Omelia della Domenica IX dopo Pentecoste

Omelia della Domenica IX dopo Pentecoste

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. II -1851-]

[Vangelo sec. S. Luca XIX, 41-47]

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-Anima in peccato-

“Infelice Gerusalemme (cosi lagrimando dicea Gesù-Cristo in vista di quella sciagurata città, come ci narra l’odierna evangelica storia) Gerusalemme infelice! Buon per te, se conoscessi in questo tuo giorno l’amorevole visita, che ti fa Colui che è mandato per la tua salvezza; ma tu hai sugli occhi e sul cuore un velame di cecità e di perfidia, che non ti lascia vedere il presente tuo stato, né lo stato peggiore, a cui fra non molto sarai ridotta, quando i nemici tuoi si stringeranno intorno con assedio sì fiero, che ti ridurranno all’ultimo sterminio, fino a non lasciare di te pietra sopra pietra”. – Queste divine minacce ben si possono rivolgere ad un’altra e mistica Gerusalemme, cioè all’anima di coloro che trovansi in istato di colpa mortale. Essi per lo più non conoscono né il misero loro stato presente, né il pericolo di un peggiore stato avvenire. Sono essi da un denso velo avvolti nella mente e nel cuore, onde non vedono né il loro male presente, né il rischio di un estremo male futuro. A rimuovere questo velo fatale io dico che un’anima rea di grave peccato ella è in istato di spiritual morte ciò che vedremo da prima, ella è in pericolo di eterna morte, ciò che vedremo dapprima se mi favorite di attenzione cortese.

