Omelia della Domenica VIII dopo Pentecoste

Omelia della Domenica VIII dopo Pentecoste

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. II -1851-]

[Vangelo sec. S. Luca XVI, 1-9]

giudiz.univ. giotto. part.

-Tre tribunali-

“Rendimi conto, economo infedele (così Cristo introduce a parlare nell’evangelica parabola un padrone mal soddisfatto del suo fattore), rendimi conto, servo malvagio, di tua condotta nell’amministrazione a te affidata de’ miei averi; perciocché tu più non avrai né impiego, né tempo a dissipare le mie sostanze!: ”redde rationem villicationis tuae: iam enim non poteris villicare”. Atterrito da questa minaccia il tristo castaldo cominciò a pensare, e a dire fra sé: “Che farò quando dal mio Signore io venga rimosso dalla mia carica? Zappare? Io non ho forza. Mendicare? Io non ho faccia. So ben io quel che fare mi giova”; e chiamati i debitori del suo padrone, se l’intese con quelli, e provvide, sebbene ingiustamente, a’ suoi futuri bisogni. Cristiani uditori, saremo ancor noi citati un giorno innanzi al divino giudice, anche a noi sarà intimato quel “redde rationem villicationis tuae”. Non potremo in quel dì pigliar tempo, e provvedere a noi stessi, come lo scaltro fattore. Il tempo che allora ci mancherà l’abbiamo adesso: Iddio ce l’accorda al presente, non ce lo promette in futuro. Anzi, notate finissimo tratto della sua immensa bontà, acciò al suo divin tribunale possiamo rendere buon conto di noi, Egli, dice il Crisostomo, Egli ha stabilito due altri tribunali: “tribunal mentis, tribunal poenitentiae, tribunal iudicii” [Homil. De poenit.]. Osservate con qual ordine. Il primo è piantato nel nostro cuore da Dio Creatore, il secondo nella sua Chiesa da Dio Redentore, il terzo al fin di nostra vita da Dio giudice; il primo è un tribunale di giustizia e di misericordia: il secondo di pura misericordia; il terzo di sola giustizia. Il primo è diretto acciò ricorriamo al secondo, il secondo affinché ci disponiamo al terzo. Guai se non usiamo bene de’ due primi, saremo irrevocabilmente condannati nel terzo. Uditemi attentamente.

