medesimo”. [II-II, Q.99 a.3, 3]. Da par suo l’Aquinate tratta l’argomento in modo esauriente e chiaro, per cui, quanto per brevità non abbiamo riportato qui, può essere facilmente consultato da ognuno. Quello che a noi interessa però in particolare è questo: un illecito, che in giurisprudenza si chiama “delitto” o “reato”, in materia religiosa si chiama “sacrilegio”, e per questo, come per tutti i reati, la Chiesa dispone delle pene, la principale delle quali è come visto la scomunica. Pertanto una consacrazione illecita, o qualunque altro Sacramento illecitamente conferito, ancor più se validamente, è un atto sacrilego, che produce materia o persona altrettanto sacrilega, che a sua volta opera in modo sacrilego con atti non più santificanti, benzì offensivi della Maestà divina, a Dio sommamente sgraditi, che non conferiscono la grazia santificante, anzi la impediscono. Ecco allora che il cardinale cavaliere kadosh Lienart, nella ordinazione sacrilega di sacerdoti e vescovi ha realizzato la profezia di Malachia:

et maledicam benedictionibus vestris, et maledicam illis

Cambierò in maledizioni le vostre benedizioni!  LE MALEDIRO’!!!

Quindi, anche se lo pseudo-cardinale Achille Lienart non era stato canonicamente sancito, e non appariva un “vitando” esternamente; in foro interno era ben scomunicato, perché oltretutto agente dell’anti-Chiesa Cattolica, per cui non poteva ricevere l’ordine, essendo già maestro massone e 18° livello cavaliere “Rosa Croce” ed ancora peggio, 30° livello cavaliere kadosh [cosa ben risaputa da Lefebvre e associazioni a lui ispirate], e ovviamente non poteva trasmetterlo a nessun altro, anche se la cerimonia veniva fatta materialmente con tutti i canoni previsti. “Nessuno può dare ad un altro ciò che non possiede”: non possedendo l’ordine, Lienart non poteva naturalmente trasmetterlo, ed il suo “episcopato usurpato”, non era valido né trasmissibile, ad essere benevoli, semplicemente sacrilego! – Ma finiamo, se qualcuno avesse ancora dei dubbi, con la bolla “Cum ex Apostolatus Officio”(1559), documento inoppugnabile ed irreformabile del Magistero della Chiesa, di S.S. Papa Paolo IV, che non si è inventato nulla di nuovo, confermando le bolle di Niccolò III (Noverim), Bonifacio VIII (Felicis) Giulio III (lettera dell’8.3.1554) ed i decreti del Concilio di Costanza, e confermato successivamente a sua volta, rincarando la dose per gli irriducibili che si servono del Magistero a loro uso e consumo, da S.S. Papa S. Pio V nella bolla “Inter multiplices curas”del 21-XII-1566, a sottolinearne la reale PERPETUA efficacia, vera “mina vagante” ad effetto dirompente per eretici modernisti di ogni risma, compresi i “falsi” tradizionalisti (in realtà modernisti a “marcia ridotta”), che non sanno più che cosa inventarsi per boicottarla ed occultarla: a noi, forse perché “naif” o semplici come colombe, sembra chiarissima! Ne diamo uno stralcio:    Papa Paolo IV, Cum Ex Apostolatus Officio”, 1559 Ex Cathedra:Emaniamo, determiniamo, decretiamo e definiamo e “ … Aggiungiamo che, se mai dovesse accadere in qualche tempo che un vescovo, anche se agisce in qualità di arcivescovo o di patriarca o primate od un Cardinale di Romana Chiesa, come detto, od un legato, oppure lo stesso Romano Pontefice, che prima della sua promozione a Cardinale od alla sua elevazione a Romano Pontefice, avesse deviato dalla fede cattolica o fosse caduto in qualche eresia (o fosse incorso in uno scisma o lo abbia suscitato), sia nulla, non valida e senza alcun valore (“nulla, irrita et inanis esista”), la sua promozione od elevazione, anche se avvenuta con la concordanza e l’unanime consenso di tutti i Cardinali; neppure si potrà dire che essa è convalidata col ricevimento della carica, della consacrazione o del possesso o quasi possesso susseguente del governo e dell’amministrazione, ovvero per l’intronizzazione o adorazione (adoratio) dello stesso Romano Pontefice o per l’obbedienza a lui prestata da tutti e per il decorso di qualsiasi durata di tempo nel detto esercizio della sua carica, né essa potrebbe in alcuna sua parte essere ritenuta legittima, e si giudichi aver attribuito od attribuire una facoltà nulla, per amministrare (“nullam … facultatem”) a tali persone promosse come vescovi od arcivescovi o patriarchi o primati od assunte come Cardinali o come Romano Pontefice, in cose spirituali o temporali; ma difettino di qualsiasi forza (“viribus careant”) tutte e ciascuna (omnia et singula) di qualsivoglia loro parola, azione, opera di amministrazione o ad esse conseguenti, non possano conferire nessuna fermezza di diritto (nullam prorsus firmitatem nec ius), e le persone stesse che fossero state così promosse od elevate, siano per il fatto stesso (eo ipso) e senza bisogno di una ulteriore dichiarazione (absque aliqua desuper facienda declaratione), private (sint privati) di ogni dignità, posto, onore, titolo, autorità, carica e potere (auctoritate, officio et potestate)”. – Al punto 3 della bolla di S. Pio V si dice ancora in modo chiaro, esplicito ed inconfutabile: “ … 3) ed inoltre rifacendosi al felice esempio del nostro predecessore Papa Paolo IV, rinnoviamo e confermiamo un’altra volta il decreto contro gli eretici e gli scismatici, pubblicato a Roma presso S. Pietro dallo stesso Paolo nostro predecessore nell’anno 1558 dell’incarnazione del Signore, il 15 febbraio, anno quarto del suo pontificato. Tale decreto rinnoviamo e confermiamo e vogliamo e comandiamo che sia osservato in maniera precisa e inviolabile! . (Et insuper, vestigiis felicis recordationis Pauli Papae IV, praedecessoris nostri, inhaerendo, constitutionem alias contra haereticos et schismaticos per eumdem Paulum praedecessorem, sub data vide licet Romaese apud Sanctum Petrum, anno incarnationis dominicae millesimo quingentesimo quinquagesimo octavo, quinto decimo kalendas martii, pontificatus sui anno IV, editam, tenore praesentium renovamus et etiam confirmamus, illamque inviolabiter et ad unguem observari volumus et mandamus, iuxta illius seriem atque tenorem.)

La faccenda, per quanto ci riguarda è così definitivamente chiusa, proprio perché è contemplato il caso specifico qui preso in esame: “ … se mai dovesse accadere in qualche tempo che un vescovo, anche se agisce in qualità di “Arcivescovo” (manca solo: “in qualità di Arcivescovo di Lille”!- n.d.r. -) ( …) avesse deviato dalla fede cattolica o fosse caduto in qualche eresia (nel caso esaminato ce n’è abbastanza in tema di deviazioni, eresie, anatemi e via discorrendo, per uno che aderiva alla Massoneria già al 18° livello – [uno dei più nefandi e satanici, ove si insegna che la parola persa e ritrovata è INRI: Igne Renovatur Natura Integra, – la Natura intera è rinnovata con il fuoco –, ove le agapi rosacrociane sono accompagnate da numerosi sacrilegi, e si compiono sacrifici cruenti a lucifero, tra cui quello di un agnello coronato di spine e con le zampe perforate da chiodi, immagine del Signore Gesù Cristo, agnello a cui viene mozzata la testa e gli arti che vengono poi bruciati ed offerti a lucifero – quindi in piena consapevolezza! alla “consacrazione sacerdotale”, e addirittura al 30° – quello del Cavaliere Kadosh, [nel quale si giura odio e morte al re e al Papa, si adora il baphomet con l’incenso offerto a lucifero, livello quindi di assoluta consapevolezza dei veri scopi della massoneria, e che prelude al “passaggio in astrale”(*) – prima della “pseudo-consacrazione” episcopale) …. neppure si potrà dire che essa è convalidata col ricevimento della carica, della consacrazione o del possesso o quasi possesso susseguente del governo e dell’amministrazione, (….) o per l’obbedienza a lui prestata da tutti e per il decorso di qualsiasi durata di tempo nel detto esercizio della sua carica, né essa potrebbe in alcuna sua parte essere ritenuta legittima (….) e si giudichi aver attribuito od attribuire una “facoltà nulla, per amministrare” (“nullam … facultatem”) a tali persone promosse come vescovi od arcivescovi o patriarchi o primati od assunte come Cardinali o come Romano Pontefice, in cose spirituali o temporali; ma difettino di qualsiasi forza (“viribus careant”) tutte e ciascuna (omnia et singula) di qualsivoglia loro parola, azione, opera di amministrazione o ad esse conseguenti, non possano conferire nessuna fermezza di diritto (nullam prorsus firmitatem nec ius), e le persone stesse che fossero state così promosse od elevate, siano per il fatto stesso (eo ipso) e senza bisogno di una ulteriore dichiarazione (absque aliqua desuper facienda declaratione), private (sint privati) di ogni dignità, posto, onore, titolo, autorità, carica e potere (auctoritate, officio et potestate). – L’operato anche sacramentale della Fraternità o di altre chiesuole abusive scismatiche, ad essere indulgenti ed infantili, diventa quantomeno dubbio o comunque di “probabilità”, ma … l’orologio svizzero del Magistero anche per questo ha una regola …

Punto chiave della teologia morale è: “In caso di dubbio, ASTENERSI”.

[Henry Davis, S.J.: “Teologia morale e pastorale”; Londra: Sheed & Ward, 1935 Volume III, pag. 27]

L’UTILIZZO DEI PARERI PROBABILI [CAPO VII, SEZIONE I: Opinioni probabili di Validità]. – Nel conferire i Sacramenti (così come anche nella consacrazione nella Messa) non è mai permesso adottare una probabile linea di condotta per la validità, ed abbandonare il corso più sicuro. Il contrario è stato esplicitamente condannato da Papa Innocenzo XI. Fare ciò sarebbe un grave peccato contro la religione, cioè un atto di irriverenza verso ciò che Cristo nostro Signore ha istituito, sarebbe un grave peccato contro la carità, quindi il destinatario sarebbe probabilmente privato delle grazie e dell’effetto del Sacramento; sarebbe un grave peccato contro la giustizia, poiché il destinatario ha diritto a Sacramenti validi, ogni volta che il ministro, sia d’ufficio o no, si impegna a conferire un sacramento. Nei Sacramenti necessari non vi è alcun dubbio circa il triplo peccato; nei Sacramenti che non sono indispensabili ci sarà comunque sempre il sacrilegio grave contro la religione!

“E’ una grave responsabilità di tutti i cattolici dimostrare a se stessi che i sacramenti che frequentano siano leciti [legale] agli occhi della Chiesa di Cristo, perché se i cattolici si avvicinano ai Sacramenti senza sapere per certo che i ministri hanno sia validi ordini sacri, sia ordini che sono stati dati con approvazione canonica [autorizzazioni alla pratica], si mettono fuori della Chiesa. ”

Innocencius_XI

Il Magistero espressamente dichiara: che [Il seguente errore è] condannato da un decreto del Sant’Uffizio, del 4 marzo 1679:Non è lecito nel conferire sacramenti seguire un parere probabile per quanto riguarda il valore del sacramento, abbandonando il parere più sicuro, a meno che non lo vieti la legge, le convenzioni o il pericolo di incorrere in danni gravi. Pertanto non si dovrebbe fare uso di pareri probabili nel conferimento del battesimo, degli ordini sacerdotali, o episcopali.” (Denzinger n.1151). Innocenzo XI (1676-1689). – Se poi qualcuno dovesse dire che queste bolle sono stagionate (ammesso che ciò che lega e scioglie un Papa non abbia carattere definitivo ed eterno!) ci conforta la Enciclica di Pio IX, “Graves ac diuturnae” (23 marzo 1875) emessa come condanna per i veterocattolici, ma estesa anche a tutti “coloro che operano senza missione e giurisdizione”: … Siccome poi fu sempre proprio e peculiare degli eretici e degli scismatici l’usare simulazione ed inganni; così questi Figli delle tenebre (…) nulla hanno maggiormente a cuore che d’ingannare gl’incauti e gl’ignoranti, e trarli negli errori con la simulazione e l’ipocrisia, ripetendo pubblicamente che non respingono la Chiesa cattolica e il suo Capo visibile, ma anzi desiderano la purezza della dottrina cattolica, e sono essi soli cattolici ed eredi dell’antica fede. Di fatto essi non vogliono riconoscere tutte le prerogative del Vicario di Cristo in terra, né sono ossequienti al supremo magistero di Lui. ( …) che dal vecchio sacco degli eretici ha estratto tanti errori contro i sovrani principi della fede cattolica, rovescia i fondamenti della religione cattolica, impudentemente respinge le dogmatiche definizioni del Concilio Ecumenico Vaticano, e in tanti modi lavora per la rovina delle anime ( …) sono segregati dalla comunione della Chiesa e devono ritenersi scismatici ( …) che si guardino con ogni attenzione da quegl’insidiosi nemici del gregge di Cristo e dai loro pascoli velenosi; rifuggano assolutamente dai loro riti religiosi, dalle istruzioni, dalle cattedre di pestilenza, erette per insegnare impunemente le sacre dottrine; dai loro scritti e da qualunque contatto; non sopportino alcuna convivenza e relazione coi preti intrusi ed apostati dalla fede, i quali osano esercitare gli uffici del ministero ecclesiastico, e sono privi di legittima missione e di qualsiasi giurisdizione; aborriscano dai medesimi come da estranei e da ladri, i quali vengono solo per rubare, per uccidere, per rovinare. Infatti i Figli della Chiesa debbono pensare che si tratta di custodire il preziosissimo tesoro della fede, senza la quale è impossibile piacere a Dio, ed insieme di conseguire il fine della fede, la salvezza delle anime proprie, seguendo la retta via della giustizia. Ed a chi invoca uno “stato di necessità ha risposto bene Pio XII in “Ad apostolorum principis” : “… quando vorrebbero giustificarsi invocando la necessità di provvedere alla cura delle anime nelle diocesi prive della presenza del loro vescovo? (…) È evidente, anzitutto, che non si provvede ai bisogni spirituali dei fedeli con la violazione delle leggi della Chiesa. In secondo luogo, non si tratta – come si vorrebbe far credere – di diocesi vacanti…

Considerazioni finali

I “nemici di tutti gli uomini”, quelli che hanno per padre il diavolo, gnostici-marrani, nel tentativo di distruggere la Chiesa Cattolica, hanno progettato da secoli una tenaglia a due ganasce, sapendo che le novità dei novatori para- e post-conciliari avrebbero prodotto una scissione nei fedeli, generando così due “anelli”: quello dei progrediti – a loro dire – (modernisti), e quello dei “retrogradi”, tradizionalisti. La ganascia dei “progrediti”, che è la setta apostatica conciliare-modernista, ha occupato quasi tutte le posizioni della Chiesa Cattolica, dalla carica più alta a quella più infima, e praticamente tutte le giurisdizioni territoriali dell’orbe. Ma sarebbero pur sempre rimasti i “retrogradi”, i cattolici integrali, i “fanatici” reazionari legati alla tradizione apostolica, al Magistero millenario della Chiesa, ed alla Messa di sempre, sancita dal Concilio Tridentino e da S.S. il Papa S. Pio V. Nessun problema signori, basta mettere un po’ la testa sotto terra, come gli struzzi, e voilà … il gioco è fatto: si è provveduto a “generare” una piccola serie di chiesuole o movimenti tradizionalisti e formalmente sedevacantisti, anche se fintamente sedeplenisti, ( … obbediscono infatti solo a se stessi), che fanno capo alla più numerosa, foraggiata e trainante tra esse: la FSSPX alla cui testa ci sono non-vescovi invalidamente e sacrilegamente consacrati senza giurisdizione e missione manco a parlarne.

testa nella sabbia

Per distruggere la Chiesa (ove mai fosse possibile!) occorreva abbattere sì, la Messa, ma pure i Sacramenti, e soprattutto la Gerarchia dispensatrice dei Sacramenti ed officiante il Culto divino. Così i modernisti-conciliari, dopo aver sostituito la Santa Messa con un abominevole culto del baphomet (il cabalistico “signore dell’universo”), hanno attuato il progetto abbatti-Gerarchia), modificando la forma della consacrazione episcopale che, resa così invalida, ha impedito dal 1968 la formazione di nuovi “veri” vescovi, e di conseguenza di “veri” sacerdoti. Attualmente nelle chiese cattoliche moderniste viene praticato un culto falso da chierici totalmente “falsi”, con sacramenti fasulli e sacrileghi, fatto salvo qualche stagionato ottuagenario, consacrato nel lontano passato da un vero Vescovo. Restava però il problema di come fare per convincere i retrogradi legati a doppio filo al precetto domenicale, alla Messa di sempre, quella del Messale Romano tradizionale. Qui, non potendo ovviamente taroccare apportando modifiche alla Messa, le “ruspe” di demolizione, hanno pianificato una “gerarchia” nata da un massone di alto grado, un cavaliere kadosh, appunto, tale già prima della sua invalida consacrazione, gerarchia “rigenerantesi” e perpetuantesi invalidamente e sacrilegamente. Quindi agli sventurati ignari fedeli viene propinata una Messa vera nel testo, ma officiata da sacerdoti invalidamente consacrati, e sacrileghi che conferiscono sacramenti sacrileghi, che tolgono la grazia santificante. In tal modo sono state approntate, nel silenzio, nella ignoranza o (che Iddio non voglia) nella connivenza più o meno consapevole, le due ganasce della tenaglia capace di strozzare anche il Cattolico più “ostinato”. A questo punto non ci resta che invocare la Vergine Maria, ed il Signore Nostro Gesù Cristo:

tenaglia

“Exsurgat Deus et dissipentur inimici eius”!

Santa Maria Maddalena penitente

Santa Maria Maddalena penitente :

“… tulerunt Dominum meum, et nescio ubi posuerunt Eum”.

maddalena

Maria, soprannominata la Maddalena dal luogo di nascita, era sorella di Marta e Lazzaro. Molto traviò nella sua giovinezza, ma illuminata dalla Divina Grazia, pianse i suoi falli e mutò vita. – Un giorno, udito che Gesù era entrato in casa di Simone il fariseo, prende un vaso d’unguento prezioso, corre dal Salvatore, si getta ai suoi piedi, glieli lava con lacrime, li asciuga coi capelli del capo, li bacia, e li unge di balsamo. «Oh se costui fosse un profeta, dice in cuor suo il Fariseo, certo saprebbe che donna è costei che Lo tocca e com’è peccatrice». – Gesù che gli legge nel cuore, «Simone, ho una cosa a dirti. Un creditore aveva due debitori; uno gli doveva cinquecento denari e l’altro cinquanta. Or non avendo quelli di che pagare condonò il debito a tutti e due: Chi dunque di loro lo amerà di più » « Penso, risponde Simone, colui al quale ha condonato di più ». E Gesù: « Rettamente giudicasti. Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua, tu non mi hai data acqua per i piedi, ma essa non finisce di bagnarli con le sue lacrime ed asciugarli con i capelli del capo ». E volto alla Maddalena le dice: « Donna, molto hai amato e per questo molto ti è perdonato ». Maria si leva assolta, e risorge a vita novella. Con amare lacrime lava le sue colpe, segue il Maestro nelle peregrinazioni attraverso i villaggi della Giudea, e profonde tutte le sue ricchezze pel mantenimento del Collegio Apostolico. – Sul Calvario sfida l’ira dei nemici di Gesù, assiste alla morte del suo Maestro,e non s’allontana se non dopo la sepoltura di Lui. Non vede l’ora che passi il sabato, per correre ad imbalsamare con profumi ed aromi il corpo di Gesù, e fu la prima che ebbe la grazia di vederlo risorto. – Ella, quando i discepoli se ne erano tornati a casa, era rimasta vicino al sepolcro a piangere e mentre pian s’affacciò alla tomba, ci scorse due angeli vestiti di bianco, ed essi le dissero: « Donna, perché piangi? » Rispose loro: « Perché hanno portato via il mio Signore e non so dove l’abbiano messo ». E detto questo si voltò indietro e vide Gesù in piedi, senza però conoscere che era Gesù. Gesù le disse: «Donna, perché piangi? chi cerchi? » Ed essa, pensando che fosse l’ortolano, gli disse: « Signore, se l’hai portato via tu, dimmelo dove l’hai messo ed io Lo prenderò. Gesù le disse: « Maria! » Essa rivoltasi, esclamò: « Rabbonì, che vuol dire Maestro ». Le disse Gesù: « Non mi toccare, perché non sono ancora asceso al Padre mio; ma va’ dai miei fratelli, e di’ loro: Ascendo al Padre mio, e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro ». – Salito Gesù al Cielo, fu perseguitata con Lazzaro e Marta sua sorella. Gettata su sdruscita nave, venne abbandonata in balia delle onde, ma miracolosamente protetta approdò a Marsiglia. Scelse per dimora una squallida spelonca e quivi visse 30 anni in penitenze, preghiere e lacrime, finché il 22 luglio del 66 s’addormentò nel bacio del Signore rimanendo la figura più fulgida della vera penitente.