  1. I. Anima in grave peccato, anima morta. Adamo, vedi tu quest’albero? In segno di mio dominio e di tua ubbidienza non ne gu Che se avrai l’ardimento di rompere quest’unico mio precetto, in quel giorno stesso sarai colto da certa morte: “In quocumque die comederis ex eo, morte morieris” (Gen. II, 17). Così al nostro primo padre Iddio Creatore. Mangia Adamo il vietato pomo e non muore: come si avvera la divina minaccia? Si avvera, risponde S. Agostino, in doppio modo (2Tract. 47 in Joan.). Adamo pria immortale, resta in quell’istante di sua trasgressione soggetto alla morte, e ciò riguardo al corpo. Muore al tempo stesso di più funesta morte, e ciò riguardo all’anima. Che cosa è morte? prosegue il santo Dottore: è la separazione dell’anima dal proprio corpo (De Civ. Dei lib. 13, c. 2). Ora siccome la vita del corpo è l’anima che l’informa; così la vita dell’anima è Dio che la vivifica. Divisa l’anima dal corpo, ecco la natural morte. Diviso per lo peccato Iddio dall’anima, ecco la morte spirituale. – A questa spiritual morte volle alludere il Signore, allorché dopo la caduta di Adamo discese nel terrestre paradiso, si fece così a chiamarlo, ed a compiangerlo, “Adam … ubi es” (Gen. III, 9)? E dir volle, secondo il prelodato S. Agostino, “o Adamo, a quale stato deplorabile ti sei ridotto? Tu, creato nell’originale giustizia, tu dotato della santificante grazia, tu ricco per tanti doni, ora pel tuo delitto di lutto spogliato, morto alla mia grazia, sei divenuto agli occhi miei oggetto di abominazione più che un verminoso cadavere”. – Tal è lo stato luttuoso, a cui il peccator si riduce talvolta per un vile interesse, per un immondo piacere, per uno sfogo di brutale passione. Una goccia di mele, può dir di sé stesso, mi è costata la vita; “gustans gustavi… paululum mellis, et ecce morior” (1 Reg. XIV, 43). Oh Dio! A quanti dirsi potrebbe ciò che nel divino Apocalisse fu detto a quel vescovo, “nomen habes quod vivas et mortuus es” (III, 1). Voi siete vivo, vegeto, sano, robusto, “nomen habes quod vivas”, ma portate in seno un’anima morta, “sed mortuus es”. – Ma questo non è il tutto. Muore pel grave peccato insieme coll’anima ogni opera buona, ogni merito acquistato. A ciò comprendere più chiaramente rammentate quel che dell’anime prevaricatrici scrive l’apostolo S.Taddeo nella sua epistola Cattolica. Chiama egli quell’anime: alberi autunnali due volte morti, “arbores autumnales, eradicatae , bis mortuae” (V, 12). Avrete forse veduto sul cominciar dell’autunno un albero carico di frutti non ancor giunti a maturità; quando un turbine procelloso gli si aggira d’intorno, lo stravolge, lo schianta fin dall’ime radici, e lo distende sul campo. Quest’albero è due volte morto; morto perché dalla radice non può più trar l’umor vitale, morto perché non può più maturare i suoi pomi, i quali per mancanza di alimento cadono disseccati sul terreno. Tanto avviene ad un’anima colpita da grave peccato; perde colla vita di grazia il frutto di tutte le precedenti sue opere buone. Avesse acquistati tutt’i meriti de confessori, delle vergini, de’ martiri, degli Apostoli, di tutti i beati del cielo, resta di tutti onninamente spogliata. “Omnes iustitiae eius, quas fecerat, non recordabitur(Ezech. XIII, 24). – Alla vista di tanta perdita, alla considerazione di questa doppia morte chi vi è che si risenta, che si commuova? “Io mi aggiro talvolta (diceva S. Giovanni Crisostomo al popolo Antiocheno) talvolta mi aggiro per le vostre contrade, e mi accade sentire da qualche casa uscir un mischio di pianti, di sospiri, di gemiti e di clamori, volgo il piede verso la casa rimbombante di tanti lamenti, ascendo le scale, ed ecco m’incontro in un cadavere, intorno a cui piangono inconsolabili i congiunti, i familiari, gli amici: chi singhiozza, chi urla, chi si dibatte, chi si strappa i capelli. Ah, miei figliuoli, esclamo allora, piangete pure la perdita, piangete la morte di un vostro caro, ben ne avete ragione. Si concede in questi casi funesti un moderato sfogo alla natura e al vostro dolore, ma di grazia per il ben che vi voglio, per l’amor che vi porto, permettetemi che io vi mostri un oggetto assai più meritevole del vostro pianto. Se voi per lo peccato siete in disgrazia di Dio, l’anima vostra è morta a Dio, alla sua grazia, alla sua amicizia: è questa la morte che più di ogni altra merita le vostre lacrime. Ma ohimè! che al sentir questa morte, morte degna di eterno pianto, io vi veggio stupidi, insensibili, indifferenti. O miei figli, o santa fede! Possibile, che per un defunto, che pur una volta doveva cessar di vivere, siete inconsolabili, e per la morte della vostr’anima immortale ed eterna non versiate una lacrima, non alziate un sospiro! Tanta commozione ed ambascia per un corpo fatto cadavere, e tanta indolenza e freddezza per un’anima resa per il mortale peccato a condizione più luttuosa di mille fetenti cadaveri, o miei figliuoli, o santa fede ! che cecità ella è mai questa? – Ma tutto qui finisce. Un’anima rea di grave delitto non solo è in istato