I. Il primo tribunale collocato nel nostro cuore da Dio Creatore, egli è un tribunale di giustizia insieme e di misericordia; e primieramente di giustizia. – Appena gl’incauti nostri progenitori rompono il primo precetto, che sull’istante, presi da confusione e da rossore, si ritirano, si nascondono, si coprono di frondi e foglie. Chi li accusa? Chi li condanna? Non hanno ancor sentito la voce di Dio sdegnato nel terreno paradiso, perché dunque si turbano, si coprono, e si nascondono? E nol vedete; chi gli accusa, e chi li condanna è quel giudice inesorabile da Dio Creatore custodito nel loro cuore, che alza la voce, che li confonde, che fa provare tutto l’orrore, che fa sentire tutto il peso del loro delitto. Una più chiara prova ci somministrano le parole del grande Iddio dirette al loro primo figliuolo, invidioso Caino. Io leggo, o Caino nel tuo volto turbato un certo iniquo disegno. Ascolta, infelice, se tu opererai il bene ne avrai la ricompensa, se il male, ne porterai subito la pena. Il peccato, come un cane latrante alla porta del tuo cuore, ti farà provare i più fieri rimorsi : “Si bene egeris, recipies, sin autem male, statim in foribus peccatun aderit” [Gen. IV, 6], Così avvenne. Appena tinto del sangue dell’innocente fratello, un torbido orrore gl’invase la mente, un così strano e gelido spavento gli sconvolse l’animo, che profugo sulla terra temeva ad ogni passo incontrarsi in chi gli desse la morte. – È questo il tribunale della coscienza, “tribunal mentis”, in cui, come nel tribunale degli uomini, v’interviene il reo detenuto, gli accusatori che denunziano, il giudice, che condanna. Reo detenuto è il peccatore, che non può fuggire da sé stesso; accusatori sono l’intelletto che gli fa conoscere, la memoria, che gli ricorda i suoi delitti; il giudice è la coscienza, giudice inesorabile, che parla contro chi non vorrebbe, che non si può far tacere, che dà sentenze, che pronunzia condanna. Tu tieni ingiustamente la roba altrui, dice ad uno, tu sei un ladro coperto, ma sei un ladro. Tu sei un disonesto, dice ad un altro, ti nascondi agli occhi del mondo, ma a te stesso nascondere non ti puoi. Tu sei in stato di dannazione, dice ad un terzo, se tu non lasci il peccato, se non ti penti, se non ti confessi, tu sei perduto. – Via, peccatori quanti mai siete, distraetevi pure dai reclami della rea coscienza, fate strepito per non sentirla, passate senza interrompimento dall’uno all’altro piacere, dal convito al giuoco, al passeggio, al ballo, al teatro, vi saprà ben seguire e mordere in ogni luogo, in ogni tempo il verme della sinderesi, e massime alla prima disgrazia che v’intervenga, o alla prima malattia che vi colga. Disingannatevi, dice il Crisostomo, ovunque possiate rivolgervi, porterete sempre con voi un giudice che la farà da carnefice per tormentarvi. – Questo tribunal di giustizia ne’ disegni di Dio pietoso è anche un tribunale di misericordia, fa Iddio con noi come medico sagace, che maneggia il ferro, adopra il fuoco per ridurre a sanità il povero infermo. Quelle fitte, peccatori miei cari, quelle spine, che vi trafiggono, sono dirette a farvi conoscere che il peccato non può farvi contento, che bisogna togliere la spina se volete che cessi il dolore. Ad una di queste spine deve la sua conversione il penitente Profeta: “conversus sum in aerumna mea, dum conficitur spina” [Ps. XXXI]. Sono spine, è vero, sono punture, ma sono grazie del misericordioso Signore, acciò afflitti e conturbati nel tribunale della vostra coscienza cerchiate rimedio alle vostre piaghe e pace al vostro cuore nel tribunale della penitenza. II. Il tribunale di penitenza, posto da Dio Redentore nella sua Chiesa, è tribunale di misericordia. Ne’ tribunali terreni la confessione del peccato si trae addosso la pena, confessarsi reo e condannarsi è la cosa stessa. Tutto il contrario nel tribunale della penitenza. Chi si discolpa moltiplica il suo reato: chi si accusa, chi si condanna, resta assoluto e prosciolto: “Si nosmetipsos diiudicaremus, non utique iudicaremur” [I Cor. XI, 31]. – È sempre stato questo l’ordinario costume del nostro Iddio, che è la stessa bontà e la stessa giustizia, di condannar chi si scusa, e di perdonar chi s’incolpa. Si scusa Adamo, e dice: “la donna, che dato mi avete, fu la cagione del mio trascorso”. Si scusa Eva, e ne ascrive la causa al serpente. Scuse in faccia di un Dio veggente? Fuora del terren Paradiso! Si