VIRTÙ. — Il Signore disse alla Maddalena: « Molto ti è perdonato, perché molto hai amato ». Queste parole divine, ispirino pure a noi grande confidenza nella misericordia infinita di Gesù.

PREGHIERA. — Deh! Signore, ci venga in aiuto l’intercessione della beata Maria Maddalena dalle cui preghiere supplicato tu risuscitasti vivo dal sepolcro il fratello Lazzaro morto da quattro giorni. Così sia. 

Maria autem stabat ad monumentum foris, plorans. Dum ergo fleret, inclinavit se, et prospexit in monumentum: et vidit duos angelos in albis sedentes, unum ad caput, et unum ad pedes, ubi positum fuerat corpus Jesu. Dicunt ei illi: Mulier, quid ploras? Dicit eis: Quia tulerunt Dominum meum: et nescio ubi posuerunt eum. [Joan. XX, 11-13]

Anche noi oggi, entrando in una chiesa gestita dagli apostati modernisti, davanti a quello che una volta era il Tabernacolo, divenuto oggi “abominio della desolazione”, rivolgiamo la nostra ardente preghiera agli Angeli, invocandoli, come la Santa: “…tulerunt Dominum meum, et nescio ubi posuerunt Eum”.

Che la Santa penitente ci guidi nel cammino lungo e faticoso per ritrovare il nostro Gesù-Cristo e poterLo onorare ed amare sotto le Specie Eucaristiche in vita, ed un giorno nella gloria del Paradiso.

A Santa Maria Maddalena (22 luglio)

(traslata a Costantinopoli nell’890, a Roma nel 1216).

I. – O modello dei penitenti, gloriosa Maddalena che, tocca appena dalla grazia, rinunciaste subitamente a tutti i piaceri del mondo per consacrarvi all’amore di Gesù Cristo, otteneteci, vi preghiamo, la grazia di corrispondere anche noi fedelmente a tutte le divine ispirazioni. Gloria.

II. – O modello dei penitenti, gloriosa Maddalena che, calpestando generosamente tutt’i riguardi del mondo, compariste nell’abito il più dimesso in quelle stesse contrade nelle quali avevate condotto in trionfo il vostro lusso, la vostra vanità, otteneteci, vi preghiamo, la grazia di superare tutti gli ostacoli che si incontrano nella via della salute, e specialmente gli umani rispetti, con cui tante volte abbiamo traditi i nostri più sacri doveri e i nostri più grandi interessi. Gloria.

III. – O modello de’ penitenti, gloriosa Maddalena, che, piangendo colle lacrime le più amare, colla contrizione la più viva i vostri errori, meritaste di essere da Gesù Cristo medesimo assicurata di un assoluto perdono, otteneteci, vi preghiamo, la grazia di detestare e piangere incessantemente tutti i nostri falli, onde assicurarcene la remissione al tribunale di Dio. Gloria.

IV. – O modello dei penitenti, gloriosa Maddalena, che, convertita sinceramente a Gesù Cristo, vi faceste un dovere ed una gloria di costantemente accompagnarlo nei viaggi, ascoltarlo nei discorsi, servirlo nei bisogni, otteneteci, vi preghiamo, la grazia di mettere tutta la nostra consolazione nell’assistere ai divini misteri, ricevere i SS. Sacramenti, ascoltare la divina parola, soccorrere i poveri, che sono le immagini più vive del nostro Signor Gesù Cristo. Gloria.

V. – O modello dei penitenti, gloriosa Maddalena, che non abbandonaste Gesù-Cristo nemmeno allora che, spontanea vittima del furor de’suoi nemici agonizzava sul patibolo della croce, otteneteci, vi preghiamo la grazia di perseverare fedelmente nel divino servizio anche fra le desolazioni, le malattie, le avversità e le persecuzioni con cui piacerà al Signore di provarci. Gloria.

VI. – O modello dei penitenti, gloriosa Maddalena, che in premio della vostra fede e del vostro amore, foste consolata dalla visita di Gesù-Cristo risorto, che vi onorò della sua prima apparizione, otteneteci vi preghiamo, la grazia di menar sempre una vita così illibata e così santa, da meritarci dopo morte la visione beatifica del sommo Bene nella casa della sua gloria. Gloria.

VII. O modello dei penitenti, gloriosa Maddalena, che quantunque accertata del perdono delle vostre colpe, pure non lasciaste di piangerle in tutto il tempo di vostra vita con continui digiuni ed incessanti austerità, per cui meritaste d’essere tante volte visitata dagli Angioli, e da loro assistita nell’estremo passaggio, e accompagnata al Paradiso, otteneteci, vi preghiamo, la grazia di non rallentarci giammai nell’esercizio della penitenza così necessaria alla salute, onde assicurarci la tranquillità dei giusti alla morte, e la beatitudine dei Santi nell’eternità. Gloria.

[da: Manuale di Filotea del sac. G. Riva – Milano 1888]

Il cavaliere kadosh Achille Lienart (3)

Il Cavaliere Kadosh Achille Lienart (3)

lienart 4

   Il nostro pregiato sacrilego (finto)cardinale, il cavaliere Kadosh Achille Liénart, era in buona compagnia nelle logge delle varie conventicole, i cui nomi figurano in varie liste, da quella di Mino Pecorelli, a quella del “il Borghese”, alle inchieste di Chiesa Viva, liste che costituiscono degli ampi squarci nel velo che copriva e copre tuttora gli adepti. Tra questi nomi ritroviamo personaggi importanti della Gerarchia ecclesiastica, cardinali come Casaroli, Suenens, Villot, Tisserant, Poletti, Baggio, il noto prestigiatore Buan 1365/75, arcivescovo Bugnini, e poi Ruini etc., e ancora tante altre personalità … eccellenti … si fa per dire, per non parlare degli usurpanti della Cattedra, per i quali rimandiamo ai numeri speciali di Chiesa Viva del “segugio” don Luigi Villa.

A proposito della faccenda Lienart e Lefebvre, quando se n’è cominciato a discutere, tutto è stato incentrato, dagli adepti delle fraternità, sull’ordinazione conferita “validamente”, a loro dire, dell’Arcivescovo di Lille al sig. M. Lefebvre, con dotte citazioni e stralci dall’enciclica di Leone XIII “Apostolicae curae” [sembravano Caifa che si straccia le vesti!]. Tutto, opportunamente confezionato, …. però … la radice infetta del problema non era l’ordinazione episcopale del sig. Lefebvre, (sulla quale è stata volutamente incentrata la questione), bensì quella sacerdotale ed episcopale del sig. Lienart, il “falso” consacratore, falso perché mai consacrato egli stesso!!! Pertanto invalida l’una, invalida l’altra, e di conseguenza quelle successive, oltretutto senza giurisdizione e missione! Qualcuno, per confondere il povero sprovveduto, distingue la consacrazione valida da quella lecita, non sottolineando però che un Sacramento o una consacrazione illecita è un sacrilegio infinitamente più grave di quello invalido. Se ad esempio un tale prende un’ostia non consacrata o non validamente consacrata, e la getta nella fogna, in realtà non commette alcun peccato, ma se utilizza consapevolmente un’Ostia consacrata per fare lo stesso gesto, compie un Sacrilegio gravissimo degno del più profondo degli inferi. Comunque ne riparleremo successivamente, codice canonico alla mano, lungi dalle fantasie del magistero autonomo di Ecône, “ad usum delpini”, zeppo di sforbiciate e tagli chirurgici. – Vediamo più da vicino la questione.

Cosa comporta l’adesione alla Massoneria, o anche semplicemente l’appoggio esterno o la condivisione dei suoi falsi principi e valori? Esaminiamo succintamente cosa dice il Magistero della Chiesa, citando i più importanti documenti al riguardo, documenti inoppugnabili, inconfutabili ed irreformabili.

Encicliciche Anti massoneria.

– 1) Clemente XII: “In Eminenti” (1738)

     In questa bolla non viene riportata una vera e propria condanna contro la massoneria, perché non vengono citate concezioni eretiche o malcostume, ma viene messo in guardia il clero dall’aderire o assecondare l’ideologia massonica. Alla fine c’è la : SCOMUNICA!!!!

-.2) Benedetto XIV (1751): Bolla “Providas Romanorum Pontificum”.

   Rafforza l’ammonimento della bolla papale di Clemente XII,enumerando cinque punti che danno seguito alla condanna delle “sette muratorie” . Nel suo intento colpisce le Logge riconosciute e presenti in molte regioni italiane, in quanto rappresentano un pericolo al potere temporale della Chiesa.  Annessa:

SCOMUNICA!!!!

– 3) Pio VII (1821): “Ecclesiam a Jesu Christe”.

     Papa Pio VII° condanna le società segrete ed in maniera particolare la Carboneria. In questa bolla traspare l’intento del frenare l’ideologia massonica che tende ad espandersi. Alcune fonti storiche riportano che la bolla venne promulgata su influenza di molti sovrani europei. Anche qui è comminata la SCOMUNICA!!!! “ipso facto”.

-. 4) Leone XII (1825):” Quo graviora”.

     Leone XII condanna con particolare energia le sette dei Liberi Muratori, o dei Franc-Maçons, e dei Carbonari, nonché qualsiasi altra setta occulta comunque denominata. Al fine di eliminare qualunque interessata incomprensione, il Pontefice riproduce integralmente nella presente Bolla tutti i documenti di condanna delle società segrete promulgati dai suoi Predecessori Clemente XII, Benedetto XIV e Pio VII. Si conferma la sentenza di   SCOMUNICA!!!!

-. 5) Pio VIII (1829): “Traditi humilitati”

     Pio VIII precisa ed aggrava le accuse contro la massoneria e contro le affiliazioni carbonare. La scomunica dei massoni viene spiegata richiamando le parole di San Leone Magno:”La loro legge è la menzogna; il loro Dio è il demonio, la turpitudine il loro culto” … Inutile aggiungere che anche qui c’è: SCOMUNICA !!!! 

-. 6) Pio IX (1846): “Qui pluribus”

     Pio IX°, bersaglio privilegiato, fu grande oppositore delle conventicole, anche per la perdita del potere temporale da esse sostenute. L’enciclica tratta la questione della verità di fede, senza alludere alla massoneria, ma alludendo alla propaganda dai modi empi. Il Pontefice sensibilizza i fedeli contro il pensiero liberale. Conferma della SCOMUNICA (!!!!) delle precedenti encicliche.

 

In Etsi multa luctuosa – 21 novembre 1873, Pio IX per la prima volta definisce ufficialmente la massoneria, “sinagoga di satana”: « … Si meraviglierà forse qualcuno di Voi, Venerabili Fratelli, che la guerra che oggi si muove alla Chiesa Cattolica si espanda tanto. Ma chiunque conosce il carattere, gli obiettivi ed il proposito delle sette, sia che si chiamino massoniche, sia che si chiamino con qualsivoglia altro nome, e li paragoni al carattere, al modo, e all’ampiezza di questa guerra, da cui la Chiesa è assalita quasi da ogni parte, non potrà certamente dubitare che questa calamità non si debba attribuire alle frodi ed alle macchinazioni di quelle sette. Da esse infatti è formata la sinagoga di Satana, che ordina il suo esercito contro la Chiesa di Cristo, innalza la sua bandiera e viene a battaglia ». Le colpe della massoneria vengono ribadite in Etsi Nos (15 febbraio 1882)

Leone XIII (1884): “Humanum genus”

   Papa Leone XIII condanna in maniera perentoria la massoneria. In quel periodo Giuseppe Garibaldi era il capo della massoneria mondiale, dopo Mazzini, e non trovò alcuna indulgenza nelle parole del Papa. Alla massoneria viene attribuita la colpa di divulgare la filosofia naturalistica. Per la notizia il poeta Carducci, noto massone luciferiano, e per questo premio Nobel, cantava il suo “inno a satana”. In questa enciclica non vengono riportati riferimenti generici come in passato, in quanto la dottrina massonica non era più serbata in segreto. SCOMUNICA !!!!

In “Dall’alto dell’Apostolico Seggio” del 15 ottobre 1890, indirizzata ai vescovi italiani, c’è una nuova ferma presa di posizione contro la massoneria. Papa Leone XIII, scrive ancora sia Custodi di quella Fede [custodes fidei] (8 dicembre 1892) [ … scritta ai fedeli cattolici d’Italia sulle deplorevoli condizioni della Nazione. L’Enciclica è una nuova denuncia del Pontefice contro la Massoneria. Questa enciclica venne pubblicata in duplice edizione: questa in italiano per il popolo; e col nome “Inimica Vis” in latino per l’Episcopato italiano.]

Leone XIII (1892 ): “Inimica vis”

     Leone XIII° si rivolge ai Vescovi d’Italiani e al loro clero affinché condannino l’ideologia massonica unitamente alla bolla “Custodes Fidei” dell’ 8 dicembre 1892 riaffermando i fondamenti dell’Humanum genus del 20 aprile 1884. Si descrive crudamente condannandola senza appello la setta massonica. È implicita ed ovvia la SCOMUNICA!!!!

     L’adesione alla setta massonica comporta la SCOMUNICA!!!! (“ipso facto” e “latae sententiae”) (solo qui ne abbiamo contate otto!) che può essere revocata cioè solo dal Santo Padre o da un suo delegato, tranne che in pericolo di morte imminente. A proposito della scomunica “ipso facto”, sulla quale molti sorridono allegramente, c’è, come se non bastasse, una sentenza infallibile ed inappellabile del Magistero ecclesiastico di Papa Pio VI, in “errori del Sinodo di Pistoia”, 1794, nella proposizioni di Condanna n. XLVII.: “Similmente [condanna] quella [proposizione] che dice essere necessario, secondo le leggi naturali e divine, che tanto alla scomunica quanto alla sospensione debba precedere un personale esame, e che perciò le cosiddette sentenze “ipso facto” non abbiano altra forza che di una seria minaccia senza alcun effetto attuale; FALSA, TEMERARIA, PERNICIOSA, INGIURIOSA AL POTERE DELLA CHIESA, (D. 1547 in “Auctorem fidei”).

   Pertanto, non occorre alcuna sentenza, avviso o giudizio di un giudice competente per comunicare ad un cattolico che è diventato un eretico, perché gli eretici sono automaticamente scomunicati dalla legge della Chiesa. Le cariche eventualmente conservate sono quindi USURPATE A TUTTI GLI EFFETTI configurando anche un illecito giuridico [ad es. furto ed appropriazione indebita]. – Sorge una domanda, a questo punto già “puerile” e superflua: ma uno scomunicato ipso facto, “latae sententiae” per adesione alla Massoneria, quindi eretico, apostata, un “vitando” della contro-Chiesa, può ricevere validamente gli ordini sacerdotali e addirittura l’episcopato, senza commettere un odioso sacrilegio, e comunicarlo poi ad altri “ordinati”, altrettanto sacrilegamente? Vediamo cosa ci suggerisce la sana teologia, nella “ Summa” del dottore angelico S. Tommaso:

Dalla Summa teologica

tommaso_d_aquino

A proposito della scomunica:

Parte III, Argomento 21: la scomunica.

 Art.1,4 Chi col battesimo è inserito nella Chiesa è reso capace di due cose: di costituire il ceto dei fedeli e di partecipare ai sacramenti. E questa seconda cosa presuppone la prima, poiché mediante la partecipazione ai sacramenti i fedeli sono anche in comunione tra loro. Perciò si può essere posti fuori della Chiesa con la scomunica in due modi. Primo, con la sola esclusione dai sacramenti: e questa è la scomunica minore. Secondo, con l‘esclusione da entrambe le cose: e questa è la scomunica maggiore definita in questo articolo…. «Chi è colpito di anatema (l’anatema è scomunica maggiore – n.d.r. -) per un delitto, è escluso dalla bocca, dalla preghiera, dal saluto, dalla comunione e dalla mensa». «Dalla bocca», cioè dal bacio, «dalla preghiera», poiché non si può pregare con gli scomunicati, «dal saluto», poiché essi non vanno salutati, «dalla comunione», cioè da ogni rapporto sacramentale, «dalla mensa», poiché non si può mangiare con essi. Ora, la definizione data implica l‘esclusione dai sacramenti con le parole «quanto al frutto», e dalla comunione dei fedeli quanto alle realtà spirituali con il riferimento ai «suffragi comuni della Chiesa».

… Articolo2,2

  1. In S. Matteo [18, 17], di chi si rifiuta di ascoltare la Chiesa, sta scritto: «Sia per te come un pagano e un pubblicano». Ora, i pagani sono fuori della Chiesa. Perciò è giusto che la Chiesa, con la scomunica, escluda dalla sua comunione coloro che non vogliono ascoltarla.

Parte III, Questione 36, artic. 5, in contrario:

– 1) Dionigi [Epist. 8, 2] ha scritto: «Costui», ossia chi non è illuminato [dalla grazia], «sembra molto presuntuoso, mettendo mano alle funzioni sacerdotali; e non sente timore e vergogna nel trattare le cose divine senza dignità, pensando che Dio ignori i segreti della sua coscienza; e pensa di poter ingannare Colui che egli falsamente chiama Padre; e osa servirsi delle parole di Cristo per pronunziare sui segni divini, non oso dire delle preghiere, ma delle immonde bestemmie». Perciò il sacerdote che indegnamente esercita il proprio ordine è come un bestemmiatore, o un ipocrita. Quindi pecca mortalmente. E per lo stesso motivo peccano in caso analogo tutti gli altri ordinati. 2. La santità è richiesta negli ordinandi in quanto indispensabile per esercitare le loro funzioni. Ora, chi si presenta agli ordini in peccato mortale pecca mortalmente. A maggior ragione quindi pecca chiunque esercita in stato di peccato il proprio ordine.

-.2) Dimostrazione: La legge [Dt: XVI, 20] comanda di «compiere santamente le cose sante». Perciò chi esegue le funzioni del proprio ordine in modo indegno compie le cose sante in maniera non santa, e quindi agisce contro la legge, per cui pecca mortalmente. Chi infatti esercita un ufficio sacro in peccato mortale, senza dubbio lo esercita indegnamente. Perciò è evidente che fa peccato mortale.

Spulciamo il codice canonico, pio-benedettino del 1917.

Codex juris canonici 1917

Conferma per ciò che riguarda la massoneria:

Can. 2335. Nomen dantes sectae massonicae aliisve eiusdem generis associationibus quae contra Ecclesiam vel legitimas civiles potestates machinantur, contrahunt ipso facto excommunicationem Sedi Apostolicae simpliciter reservatam. – [Chi si iscrive alla massoneria o altra setta che trama contro la Chiesa o il potere civile, incorre la scomunica riservata alla Sede apostolica, ( …)].

A proposito dell’ordinazione:

CAPUT II.

De subiecto sacrae ordinationis.

Can. 968. §1. Sacram ordinationem valide recipit solus vir baptizatus; licite autem, qui ad normam sacrorum canonum debitis qualitatibus, iudicio proprii Ordinarii, praeditus sit, neque ulla detineatur irregularitate aliove impedimento. 2. Qui irregularitate aliove impedimento detinentur, licet post ordinationem etiam sine propria culpa exorto, prohibentur receptos ordines exercere. – (968. §1[Riceve validamente l’ordinazione il solo battezzato, lecitamente chi ha le qualità richieste ed è senza irregolarità o impedimento].

2 – Chi è impedito o irregolare, anche se questo avviene senza colpa, dopo ricevuto l’ordine non potrà esercitarlo.)

  E chi sono gli irregolari? Ce lo spiega ancora il C.J.C. al can 985 al punto 1, per quel che ci riguarda: Can. 985. Sunt irregulares ex delicto: Apostatae a fide, haeretici, schismatici; etc. (Can. 985. sono irregolari per delitto: 1° gli apostati della Fede, eretici, scismatici, ….)

Leggiamo al Can. 2260. §1. Nec potest excommunicatus Sacramenta recipere; imo post sententiam declaratoriam aut condemnatoriam nec Sacramentalia. [Uno scomunicato non può ricevere i Sacramenti, anzi dopo la sentenza nemmeno i Sacramentali.]

codice di diritto canonico 1917 (canone 188. 4.):

Can. 188. Ob tacitam renuntiationem ab ipso iure admissam quaelibet official vacant ipso facto et sine ulla declaratione, si clericus: (1°….) 4° A fide catholica publice defecerit; [“ci sono alcune cause che influenzano la tacita rassegnazione di un Ufficio, per cui le dimissioni sono accettate in anticipo per effetto di legge e quindi sono efficaci senza alcuna dichiarazione. Queste cause si verificano quando: … (4) si è pubblicamente disertato (per caduta) dalla fede cattolica.”]