di spiritual morte, ma essa è in pericolo di eterna morte. Ritorniamo a quella casa di lutto, ove ci ha condotti il Crisostomo. Io veggio uscir dalle sue porte collocato in un feretro il compianto defunto. Figli, così dunque lasciate portar via l’amato genitore? Egli è morto, voi mi rispondete. Consorte, come soffrite che vi sia tolto dagli occhi il fido vostro compagno? Egli è morto. E voi congiunti, domestici, amici. .. Egli è morto. E che volete voi dirmi con questo tanto ripetere: “egli è morto” ? Vogliam dire che un cadavere chiama il sepolcro, che chi più non vive sopra la terra, deve andare sotterra; ho inteso: per chi è morto “solum superest sepulchrum” (Giob. XVII). Così è, non deve funestare i vivi chi è nel numero de’ morti. Il suo luogo è la tomba: è questa la pratica di tutt’i secoli. Ditemi ora, fratelli carissimi, se l’anima vostra, che Dio non voglia, fosse morta per grave peccato, a qual luogo sarebbe essa destinata? Non rispondete? Morta che ella è, anch’essa chiama il suo sepolcro. E qual è il sepolcro di un’anima rea, di un’anima morta? Egli è l’inferno. Così affermò Gesù Cristo quando parlò dell’Epulone, “mortuus est… dives, et sepultus est in inferno” ( Luc. XVIII, 22). Trapassato che fu quel ricco malvagio sarà stato per avventura il suo corpo collocato da suo pari in qualche superbo mausoleo; ma l’anima sua fu sepolta nell’abisso infernale, “sepultus est in inferno”. Ecco la tomba che sta aspettando ogni anima peccatrice. – S’è così, e perché, voi ripigliate, un’anima morta non vien tosto colà giù seppellita? E perché, vi rispondo, un corpo morto nol mandate subito dal letto al sepolcro? Perché dopo un giusto contristamento degli addolorati congiunti convien comporlo in casa, esporlo poscia in Chiesa, e dar tempo che si compiano intorno ad esso le sacre ecclesiastiche cerimonie. E costume di tutte le nazioni incivilite di lasciar sopra terra i defunti per uno o più giorni secondo gli usi, le circostanze, o le qualità del soggetto. Dite altrettanto riguardo ad un’anima nel suo stato di morte. Chiama ella il suo sepolcro, cioè l’inferno; ma Iddio pietoso mosso dalle preghiere della Chiesa, dall’intercessione de’ Santi, e dalle viscere della sua misericordia, più che al castigo propende al perdono, differisce il suo destino, accorda tempo, aspetta che si ravveda, che apra gli occhi sul suo pericolo, che si adopri, che chieda aiuto per tornare in vita; e a questo fine, con una pazienza tutta propria, dice S. Agostino, di un Dio Onnipotente, con un amore tutto diretto a salvarla, indugia, ritarda per mesi, per anni a seppellirla nell’ abisso. Guai però per chi non si profitta di quest’indugio, guai per chi si abusa del tempo concesso pel suo ravvedimento! – Potrà’ dire di sè quest’infelice: Si sustinuero, infernus domus mea est”. (Giob. XVII) . Se io continuo in questo stato di morte, se non tronco quell’amicizia, se non abbandono quella pratica, se non dismetto quel giuoco, se non restituisco l’altrui roba, se non riparo l’altrui fama, in una parola, se non lascio il peccato, “si sustinuero”, la mia tomba, la mia abitazione perpetua sarà l’inferno; “si sustinuero infernus domus mea est”. – Che facciam dunque, peccatori miei cari? Vogliam persistere in questo luttuosissimo stato di morte con evidente pericolo di morte sempiterna? Ah! no, diamo ascolto alla voce di Dio, ai richiami della nostra coscienza, agli amorevoli inviti dell’apostolo Paolo, che a me peccatore e a ciascuno di voi così va dicendo: “O cristiano fratello, tu sei sepolto in un sonno letargico, tu sei morto a Dio e alla sua grazia; via su, svegliati in questo istante, apri gli occhi alla luce, sorgi da morte, che Gesù Cristo ti stende la mano, e di figlio che sei delle tenebre, ti cangerà in figlio di luce: “Surge qui dormis, et exurge a mortuis, et illuminabit te Christus” (Ephes. V, 14). Lo so, per la nostra spirituale risurrezione, ci vuole un miracolo della divina onnipotente destra, maggior di quel che si richiede a risuscitare un morto; miracolo ch’è pronto a farlo Iddio pietoso. Passa però questa differenza tra la vivificazione di un corpo, e la vivificazione di un’anima: che il corpo nulla può contribuire al proprio risorgimento; l’anima però, tuttoché morta, è sempre fornita del libero arbitrio, non è in essa estinto il lume della fede, non è insensibile ai pungoli della sinderesi, non è priva di qualche naturale virtù; onde assistita dalla grazia, che sempre è pronta a porgerle Aiuto, può e deve concorrere al suo risorgimento. – Mezzo efficacissimo a questo risorgimento, è l’umile e fervorosa preghiera; e perciò a voi rivolto, mio pietoso Signore, vi prego più col cuore che colle labbra, a dar la vita a chi n’è privo. Forse io son quello; ma deh! Voi fatemi penetrare alla mente un raggio di viva luce, acciò non mi addormenti in un sonno mortifero, per cui il mio nemico, il demonio si vanti di avermi vinto e perduto. “Illumina oculos meos ne unquam obdormiam in morte, ne quando dicat inimicus meus: preavalui adversus eum” (Ps, XII,4) .