scusa Aronne e dell’idolo da lui innalzato alle falde del Sinai, ne fa carico alla turba tumultuante, e viene escluso perciò dal metter piede nella terra promessa. Si scusa Saul, e di sua trasgressione al divino comando ne incolpa il popolo; e Samuele gli annunzia la perdita del regno temporale, a cui si aggiunse poi la perdita del regno eterno. In somma, reo che si scusa dinanzi a Dio, non l’indovina. Per l’opposto chi si umilia, chi si confessa colpevole disarma la divina giustizia, e ottiene grazia e perdono. – “Peccavi, dice Davide, peccavi Domine”, e Natan profeta l’assicura che il suo peccato è rimesso, “Dominus quoque transtulit peccatum tuum” [II Reg. XII, 13]. Si dichiara massimo peccatore il Pubblicano, si batte il petto cogli occhi a terra e se n’esce giustificato dal tempio. Si protesta il prodigo indegno del nome di figlio, e viene accolto con festa dal buon genitore. Si confessa, a finirla, il buon ladro meritevole del suo supplizio, ed ottiene da Gesù moribonde e perdono e promessa di paradiso. – Ecco come l’umile confessione delle proprie colpe placa la giusta collera di Dio offeso, e ciò in tutti i tempi, massime però nel tribunal di penitenza, in cui la sincera confessione dell’uomo ravveduto e compunto acquista soprannatural vigore, e maggior merito per l’efficacia del Sacramento, in modo, dice S. Isidoro, che se siete infermi vi risana, se in disgrazia di Dio, vi giustifica, se meritevoli di castigo vi perdona, perché nella sacramental Confessione ha collocata la sua sede la divina misericordia: “in confessione locus misericordiae”. Aggiustiamo dunque, fratelli carissimi, in questo tribunale di misericordia i nostri conti con Dio, se vogliamo incontrar bene al tribunale, a cui appena morti dovremo comparire, tribunale di pura giustizia. – III. Così è, a quel finale giudizio presiede la sola giustizia di Dio, e la misericordia è da quello affatto lontana: “Judicium sine misericordia”. Dura la divina misericordia finché dura la vita: finita questa, si chiude la porta della divina clemenza per non aprirsi mai più. A quel tremendo tribunale non ci accompagnano se non le nostre opere o buone o malvagie. Portiamo con noi il nostro processo, da cui dipende la nostra eterna sorte. Quivi, a nostro modo di intendere, ognun di noi sarà posto nelle bilance di rigorosa giustizia: se, come Baldassarre, saremo trovati mancanti, una sentenza irrevocabile, una condanna di eterno supplizio sarà il giusto castigo, che ci renderà eternamente infelici. – Ah, mio Dio! Dunque se io vi comparisco davanti col peccato nell’anima, sarò da voi rigettato in eterno? E in quel finale giudizio sarà dalla spada della vostra giustizia recisa per sempre la via della pietà e della misericordia? “Numquid in aeternum proiiciet Deus …aut in finem misericordiam suam abscìndet?! [Ps. LXXVI, 7-8] Ah mio Signore! E non ci dite voi per bocca di un vostro profeta, che in mezzo all’ira vi ricorderete della misericordia? Appunto, di me sta scritto, “cum iratus fueris misericordiae recordaberis” (Habac. II, 5), e ben me ne ricordo di quella misericordia usata con voi in tutto il corso della vostra vita: mi ricordo della mia pazienza in sostenervi per tanto tempo peccatori: mi ricordo dell’abbondanza delle mie grazie, e dell’ostinazione dei vostri rifiuti. Quanti lumi ho fatto balenare alla vostra mente, quanti impulsi ho fatto sentire al vostro cuore, quanti stimoli alla vostra coscienza per svegliarvi dal mortale letargo delle vostre viziose abitudini? La mia misericordia è quella, che colla voce delle mie ispirazioni, e con quella dei miei ministri vi chiamava al tribunale di penitenza; affinché in quello saldaste i debiti colla mia giustizia, e non aveste in questo a provarne i rigori, questi e mille altri sono i tratti della clemenza usata con voi, e al rammentarli in quest’istante si accende di maggior fiamma il giusto mio sdegno. Itene dunque maledetti per sempre. Voi non siete più miei, Io non sono più vostro; “Vos non populus meus, et ego non ero vester (Osea I, 9 ). – Miei cari, se vogliamo in quel tribunale schivar la sentenza di eterna morte, profittiamo del primo tribunale, che Dio Creatore ha posto nel nostro cuore, ricorriamo al secondo della penitenza, che Dio Redentore ha stabilito nella sua Chiesa. L’avviso è del Crisostomo : “Si volumus a tribunali iudicii particularìs absolvi, duo reliquia iudicia frequentemus” [Hom. de Poenit.].