Riassume compiutamente la “Enciclopedia Cattolica” [vol. XI, col. 145-146]: A qualsiasi scomunicato è vietato di: a) ricevere i Sacramenti; b) fare e amministrare i Sacramenti e i sacramentali; c) assistere agli Uffici divini; d) porre gli atti legittimi ecclesiastici, di cui al can. 2256, n. 2; e) esercitare le funzioni inerenti ad un ufficio o incarico ecclesiastico; f) usufruire di un privilegio ecclesiastico; g) eleggere, presentare, nominare; h) conseguire dignità, uffici, benefici, pensioni ed incarichi nella Chiesa; i) porre atti di giurisdizione ecclesiastica. – Quindi, anche se lo pseudo-cardinale, il sig. Achille Lienart non era stato canonicamente sancito, e non appariva un “vitando” esternamente; in foro interno era ben scomunicato e “vitando”, perché oltretutto agente dell’anti-Chiesa Cattolica, per cui non poteva ricevere l’ordine, essendo già maestro massone e 18° livello: “Rosa Croce” ed ancora peggio, come spiegato in precedenza, 30° livello, cavaliere kadosh, e ovviamente non poteva trasmetterlo a nessun altro, anche se la cerimonia veniva fatta materialmente con tutti i canoni previsti. “Nessuno può dare ad un altro ciò che non possiede”: non possedendo l’ordine, il sig. Lienart, che gridava regolarmente “Adonai nokem” non poteva naturalmente trasmetterlo, ed il suo “episcopato usurpato”, non era valido né trasmissibile, semplicemente sacrilego, come tutti i (pseudo)-consacrati. A questo punto si chiarisce bene la vicenda delle Fraternità e “derivati”, singoli o organizzati! Ed i sacrileghi ministri ricadono nella sentenza di Dio emanata per bocca del Profeta Malachia, nel cui libro leggiamo al capitolo II: 1Ora a voi questo monito, o sacerdoti.2Se non mi ascolterete e non vi prenderete a cuore di dar gloria al mio nome, dice il Signore degli eserciti, manderò su di voi la maledizione e cambierò in maledizione le vostre benedizioni. Anzi le ho già maledette perché nessuno tra di voi se la prende a cuore. 3Ecco, io spezzerò il vostro braccio e spanderò sulla vostra faccia escrementi, gli escrementi delle vittime immolate nelle vostre solennità, perché siate spazzati via insieme con essi. 4Così saprete che io ho diretto a voi questo monito, perché c’è anche un’alleanza fra me e Levi, dice il Signore degli eserciti. 5La mia alleanza con lui era alleanza di vita e di benessere e io glieli concessi; alleanza di timore ed egli mi temette ed ebbe riverenza del mio nome. 6Un insegnamento fedele era sulla sua bocca, né c’era falsità sulle sue labbra; con pace e rettitudine ha camminato davanti a me e ha trattenuto molti dal male. 7Infatti le labbra del sacerdote devono custodire la scienza e dalla sua bocca si ricerca l’istruzione, perché egli è messaggero del Signore degli eserciti. 8Voi invece vi siete allontanati dalla retta via e siete stati d’inciampo a molti con il vostro insegnamento; avete rotto l’alleanza di Levi, dice il Signore degli eserciti. 9Perciò anch’io vi ho reso spregevoli e abbietti davanti a tutto il popolo, perché non avete osservato le mie disposizioni [e quelle della Chiesa – ndr.-].

[1] Et nunc ad vos mandatum hoc, o sacerdotes. [2] Si nolueritis audire, et si nolueritis ponere super cor, ut detis gloriam nomini meo, ait Dominus exercituum, “mittam in vos egestatem”, et “maledicam benedictionibus vestris, et maledicam illis”, quoniam non posuistis super cor. [“Manderò si di voi la maledizione … e cambierò in maledizioni le vostre benedizioni …”.  Noi siamo ignoranti è vero, ma il Signore si fa capire ai piccoli, agli ignoranti, a quelli che Lo amano con cuore sincero; i boriosi saccenti invece li acceca nel fumo della loro superbia. … “et maledicam illis”! ] . [Continua …]

 

I SANTI NELLA SETTIMANA

  1. I SANTI NELLA SETTIMANA

[da: Manuale di Filotea del sac. Giuseppe Riva, XXX ed. 1888, Milano]

Siccome è antico e universale il costume di onorare alcuni Santi col dedicare al loro culto un determinato numero di giorni particolari della settimana, così all’intento di far conoscere tanto queste pratiche, quanto la loro ragionevolezza, tornerà molto grata la seguente tabella della quantità e qualità dei giorni che sì consacrano a un Santo piuttosto che all’altro, nonché la spiegazione dei motivi che determinano i divoti a queste particolarità.

Domenica

A S. Luigi Gonzaga (21 Giugno): 6 Domeniche, perché fu sempre unito a Dio, cui è specialmente dedicata la Domenica. Sono sei in memoria dei sei anni che passò in Religione.

A S. Pasquale Baylon (17 Maggio): 17 Domeniche, perché il Santo nacque la Domenica di Pentecoste 17 Maggio l549, e morì nella Domenica di Pentecoste 17 Maggio 1592.

Lunedì

.A S. Andrea Avellino (10 Novembre): 9 Lunedì, perché morì in lunedì.

 

Martedì

A S. Agostino (28 Agosto): 13 Martedì, in memoria dei 13 Pater che recitano quotidianamente i devoti della sua Cintura, in onore di Gesù e dei suoi dodici Apostoli: e perché sono 13 i libri delle sue Confessioni, nelle quali tanto risplende la sua umiltà.

A S. Anna (26 Luglio): 9 Martedì, perché è tradizione che sia nata, e divenuta madre, e morta in giorno di Martedì. Sono 9 in memoria dei 9 mesi che portò nel suo seno Maria. SS.

A S. Antonio da Padova (13 Giugno): 13 Martedì, perché in martedì è apparso egli a una donna che chiedeva prole maschile le ingiunse di pregare per nove Martedì. Sono 13 in memoria delle ore che dimorò i l Bambino fra le sue braccia, e delle 13 grazie che si crede dispensare egli ogni giorno a suoi devoti.

A S. Benedetto (21 Marzo): 10 Martedì, perché in tal giorno, fin dai tempi del Papa S. Gregorio, si costumava nella sua religione a recitare il suo officio. Sono 10 perché il Santo aveva costume di adorare specialmente 10 perfezioni divine, cioè: Potenza, Sapienza, Bontà, Immensità, Provvidenza, Giustizia, Misericordia, Beneficenza, Infinità, Carità.

A S. Domenico (4 Agosto): 15 Martedì, perché in Martedì, il Beato Giordano, Generale dei Domenicani trasferì in luogo più convenevole il corpo del Santo trovato incorrotto e l’istesso beato Generale impetrò dal Sommo Pontefice una Bolla acciocché fra i Domenicani si facesse ogni Martedì speciale memoria del Santo Patriarca. Sono 15 per i 15 misteri del Rosario che egli con tanto zelo e con tanto vantaggio propagò in tutto il mondo, dietro l’ordine avuto da Maria SS. a lui apparsa.

Mercoledì

A S. Filippo Benizzi (23 Agosto): 7 Mercoledì, perché in Mercoledì. Sono 7 perché discepolo dei 7 Beati chi istituirono la Religione dei Serviti: perché fu gran propagatore della Devozione ai 7 Dolori di Maria e perché 7 volte fu visitato da Maria SS.

A S. Gaetano (7 Agosto): 7 Mercoledì, perché volle nel suo Ordine santificato dall’astinenza il Mercoledì.

A S. Giuseppe (19 Marzo): 7 Mercoledì, perché questo giorno è il giorno destinato allo speciale suo culto tra ì Carmelitani Scalzi di cui è speciale protettore. Sono 7 in memoria dei suoi 7 Dolori e delle sue 7 Allegrezze.

A S. Gregorio taumaturgo (17 Novembre): 17 Mercoledì, perché fatto vescovo di Neocesarea, non trovò in quella città che 17 Cristiani, e morendo non vi lasciò che 17 Gentili.

A S. Nicola di Bari (9 Dicembre): 9 Mercoledì, perché anche lattante in fasce digiunò il Mercoledì, ricusando in tal giorno il suo solito nutrimento.

A S. Teresa (15 Ottobre): 9 Mercoledì, perché questo giorno è consacrato alla devozione del Carmine, del cui Ordine fu riformatrice, per cui ne venne la istituzione dei Carmelitani Scalzi.

A S. Tommaso d’Aquino (7 Marzo): 7 Mercoledì, perché per antica concessione pontificia, nell’Ordine dei predicatori si recita l’ufficio di questo Santo in tutti i Mercoledì non impediti.

Giovedì

S. Filippo Neri (26 Maggio): 8 Giovedì, per la gran devozione ch’egli ebbe alla SS. Eucaristia, instituita in Giovedì, e perché dopo aver celebrato nel Giovedì del Corpus Domini morì la notte seguente. Sono 8 in memoria delle 8 decine di anni, cioè 80 ch’egli scampò.

A S. Francesco Borgia (10 Ottobre): 7 Giovedì, perché fu sempre singolarmente devoto della SS. Eucaristia instituita in Giovedì.

Venerdì

A S. Francesco d’Assisi (4 Ottobre): 5 Venerdì, in memoria delle 5 Stimmate che egli ricevette, e della sua particolare devozione alla Passione, quindi alle 5 Piaghe di. Gesù crocifisso.

A S. Francesco da Paola (2 Aprile) 13 Venerdì, perché mori nel Venerdì santo, e stabilì nel suo Ordine la divozione di 13 Venerdì, in onor del sacro Collegio, cioè di Gesù Cristo coi 12 Apostoli.

A S. Francesco Saverio (3 Dicembre): 10 Venerdì, perché morì in Venerdì, dopo d’aver predicato per 10 anni nelle Indie.

A S. Nicola da Tolentino (10 Settembre): 7 Venerdì, perché morì in Venerdì, ed in tal giorno praticò sempre il digiuno anche quand’era lattante.

A S. Vincenzo Ferreri (5 Aprile): 7 Venerdì, perché così ha stabilito Benedetto XIII, accordando perciò molte Indulgenze.

Sabato

A s. Ignazio di Lojola (10 Luglio): 10 Sabati, perché in sabato comincio la famosa sua estasi in Manresa, e durò fino all’altro Sabato, e perché in Sabato cominciò e finì il digiuno di 8 giorni sì rigoroso da non gustare alcuna sorta di cibo onde ottenere, come ottenne difatti, la liberazione dagli scrupoli che lo travagliavano. Sono 10 in memoria dei 10 mesi che stette in Manresa a formare il piano del suo Istituto, la celebre compagnia di Gesù, ed a comporre il libro così ammirabile degli Esercizi spirituali.

 

Doni dello Spirito Santo: Il dono di PIETA’

Il dono dì Pietà.

[J.-J. Gaume: il Trattato dello Spirito Santo; vol. II, CAPITOLO XXVII]

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Il dono di timore è il primo gradino della scala misteriosa, che noi dobbiamo percorrere per ritornare a Dio: il dono di pietà é il secondo. Il timore che viene dallo Spirito Santo, avendo qualcosa di figliale, contiene in germe il dono di pietà; e n’esce come il suo primo fiore e il suo primo frutto. A fine di dare pratica conoscenza di questo nuovo benefizio, risponderemo a tre quesiti: Che cosa è il dono di pietà? quali ne sono gli effetti? quale ne è la necessità? [ Viguier c. XII, p. 413]. Che cosa è il dono di pietà? La pietà è un dono dello Spirito Santo che ci riempie d’affetto figliale verso Dio, e ce Lo fa onorare come un padre. San Paolo celebra questo dono delizioso, quando dice: «Voi non avete ricevuto di bel nuovo lo spirito di servitù per temere, ma avete ricevuto lo spirito di adozione in figliuoli, mercé di cui godiamo, Abba (padre).» [Rom. VIII, 15, 16]. – Per conseguenza come il dono di timore, cosi il dono di pietà opera nell’anima una nuova creazione. Se l’uomo è poco sensibile al timore di Dio, lo è meno ancora al suo amore. L’insensibilità del cuore è uno dei più grandi ostacoli alla salute; ma quando sopravviene lo spirito di pietà, il cuore cambia all’istante; questo spirito fa sul cuore ciò che il fuoco opera sulla cera. Il fuoco ammollisce la cera e la rende atta a ricevere ogni sorta d’impronte, anzi la liquefa e la fa scorrere come l’acqua e l’olio. [“Factum est cor metun tanquam cera liquescens in medio ventris mei.” Ps. XXI]. – Questo miracolo del dono di pietà lo distingue dalla virtù di religione e costituisce la sua superiorità. Mediante la virtù di religione, l’uomo onora Dio, come Creatore e sovrano padrone di tutte le cose ; mediante il dono di pietà l’onora, come Padre. In Dio, la virtù di religione vede la maestà: oltre la maestà, il dono di pietà vi vede la paternità. La virtù di religione fa l’adoratore che rispetta; il dono di pietà fa il figlio che rispetta e che ama, e che rispetta perché ama. – Cosi tra noi e Dio, il dono di pietà crea un nuovo ordine di rapporti di una dolcezza e di una nobiltà infinite. Di creature, ci innalza alla dignità di figli; e nel nostro cuore egli versa i sentimenti di quella gloriosa filiazione, come ce ne dà tutti i diritti. Appena sospettato dall’Ebreo, e completamente sconosciuto dal gentile, questo favore rapisce d’ammirazione 1’apostolo san Giovanni: « Vedi, ci dice, qual carità ci ha fatta il Padre, di volere che noi non siamo solamente chiamati, ma che siamo realmente i figli di Dio.» [Joan., III, 1]. – Il dono di pietà differisce altresì dalla carità sotto due rapporti: lo spirito di pietà è l’eccitatore della carità, come il vento è quello che spinge la nave. La carità ci fa amare Dio, perché è infinitamente perfetto, infinitamente benefico; il dono di pietà ce Lo fa amare perché è Padre; più Padre di tutti i padri, Padre dei cristiani e di tutti gli uomini che noi amiamo come fratelli. – 2° Quali sono gli effetti particolari del dono di pietà? Si noverano due effetti principali o atti particolari del dono di pietà, secondo gli oggetti riguardo ai quali si esercita. Questi oggetti sono: Dio, e tutto ciò che gli appartiene, i suoi templi, i suoi ministri, la sua parola: il prossimo, il suo corpo e la sua anima. Iddio essendo l’oggetto principale del dono di pietà, ne risulta che l’atto principale di questo dono è il culto figliale, interiore ed esteriore che noi rendiamo a Dio. – Culto interiore: ei si compone di tutti i sentimenti di fede, di speranza, di carità, impressi in un cuore ammollito dal fuoco della pietà figliale. Tutti rivestono un carattere particolare che è difficile esprimere. Difatti, come dire gli slanci d’amore, le risoluzioni eroiche, le lacrime deliziose, le sante voluttà, le dolci famigliarità, la confidenza e le confidenze fanciullesche, i pianti stessi ed i teneri rimproveri dell’anima, che prova la figlia e la sposa pel suo Dio? Prestiamo le orecchie a qualcuno dei suoi accenti. Nelle sue tenerezze ella dice: Voi siete il mio dilettissimo, voi appartenete a me, io sono vostra, io vi tengo né vi lascerò punto andare. [Cantic., III, 4]. Nelle sue generosità: Il mio cuore è pronto, o Signore, il mio cuore ò pronto: voi siete la mia porzione: fuori di voi non vi è nulla per me in cielo, né sulla terra. – Nelle sue aridità: E fino a quando mi dimenticherete? Voi vedete bene che sono davanti a Voi come una bestia da soma, come un otre gelato. [Ps. CXLII, XII, LXXII, CXVIII]. – Nelle sue tristezze: Perché stornate da me il vostro volto? Perché Vi addormentate? Non sentite che la mia voce è divenuta rauca a forza di chiamarvi? Ma avete un bel fare, io non me ne andrò finché non mi abbiate benedetta. – Nei suoi scoraggiamenti: quand’anche mi uccideste, io spererei ancora in Voi.[Job., XIII, 15]. – Nei suoi patimenti: Bisogna confessare che Voi siete meravigliosamente abile nel tormentarmi; che forse io sono dura come le pietre, o la mia carne è di bronzo. Vi torna più conto scaricare la vostra potenza sopra una foglia che porta via il vento. [Giob., X, 16; VI, 12; XIII, 25]. – Nei rovesci della fortuna o nella perdita dei suoi parenti: Io mi sono taciuta e non ho aperto bocca, perché siete Voi che l’avete fatto: sì, Padre, che così sia, poiché Voi l’avete riconosciuto buono. [Ps. 88; Matth. II, 26]. – Nelle sue medesime colpe: Voi siete il Padre mio, il mio redentore, Voi mi perdonerete il mio peccato perché è assai grande.[Is., LXIII 16 ; Ps. 24]. – Questi sono tanti sentimenti che il dono di pietà forma nell’anima e che danno la misura della superiorità morale della quale il mondo cristiano va debitore allo Spirito Santo. [II cristiano come figlio di Dio, mercé il dono di pietà reca nelle sue relazioni col suo Padre celeste una familiarità che ci sorprende, ma che però non è meno di buona lega. Essa si manifesta soprattutto nelle sue preghiere. « Eccone una che non possiamo resistere al piacere di tradurla. L’originale italiano scritto rozzamente con errori di ortografia e di pronunzia è caduto dal libro delle ore di un contadino di Colle Berardi vicino a Casamari, venuto a Roma per le feste di Pasqua nel 1858. Un francese raccattò senza tanti scrupoli questa carta. Le tracce evidenti di un lungo uso permettevano di credere che il contenuto non uscisse più dalla memoria del proprietario : « Padre eterno! io Vi presento due cambiali. — Una è l’amara passione del vostro caro Figlio unigenito, morto per noi sulla croce. — L’altra è il dolore della sua SS. Madre, che per amore di me e per mia colpa ha dovuto soffrire così acerba passione. — Dunque su queste due cambiali, o Padre eterno, pagatevi di quello che io Vi debbo e rifatemi il resto.] – Culto esterno. A questi sentimenti di pietà figliale corrisponde un ordine (i fatti, privati e pubblici, improntati dello stesso carattere. Fatti privati: tra il Padre celeste e l’uomo suo figlio, tutto divien comune; le stesse gioie, le stesse tristezze, i medesimi interessi, i medesimi pensieri, il medesimo scopo. Penetrato di tenerezza, questo figlio ama soprattutto la gloria di suo Padre. A fine di procurarla e di ripararla, preghiere, mortificazioni, elemosine, buoni esempi e buoni consigli, travagli, sacrifici, nulla gli costa. Alla vista degli oltraggi fatti a suo Padre e a delle anime che il paganesimo moderno gli rapisce, la vita gli pesa. Per alleviarne il peso, si associa con ardore a tutte le opere riparatrici. La più preziosa di tutte, la Propagazione della fede, non ha partigiano più zelante. Non una nuova conquista del Vangelo, il cui racconto non ricolmi di gioia; non una persecuzione che non lo commuova fino alle lacrime. Se egli ama la gloria del Padre suo, ama eziandio la sua casa. Il suono della campana che ve lo chiama fa vibrare tutte le fibre del suo cuore e conduce sulle sue labbra le parole dei veri Israeliti: “Che felicità! ecco che mi si dice: noi andremo nella casa del Signore”. Il suo contegno mostra il rispetto figliale da cui è penetrato. La pompa delle cerimonie, la magnificenza di sacri ornamenti, lo splendore dei vasi dell’altare, formano il suo più dolce spettacolo. Invece di trovare, come gli antichi e moderni Giuda, che le stoffe lucenti, l’argento, il marmo, le pietre preziose, offerti a Nostro Signore nei suoi templi, sono una perdita, vorrebbe avere le ricchezze del mondo intero per farne omaggio al Padre suo. Tali sono le disposizioni ed i fatti, che nell’ordine privato, mostrano lo spirito di pietà figliale. – Fatti pubblici. La più alta espressione del dono di pietà figliale è il culto cattolico; egli nuota come in un oceano d’amore. Nelle sue feste, nei suoi Sacramenti, nelle sue cerimonie, niente d’oscuro, di secco, di spaventoso; tutto al contrario, spira dolcezza e reca fiducia. L’amore solo canta, e il Cattolicismo canta sempre. – Egli canta le sue gioie e le sue tristezze, i suoi timori e le sue espiazioni anche le più dure; canta altresì la morte ed i misteri della tomba. Ora, egli canta sempre perché sempre ama, e il suo amore è sempre pieno d’immortalità. Che cosa dicono tutti i suoi canti, i suoi inni, le sue prose, i suoi proemi ? Una cosa sola, l’amore. Che cosa sono infatti se non la traduzione sotto mille varie forme della divina preghiera dell’amore figliale: Padre nostro che stai nei cieli? Nulla di simile si è visto, né mai si vedrà, né presso i pagani, né presso gli eretici. La ragione è che lo spirito di pietà non si trova che nella Chiesa. – Un padre come Voi, mio Dio, nessuno; e cosi tenero come Voi non esiste: Tam pater, “nemo; iam pius, nemo”. [Tertull., de Poenitent.,. VIII]. – Ecco ciò che il dono di pietà è venuto a porre nel cuore e sulle labbra del genere umano; del genere umano, il quale da quattromil’anni in qua diceva: “Io morrò, perché ho visto Dio”. [Judic., XIII, 22]. – E in faccia a questa rivoluzione, profonda come l’abisso, splendida come il sole, inesplicabile come Dio, vi sono alcuni che vengono a domandare la prova della verità del Cristianesimo e della divinità dello Spirito Santo! – Con tutto ciò il fuoco non ammollisce la cera, ma la liquefa e la fa scorrere: cosi si conduce lo Spirito di pietà sulle anime. L’amor figliale che ci ispira per Iddio, si diffonde dapprima su ciò che appartiene di più accosto a Dio: gli Angeli ed i santi, i sacerdoti. [S. Anton., ubi supra]. Per non parlare che dei ministri del Signore, il dono di pietà dà il senso pratico di questa parola : « Chi ascolta voi ascolta me, e chi disprezza voi disprezza me, » [Luca, X, 16] e di quest’altra: « Quegli che è catechizzato nella parola, faccia parte di tutto quello che ha di bene a chi lo catechizza. » [Galat. VI, 6]. – Per colui che ne viene illuminato, il sacerdote non è più ciò che è disgraziatamente per il mondo attuale, né un uomo come un altro, né uno straniero, né un nemico dei lumi e della libertà: è l’ambasciatore di Dio, il benefattore dell’umanità, il dottore il più sicuro, il migliore degli amici. Di qui deriva nel cuore dei veri cattolici, una figliale tenerezza per i padri delle loro anime: la docilità verso i loro consigli, la sollecitudine dei loro bisogni, la felicità di ricevere la loro visita, di offrir loro l’ospitalità, di far loro partecipare alle gioie di famiglia, come ne partecipano tutti i dolori; le preghiere per la loro conservazione: lo zelo nel prendere la loro difesa o la premura nel distendere sulle loro colpe il manto della carità. Abbracciando tutta la sacra gerarchia, dal sovrano Pontefice fino al più umile chierico, lo spirito di pietà figliale assicura la felicità della società, imperocché protegge la legge fondamentale della sua esistenza: “Onorerai padre e madre, affinché tu viva lungamente”. – Il figlio che ama suo padre non ama soltanto i suoi inviati, ma altresì la sua parola. [S. Anton., ubi supra]. – Agli occhi del cristiano, animato dallo spirito di pietà, la parola di Dio intesa o no, è del pari cara e rispettabile. Egli sa che viene dal Padre suo e che è verità, e ciò gli basta. Se egli non la capisce, ne dimanda l’interpetrazione non alla sua ragione particolare, ma alla Chiesa. L’empio che bestemmia la Sacra Scrittura, l’eretico che la snatura, il cattivo cristiano che disprezza, che critica o che volge in ridicolo la parola divina, gli fanno orrore. – Come il figlio ben nato non legge mai senza intenerirsi il testamento del suo padre diletto; così il vero cattolico non legge mai l’Antico e soprattutto il Nuovo Testamento, senza che quella lettura parli al suo cuore. Come san Carlo, egli legge il sacro testo in ginocchio e a capo scoperto; come sant’Antonio, si meraviglia non che un imperatore scriva all’ultimo dei suoi sudditi, ma che lo stesso Dio abbia degnato scrivere all’uomo. Pur di sovente, ad esempio dei primi fedeli, egli porta seco il Vangelo; e in viaggio come in riposo, ogni giorno ne nutrisce il suo spirito ed il suo cuore. – Un altro oggetto del dono di pietà, è il prossimo. – La virtù naturale che chiamasi la pietà figliale, ci porta ad amare non solamente nostro padre secondo la carne, ma ancora tutto ciò che va ad esso unito pei vincoli di sangue. Lo spirito di pietà produce l’adempimento dello stesso dovere, in un modo assai più perfetto e assai più esteso. Più perfetto, perché la grazia e non la natura ne è il principio e il movente; più esteso, perché tutti gli uomini ne sono l’obietto. Dal cuore ove risiede il dono di pietà si dilata in sette opere di misericordia corporale, e in sette opere di misericordia spirituale. – Quest’è il candelabro d’ oro, che dividendosi in sette rami, illuminava il tempio di Gerusalemme e l’imbalsamava dei più dolci profumi. Come figlie del dono di pietà, queste opere abbracciano tutti i bisogni dell’umanità. Cercate che siano fedelmente adempiute, e le società raggiungeranno la loro perfezione: il cielo è sulla terra. Per provarlo basta nominarle. Le sette opere di misericordia corporali sono:

1° Dare da mangiare all’affamato, da bere all’assetato. Il cibo essendo il primo bisogno dell’uomo, è altresì il primo oggetto e il primo atto del dono di pietà. Un fratello può egli vedere il suo fratello patire la fame o la sete senza dargli da mangiare e da bere? – Ma tra l’uomo che solleva il suo simile ed il cristiano che esercita la carità, grande è la differenza. Il primo opera per un movente tutto umano della fratellanza naturale; il secondo per l’ impulso superiore della fratellanza divina. Il primo può dare, il secondo si offre interamente. Il primo dà a quelli che ama; il secondo dà eziandio a’ suoi nemici. Il primo è incostante; il secondo persevera in conseguenza del principio che lo fa operare. L’aver dato il pane e l’acqua, basta al primo; però la felicità del secondo consiste nell’aggiungere allo stretto necessario, certe dolcezze, compatibili co’ suoi mezzi, e secondo i bisogni del povero. – 2° Alloggiare i pellegrini. L’uomo può non aver bisogno né di pane per saziare la sua fame, né di acqua per estinguere la sua sete, ma è viandante e straniero. Viene la notte e non ha dove porsi al coperto. – Lo spirito di pietà vuole che ne abbia, e l’avrà. Molto differente dall’ospitalità naturale, che prima di aprire la sua porta, osserva com’è vestito e il sembiante del povero; invece l’ospitalità cristiana riceve a occhi chiusi e con le braccia aperte; imperocché ella sa che nella persona del povero, chiunque possa essere, è il divino mendico che accoglie, che ricovera e che riscalda: “Christus est qui in universitate pauperum mendicat”. – 3° Vestire gli ignudi. Lo spirito di pietà figliale ha dato, dà ancora, ogni giorno, su tutti i punti della terra dove si fa sentire, delle pezze al neonato, al povero il vestito per coprirsi, e il letto per riposarsi. A tutte le orecchie cristiane fa risuonare queste parole di un gran dotto della Chiesa: « All’affamato appartiene il pane che ritenete presso di voi; all’ignudo quell’abito che voi non adoperate più; allo scalzo quelle scarpe che sono mangiate dai vermi; all’indigente quel danaro che avete nascosto. Perciò molti sono i poveri che potete sollevare e che non sollevate: e parecchie sono le ingiustizie che voi commettete. [“Esurientis est panis ille quem tu apud te detines. Nudi, vestis illa quam in cella tibi servas. Discalceati, calceus ille qui domi tuae putredine corrumpitur. Egeni, argentum quod humi defossum habes. Itaque tot injuria afficis, quot tuis rebus, dum licet, non juvas”. S. Basil., conc. IV de Eleemosyn]. – 4° Visitare gli infermi. Il mondo pagano che contava i suoi teatri a centinaia di migliaia, non aveva uno spedale. Ma lo Spirito di pietà ha soffiato, e il mondo si è coperto di palazzi per ricevere le vittime delle infermità umane. Di generazione in generazione, questi palagi si sono popolati d’angeli visibili, il cui volto sorridente ha consolato l’infermo, la cui carità industriosa gli ha procurato mille dolcezze, e la cui mano or dolce or forte ha asciugato le sue piaghe, o rivoltato la paglia del suo letto. Ogni giorno ancora lo stesso spirito conduce la dama di carità, l’associato di san Vincenzo de’ Paoli, nel tugurio del patimento, e abbassando in tal modo il forte verso il debole, contribuisce più efficacemente che tutti i discorsi, per consolidare i legami sociali. – 5° Consolare il prigioniero. Il povero ordinario, lo stesso infermo, possono in molte circostanze esporre i loro bisogni e muovere a compassione. Questo conforto manca al prigioniero. Una doppia barriera tiene lontana da lui la carità; le mura della sua prigione e la ripulsione che ispira. Mercé il dono di pietà, le spaventose prigioni del paganesimo, i putridi bagni del maomettismo hanno fatto luogo a prigioni meno micidiali. Il prigioniero non è più solo a divorare le sue lacrime, solo non porterà i suoi ferri; e se deve salire il patibolo, avrà per sostenerlo un braccio fraterno, e per consolarlo un amico devoto che gli aprirà il cielo in ricompensa del suo sacrificio. – 6° Riscattare lo schiavo. Roma pagana dava al creditore il diritto di fare a pezzi il debitore insolvente. Lo spirito di pietà soffiando sul mondo, non ha solamente abolito questo barbaro diritto, ma ha ispirato delle sacre fondazioni al riscatto del debitore. Tutta l’antichità pagana faceva la guerra per conquistare del bottino e degli schiavi; di rado si riscattavano i soldati prigionieri. Esser venduti come bestie da soma, immolati sulla tomba dei vincitori, o riserbati per i giuochi omicidi dell’anfiteatro, era la sorte ordinaria che gli attendeva. Mercé il dono di pietà la guerra si è fatta più umana, la vita dei prigionieri é rispettata, il loro cambio o il loro riscatto è divenuto una legge sacra delle nazioni cristiane. Qualunque sia il suo nome, la sua condizione o il suo paese, lo schiavo cristiano è divenuto per il cristiano un fratello e un amico. Gli annali di Marocco, di Tangeri, di Tunisi, d’Algeri e di cento altre città ripeteranno eternamente i miracoli di redenzione, compiuti durante parecchi secoli, in favore degli schiavi cristiani. [Dal 1198 al 1787 i Trinitari riscattarono sulle coste di Barberia novecentomila schiavi. I Padri della Mercede dal canto loro ne liberarono cinquantamila. Tenendo conto delle spese di viaggio e di trasporto, diritti da pagare, avarie o estorsioni di danaro, la media del prezzo di uno schiavo ascendeva a seimila lire, ciò che per un milione e duecentomila, forma l’enorme totale di sette miliardi. E poi si parla della carità moderna e della filantropia? Tedi Annali della Propag. della fede, n. 238, p. 271, an. 1867]. – 7° Seppellire i morti. Porre nel numero delle opere più eccellenti tutto ciò che ripugna di più alla natura, è il capo d’opera dello Spirito di pietà. Ora il mondo cristiano ha visto ciò che il mondo pagano non avrebbe mai sospettato, delle numerose associazioni, come quelle dei Cellìti, consacrate alla tumulazione ed alla sepoltura dei morti. Nelle cure religiose, che anche oggi debbono circondare la spoglia mortale del povero, non meno di quella del ricco; qual lezione di rispetto per l’uomo! Quale predicazione incessante di questo domma, consolazione della vita e base della società, il domma della “risurrezione della carne”! Cosi appunto il cuore del cristiano, fuso dallo Spirito Santo, come la cera dal fuoco, si diffonde su tutti i bisogni corporali dell’uomo, dalla cuna sino alla tomba. Con non minore abbondanza, si diffonde intorno ai suoi bisogni spirituali: sette generi di sacrificio o sette opere di misericordia li sollevano. – 1° Istruire gli ignoranti. Il primo bisogno dell’anima è la verità. Il farla brillare ai suoi occhi, è altresì il primo bisogno che ispira lo Spirito di pietà. La bella antichità non era che una mandria di bruti. Composti di schiavi, i tre quarti del genere umano, e più ancora, vivevano senza Dio, senza fede, senza speranza, senza consolazione, senz’altra legge che i capricci dei loro padroni. Questi padroni, schiavi essi medesimi dello Spirito di tenebre, o disdegnavano, o ignoravano, o combattevano, o travisavano la verità. Ispirato dallo Spirito di pietà, l’amor fraterno delle anime ha mutato la faccia del mondo. Egli lo ha tratto dalla barbarie e gli impedisce di ricadervi. È desso che da un polo all’altro moltiplica gli organi della verità e, dall’entrare sino all’uscire dalla vita, accende i fari destinati a illuminare la via tenebrosa dell’umanità. È lui che ogni giorno trasporta al di là dei mari e fissa in mezzo alle tribù selvagge il missionario cattolico e la suora di carità. – 2° Correggere i peccatori. Appena l’uomo si è svegliato alla ragione, sente in sé la legge delle membra; con mille incitamenti questa potenza funesta lo trascina al male. L’avvertirlo col fine di prevenire la caduta; rialzarlo allorché cade; tale è nell’ordine spirituale il secondo beneficio dello Spirito di pietà. Chi potrebbe misurarne l’estensione? Preservare o guarire l’uomo da una malattia mortale, é un benefizio; dare la vista ad un cieco, è un beneficio; rimettere in sulla via il viandante smarrito che cammina a precipizio, è un benefizio. Ma preservare l’anima o guarirla dalla lebbra mortale del peccato; ripulire gli occhi del peccatore che non vede il suo’ male, che non vuole vederlo; fargli accettare il consiglio che egli respinge, la correzione che lo irrita, il soccorso della mano che lo ferma sull’orlo dell’abisso; non è forse un benefizio incomparabilmente più grande? Per realizzarlo, quali commoventi industrie, quali dolci parole, che sacrifici costosi alla natura e quanti mezzi ingegnosi sa ispirare lo Spirito di pietà! Ma altresì, non si conoscerà mai il numero delle anime, anime di giovani e di vecchi, anime di padri e di figli, che ha preservate o ritirate dal male, che ne preserva, o che ne ritrae ancora ogni giorno. – Consigliare i dubbiosi. Chi non ha bisogno di questo nuovo beneficio dello Spirito di pietà? L’uomo nasce avvolto nelle tenebre. Egli non ha per condursi che incerti barlumi della sua vacillante ragione. Con l’età, diviene lo zimbello della sua immaginazione e de’ suoi sensi. Nei suoi rapporti con i suoi simili, é troppo sovente esposto ad essere vittima degli artifizi altrui o delle sue proprie perplessità. Guai a lui se rimane abbandonato a se stesso; e maggior guaio, se non vuol consigli. “Prendere se medesimo per maestro, è farsi discepolo di uno stolto”. [“Qui se sibi magistrum constituit, se stulto discipulum subdit”]. S. Bern. – Ora è un fatto esperimentato, che la stoltezza, figlia dell’orgoglio, conduce alla rovina. Così, da un consiglio può dipendere la fortuna, l’onore ed anche la salute; per conseguenza nessuna elemosina più utile di un consiglio ispirato dallo Spirito di pietà. Quando il tribunale della penitenza non avesse altro scopo che di distribuirla, sarebbe ancora degno di tutte le benedizioni della terra. – 4° Consolare gli afflitti. Il patimento sotto tutti i nomi e sotto tutte le forme: tale è la vita dell’uomo su questa terra di prova. Mentre la moltitudine si affolla intorno ai fortunati del secolo, troppo sovente l’afflitto è lasciato solo coi suoi infortuni. Ispirando all’uomo una vera compassione per quegli che soffre, lo Spirito di pietà previene quest’atto di crudele egoismo. Mercé sua, qual differenza tra l’infelicità sotto l’impero del paganesimo, e l’infelicità sotto il regno del Cristianesimo! Là, una insensibilità stoica e quasi barbara, qui, cuori commossi e occhi che piangono. Là tutt’al più qualche parola, fredda come l’inesorabile destino; qui parole piene di speranza che rialzano il coraggio abbattuto, rendono la croce leggera, e vanno qualche volta sino a farla preferire ai più dolci godimenti. – Almeno quante lacrime rese meno amare, quanti sospiri prevenuti, quanti suicidi impediti! – 5° Sopportare pazientemente le ingiurie e gli altrui difetti. La consolazione aiuta a tollerare noi medesimi, la pazienza ci fa tollerare il prossimo. “Fai al tuo fratello, dice lo Spirito di pietà al cristiano, ciò che tu vuoi che egli ti faccia”. Egli ha i suoi difetti, e tu i tuoi. – Se tu vuoi che egli ti tolleri, tolleralo tu medesimo. – Portando reciprocamente il vostro fardello, voi l’allevierete e specialmente lo renderete meritorio. Egli ha parlato, ed i più opposti caratteri possono vivere insieme; e tante famiglie che diversamente sarebbero un inferno anticipato, divengono il soggiorno della concordia e il vestibolo del cielo. – 6° Perdonare di tutto cuore le offese. Tra il sopportare pazientemente un’ingiuria e perdonarla di buon cuore, grande è la differenza. La bocca può tacersi, e l’anima essere profondamente ulcerata. Quindi i lunghi e crudi rancori che fanno della vita una vergogna ed un supplizio. Ma ecco lo Spirito di pietà che dice all’orecchio del cuore ferito: “perdonateci le nostre offese, come noi perdoniamo a quelli che ci hanno offeso”. Da queste parole onnipotenti, sono usciti milioni di miracoli, più grandi della resurrezione di un morto. Il braccio si disarma, il risentimento si attutisce, il perdono cessa d’essere una vigliaccheria; e invece di passare per una gloria, la vendetta ripugna come un vergognoso delitto. – 7° Pregare per tutti e per coloro che ci perseguitano. Essere dimenticato durante la vita e soprattutto dopo la morte, ovvero non essere l’oggetto che di una memoria sterile, è una delle più crudeli crocifissioni del cuore. Lo Spirito di pietà è venuto a risparmiarcela. – Voi non dimenticherete, ci dice, né i morti, né i vivi, nemmeno quelli che vi perseguitano. Per tutti avrete degli utili ricordi; le vostre preghiere otterranno loro i beni che il vostro cuore desidera, ma che la vostra impotenza non vi permette di dar loro. Quel che hanno otténuto di favori e sollevato infortuni sulla terra e nel purgatorio queste semplici parole, nessuno lo saprà, se non nel giorno delle grandi manifestazioni, in cui ci sarà dato di vedere in tutta la sua estensione la fecondità inesauribile dello Spirito di pietà. – 3.° Qual è la necessità del dono di pietà? Noi ce ne appelliamo adesso a qualunque uomo imparziale, e gli domandiamo, se è possibile, anche dal punto di vista puramente umano, d’immaginare qualche cosa di più fecondo e di più necessario del dono di pietà! Se dato il caso, per impossibile, che egli esitasse a rispondere, consideri allora il dono di pietà sotto un altro aspetto. L’uomo (non cesseremo mai di ripeterlo) è posto tra due spiriti opposti: checché egli faccia, obbedisce all’uno o all’altro. – Se non è ispirato dallo Spirito di pietà, è spinto dallo spirito contrario. E qual è? lo Spirito d’invidia. [“Donum pietatis expellit Spiritum invidiae, quae crudelis est, et non potest pati alios bona habere, sed potius appetit sui malum cum pejori malo proximi”. S. Anton., VI p., tit. X, c. I]. – L’attristarsi del bene altrui, rallegrarsi del loro male: ecco l’invidia in se medesima. [“Invidia est alienae felicitatis tristitia, et in adversitate Laetitia”. S. Bonav. diaeta salutis, c. IV]. – Può immaginarsi niente di più perverso, di più vergognoso e di più antisociale? No, se non è l’invidia considerata nei suoi effetti. Quali sono? Mentre il dono di pietà intenerisce il cuore, lo nobilita, lo dilata e lo diffonde in effusioni d’amore su Dio e sull’uomo, l’invidia indurisce il cuore, lo degrada, lo restringe, lo rende malvagio e infelice. Verme nel legno, ruggine nel ferro, tignola nella stoffa: ecco l’invidia nel cuore. Essa lo rode e lo riempie d’ogni sorta di male, e lo spoglia di ogni sorta di bene. Se gli altri vizi sono opposti ad una virtù particolare, l’invidia è opposta a tutti. Come quelli uccelli notturni che la luce gli acceca, così l’invidioso non può tollerare lo splendore di nessuna virtù, di nessuna superiorità, di nessun vantaggio, di nessuna affezione che non s’indirizzi a lui. – Di qui nasce che l’invidia è appellata non una cattiva bestia, ma una bestia malvagissima. [“Unde non tantum dicitur mala, sed pessima. Haec est fera pessima quae devoravit Joseph”. S. Bonav., ubi supra]. – È l’invidia che ha perduto gli angeli nel cielo. È l’invidia che ha perduto i nostri progenitori nel paradiso terrestre. È l’invidia che ha reso Caino fratricida. È l’invidia che ha venduto Giuseppe. È l’invidia che ha crocifisso il Figliuolo di Dio. Se si volessero riferire tutte le nefandezze, gli avvelenamenti, le calunnie, gli odi, le ingiustizie, le divisioni, gli atti di crudele egoismo, vale a dire le vergogne, le disgrazie prodotte dall’invidia, bisognerebbe citare quasi tutte le pagine della storia dei popoli e delle famiglie; Liberare l’umanità da un simile flagello, è il beneficio riservato allo Spirito di pietà. Non è forse qualcosa? Come tutti gli altri, il dono di pietà è dunque un elemento sociale, che nessuna invenzione umana potrebbe sostituire.