Doni dello Spirito Santo.

Doni dello Spirito Santo.

[J.-J. Gaume: trattato dello Spirito Santo, vol II, capp. XXV e XXVI]

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Una quinta meraviglia della confermazione è lo svolgimento dei doni dello Spirito Santo. Diciamo svolgimento, stante che mediante il Battesimo tutti i doni dello Spirito Santo con lo stesso Spirito Santo, risiedono già nel Cristiano fedele conservatore della grazia. Cosi è che tutti gli elementi della vita naturale sono nel bambino ancora in culla. Mediante, la Cresima, i doni dello Spirito Santo partecipano allo svolgimento generale impresso alla vita divina, in virtù di questo sacramento tanto bene appellato, il Sacramento della forza. A fine di dare una più giusta idea di queste nuove ricchezze della grazia, fa d’uopo innanzi tutto rispondere a parecchie questioni di un fondamentale interesse. Che fa egli d’uopo intendere per i doni dello Spirito Santo? Che cosa avvi egli di comune tra i doni e le virtù? Che cosa vi è di distinto? Le virtù e i doni tendono eglino alla stesso scopo? Qual’é l’obietto speciale dei doni? Sono essi altresì necessari quanto le virtù? Lo son’eglino tutti? – La risposta ne uscirà dalla definizione particolareggiata dei doni dello Spirito Santo in generale, e da ciascuno in particolare. – Secondo san Tommaso: I doni dello Spirito Santo sono abitudini soprannaturali che ci dispongono ad obbedire prontamente allo Spirito. [Ia, 2ae, q. 68, art. 8, corp.]. — “Dona sunt quaedam hominis perfectiones, quibus homo disponitux ad hoc quod bene sequatur instinctum divinum” . Jbid., art. 2, corp. — Spiegando alquanto questa definizione possiamo dire: I doni dello Spirito Santo sono tante abitudini o inclinazioni inerenti all’anima, distinte dalle virtù soprannaturali infuse, necessarie per operare il bene e inseparabili le une dalle altre. ]. – Ogni parola di questa definizione vuol essere spiegata, imperocché racchiude un tesoro di lumi. – Doni. Per dare carattere alle grazie di cui qui discorriamo, la lingua cattolica le chiama doni dello Spirito Santo, cioè dire favori per eccellenza della terza Persona, dell’augusta Trinità. Ma che? Le luminose qualità degli Angeli e degli uomini, le magnificenze della terra e dei cieli non sono, senza eccezione, tanti benefizi dello Spirito Santo ? Senza dubbio. « Non vi è, dice san Basilio, una creatura visibile o invisibile che non debba allo Spirito Santo ciò che essa possiede. » E san Cirillo di Gerusalemme: « Lo Spirito Santo è il maestro, il direttore e il santificatore universale. Tutti hanno bisogno di Lui, Elia ed Isaia tra gli uomini, Gabriele e Michele tra gli Angeli. » [Catech., xv]. – Con tutto ciò nessuno di questi favori è appellato dono dello Spirito Santo. Che cosa vuol dire; se non che i doni dello Spirito Santo sorpassano in eccellenza tutte le meraviglie create, umane ed angeliche, visibili ed invisibili, tutte le virtù naturali infuse o acquisite, e tutte le virtù morali, soprannaturali? Essi appartengono dunque nel grado più eminente a un ordine di ricchezza, la cui più piccola particella vai meglio che tutto l’universo. [“Bonum gratiae unius majus est, quam bonum natura totius universi”. S. Th., l a 2ae, q. 113, art. 9, ad 2]. – Spieghiamo questo mistero. Il dono di Dio per eccellenza, il “Dono”, principio di tutti i doni, è lo stesso Spirito Santo. Quindi ne viene che è appellato dono di Dio: “Donum Dei”. Una volta comunicato personalmente all’uomo, questo Dono di Dio si diffonde e si distribuisce in tutte le potenze dell’anima, come il sangue in tutte le vene del corpo. Ei le anima e le deifica; Ei diventa il principio generatore di una vita tanto superiore alla vita naturale, quanto il cielo é elevato al disopra della terra. La ragione è che la vita naturale ci è comune con gli animali, con i pagani e con tutti i peccatori; mentre la vita della quale siamo debitori allo Spirito