 

Il cavaliere kadosh Achille Lienart (2)

Fr. Achille Liénart, confessava negli ultimi istanti sul letto di morte (nel 1973), che era un massone e incaricava il suo confessore di rivelare al mondo la sua confessione sul letto di morte, che egli, come un massone, ha partecipato alla trama ordita dalla massoneria per la distruzione della Chiesa cattolica.lienart 3

   Nel marzo del 1976, la rivista tradizionalista cattolica italiana, Chiesa Viva n. 51, pubblicava delle informazioni inerenti il lungo tempo di appartenenza segreta alla Massoneria del cardinale Achille Liénart, il prelato che aveva aiutato il percorso di Marcel Lefebvre in seminario, lo aveva ordinato al sacerdozio cattolico e poi lui stesso lo aveva consacrato vescovo. Durante i discorsi ha che ha tenuto a Minneapolis e a Montreal ai tradizionalisti nel 1976, Lefebvre stesso, aveva pubblicamente riconosciuto Liénart come suo Vescovo ordinante, e ben sapeva che era stato un massone … e che massone! Liénart, che una volta fu denominato da Lefebvre suo “padre spirituale”, aveva mantenuto un alto profilo come leader liberale di ispirazione massonica del Concilio Vaticano II, e veniva identificato, da un ex compagno massone, come un adoratore di satana ed un luciferiano. Al momento della sua morte, nel 1970, il Liénart apparentemente impenitente, si segnalò per essersi vantato che: “…umanamente parlando, la Chiesa cattolica è morta”. Egli ben sapeva il perché! Se qualcuno pensa che si tratti di accuse infondate, di calunnie gratuite, tirate fuori da qualche buontempone in vena di tiri mancini o rivalse personali, evidentemente non conosce, o fa finta di non conoscere, la figura di don Luigi Villa, l’unico sacerdote della Chiesa Cattolica ad aver mai ricevuto da un Sommo Pontefice, S. S. Pio XII, tramite il santo frate Pio da Pietrelcina, l’incarico di stanare gli adepti della massoneria infiltrati nella Chiesa Cattolica per destabilizzarla ed infine [si fieri potest] per distruggerla. Il sacerdote di Brescia ha ben operato in tal senso e la sua opera benemerita, evidentemente mal digerita dai segnalati di ogni appartenenza ed obbedienza, è ben conosciuta oramai in tutto il mondo. Infatti gli articoli della sua rivista “Chiesa Viva” nascevano da ponderate, oculate e ben documentate informazioni. A chi volesse contestarci su questo punto, consigliamo di cambiare interlocutore e rivolgersi direttamente ai collaboratori di don Luigi Villa, nel frattempo deceduto. – Qui di seguito è riportato un elenco cronologico degli eventi significativi della vita di Achille Liénart, riportati nella Newsletter n. 72 del defunto Hugo Maria Kellner, Ph.D., 9 Iroquois Strada, Caledonia, NY, del luglio 1977:

Nato a Lille, in Francia……………………..2-7-1884

Ordinato sacerdote . ………………………. 29 – 6 -1907

Entrato nella loggia Massonica a Cambrai………………il 15 ott. 1912

Divenne “Visitatore” in Massoneria di 18° grado. Cav. Rosa+croce,..…. 1919

Giunto al 30 ° grado cav. Kadosh ……………… 1924

Consacrato vescovo………………………… 12 – 8-1928

Ordinazione di Marcel Lefebvre al sacerdozio………… 21 – 9 -1929

Creato cardinale da Papa Pio XI…..…….. 6 – 30-1930

Consacrazione vescovile (invalida e sacrilega) di Marcel Lefebvre:18.9.1947 – Si noti che già 16 anni prima che venisse consacrato vescovo, Liénart era stato un membro della loggia massonica, e 4 anni prima aveva raggiunto il 30° grado, quello del cavaliere kadosh, il primo livello nel quale gli iniziati vengono informati dettagliatamente sui veri fini della Massoneria, come già segnalato e secondo quanto Albert Pike, supremo pontefice della Massoneria universale dell’epoca ammetteva: “Alla gente comune dobbiamo dire: “noi adoriamo un “dio”, ma un dio che si adora senza superstizione. A voi, Grandi ispettori Sovrani, diciamo ciò che si può ripetere ai fratelli dei gradi 32°, 31° e 30°: tutti noi iniziati degli alti gradi dovremmo mantenere la religione massonica nella “purezza della dottrina di lucifero”. Se, lucifero non fosse dio, ma lo fosse solo Adonay, il Dio dei cristiani, le cui gesta rivelano la sua crudeltà, la perfidia e l’odio dell’uomo, la sua barbarie e la repulsione per la scienza, Adonay ed i suoi sacerdoti lo calunnierebbero? Sì, lucifero è dio, e purtroppo Adonay è anche Dio. La filosofia religiosa nella sua purezza e verità consiste nella credenza in lucifero, al pari di Adonay “(Albert Pike, citato in A.C. de la Rive: La Femme et l’Enfant dans la Franc-Maçonnerie Universelle, pagina 588.). – La citazione di cui sopra non rappresenta una speculazione, ma è la testimonianza, oltre che un manifesto di intenzioni, di un esponente massonico le cui credenziali sono indiscusse. Albert Pike (1809-1891) è stato l’impareggiabile sommo sacerdote americano della massoneria. Nel 1859, Pike fu eletto Sovrano Gran Commendatore del Supremo Consiglio del Sud, del Rito Scozzese Antico ed Accettato, e più tardi divenne Gran Maestro Provinciale della Gran Loggia del Reale Ordine di Scozia negli Stati Uniti, ed è stato membro onorario di quasi tutti i Consigli Supremi nel mondo. Nel 1871, ha pubblicato il suo infame “Morale e Dogma”, un compendio di filosofia massonica, di terminologia, procedure, rituali, simbolismo e storia. – Alla luce delle ammissioni di Pike, e di quanto già riportato nel precedente articolo dal volume di Leon Meurin “Franc-Maçonerie, la synagogue de satan”, possiamo ben credere che Liénart fosse un luciferiano “consapevole” e “convinto” già quattro anni prima della sua consacrazione episcopale. Infatti, anche delle rivelazioni fatte in modo più preciso, riguardanti il sinistro “retroterra” del Liénart sono state pubblicate nel 1970 dal marchese de la Franquerie, nel suo libro: “L’infallibilité Pontificale”, che per la prima volta è stato presentato all’attenzione dei cattolici di lingua inglese dal già citato Dr. Hugo M. Kellner. Ora citiamo, dal paragrafo del libro del Marchese, che è stato presentato dal dottor Kellner nella Newsletter n° 72, il commento introduttivo del dottore: “Il nome completo dell’autore è André Henri Jean, Marchese de la Franquerie. Il Marchese è un segretario pontificio Ciambellano che vive a Luçon, Vendea, Francia, ed è riconosciuto come uno storico dotto con competenze specifiche nel campo della penetrazione della Gerarchia cattolica da parte della Massoneria in Francia, e delle attività massoniche del cardinale Rampolla, come il suo libro succitato dimostra. Il libro rivela l’atteggiamento ‘tradizionalista’ dell’autore. – “Il marchese discute, come indicato correttamente in “Chiesa viva”, del Cardinale Liénart alle pagine 80 e 81 del suo libro. A pagina 80 dice che Liénart era un satanista che ha partecipato a ‘messe nere.’ Dopo la descrizione del ruolo ben noto a supporto del Modernismo [la somma di tutte le eresie sec. S. Pio X] che ha giocato all’apertura del Vaticano II, il conciliabolo condannato anzitempo dalla bolla “Execrabilis” di Pio II, e di cui l’autore dice di aver ottenuto, in quel momento, delle informazioni esatte sul fatto che questo abbia avuto luogo per ordine del potere ‘Occulto, scrive:”Questo atteggiamento del cardinale non poteva sorprendere coloro che conoscevano la sua appartenenza alle logge massonico-luciferine”. Questo è stato il motivo per cui l’autore di questo studio ha sempre rifiutato di accompagnare il cardinale Liénart nelle cerimonie ufficiali come segretario-Ciambellano. – “‘Il Cardinale era stato iniziato in una loggia a Cambrai, il cui Venerato Fratello era Debierre. Frequentava abitualmente una loggia a Cambrai, tre a Lille, una a Valenciennes, e due a Parigi, di cui una era in modo particolare composta da parlamentari. Nell’anno 1919 venne designato come ‘Visiteur’ (grado 18°), poi, nel 1924, divenne 30° grado. Il futuro “cardinale” ha incontrato nelle logge il “Fratello” Debierre e Roger Solengro. Debierre è stato uno dei delatori del Cardinale Gasparri, che era a sua volta stato iniziato in America, e del Cardinale Hartmann, arcivescovo di Colonia, un “fratello” Rosa+croce”. – “‘E’ stato dato di incontrare a Lourdes un ex massone che, il 19 luglio 1932, era stato miracolosamente guarito da una ferita suppurata al piede sinistro da ben quattordici anni! Una guarigione riconosciuta dal Bureau di verifica. Questo signore miracolato, Mr. B. …, ci ha detto che ai tempi in cui frequentava una loggia luciferina, vi ha incontrato il Cardinale [Liénart] che egli riconobbe, rimanendo interdetto. ‘” – Liénart sarebbe naturalmente caduto in un’apostasia sempre più profonda dalla fede, nei dodici anni trascorsi dal giorno in cui aveva fatto il giuramento e si era assoggettato agli obblighi della Massoneria nel 1912. Inoltre, si sarebbe in tal modo necessariamente dedicato al rovesciamento della Chiesa, almeno dal momento della sua accettazione del 30° grado, quello di “cavaliere Kadosh” esaminato in precedenza, nel 1924, cioè quattro anni prima della sua “consacrazione” a Vescovo. In considerazione di quanto sopra, sembra essere più che ragionevole dubitare delle intenzioni di Achille Liénart nel ricevere gli ordini episcopali assunti al momento della sua consacrazione in modo assolutamente sacrilego ed usurpante la giurisdizione! – E’, ovviamente, impossibile esagerare l’importanza della corretta intenzione per invalidare la ricezione del Sacramento dell’Ordine, che per una volontà contraria rende nullo il Sacramento. A questo proposito, la Chiesa insegna: “Ogni battezzato di sesso maschile che sia in grado di aver intenzione di ricevere il Sacramento [degli Ordini sacerdotali o episcopali] può farlo validamente” (William E. Addis & Thomas Arnold, “Dizionario cattolico”, pagina 627, 1885). Alcuni hanno teorizzato che Liénart avesse voluto ricevere gli ordini episcopali per uno scopo malefico, e quindi diventare vescovo valido. Ma anche se ciò fosse vero, il suo conferimento degli Ordini sacri a Lefebvre avrebbe richiesto l’intenzione di fare ciò che la Chiesa intende, quella stessa Chiesa che, per gli obblighi del suo alto ufficio massonico di 30° grado di cavaliere kadosh, ha giurato di rovesciare. Inoltre, uno dei principali mezzi con cui la “loggia” ha da sempre cercato di distruggere la Chiesa, è stato quello di invalidare i suoi Sacramenti e di renderli sacrileghi, “abominio agli occhi di Dio”! Questo fatto è stato definitivamente stabilito nel lavoro classico, “Il corpo mistico di Cristo e la riorganizzazione della società” (1943), di p. Denis Fahey, CSSp., che è stato una delle principali autorità e studioso della Massoneria nel corso del XX secolo. Pertanto, qualsiasi ordinazione fatta da Liénart può essere considerata discutibile [nulla o, ancor peggio, sacrilega], per due motivi: per gli ordini episcopali propri del Liénart e poi per la sua non retta intenzione di amministrare i Sacramenti della Chiesa. Non dimentichiamo mai nello stesso tempo la bolla di Paolo IV “Ex Apostolatus officio”, confermata in pieno da S. Pio V, nella quale è detto che: “Esordio: Impedire il Magistero dell’errore – Poiché, a causa della carica d’Apostolato affidataci da Dio, benché con meriti non adeguati, incombe su di noi il dovere d’avere cura generale del gregge del Signore. E siccome per questo motivo, siamo tenuti a vigilare assiduamente per la custodia fedele e per la sua salvifica direzione e diligentemente provvedere come vigilante Pastore, a che siano respinti dall’ovile di Cristo coloro i quali, in questi nostri tempi, indottivi dai loro peccati, poggiandosi oltre il lecito nella propria prudenza, insorgono contro la disciplina della vera ortodossia e pervertendo il modo di comprendere le Sacre Scritture, per mezzo di fittizie invenzioni, tentano di scindere l’unità della Chiesa Cattolica e la tunica inconsutile del Signore, ed affinché non possano continuare nel magistero dell’errore coloro che hanno sdegnato di essere discepoli della verità. 1 – Finalità della Costituzione: Allontanare i lupi dal gregge di Cristo. – Noi, riteniamo che una siffatta materia sia talmente grave e pericolosa che lo stesso Romano Pontefice, il quale agisce in terra quale Vicario di Dio e di Nostro Signore Gesù Cristo ed ha avuto piena potestà su tutti i popoli ed i regni, e tutti giudica senza che da nessuno possa essere giudicato, qualora sia riconosciuto deviato dalla fede possa essere redarguito (possit a fide devius, redargui), e che quanto maggiore è il pericolo, tanto più diligentemente ed in modo completo si debba provvedere, con lo scopo d’impedire che dei falsi profeti o altre persone investite di giurisdizione secolare possano miserevolmente irretire le anime semplici e trascinare con sé alla perdizione ed alla morte eterna innumerevoli popoli, affidati alle loro cure e governo per le necessità spirituali o temporali; né accada in alcun tempo di vedere nel luogo santo l’abominio della desolazione predetta dal Profeta Daniele, desiderosi come siamo, per quanto ci è possibile con l’aiuto di Dio e come c’impone il nostro dovere di Pastore, di catturare le volpi indaffarate a distruggere la vigna del Signore e di tener lontani i lupi dagli ovili, per non apparire come cani muti che non hanno voglia di abbaiare, per non subire la condanna dei cattivi agricoltori o essere assimilati al mercenario. 2 – Approvazione e rinnovo delle pene precedenti contro gli eretici – Dopo approfondito esame di tale questione con i nostri venerabili fratelli i Cardinali di Santa Romana Chiesa, con il loro parere ed unanime consenso, Noi, con Apostolica autorità, approviamo e rinnoviamo tutte e ciascuna, le sentenze, censure e pene di scomunica, sospensione, interdizione e privazione, in qualsiasi modo proferite e promulgate contro gli eretici e gli scismatici da qualsiasi dei Romani Pontefici, nostri predecessori o esistenti in nome loro, comprese le loro lettere non collezionate, ovvero dai sacri Concili ricevute dalla Chiesa di Dio, o dai decreti dei Santi Padri, o dei sacri canoni, o dalle Costituzioni ed Ordinamenti Apostolici, e vogliamo e decretiamo che essi siano in perpetuo osservati e che si torni alla loro vigente osservanza ove essa sia per caso in disuso, ma doveva essere vigenti; inoltre che incorrano nelle predette sentenze, censure e pene tutti coloro che siano stati, fino ad ora, sorpresi sul fatto o abbiano confessato o siano stati convinti o di aver deviato dalla fede, o di essere caduti in qualche eresia, od incorsi in uno scisma, per averli promossi o commessi, di qualunque stato (uniuscuiusque status), grado, ordine, condizione e preminenza essi godano, anche se episcopale (etiam episcopali), arciepiscopale, primaziale o di altra maggiore dignità (aut alia maiori dignitate ecclesiastica) quale l’onore del cardinalato o l’incarico (munus) della legazione della Sede Apostolica in qualsiasi luogo, sia perpetua che temporanea; quanto che risplenda con l’autorità e l’eccellenza mondana quale la comitale, la baronale, la marchionale, la ducale, la regia o imperiale. 3 – Sulle pene da imporre alla gerarchia deviata dalla fede. Legge e definizione dottrinale: privazione «ipso facto» delle cariche ecclesiastiche. – Considerando non di meno che, coloro i quali non si astengano dal male per amore della virtù, meritano di essere distolti per timore delle pene e che i vescovi, arcivescovi, patriarchi, primati, cardinali, legati, conti, baroni, marchesi, duchi, re ed imperatori, i quali debbono istruire gli altri e dare loro il buon esempio per conservarli nella fede cattolica, prevaricando peccano più gravemente degli altri in quanto dannano non solo se stessi, ma trascinano con se alla perdizione nell’abisso della morte altri innumerevoli popoli affidati alla loro cura o governo, o in altro modo a loro sottomessi; Noi, su simile avviso ed assenso (dei cardinali) con questa nostra Costituzione valida in perpetuo (“perpetuum valitura”), in odio a così grave crimine, in rapporto al quale nessun altro può essere più grave e pernicioso nella Chiesa di Dio, nella pienezza della Apostolica potestà (“de Apostolica potestatis plenitudine”), sanzioniamo, stabiliamo, decretiamo e definiamo (“et definimus”), che permangano nella loro forza ed efficacia le predette sentenze, censure e pene e producano i loro effetti, per tutti e ciascuno (“omnes et singuli”) dei vescovi, arcivescovi, patriarchi, primati, cardinali, legati, conti, baroni, marchesi, duchi, re ed imperatori i quali, come prima è stato stabilito fino ad oggi, siano stati colti sul fatto, o abbiano confessato o ne siano stati convinti per aver deviato dalla fede o siano caduti in eresia o siano incorsi in uno scisma per averlo promosso o commesso, oppure quelli che nel futuro, siano colti sul fatto per aver deviato dalla fede o per esser caduti in eresia o incorsi in uno scisma, per averlo suscitato o commesso, tanto se lo confesseranno come se ne saranno stati convinti, poiché tali crimini li rendono più inescusabili degli altri, oltre le sentenze, censure e pene suddette, essi siano anche (sint etiam), per il fatto stesso (eo ipso) e “senza bisogno di alcuna altra procedura” di diritto o di fatto, (absque aliquo iuris aut facti ministerio) interamente e totalmente privati in perpetuo (“penitus et in totum perpetuo privati”) dei loro Ordini, delle loro chiese cattedrali, anche metropolitane, patriarcali e primaziali, della loro dignità cardinalizia e di ogni incarico di Legato, come pure di ogni voce attiva e passiva e di ogni autorità, nonché‚ di monasteri, benefici ed uffici ecclesiastici (“et officiis ecclesiasticis”) con o senza cura di anime, siano essi secolari o regolari di qualunque ordine che avessero ottenuto per qualsiasi concessione o dispensa Apostolica, o altre come titolari, commendatari, amministratori od in qualunque altra maniera e nei quali beneficiassero di qualche diritto, benché saranno parimenti privati di tutti i frutti, rendite e proventi annuali a loro riservati ed assegnati, anche contee, baronie, marchesati, ducati, regni ed imperi; inoltre, tutti costoro saranno considerati come inabili ed incapaci (inhabiles et incapaces) a tali funzioni come dei “relapsi” [ribelli –ndr. -] e dei sovversivi in tutto e per tutto (in omnibus et per omnia), per cui, anche se prima abiurassero in pubblico giudizio tali eresie, “mai ed in nessun momento potranno essere restituiti, rimessi, reintegrati e riabilitati nel loro primitivo stato” nelle chiese cattedrali, metropolitane, patriarcali e primaziali o nella dignità del Cardinalato od in qualsiasi altra dignità maggiore o minore, (“aut quamvis aliam maiorem vel minorem dignitatem”) nella loro voce attiva o passiva, nella loro autorità, nei loro monasteri e benefici ossia nella loro contea, baronia, marchesato, ducato, regno ed impero; al contrario, siano abbandonati all’arbitrio del potere secolare che rivendichi il diritto di punirli, a meno che mostrando i segni di un vero pentimento ed i frutti di una dovuta penitenza, per la benignità e la clemenza della stessa Sede, non siano relegati in qualche monastero od altro luogo soggetto a regola per darsi a perpetua penitenza con il pane del dolore e l’acqua dell’afflizione. – Essi saranno considerati come tali (ribelli e sovversivi) da tutti, di qualunque stato, grado, condizione e preminenza siano e di qualunque dignità anche episcopale, arciepiscopale, patriarcale, primaziale o altra maggiore ecclesiastica anche cardinalizia, ovvero che siano rivestiti di qualsiasi autorità ed eccellenza secolare, come la comitale, la baronale, la marchionale, la ducale, la regale e l’imperiale, e come persone di tale specie dovranno essere evitate (evitari) ed escluse da ogni umana consolazione” [“Vitandi”-ndp.].- Non abbiamo mai letto nulla di più chiaro, esaustivo e autoritario, senza alcuna possibilità di ribattuta,[almeno in persone che conservano sanità mentale ed il lume della ragione]. [il grasseto è redazionale]. Si tratta quindi di scomunica maggiore, ipso facto, con appellativo espresso di “vitando”, il peggiore che possa mai essere pronunziato! Ne vedremo più avanti anche le pene canoniche, comminate per questi delitti contro la fede, lo Spirito Santo: verità impugnata, ostinazione e impenitenza finale! – “ … A questo punto, quindi, gli ordini di “tutto” il clero, ordinato e consacrato dai “figli spirituali del cavaliere”, non sarebbero doppiamente sospetti [si tratta di un eufemismo, evidentemente]?

lefebvre e tisser.

M. Lefebvre e l’agente della massoneria Tysserand

   Altri ribattono che quant’anche questa fosse stata la condizione di Lienart, i suoi consacrati non sarebbe privi dell’Ordinazione episcopale poiché questa comunque era assicurata dalla presenza, al momento della sua consacrazione, di due Vescovi co-consacranti insieme con Liénart. Tuttavia, se un consacrando Vescovo non è già in precedenza Sacerdote, non può essere consacrato Vescovo. La vera essenza della Consacrazione episcopale si esprime con le parole sacramentali, che conferiscono “la pienezza del sacerdozio.” Così, è stato affermato dalla stragrande maggioranza delle opinioni teologiche e da lunga data è consuetudine, nella Chiesa, che il possesso degli ordini sacerdotali validi è un prerequisito necessario, indispensabile, per l’elevazione alla carica di Vescovo. San Tommaso scrive al proposito: “il potere vescovile dipende dal potere sacerdotale, poiché nessuno può ricevere il potere vescovile se non ha già il potere sacerdotale. Pertanto l’episcopato non è un Ordine.” (Summa Theologica, Supp. 40, 5). – Pertanto, non sarebbe corretto mettere in dubbio gli ordini episcopali del “consacrato del cavaliere”? … così come è giusto essere diffidenti nei confronti di qualsiasi Sacramento incerto, o sospetto sacrilego, come nel caso della cosiddetta “nuova messa”, nella quale si offrono i frutti del lavoro dell’uomo al “signore dell’universo”? – Queste domande sono forse troppo difficili da valutare per coloro che hanno riposto tutte le loro speranze su cappellucce, istituti, società “tradizionaliste” di “sacerdoti” che sono venuti alla ribalta, con grande fanfara e scoppi di petardi, come i salvatori dei fedeli residui, mediante il supporto di una campagna sapientemente orchestrata e preparata dagli avversari della Chiesa. Se un tale scenario sembra troppo orribilmente cupo per ammettere che provenga da Dio, si consideri questo: il Papa Leone XIII dichiarò gli Ordini anglicani non validi a causa dell’ “intenzione difettosa”, 350 anni dopo la loro introduzione da parte della Chiesa d’Inghilterra. Milioni di anime per molte generazioni sono state influenzate negativamente prima che Roma esprimesse un giudizio definitivo in materia. Allo stesso modo, le ordinazioni sacerdotali messe in atto con il rito dell’ordinazione della contro-chiesa “riformata”, (una copia carbone prossima al rito anglicano, e per certi aspetti ancor peggiore), in uso oggi, richiederanno sicuramente una dichiarazione radicale di nullità da parte della “vera” Chiesa cattolica “fuoriuscita dall’eclissi attuale” in un giorno futuro. Ma nel frattempo, la “società” del “figlio spirituale del cavaliere” ed i lupi solitari da essa fuoriusciti, continuano a riconoscere gli ordini sacerdotali della contro-chiesa “cattolica”, la chiesa oggi contraffatta, fino al punto da incorporare, in alcune delle sue cappelle, “sacerdoti” ordinati col rito del Novus Ordo, senza nemmeno far passare queste ordinazioni attraverso provvedimenti di “correzione” (e meno male …!). – Lefebvre stesso ha riconosciuto che Achille Liénart era un massone, e lo si può ascoltare in un discorso che, registrato su nastro, fece a Montreal, Canada il 27 maggio 1976, dichiarando [falsamente] che questo però non incideva sulla validità e liceità dei suoi ordini. – Gli apologeti del “figlio spirituale del cavaliere” sostengono che, poiché la Chiesa ha sempre accettato gli ordini conferiti dal massone Talleyrand, anche quelli di Liénart debbano quindi essere riconosciuti. Ma tutto questo è falso, come si può facilmente dimostrare: Talleyrand, fu Consacrato vescovo di Autun, in Francia, nel 1789, lo stesso anno cioè della Rivoluzione francese. Inizialmente si oppose alla rivolta perché essa aveva “smembrato la Francia”, ma due anni più tardi, capitolò davanti al movimento democratico, ed approvò pubblicamente la “costituzione rivoluzionaria civile del clero”, che portò alla confisca della sua sede nel 1791, e la scomunica da Roma, poi revocata a causa del suo pentimento sul letto di morte. – Talleyrand, che è anche accusato di aver inserito i livelli inferiori della Franco-massoneria, aveva consacrato diversi Vescovi, che tuttavia sono stati riconosciuti dal Vaticano. Né prima né dopo la propria Consacrazione, si è evidenziato che Talleyrand avesse mai cercato di svolgere una “sceneggiata” in vesti episcopali, per favorire il rovesciamento della Chiesa, bensì le sue azioni erano in ogni caso alla luce del sole, e sono state motivate da mero opportunismo. Piuttosto che un “agente segreto” in combutta con i nemici della Chiesa, Talleyrand era un opportunista consumato che cambiava i cappelli come meglio si adattavano alle proprie ambizioni politiche, ritrattando poi i suoi errori sul letto di morte. La sua carica di Vescovo venne esercitata per appena due anni, consentendogli il tempo solo per l’introduzione di un apprendista della Massoneria, e consacrò poi comuni Vescovi. Così i Vescovi consacrati da Talleyrand e dai suoi co-consacranti (che non erano massoni), sono stati giustamente ritenuti validi perché già “legittimamente” ordinati sacerdoti anni prima, dal momento che non sono mai state loro attribuite carenze sacerdotali che ne avessero suggerito il contrario. – D’altra parte, tra una cerchia sempre più ampia di Cattolici, l’eventuale nullità o illiceità del clero di “fraternità” o “istituti” vari, viene considerata come la migliore spiegazione per l’instabilità di questi “sacerdoti” e l’alto tasso di fuoriusciti dal proprio gruppo, (come nella nuova “chiesa”), o il passaggio da un gruppetto all’altro. Scandali coinvolgenti, lotte intestine, divisioni, azioni da donnaioli, cause distruttive sulla proprietà, calunnie e alienazioni di buone famiglie, contenziosi faziosi, procedure irregolari, senza contare le tendenze giansenistiche, gallicane e fallibiliste, sono caratteristiche di questo corpo di “sacerdoti” fin quasi dall’inizio dell’attività missionaria della società, che iniziò nella metà degli anni 1970. Questi mali, dai quali essi sono invariabilmente affetti, sono di solito attribuiti ad intemperanze “giovanili” o a “scarsa formazione,” ma è ora chiaramente evidente che c’è qualcosa di molto più profondo di viziato e sbagliato nel clero della società: il sacrilegio palese. – Questo non è molto probabilmente un “colpo di fortuna” o un “incidente”, ma è probabile che sia un colpo “da maestro” del nemico, che, sulla scena politica, ha sempre incuriosito onde impostare la propria opposizione fasulla; uno stratagemma simile avrebbe senso solo nell’ambito ecclesiastico. Ci potrebbe essere forse un mezzo più efficace per neutralizzare il movimento Cattolico tradizionale, della creazione di un quasi monopolio sulla “Messa tridentina”, da parte di una “società” di preti e vescovi fasulli o peggio ancora illeciti e sacrileghi? Centri di resistenza cattolica presidiati da sacerdoti invalidi andrebbero presto in preda all’autodistruzione. Gli intelletti, e forse anche le anime, di quelli che vi aderiscono, sarebbero man mano oscurati. I fedeli sarebbero sedati rispetto al cambio di gestione del culto, mentre la “chiesa conciliare” potrebbe continuare nella sua corsa rovinosa per le anime, senza impedimenti! – Nel processo, i buoni ma più anziani sacerdoti, che possiedono la formazione e l’esperienza antecedente al temuto conciliabolo, spesso sono sottovalutati da laici ingenui e disperati, per le rassicurazioni rilassanti (di una continuità di preti e sacramenti) da una società che è stata creata per “tirare da sotto il tappeto” la Chiesa cattolica “residua” al momento opportuno, in futuro, quando cioè la maggior parte di tutto il clero valido sarà deceduta, e quindi la resistenza sembrerà senza speranza. – Che cosa deve dunque fare un Cattolico durante questa terribile crisi? In primo luogo, evitare tutto ciò che è discutibile per quanto riguarda i Sacramenti. Papa Innocenzo XI dichiarò che nel conferimento e la ricezione dei Sacramenti, non è mai permesso adottare una linea “probabile” di condotta per la loro validità, abbandonando la più sicura. (Vedi: Denzinger, # 1151; Morale e Teologia Pastorale, Vol 3, “I sacramenti, l’uso di pareri probabili”, pagina 27). In secondo luogo, ricevere i Sacramenti solo dai residui sacerdoti più anziani, che offrono la vera Messa in comunione non con il falso-papa imposto dalle conventicole, e la cui ordinazione è indiscutibilmente valida. In terzo luogo, avere fede in Dio Onnipotente, che conosce tutte le cose e protegge la Sua Chiesa dall’oblio a Suo modo e a Suo tempo. Pregare ogni giorno il Rosario. Infine, pregare incessantemente il Cielo perché, per amore degli eletti, vengano abbreviati questi giorni, e la “chiesa delle Tenebre” lasci Roma per far posto alla vera, legittima Gerarchia, e al vero “Papa”. – Sul tema degli scomunicati e degli “illeciti” sacrilegi commessi dagli scomunicati “vitandi” o anche solo “ipso facto”, quelli che gridano brindando, pugnale all’aria: “Adonai nokem!” parleremo ancora a breve prossimamente. Per noi la questione invero già da tempo sarebbe conclusa, ma vogliamo continuare ancora per dimostrare l’assoluta malafede e devianza dal codice canonico e quindi dall’autentico Magistero pietrino di coloro che, sotto la “mascherina” della Messa di sempre, e sotto un magistero aggiustato a loro uso e consumo, balbettando formulette in latino, ingannando tanti incauti e sprovveduti che spesso in buona fede credono di recuperare un cattolicesimo di “tradizione” a buon mercato, nascondono la loro bocca avida di anime da divorare e consegnare al nemico dell’uomo e di Dio. (continua …)

Lo strana sindrome di nonno Basilio: 29

Lo strana sindrome di nonno Basilio 29

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     Esimio direttore, eccomi ancora alla sua cortese attenzione per renderla partecipe delle mie strane vicende che si susseguono ininterrottamente creandomi non poche perplessità che voglio sottoporre a lei perché possa aiutarmi, magari con la collaborazione di qualche suo lettore, a dipanare una matassa sempre più complicata. Mi trovavo nel mio studiolo con nelle mani la mia “Vulgata”, la Bibbia tradotta da S. Girolamo in latino ed approvata solennemente dal Concilio Tridentino, l’unica della quale mi fido, viste le recenti “papocchiate” ecumeniche, zeppe di errori teologici e sviste di ogni genere, letterali, grammaticali ed interpretative ad uso e consumo postconciliare, spesso ridicole e fuorvianti nell’emulare le libere fantasie protestanti. Leggevo per la cronaca il terzo capitolo del Deuteronomio, al versetto 11: “solus quippe Og rex Basan restiterat de stirpe gigantum monstratur lectus ejus ferreus qui est in Rabbath filiorum Ammon novem cubitos habens longitudinis et quattuor latitudinis ad mensuram cubiti virilis manus” (perché Og, re di Basan, era rimasto l’unico superstite della stirpe dei giganti (i refaim). Ecco, il suo letto, un letto di ferro, non è forse a Rabbath degli Ammoniti? Ha nove cubiti di longitudine e quattro di latitudine, secondo il cubito di un uomo). Nella Bibbia vernacolare attuale, non c’è il riferimento ai quattro cubiti di longitudine, (chissà perché le menti eccelse che l’hanno tradotta nella versione CEI l’hanno omessa?… un altro mistero ecumenico?). La cosa mi appassiona, (io sono un tipo curioso, penso che se ne sia già accorto …), e vado a controllare il testo ebraico e, come dice S. Agostino quando c’è qualche cosa che non convince, a consultare il testo greco dei “Settanta”, e trovo in entrambi i casi l’espressione ben tradotta da S. Gerolamo. Ora mi chiedo, che bisogno c’era di precisare questo particolare, apparentemente insignificante, circa le dimensioni di un letto di ferro di un re peraltro sconosciuto e di scarso interesse storico e teologico? E data la mia curiosità, vado a documentarmi subito sul “cubito” sulla mia inseparabile “Enciclopedia cattolica”, che non mi tradisce mai, un’opera ineguagliabile per chiarezza e dottrina, monumento alla verità, di cui i “modernisti” … ed i falsi tradizionalisti, per non essere colti in fallo, impediscono la ristampa e tengono ben occultati i pochi esemplari esistenti nei bassi delle biblioteche diocesane, come mi dice sempre mia nipote Caterna, una ragazza che di me ha ereditato la curiosità e la tenacia nella ricerca (… modestamente … mi perdoni la auto-sviolinata!). Alla colonna 1032 del III volume, leggo che il cubito ebraico (‘ammah) comune era di 6 palmi e 24 dita (458 mm.), mentre per le costruzioni sacre si usava il cubito grande di 7 palmi che corrispondeva a 525-530 mm.; analogo riferimento alle misure in cubiti si trova nei capitoli 40 e 43 di Ezechiele. Questo significa quindi che questo letto di ferro, misurava (mi faccio aiutare dalla mia calcolatrice … sa, l’età e la mia squassata memoria potrebbe fare brutti scherzi …!): 2 metri e 10 cm. in larghezza e 4 metri 70 cm. in altezza. Così soddisfatta la mia curiosità sfoglio un po’ a caso questo terzo volume della citata Enciclopedia, e l’occhio cade sulla colonna 955: “dimensioni della croce” ove si dice tra l’altro che la croce usata nella crocifissione per un uomo di 1 metro e 70 cm. di altezza, era alta “complessivamente” 4 metri e ½. Resto sbigottito!, direttore … ma questa è la misura longitudinale del letto di Gog re di Basan, e si intuisce che anche l’altra misura si adatta bene alle dimensioni di un uomo crocifisso di circa 1 metro e 80; ovverosia le misure riportate nel testo del Deuteronomio sono quelle della croce di Cristo, letto durissimo, altro che ferro, sul quale ha patito ed è morto Nostro Signore Gesù Cristo. Nel Pentateuco, quindi, già erano state già fissate, millenni prima, le misure del patibolo del Messia, di modo che, ed in particolare il popolo eletto, si potesse riconoscere facilmente il proprio Salvatore e Re, così come Pilato aveva fatto scrivere sulla croce, le cui dimensioni sono esattamente quelle del letto di ferro minuziosamente riportate. Come è allora possibile che proprio chi possedeva le chiavi appropriate per la comprensione del mistero redentivo, non abbia e non voglia nemmeno oggi comprendere la verità, alla quale invece cerca ostinatamente di resistere opponendo un rifiuto incoerente, cocciuto, assurdo, che sfida apertamente Dio e tutta la tradizione mosaica dell’antica e vera Sinagoga? Pensi, caro direttore, che si arriva oggi finanche a negare la lettura del capitolo LIII di Isaia, tacciandolo di esoterismo (!?!), per cui nella lettura dei sacri testi si salta dal capitolo 52 al 54 omettendo il capitolo in cui, tanto per ricordarlo a qualche lettore distratto, si legge: “Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci da’ salvezza si è abbattuto su di Lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti”. (Isaia LIII,5). Ma chi è allora, mi, e le chiedo, “Chi ci ha guarito con le sue piaghe?” Noi Cristiani lo sappiamo molto bene, a differenza di quelli che ci perseguitano a causa della “croce di Cristo”. Il mio pensiero va subito a San Paolo, che in un impeto di gioia, impeto che ci dovrebbe accomunare tutti, esplode in “Galati VI” nel celeberrimo versetto 14: “Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo”. In questo momento arriva Mimmo, mio nipote, che mi chiede come mai sia diventato rosso come un pomodoro! “Mimmo, ma è la croce di Cristo che mi infiamma! Vedi, caro nipote, è la Croce che dà forma alla Chiesa, lo spargimento del Sangue di Nostro Signore, con la sua morte in Croce, costituisce la causa meritoria della nostra salvezza eterna. È dalla Croce che ci viene ogni beneficio spirituale, ogni grazia e l’efficacia dei Sacramenti. Per questa ragione, la Chiesa, da sempre, ha voluto esaltare il Crocifisso, offrendolo continuamente alla contemplazione dei suoi fedeli. Dunque, tutta la spiritualità cattolica è basata sulla Croce! Ma Gesù Cristo crocifisso non è solo la causa meritoria della nostra Redenzione, Egli è anche la causa esemplare della nostra vita. Egli è obbligatoriamente modello per ogni anima che vuole salvarsi e santificarsi. Togliere dai nostri occhi il Crocifisso significa perdere il senso del dolore, significa perdere il senso della vita. Ecco perché il Crocifisso, forma simbolica della nostra Religione, ha improntato la stessa “pianta” della chiesa, racchiudendo in essa un universo simbolico che ha conferito al suo edificio il carattere di luogo sacro”. E mi sovviene l’insegnamento dello zio Tommaso, che si intendeva anche di un po’ di architettura sacra, com’è logico per un ministro della Chiesa di Cristo; ci ricordava che“tra l’VIII e il XI secolo si impose, nell’edilizia ecclesiastica occidentale, la pianta a forma di croce (croce “latina”, cioè con assi di lunghezza diversa), che riprendeva la forma simbolica per eccellenza della Religione cristiana. Il braccio corto della croce (transetto) distingue nettamente il presbiterio dalla navata centrale” .Egli ci ricordava spesso che nella maggior parte delle “piante” delle chiese del Medio Evo, dal XI al XIV secolo, si osserva che l’asse della navata e quello del Coro formano una linea spezzata al transetto. È un simbolismo commovente; è un atto di fede sublime agli occhi di un architetto cristiano!” “Ma che volevano veramente gli architetti di quei tempi di Fede?” mi chiede il povero Mimmo, la cui cultura in materia è molto scarsa … “Ma è ovvio – rispondo – innalzare Basiliche, Templi, ove poter rinnovare degnamente il “Sacrificio” della Messa, memoriale vivente del Sacrificio di Cristo sul Calvario. Per questo, volevano ricordare la Vittima del Golgota, attaccata alla Croce. Ed ecco là, la Croce, sola, immensa, la navata e il transetto rappresentare il corpo e le braccia allargate. L’altare centrale rappresenta la testa augusta del Dio immolato, e le cappelle, a raggiera attorno all’abside, formano la corona gloriosa che cinge la fronte del Salvatore del mondo. Memori, poi, che l’Evangelista ha scritto che Gesù “inclinato capite, tradidit spiritum” (inclinato il capo, rese il Suo Spirito), i costruttori di cattedrali hanno volontariamente inclinato il coro sulle braccia del transetto e la testa verso le spalle”. Ecco perché entrando in una chiesa antica ci si sente immediatamente immersi in un’atmosfera spirituale che innalza l’animo a Dio Trino. In questo frangente entra pure Caterina, che sentendoci parlare di crocefisso dice: “Che ne pensi nonno di questa sentenza di un tribunale padano che per mantenere il crocifisso nelle aule scolastiche afferma: “Non si può pensare al crocifisso esposto nelle aule scolastiche come ad una suppellettile, oggetto di arredo, e neppure come ad un oggetto di culto; si deve pensare piuttosto come ad un simbolo idoneo ad esprimere l’elevato fondamento dei valori civili sopra richiamati, che sono poi i valori che delineano la laicità nell’attuale ordinamento dello stato.” “Ne deriverebbe allora che, nientemeno, il Crocifisso può essere esposto nelle aule scolastiche in quanto simbolo della “laicità?” Direttore, ma io resto sconcertato, come è possibile tale ipocrisia? Leggo e vedo che tutta la sentenza è argomentata in questo modo, così che il Crocifisso deve restare al proprio posto, non perché non si può imporre alla maggioranza dei Cattolici presenti in aula e a scuola un punto di vista esclusivo e di parte, non perché si offende la sensibilità religiosa dei Cattolici, non perché il Crocifisso è “il” simbolo dei cristiani, non perché la pretesa di rimozione addotta è blasfema: ma perché,- ascolti bene – in uno Stato laico, il Crocifisso èsimbolo idoneo ad esprimere l’elevato fondamento dei valori civili sopra richiamati, che sono i valori che delineano la laicità nell’attuale ordinamento dello Stato.” Ed è tale ancor di più, sembra, proprio per la sua presenza nelle aule scolastiche! E senti questa, dice ancora Caterina, l’UNESCO, vuole inserire il crocifisso nel patrimonio dell’umanità! … come le pietre disastrate degli antichi monumenti, gli edifici diroccati del paganesimo più abietto, amenità turistiche varie, luoghi caratteristici di eventi storici … “Incredibile, inaccettabile, ma stiamo scherzando? – sbotta Caterina all’improvviso, presa quasi da un raptus di zelo ardente … E basta! Non se ne può più di questi trucchi imposti dalle conventicole giudaizzanti, sostenute vigliaccamente dagli adepti ipocriti della quinta colonna di una gerarchia ridicola ed oramai ampiamente discreditata! Basta con l’offesa alla Religione Cattolica! Basta con l’equiparazione di Cristo ad un qualsiasi politicante moderno, a quattro pietre diroccate, a qualche barbaro di storica memoria! Basta con la riduzione al minimo di ogni sacrosanto sentire dei credenti!  Di questo “crocifisso” con la lettera minuscola, mantenuto a scuola per fare da sostegno alla massoneggiante Costituzione della Repubblica Italiana oramai diluita in una delle unioni che confluiranno nell’ordine mondiale dittatoriale planetario [questa poi l’avrà presa dallo zio Pierre, … si capisce, no?], si, quella che ha come vessillo il satanico pentacolo in una ruota dentata, di questo simbolo messo lì per dileggio, non ce ne importa niente! Tenetevelo, egregi signori, mettetelo pure tra le tante ridicole idiozie del patrimonio dell’umanità, di quell’umanità dominata dal “signore dell’universo”, dallo spirito malvagio del “principe di questo mondo”. “E non pensino, caro direttore, aggiungo io, di poterci prendere per i fondelli con trucchi del genere!” – Noi gridiamo: “… e no, noi non ci stiamo!”, No ai “nemici di tutti gli uomini” ed ai loro lecchini sciocchi, che quando non serviranno più saranno buttati nella fogna, ai “decorati” con medaglioni e grembiulini colorati, imboscati in ridicole conventicole, … no ai pastori infingardi, finti e marrani che non si curano del gregge, anzi lo divorano con avidità!! Lo comprendiamo bene: questi reprobi delle razza degli ofidi, quando vedono il crocifisso, dai loro geni, dai cromosomi di tutte le loro cellule si ravviva la memoria del “… non costui, ma Barabba!…crocifiggilo, crocifiggilo” e del “… il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli” (Matth. XXVII-25) … e il dolore della loro anima è intenso, insopportabile, insopprimibile, incurabile! E allora, direttore, suggeriamo loro l’unica terapia efficace: “Le parole che i vostri padri hanno pronunciato: «Sanguis ejus super nos et super filios nostros», ripetetele anche voi, però non in tono di sfida audace come duemila anni fa, ma con un rispetto religioso; con tutta la fiducia che si deve alla misericordia divina, e vedrete compirsi la profezia di Zaccaria…:“Effonderò sulla casa di David e sugli abitanti di Gerusalemme lo spirito di misericordia e di preghiera: Allora ESSI MIRERANNO A COLUI CHE HANNO TRAFITTO e faranno su di Lui il lamento che si fa per la morte di un figlio unico… In quel tempo invocherà il mio nome ed io lo esaudirò… Allora MI CHIAMERANNO COL MIO NOME… IL SIGNORE È MIO DIO!” (Zacc. XII,10 e XIII,9)». La mia pressione è alle stelle, la lascio: saluti vivissimi da tutti noi!