Santo, ci assimila ai santi, agli Angeli, a Dio. – Come misurare l’estensione di un tale benefizio? Dare la vita naturale ad un Angelo e a milioni d’Angeli, a un uomo e a milioni d’uomini, a un essere qualunque e a milioni d’esseri, rendere la vista ad un cieco e a milioni di ciechi, l’udito a un sordo e a milioni di sordi, il moto a un paralitico e a milioni di paralitici: ecco senza dubbio, tanti benefici e benefici immensi. – Ma raccattare nella polvere ammotita [fangosa – ndt. -] dove striscia, quel vermicello, che si appella l’uomo; poi a quell’essere nullo, comunicare la vita stessa di Dio, riempire il suo intelletto di luce divina, il suo cuore di sentimenti divini, la sua volontà di forze sovrumane, per compiere il bene e per vincere il male; questi sono benefizi, e benefizi superiori ai primi. – A questi elementi di vita divina, a queste forze soprannaturali, imprimere un impulso potente e sostenuto, il quale, durante una lunga serie di anni e di combattimenti, faccia produrre atti perfetti di tutte le virtù, talché Dio medesimo possa mostrare alle gerarchie angeliche il cristiano che le compie, e dir loro con una sorta d’orgoglio: “Quest’é il mio Figlio diletto, l’oggetto di tutte le mie compiacenze”; non è forse il benefizio dei benefizi, il dono che incorona tutti i doni? Descrivendolo, noi veniamo a descrivere i doni dello Spirito Santo e la loro incomparabile eccellenza. Essi sono più che la vita naturale, più che la vita soprannaturale, più che le grandi virtù di prudenza, di giustizia, di forza, di temperanza soprannaturale; essi ne sono i divini motori. [S . Th., l a 2 e, q. 68. art. 4, ad. 3 ; et art. 8, corp.]. – Doni “dello Spirito Santo” e non del Padre e del Figliuolo. Capo d’opera di carità, i doni non possono essere attribuiti che allo Spirito Santo, la carità stessa di Dio, l’amore consustanziale, l’Amore in Persona eternamente vivente, eternamente infinito. Come non vi è nella natura fisica che un unico sole, principio di calore e di vita; cosi nel mondo morale non vi è che un principio santificatore, lo Spirito Santo. Come mezzi superiori di santificazione, i doni venuti da lui, a lui ci conducono. Ora, santificare é unire. Se analizzando i consigli di Dio, voi gli riducete alla loro più semplice espressione, troverete un fine unico; ricondurre tutte le cose all’unità. – Da una parte, essendo Dio uno e unicamente buono, non può avere nelle sue opere altro scopo che l’unità e l’unità beatificante. Dall’altra, l’uomo composto di una duplice natura è la misteriosa saldatura del mondo spirituale e del mondo materiale. Unendo l’uomo a Sé di una soprannaturale unione, Dio lo santifica; imperocché l’unisce nel modo il più intimo alla santità per essenza. Nello stesso istante santifica 1’universalità delle sue opere, e ridiviene tutto in tutte le cose. Cosi si trova ristabilita con una gloria novella, l’unità primitiva, spezzata dalla rivolta dell’ angelo e per la disobbedienza dell’uomo. “Che sieno uno, come Noi siamo Uno”. Questa parola di una profondità infinita, riassume nelle sue cause, nei suoi mezzi e nel suo fine l’incarnazione del Figlio, la missione dello Spirito Santo, tutte le ricche combinazioni del concetto divino, nell’ ordine soprannaturale e nell’ordine naturale, nel mondo degli Angeli e nel mondo degli uomini, cosi nel tempo come nell’eternità. – La definizione aggiunge, che i doni dello Spirito Santo sono tante abitudini, cioè dire qualità o inclinazioni inerenti all’anima. Se qualche cosa può ancora rialzare a’ nostri occhi, il pregio di questi doni divini, è di sapere che non sono né grazie passeggere, né momenti transitorii e di circostanza, ma bensì abitudini, vale a dire qualità permanenti. Come inseparabili dallo Spirito Santo, essi stanno nell’anima tanto tempo quanto lo stesso Spirito Santo vi risiede, e vi risiede fino a che non ne è bandito dal peccato mortale. – Di questa verità