 

MADONNA DEL CARMELO

MADONNA DEL CARMELO

Istruzione sull’Abitino del Carmine.

[Manuale di Filotea, del sac. Giuseppe Riva – Milano, 1888]

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 Sul monte Carmelo, ove sta la spelonca del profeta Elia, ed ove ad Elia si mostrò in cielo quella nuvoletta che era figura di Maria SS. perché, piccolissima nel principio, si dilatò poi in maniera da coprir tutto l’orizzonte, e da mandare pioggia la più dirotta sopra dell’arsa Samaria, che da tre anni e mezzo era tormentata dalla siccità, e quindi dalla più desolante carestia, verso il secolo X, un vecchio sacerdote d’Italia, amante della vita eremitica, stabilì la propria dimora: e fabbricata ivi una chiesa, vi raccolse vari compagni, i quali pel loro impegno ad onorare la SS. Vergine, si denominarono Fratelli di Maria SS. del Carmelo. Alberto, Vescovo di Vercelli, divenuto Patriarca di Gerusalemme verso l’anno 1200, diede a quei Romiti una regola che fu poi approvala da Onorio III 30 gennaio 1230. Conosciuto quest’ Ordine da S Luigi IX Re di Francia, quando fu in Oriente per la Crociata, condusse seco alcuni di quei religiosi, che si stabilirono presso Parigi, e poi si diffusero i n tutto l’Occidente. Aggregatosi a quest’Ordine un penitentissimo inglese, S, Simone Stok, vi fu nell’anno 1245 a pieni voti nominato Superiore Generale. Supplicando egli Maria ss. a dargli qualche segno della sua predilezione e a suggerirgli il mezzo più atto a propagare la sua devozione, Maria gli comparve il 10 Luglio 1251, e consegnandogli uno scapolare, ossia abitino di lana, color tanè, cioè oscuro come il caffè tostato, gli impose di portarlo appeso al collo, e di suggerire tal pratica a chiunque bramasse il suo special patrocinio: dichiarando quest’abito per 1). Veste privilegiata di onore; 2) Insegna di sua fratellanza; 3). Caparra di sua materna predilezione; 4). Scudo di difesa nei pericoli; 5). Pegno di pace con Dio; 6). Presagio di eterna predestinazione. – E siccome tale fu subito sperimentato da quanti lo portarono così tal devozione dilatossi ben presto in ogni terra del Cristianesimo; e i Principi, e gli stessi Papi, non contenti di mettersi fra i nuovi Confratelli, si adoperarono con ogni impegno per sempre più dilatare sì benemerita istituzione. – Luigi IX Re di Francia fu uno dei primi a professarla, e il Papa Leone XI ne era così affezionato che non volle spogliarsi del santo abito nemmeno allora che, nominato Pontefice nel 1605, dovette assumere tutte le divise proprie della sua dignità. Siccome poi 1’apparizione di Maria a San Simone Stok era avvenuta il 10 Luglio, così la Chiesa ha in tal giorno fissata la festa del Carmine divenuta universale in tutto il mondo con Ufficiatura tutta speciale. – Fra i tanti vantaggi da Maria assicurati ai suoi devoti del Carmine merita la speciale menzione la promessa che loro fece di abbreviar loro le pene del Purgatorio fin dal primo sabato successivo alla loro morte. Questo privilegio che chiamasi Sabbatino, fu per ordine della stessa ss. Vergine, pubblicato dal Papa Giovanni XXII in una apposita Colla del 1322, che fu confermata da altre di Alessandro V nel 1409, di Paolo V nel 1620, non che dal decreto della Sacra Inquisizione nel 1613. È vero che per godere di tal privilegio, oltre il conservare la castità conveniente al proprio stato, che è dovere d’ogni cristiano, si richiede la recita quotidiana dell’ufficio della Madonna; ma è vero ancora ché, per chi non sa leggere basta l’astenersi dalle carni il mercoledì, oltre le astinenze e i digiuni già comandali; e non potendo né l’uno, né l’altro, a ricorrere al proprio confessore, il quale, in caso di impedimento, può commutare e l’Ufficio e l’astinenza in altra opera pia, come ha deciso la Sacra Congreg. delle Indulgenze il 12 Agosto 1840. Il surrogato più in uso è l’ingiungere 7 Pater e 7 Ave in memoria delle 7 Allegrezze di Maria SS. L’obbligo indispensabile per tutti gli ascritti è: 1° – di essere rivestito dell’abitino benedetto da un sacerdote a ciò autorizzato, 2°-  di essere iscritto nei Registri della Confraternita del Carmine, 3°- di portar sempre al collo il santo abitino di lana color “suboscuro”, od anche nero. Se per qualche tempo si lasciasse di portare lo scapolare, non è necessario di farsi iscrivere un’altra volta, ma basta ripigliare l’uso intermesso per goderne ancora tutti ì vantaggi, come ha deciso la S. Congregazione. delle Indulg. il 26 Maggio 1857. L’abitino che si indossa nell’atto dell’iscrizione deve essere benedetto da chi ne ha la facoltà. Quando però divenuto logoro, occorre di cambiarlo, non è necessario che sia benedetto di nuovo, supponendosi estesa a tutti gli abitini successivi la benedizione data al primo. La recita quotidiana delle 7 allegrezze è consigliata a tutti gli ascritti, ma non è di stretta obbligazione. Ogni fedele dovrebbe darsi grande premura di regolarmente ascriversi a sì santa Confraternita, e di praticare fedelmente quanto ai suoi ascritti è imposto e suggerito, dacché niun sacrificio sarà mai soverchio per assicurarci speciale la predilezione di Maria in questa vita, e la sollecita liberazione dalle pene acerbissime del purgatorio nell’altra.

PER LA FESTA DEL CARMINE (16 Luglio)

I. Vergine pietosissima, che per solo effetto di vostra benignità, colla vostra specialissima apparizione al gran luminare dell’ordine Carmelitano, S. Simone Stok, vi degnaste portare dal cielo in terra il vostro sant’abito, che come Veste privilegiata d’onore servisse di divisa a’vostri servi, deh! Per quell’allegrezza che voi provaste nell’essere dall’Angelo annunziata per Madre di Dio, degnatevi di accogliere noi tutti nel novero dei vostri devoti, onde meniamo una vita sempre conforme a dignità così eccelsa, Ave.

II . Vergine sacratissima,che vi degnaste dichiarare per vostri fratelli tutti coloro che vestissero il vostro sant’abito, deh! per quell’allegrezza che voi provaste nel visitare la vostra santa cugina Elisabetta, impetrate a noi tutti la grazia di viver sempre in un modo degno di una tal fratellanza, affine di meritare il favore della vostra visita al punto della morte. Ave.

III. Vergine amabilissima, che onoraste più volte col nome di vostri figli quelli che portavano degnamente il vostro sant’abito, da voi stessa dichiarato: Caparra dì vostra materna predilezione, deh! Per quell’allegrezza che provaste nel dare alla luce del mondo il divin Verbo incarnato, impetrate a noi tutti la grazia di viver sempre in un modo degno di tal fìgliuolanza, ond’essere sempre favoriti del vostro validissimo patrocinio. Ave.

IV. Vergine amabilissima, che vi degnaste intitolare il vostro sant’abito Pegno di Pace con Dio, deh! per quell’allegrezza che voi provaste nel veder dai Magi adorato e riconosciuto per Dio il vostro divin Figliuolo, degnatevi di assistere noi tutti negli ostacoli che si frappongono alla nostra eterna salute onde, godendo sempre di quella paco che solo è propria dei veri adoratori di Dio, meritiamo partecipare con voi alla eterna gloria nel cielo. Ave.

V. Vergine clementissima, che vi degnaste di protestare che il vostro sant’abito sarebbe stato di Difesa e di scampo in ogni pericolo, deh! per quell’allegrezza che voi provaste nella gloriosa risurrezione del vostro figlio Gesù difendeteci dagli assalti dell’infernale nemico, affinché, non decadendo mai dalla grazia di Dio, meritiamo nella finale risurrezione di essere colle anime elette chiamati dal Giudice eterno alla partecipazione della vostra gloria. Ave.

VI. Vergine potentissima, che vi degnaste di qualificare il vostro sant’abito per Presagio di eterna predestinazione, deh! per quell’allegrezza che voi provaste nell’esser in anima e in corpo Assunta al cielo, impetrate a noi tutti la grazia di goder sempre quel gaudio che è frutto dello Spirito Santo, onde, aborrendo noi sempre i falsi gaudi del mondo non aspiriamo giammai che ai gaudi veri ed eterni che ci sono preparati nel cielo. Ave.

VII. Vergine gloriosissima, che prometteste di preservare dal fuoco eterno, e presto ancor liberare dalle fiamme del Purgatorio, chiunque morisse devotamente col vostro sant’ abito, deh! per quella grande allegrezza che voi provaste nell’essere esaltata al disopra di tutti gli angelici cori, e collocata alla destra del vostro divin Figliuolo, degnatevi di effettuare in noi pienamente così consolanti promesse, onde, sciolti da ogni colpa o da ogni reato di pena, possiamo lodare perpetuamente quel Dio che vi fece sì grande e sì potente nella beata patria del Paradiso. Ave, Gloria.

Oremus

Deus, qui beatissima semper virginis et genitricis tuae Mariae, singulari titolo Carmeli Ordinem decorasti, concede propitius, ut cujus hodie commemorationem solemni celebramus officio, ejus muniti praesidiis, ad gaudia sempiterna pervenire valeamus. Qui vivis et regnas cum Deo Patre, etc.

 

 

Omelia della Domenica IX dopo Pentecoste

Omelia della Domenica IX dopo Pentecoste

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. II -1851-]

[Vangelo sec. S. Luca XIX, 41-47]

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-Anima in peccato-

“Infelice Gerusalemme (cosi lagrimando dicea Gesù-Cristo in vista di quella sciagurata città, come ci narra l’odierna evangelica storia) Gerusalemme infelice! Buon per te, se conoscessi in questo tuo giorno l’amorevole visita, che ti fa Colui che è mandato per la tua salvezza; ma tu hai sugli occhi e sul cuore un velame di cecità e di perfidia, che non ti lascia vedere il presente tuo stato, né lo stato peggiore, a cui fra non molto sarai ridotta, quando i nemici tuoi si stringeranno intorno con assedio sì fiero, che ti ridurranno all’ultimo sterminio, fino a non lasciare di te pietra sopra pietra”. – Queste divine minacce ben si possono rivolgere ad un’altra e mistica Gerusalemme, cioè all’anima di coloro che trovansi in istato di colpa mortale. Essi per lo più non conoscono né il misero loro stato presente, né il pericolo di un peggiore stato avvenire. Sono essi da un denso velo avvolti nella mente e nel cuore, onde non vedono né il loro male presente, né il rischio di un estremo male futuro. A rimuovere questo velo fatale io dico che un’anima rea di grave peccato ella è in istato di spiritual morte ciò che vedremo da prima, ella è in pericolo di eterna morte, ciò che vedremo dapprima se mi favorite di attenzione cortese.

  1. I. Anima in grave peccato, anima morta. Adamo, vedi tu quest’albero? In segno di mio dominio e di tua ubbidienza non ne gu Che se avrai l’ardimento di rompere quest’unico mio precetto, in quel giorno stesso sarai colto da certa morte: “In quocumque die comederis ex eo, morte morieris” (Gen. II, 17). Così al nostro primo padre Iddio Creatore. Mangia Adamo il vietato pomo e non muore: come si avvera la divina minaccia? Si avvera, risponde S. Agostino, in doppio modo (2Tract. 47 in Joan.). Adamo pria immortale, resta in quell’istante di sua trasgressione soggetto alla morte, e ciò riguardo al corpo. Muore al tempo stesso di più funesta morte, e ciò riguardo all’anima. Che cosa è morte? prosegue il santo Dottore: è la separazione dell’anima dal proprio corpo (De Civ. Dei lib. 13, c. 2). Ora siccome la vita del corpo è l’anima che l’informa; così la vita dell’anima è Dio che la vivifica. Divisa l’anima dal corpo, ecco la natural morte. Diviso per lo peccato Iddio dall’anima, ecco la morte spirituale. – A questa spiritual morte volle alludere il Signore, allorché dopo la caduta di Adamo discese nel terrestre paradiso, si fece così a chiamarlo, ed a compiangerlo, “Adam … ubi es” (Gen. III, 9)? E dir volle, secondo il prelodato S. Agostino, “o Adamo, a quale stato deplorabile ti sei ridotto? Tu, creato nell’originale giustizia, tu dotato della santificante grazia, tu ricco per tanti doni, ora pel tuo delitto di lutto spogliato, morto alla mia grazia, sei divenuto agli occhi miei oggetto di abominazione più che un verminoso cadavere”. – Tal è lo stato luttuoso, a cui il peccator si riduce talvolta per un vile interesse, per un immondo piacere, per uno sfogo di brutale passione. Una goccia di mele, può dir di sé stesso, mi è costata la vita; “gustans gustavi… paululum mellis, et ecce morior” (1 Reg. XIV, 43). Oh Dio! A quanti dirsi potrebbe ciò che nel divino Apocalisse fu detto a quel vescovo, “nomen habes quod vivas et mortuus es” (III, 1). Voi siete vivo, vegeto, sano, robusto, “nomen habes quod vivas”, ma portate in seno un’anima morta, “sed mortuus es”. – Ma questo non è il tutto. Muore pel grave peccato insieme coll’anima ogni opera buona, ogni merito acquistato. A ciò comprendere più chiaramente rammentate quel che dell’anime prevaricatrici scrive l’apostolo S.Taddeo nella sua epistola Cattolica. Chiama egli quell’anime: alberi autunnali due volte morti, “arbores autumnales, eradicatae , bis mortuae” (V, 12). Avrete forse veduto sul cominciar dell’autunno un albero carico di frutti non ancor giunti a maturità; quando un turbine procelloso gli si aggira d’intorno, lo stravolge, lo schianta fin dall’ime radici, e lo distende sul campo. Quest’albero è due volte morto; morto perché dalla radice non può più trar l’umor vitale, morto perché non può più maturare i suoi pomi, i quali per mancanza di alimento cadono disseccati sul terreno. Tanto avviene ad un’anima colpita da grave peccato; perde colla vita di grazia il frutto di tutte le precedenti sue opere buone. Avesse acquistati tutt’i meriti de confessori, delle vergini, de’ martiri, degli Apostoli, di tutti i beati del cielo, resta di tutti onninamente spogliata. “Omnes iustitiae eius, quas fecerat, non recordabitur(Ezech. XIII, 24). – Alla vista di tanta perdita, alla considerazione di questa doppia morte chi vi è che si risenta, che si commuova? “Io mi aggiro talvolta (diceva S. Giovanni Crisostomo al popolo Antiocheno) talvolta mi aggiro per le vostre contrade, e mi accade sentire da qualche casa uscir un mischio di pianti, di sospiri, di gemiti e di clamori, volgo il piede verso la casa rimbombante di tanti lamenti, ascendo le scale, ed ecco m’incontro in un cadavere, intorno a cui piangono inconsolabili i congiunti, i familiari, gli amici: chi singhiozza, chi urla, chi si dibatte, chi si strappa i capelli. Ah, miei figliuoli, esclamo allora, piangete pure la perdita, piangete la morte di un vostro caro, ben ne avete ragione. Si concede in questi casi funesti un moderato sfogo alla natura e al vostro dolore, ma di grazia per il ben che vi voglio, per l’amor che vi porto, permettetemi che io vi mostri un oggetto assai più meritevole del vostro pianto. Se voi per lo peccato siete in disgrazia di Dio, l’anima vostra è morta a Dio, alla sua grazia, alla sua amicizia: è questa la morte che più di ogni altra merita le vostre lacrime. Ma ohimè! che al sentir questa morte, morte degna di eterno pianto, io vi veggio stupidi, insensibili, indifferenti. O miei figli, o santa fede! Possibile, che per un defunto, che pur una volta doveva cessar di vivere, siete inconsolabili, e per la morte della vostr’anima immortale ed eterna non versiate una lacrima, non alziate un sospiro! Tanta commozione ed ambascia per un corpo fatto cadavere, e tanta indolenza e freddezza per un’anima resa per il mortale peccato a condizione più luttuosa di mille fetenti cadaveri, o miei figliuoli, o santa fede ! che cecità ella è mai questa? – Ma tutto qui finisce. Un’anima rea di grave delitto non solo è in istato di spiritual morte, ma essa è in pericolo di eterna morte. Ritorniamo a quella casa di lutto, ove ci ha condotti il Crisostomo. Io veggio uscir dalle sue porte collocato in un feretro il compianto defunto. Figli, così dunque lasciate portar via l’amato genitore? Egli è morto, voi mi rispondete. Consorte, come soffrite che vi sia tolto dagli occhi il fido vostro compagno? Egli è morto. E voi congiunti, domestici, amici. .. Egli è morto. E che volete voi dirmi con questo tanto ripetere: “egli è morto” ? Vogliam dire che un cadavere chiama il sepolcro, che chi più non vive sopra la terra, deve andare sotterra; ho inteso: per chi è morto “solum superest sepulchrum” (Giob. XVII). Così è, non deve funestare i vivi chi è nel numero de’ morti. Il suo luogo è la tomba: è questa la pratica di tutt’i secoli. Ditemi ora, fratelli carissimi, se l’anima vostra, che Dio non voglia, fosse morta per grave peccato, a qual luogo sarebbe essa destinata? Non rispondete? Morta che ella è, anch’essa chiama il suo sepolcro. E qual è il sepolcro di un’anima rea, di un’anima morta? Egli è l’inferno. Così affermò Gesù Cristo quando parlò dell’Epulone, “mortuus est… dives, et sepultus est in inferno” ( Luc. XVIII, 22). Trapassato che fu quel ricco malvagio sarà stato per avventura il suo corpo collocato da suo pari in qualche superbo mausoleo; ma l’anima sua fu sepolta nell’abisso infernale, “sepultus est in inferno”. Ecco la tomba che sta aspettando ogni anima peccatrice. – S’è così, e perché, voi ripigliate, un’anima morta non vien tosto colà giù seppellita? E perché, vi rispondo, un corpo morto nol mandate subito dal letto al sepolcro? Perché dopo un giusto contristamento degli addolorati congiunti convien comporlo in casa, esporlo poscia in Chiesa, e dar tempo che si compiano intorno ad esso le sacre ecclesiastiche cerimonie. E costume di tutte le nazioni incivilite di lasciar sopra terra i defunti per uno o più giorni secondo gli usi, le circostanze, o le qualità del soggetto. Dite altrettanto riguardo ad un’anima nel suo stato di morte. Chiama ella il suo sepolcro, cioè l’inferno; ma Iddio pietoso mosso dalle preghiere della Chiesa, dall’intercessione de’ Santi, e dalle viscere della sua misericordia, più che al castigo propende al perdono, differisce il suo destino, accorda tempo, aspetta che si ravveda, che apra gli occhi sul suo pericolo, che si adopri, che chieda aiuto per tornare in vita; e a questo fine, con una pazienza tutta propria, dice S. Agostino, di un Dio Onnipotente, con un amore tutto diretto a salvarla, indugia, ritarda per mesi, per anni a seppellirla nell’ abisso. Guai però per chi non si profitta di quest’indugio, guai per chi si abusa del tempo concesso pel suo ravvedimento! – Potrà’ dire di sè quest’infelice: Si sustinuero, infernus domus mea est”. (Giob. XVII) . Se io continuo in questo stato di morte, se non tronco quell’amicizia, se non abbandono quella pratica, se non dismetto quel giuoco, se non restituisco l’altrui roba, se non riparo l’altrui fama, in una parola, se non lascio il peccato, “si sustinuero”, la mia tomba, la mia abitazione perpetua sarà l’inferno; “si sustinuero infernus domus mea est”. – Che facciam dunque, peccatori miei cari? Vogliam persistere in questo luttuosissimo stato di morte con evidente pericolo di morte sempiterna? Ah! no, diamo ascolto alla voce di Dio, ai richiami della nostra coscienza, agli amorevoli inviti dell’apostolo Paolo, che a me peccatore e a ciascuno di voi così va dicendo: “O cristiano fratello, tu sei sepolto in un sonno letargico, tu sei morto a Dio e alla sua grazia; via su, svegliati in questo istante, apri gli occhi alla luce, sorgi da morte, che Gesù Cristo ti stende la mano, e di figlio che sei delle tenebre, ti cangerà in figlio di luce: “Surge qui dormis, et exurge a mortuis, et illuminabit te Christus” (Ephes. V, 14). Lo so, per la nostra spirituale risurrezione, ci vuole un miracolo della divina onnipotente destra, maggior di quel che si richiede a risuscitare un morto; miracolo ch’è pronto a farlo Iddio pietoso. Passa però questa differenza tra la vivificazione di un corpo, e la vivificazione di un’anima: che il corpo nulla può contribuire al proprio risorgimento; l’anima però, tuttoché morta, è sempre fornita del libero arbitrio, non è in essa estinto il lume della fede, non è insensibile ai pungoli della sinderesi, non è priva di qualche naturale virtù; onde assistita dalla grazia, che sempre è pronta a porgerle Aiuto, può e deve concorrere al suo risorgimento. – Mezzo efficacissimo a questo risorgimento, è l’umile e fervorosa preghiera; e perciò a voi rivolto, mio pietoso Signore, vi prego più col cuore che colle labbra, a dar la vita a chi n’è privo. Forse io son quello; ma deh! Voi fatemi penetrare alla mente un raggio di viva luce, acciò non mi addormenti in un sonno mortifero, per cui il mio nemico, il demonio si vanti di avermi vinto e perduto. “Illumina oculos meos ne unquam obdormiam in morte, ne quando dicat inimicus meus: preavalui adversus eum” (Ps, XII,4) .

Il cavaliere kadosh Achille Lienart (1)

Il cavaliere kadosh A. Lienart (1)

LIENART 2

Il Cardinale A. Lienart, 30° grado della Franco-Massoneria, “cavaliere Kadosh”, costituisce la radice infetta del falso tradizionalismo cattolico “chic”, che vuole condividere [anzi già lo fa] la liedership della anti-Chiesa-sinagoga con gli eretici scismatici modernisti conciliari. Per cominciare a capire di cosa stiamo parlando, conviene iniziare dal capo, cioè chiedersi intanto chi siano i cavalieri Kadosh e quale culto pratichino. Poi ci occuperemo di costatare come la Chiesa abbia anatemizzato gli aderenti alle sette massoniche nel corso dei secoli e in varie occasioni con documenti magisteriali infallibili e quindi “irreformabili”; poi verificheremo se e come uno scomunicato “ipso facto”, “latae sententiae” possa esercitare le funzioni sacerdotali e nel caso lo faccia comunque, quali siano le conseguenze per i malcapitati sacrileghi “ordinati” ed per i disgraziati ed incauti presunti fedeli; infine è bene capire cosa significhi un sacramento ed un ordine “illecito”, cosa molto più grave dell’ “invalido”: molti illustri “scribacchini prezzolati, lupi del branco travestiti, cani sciolti e sciacalli solitari sostengono che il Sacramento, per essere efficace, deve essere semplicemente valido, anche se è illecito! Incredibile!!! … a qual punto è giunta l’ignoranza e la malafede di falsi o sacrileghi chierici che oltretutto si vantano di essere i “veri” cattolici … aveva proprio ragione Pio IX nella sua enciclica “Graves ac diuturnae”:  “… nulla hanno maggiormente a cuore che d’ingannare gl’incauti e gl’ignoranti, e trarli negli errori con la simulazione e l’ipocrisia, ripetendo pubblicamente che non respingono la Chiesa cattolica e il suo Capo visibile, ma anzi desiderano la purezza della dottrina cattolica, e sono “essi soli” cattolici ed eredi dell’antica fede. Di fatto essi non vogliono riconoscere tutte le prerogative del Vicario di Cristo in terra, né sono ossequienti al supremo magistero di Lui”. Un chierico “solitario” si esprimeva così in un recente colloquio, con molto garbo:      “ … tu non capisci niente, tu non sei nessuno, tu non hai nessuna autorità, fa’ il tuo mestiere: queste quattro bolle, il Codice canonico e le encicliche citate, tu non le devi leggere e neppure guardare, non ne hai l’autorità, quello che conta è quel che ti dico io e i confratelli (…), io che dico la Messa in latino, recito il Rosario e bla bla bla …” . Evviva l’umiltà e soprattutto il rispetto per le leggi della Chiesa! Queste parole sono il solito linguaggio, le sentiamo ogni volta che si ragiona con l’adepto di una setta, di qualunque setta, anche di una “mono-setta”, come in questo caso, che crea un magistero o una falsa teologia a proprio uso e consumo! “Dai frutti riconoscerete l’albero”, con queste parole il divin Redentore ci ha messo in guardia dai falsi profeti. I frutti dello Spirito Santo sono appunto: la pace, l’amore, la gioia, la pazienza, la bontà, la mitezza, la modestia, la benevolenza, la longanimità, la fedeltà alla parola data, la continenza, la castità … qui ognuno qui può giudicare da quale spirito vengano questi frutti sulle parole dell’Apostolo ai Galati, e sul comando evangelico.

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Riportiamo quindi dal libro di mons. Leon Meurin: “La franco-massoneria, sinagoga di satana” la descrizione dettagliata di questo grado, al quale il nostro “amico” belga era stato degnamente elevato già nel 1924, 5 anni prima cioè di essere nominato vescovo (!?). La lettura non è evidentemente semplice né agevole, per le numerose citazioni di natura kabbalistica, esoterica, iniziatica, ma … si ha in ogni caso un’idea comprensibile a tutti della “faccenda”.

Cavaliere Kadosch-30° liv.caval. kadosh

(Da: Mgr. L. Meurin “Franco-massoneria: sinagoga di satana – 1893)

  1. L a 3° Séphirah. L’Intelligenza. — Il grande eletto, cavaliere Kadosch, iniziato perfetto; cavaliere dell’aquila bianca e nera. – Dopo la sua moralizzazione, o piuttosto la sua demoralizzazione satanica, non resta ancora all’uomo giudaizzato e indemoniato, di essere ricevuto nei gradi più misteriosi che la sinagoga di satana ha voluto offrire ai Goim, alle “cavallette” della generazione di Japhet. Là ci sarà più difficile ritrovare il filo kabbalistico che ci ha guidato fin qui, non perché noi non possiamo intuirlo, ma perché non ci viene rivelato con la medesima chiarezza che nei gradi precedenti.

Il 30° grado corrispondente alla sephirah “Intelligenza”, deve avere una connessione con l’8° ed il 19° grado, che sono ugualmente calcati sulla terza delle sephiroth superiori. All’8° grado, noi vediamo il triangolo invertito con le tre lettere Ja, Je, Ji, che si fanno rimirare al neofita, invitandolo a combattere l’ “Intellettualità con l’ordine”, cioè la Santa Fede. Al 19° gli si racconta la storia dell’assalto dell’ebbro Eblis contro la Gerusalemme celeste. Al 30° grado si muove la battaglia apertamente contro l’Adonai biblico, al “cattivo principe”, cioè al Dio dei Cristiani. L’uomo giudaico-politico, già moralmente formato dalla seconda triade kabbalistica, è ora armato contro Adonai e muove guerra aperta contro Dio! Assorbito nelle rivelazioni che gli si fanno sull’Ordine decaduto dei Templari e sulla vendetta terribile che la frammassoneria si è imposta e alla quale si è votata a causa della soppressione dell’ordine, per cui gli si fa riprendere l’adorazione del baphomet, il destinatario non ha l’agio di riflettere sull’alta importanza della parte del cerimoniale che si pratica nella “camera bianca”. – Il gran maestro gli fa intendere alla larga che “nessuno può sperare di essere introdotto nell’Aeropago dei “cavalieri kadosh”, senza aver sacrificato all’oggetto del loro culto”. Il cortigiano e la corte di sua maestà infernale, dopo essersi sottomesso a lucifero ed avere abbassato lo stendardo davanti alla sua immagine, il baphomet, riceve al 30° grado l’ordine di adorarlo e di offrirgli, in ginocchio, il sacrificio dell’incenso profumato. Nel “santuario dei kadosch”, la camera bianca, illuminata da una larga e macabra luce bluastra sprigionata dall’alcool del vino, si vede al di sopra dell’altare, in una “gloria”, un immenso triangolo capovolto, che tiene sospesa alla sua punta un’aquila con due teste a grandezza naturale, metà bianca e metà nera, con le ali spiegate e con una spada nei suoi artigli. Il grande sacrificatore è solo in questa camera, seduto davanti all’altare. Egli chiede a colui che introduce: “… cavaliere mio fratello, chi conduci?” – Risposta: “È un cavaliere grande scozzese di Sant’Andrea di Scozia, che possedendo tutte le virtù di un saggio (acquisite nel 27°, 28° e 29° grado) desidera fare il suo ingresso nel “tempio della Saggezza””. Si tolga al postulante il suo velo nero! – «Il sacrificatore: “Mortale, prosternati!” Il grande introduttore fa prendere al postulante dell’incenso, glielo fa versare sul fuoco e lo fa inginocchiare». Il gran sacrificatore pronuncia allora la preghiera seguente indirizzata a lucifero: “O saggezza onnipotente (Shaddai), oggetto delle nostre adorazioni, sei tu che in questo momento noi invochiamo. Causa e sovrano dell’universo, ragione eterna, luce dello spirito, legge dei cuori, quanto è augusto e sacro il tuo culto sublime! …” – Si fa ancora versare dal destinatario l’incenso nel vaso dei sacrifici. Il sacrificatore dice: “alzati e prosegui la tua strada”. – L’uomo giudaizzato è incorporato ai sacerdoti sacrificatori di lucifero. Egli è santificato, è diventato un santo, “kadosh”. Come tale egli ha il diritto di commettere anche degli omicidi in onore del grande architetto dell’universo e della sua chiesa massonica. In un camerino dipinto di nero, dopo avergli bendato gli occhi, gli si fa infiggere il suo pugnale nel cuore di quel che gli si assicura essere un traditore dell’ordine. È in realtà un montone imbavagliato al quale si è rasato il lato sinistro del volto. Il ricevente deve toccarlo, per ben assicurarsi dei battiti del cuore di un uomo strangolato, prima di colpirlo. Non essendo istruito circa questa sostituzione dell’animale ad un uomo, egli commette, non materialmente, ma formalmente, un omicidio! Dopo questa prova cruenta, l’aspirante è condotto al Senato, il consiglio politico del Kadosch nella quarta camera. La ancora si trova, sotto al trono, il triangolo invertito al quale è sospesa l’aquila nera e bianca, ma egli porta qui, intorno al collo, un nastro bianco e nero al quale è legato una triplice croce patriarcale, corrispondente alla tiara “triregno” dei Papi. Ad occidente si trova su di una piramide, un mausoleo portante un’urna funeraria (di Jacques Molay), una corona (di Filippo il Bello), ed una tiara (di Clemente V): ma i crani non ci sono più. È inutile fare la descrizione della cerimonia politica concernente Jacques Molay; essa non ha bisogno di alcuna delucidazione. – La scala misteriosa ritorna, e l’aspirante è obbligato a salire da un lato per ridiscendere dall’altra. Le spiegazioni banali che si danno delle parole ebraiche e dei nomi delle scienze inscritte ai sette marchi da ciascun lato della scala, non meriterebbero la nostra attenzione se il Tuileur non ne desse una variante in cui la parola finale è blasfema ed una vedetta sanguinosa. Per noi è sufficiente aver indicato questo dettaglio che non ha che poca connessione con la kabbala giudaica. Il vero significato della “scala misteriosa” a sette gradini che, per la sua forma, ricorda il delta o triangolo, non è affatto quel che dice Rangon, da un lato la morale, e dall’altra la scienza, dovendo esse aiutarsi reciprocamente; essa si trova in ciò che Clavel racconta nella sua storia della Franco-massoneria (3° ed., pag. 352), ove cita il racconto arabo che ha per titolo: storia di Habib e di Doratilgoase: « il cavaliere solleva alla fine un grande velo dietro il quale si trovano i sette mari e le sette isole che si devono attraversare prima di raggiungere Medinazilbalor, la città di cristallo, la Tebe o la Gerusalemme mistica. Queste isole (le sette isole fortunate di Lucien, i sette gradi della scala della magia, le sette stazioni planetarie poste sulla strada di Ames che ritornano in questo mondo di miseria alla luce eterea d’Ormazd, loro vera patria) sono distinte dal nome dei sette colori; e siccome le insegne bianche non sono variate per il primo grado, la prima isola, che deve conquistare Harib, è l’isola bianca. Ma prima di pervenirvi, bisogna che si subisca la prova degli elementi. Se l’eroe resta irremovibile, è per il soccorso del Re filosofo e della parola sacra che vi è incisa ». ma la medesima scala si trova nei Misteri di Mithra. Per rappresentare la purificazione delle anime per il loro passaggio attraverso gli astri, « si faceva salire all’aspirante, una sorta di scala, lungo la quale vi erano sette porte e più in alto, un’ottava. La prima porta era di piombo e la si attribuiva a Saturno. La seconda di stagno, era destinata a Venere; la terza di bronzo, a Juppiter; la quarta, di ferro, a Mercurio; la quinta, di un metallo misto, a Marte; la sesta d’argento, alla Luna, e la settima, d’oro, al Sole. L’ottava porta era quella delle stelle fisse, soggiorno della luce increata e meta finale, alla quale dovevano tendere le anime » (Clavel, pag. 323). È ancora nella kabbala che bisogna cercare l’origine di questa Scala misteriosa a sette gradi. Nella sua dottrina, lo spirito umano esce dalla Saggezza. La Saggezza suprema, chiamata anche l’Eden celeste, è la sola origine dello spirito; l’anima viene dalla séphirah Beltà, e lo spirito animale dall’imo. L’anima prende con dolore il cammino della terra, e viene a discendere in mezzo a noi » (Zohar, Franck, p. 181). L’anima è rischiarata dalla luce dello spirito, da cui dipende interamente. Dopo la morte essa non ha riposo; le porte dell’Eden non gli saranno aperte fintanto che lo spirito non sia risalito verso la sua sorgente, verso l’antico degli antichi, per riempirsi di lui per l’eternità; perché … ogni spirito risale alla sua sorgente » (Ib. p. 175),. L’anima non lascia la terra finché la “regina” non sia venuta a raggiungersi ad essa per introdurla nel palazzo del “re” ove dimorerà eternamente» (Ibid. p. 178. Ora discendendo dalla “Saggezza”, lo spirito deve passare attraverso l’ “Intelligenza”, i tre sephiroth morali ed i tre sephiroth fisici; nel risalire, essa devi passare per i sette medesimi “sette sephiroth” per rientrare nell’Eden. Ecco l’origine della “scala misteriosa” che l’aspirante deve salire per arrivare al 31° grado, alla sephirah “Saggezza”. La kabbala giudaica spiega quasi tutti i misteri del paganesimo e della magia. Con essa i Giudei dominano su di noi. Alla tomba di Saint-Jacques (Molay) il candidato pronunzia ancora quattro maledizioni; ma prima di ciò gli si ordina di afferrare la corona e la tiara e di calpestarle coi piedi. – Si sottolinea con questo atto che la vendetta dell’ordine deve cadere non più su Filippo il Bello e Clemente V, morti da vari secoli, ma su “chi di diritto”, e cioè sui successori nell’ufficio pontificale e nella dignità reale. Cosa hanno calpestato i tuoi piedi? – Risp. “Delle corone reali e delle tiare papali” (p. 386). Dopo i voti augurali, l’aspirante è consacrato Kadosch, Iniziato perfetto, cavaliere dell’aquila bianca e nera, cosa che significa: “sacerdote del «buon principe ermafrodito”, “sacrificatore di lucifero” ». – Doman.: “perché noi siamo Kadosch?” – Risp.: “Per combattere ad oltranza ed incessantemente ogni ingiustizia, ogni oppressione, sia che vengano da Dio, dal re, o dal popolo”. – Dom.: “In virtù di quale diritto?” – Risp.: “Mischtar, del governo (dell’ordine)”. – Dom.: “Che cos’è un perfetto Kadosch?” – Risp. : “Colui che ha prestato un giuramento irrevocabile di sostenere, fianco a fianco, i princìpi dell’ordine, di difendere, fianco a fianco, la causa della Verità e dell’Umanità contro ogni autorità usurpata, o abusiva, o irregolare, sia essa politica o militare, o religiosa, e di punire senza pietà i traditori dell’ordine”. Il colmo dell’odio satanico contro Dio è ben espresso dal gesto simbolico dei Kadosch, nel corso del loro banchetto nel bere, al sesto brindisi, si immerge il pugnale nel bicchiere di vino rosso; nel mentre colano le gocce che figurano il sangue, si grida tutti insieme: “Deus sanctus, Nokem; “dio santo, vendetta!”. Dopo aver bevuto, si da un colpo di pugnale verso il cielo gridando: Nekam, Adonai; “Vendetta! Adonai!” vendetta contro te, il Dio dei cristiani, vendetta per tutto il male inflitto a lucifero! Al settimo brindisi si porta una bevanda infiammabile; si accende la fiamma e, alla sinistra luce delle fiamme bluastre dello spirito del vino, i sacerdoti di satana brandiscono il pugnale contro il cielo, cantano il loro cantico di Kadosch e finiscono ripetendo la loro invocazione a lucifero: “dio santo, vendetta!” e la loro sfida a Dio: vendetta Adonai!” – Si ripone il pugnale al suo posto, ed il gran maestro dice: Phagal-khol, egli ha annientato tutto; gli assistenti rispondono: “Pharas-khol”, egli ha schiacciato tutto. Ed il sinistro banchetto dell’aeropago è terminato.

I re della terra si sono sollevati, ed i principi si sono riuniti contro il Signore e contro il suo Cristo, dicendo: rompiamo i loro lacci e gettiamo lontano da noi il loro giogo! Colui che abita nei cieli si ride di essi, ed il Signore li schernisce dall’alto” (Ps. II).

Ricapitolando questo grado per trovarvi la Sephirah dell’Intelligenza, noi vediamo il candidato scrivere e firmare, nella camera nera, la domanda di ammissione alle più alte conoscenze, nonostante la sua persuasione di trovarsi in una sfera soprannaturale e diabolica. In questa supplica, noi troviamo un nuovo patto con il quale si impegna, in piena consapevolezza, ad andare avanti nel cammino scabroso. Noi lo seguiremo nel caveau del sepolcro, ove commette, con cognizione di causa, un omicidio simbolico sulle teste del Papa e del re. – Nella camera blu, la seconda, entra nel “tempio della Saggezza” e vi offre, in ginocchio, il suo sacrificio all’angelo della luce; ancora un atto di demonolatria! Nella camera blu si decreta che l’aspirante deve “seguire la sua sorte”. Quale sorte? Di dover commettere nel camerino nero un omicidio reale, se non materiale, almeno formale. Nella camera rossa infine, egli sale la scala misteriosa a sette gradini, il numero sette che torna sovente in questo grado, ed in tutte le occasioni in cui si tratta di spiriti maligni, ci ricorda le sette “daeva” dei zoroastriani dei quali abbiamo parlato più in alto. Gli iniziati alla magia, presso i persiani, salivano una scala misteriosa assolutamente simile ai sette doppi gradini. Il neofita è censito, nel salire, con i sette cori dei demoni, come, nella sua ammissione nel coro di lucifero, è stato incorporato ai silfi e ai cherubini. Ci sarebbe da scrivere un libro sui sette cori degli spiriti. Qui è sufficiente constatare il progresso fatto dal candidato nella assimilazione con l’angelo della luce. Egli ha ricevuto il dono dell’intelligenza; egli ha compreso l’interno della “corte” che gli si era aperta al 27° grado. – Ancora questa notazione importante: in questo grado, la doppia aquila, non porta ancora la “corona”, se bisogna credere alla rappresentazione che ne da Leon Taxil.

Il cavaliere kadosh, quindi, è un tale che con giuramento solenne ed irrevocabile, offre incenso a satana, glorifica con invocazioni lucifero, commette un omicidio rituale, formale o all’occasione materiale, sale la scala a sette gradini, secondo un rituale gnostico di magia pagana, calpesta la corona e la Tiara simbolo del Papato, giura odio contro Dio e la Religione cristiana, brinda con un pugnale verso il cielo gridando “Deus sanctus, nokem”, cioè: dio santo [lucifero] vendetta!” e “Adonai, nokem”: “Vendetta Adonai”! Il cardinale A. Lienart, nel 1924 viene consacrato “cavaliere kadosh”, 30° grado della Massoneria, “sacrificatore di lucifero”, “iniziato perfetto”, “cavaliere dell’aquila bianca e nera”, cosa che significa: “sacerdote del buon principe ermafrodito”! Un bel traguardo, non c’è che dire! Questa è la radice occulta del tradizionalismo pseudo-cattolico acefalo: “Adonai nokem”!