consolante abbiamo l’infallibile certezza. Parlando a’ suoi fratelli di tutti i luoghi e di tutti i secoli, il Verbo incarnato diceva: “Se Voi mi amate, osservate i miei comandamenti e lo Spirito Santo dimorerà presso di voi e sarà in voi. [“Apud vos manebit et in vobis erit”. Joan. XIV, 15-17]. – Ora lo Spirito Santo non è negli uomini senza i suoi doni. Egli vi abita con tutti i suoi doni o no : simile al sole che non può essere in nessun luogo senza la sua luce, il suo calore ed i suoi principi di fecondità. [“Spiritus autem sanctus non est in hominibus absque donìs ejus. Ergo dona ejus manent in hominibus. Ergo non solum sunt actus vel passiones; sed etiam habitus permanents” S. Th. l a 2ae, q. 68, art. 3, corp.]. – Possedere i doni dello Spirito Santo, e con essi tutto ciò che vi è di più ricco nei tesori della grazia, qual felicità e qual gloria! Il perderli, quale vergogna e quale infelicità! Dove trovare un motivo più potente di serbare a qualunque costo la grazia santificante, e di recuperarla prontamente, checché ne possa costare di sforzi e di lacrime se si venisse a perderla? – Soprannaturali per conseguenza, perche ci perfezionano. Tutto ciò che è divino, perfeziona quel che non lo è. I doni dello Spirito Santo essendo divini, perfezionano l’anima umana e tutte le sue potenze. Ma qual’é il genere di perfezione che essi le comunicano? Come i doni, così le virtù teologali e le virtù cardinali sono altrettante abitudini, abitudini permanenti, venute dallo Spirito Santo e perfezionanti l’uomo. Cosi sotto il rapporto dell’origine e dei fine, nessuna differenza tra i doni e le virtù soprannaturali, nulla più che tra le foglie, i fiori ed i frutti, considerati nell’albero che gli porta, nel succo che le abbevera, nel calore che gli matura. Ma siccome vi è differenza di funzioni tra le foglie i fiori ed i frutti, così ve n’ha tra i doni e le virtù. Resta, a dire in che consiste questa differenza. Le virtù soprannaturali: la fede, la speranza, la carità, la prudenza, la giustizia, la forza, la temperanza, sono tante forze divine comunicate all’anima per operare il bene soprannaturale. Il dono è l’impulso che mette le sue forze in moto. Tale è la materia con cui Egli ci perfeziona, per conseguenza la differenza radicale che lo distingue dalle virtù. Questo punto di dottrina è capitale. Ascoltiamo san Tommaso : « A fine di ben cogliere la distinzione che esiste tra i doni e le virtù fa d’uopo riferirsi al linguaggio della Scrittura. – Essa designa i doni dello Spirito Santo, non sotto il nome di doni, ma sotto il nome di “Spiriti”, “Su di lui riposerà, dice Isaia, lo spirito di sapienza e d’intelletto ecc.”. Queste parole fanno comprendere molto chiaramente che i sette doni dello Spirito Santo sono in noi, per effetto di una ispirazione divina, e piuttosto sono l’alito stesso dello Spirito Santo in noi. Ora ispirazione vuol dire impulso venuto di fuori. [Corn. a Lap., in Is . xi, 2]. « L’anima, ricca di virtù soprannaturali, ha bisogno di un motore che le metta in azione. Queste forze soprannaturali non potendo essere messe in movimento per mezzo di un motore naturale, ne risulta che lo Spirito Santo é il motore necessario delle forze soprannaturali disposte nell’anima mediante il Battesimo. Ora è mediante i sette doni e i sette spiriti, che si traduce l’impulso dello spirito santificatore. Perciò i suoi doni stono appellati tali, non solamente perché sono diffusi in noi mediante questo Spirito divino ; ma anche perché hanno per fine di rendere l’uomo pronto ad operare sotto l’influenza divina. Ne consegue che il dono in tanto che differisce dalla virtù infusa può definirsi: “ciò che è donato da Lui per mettere in moto la virtù infusa”. [a 2ae, q. 68, art. 1, corp.; id., ad 3 ; id., art.-2, corp.; id., art. 8, corp.]». – Un confronto rende sensibile questa distinzione fondamentale. Come l’umore è necessario all’albero, cosi le virtù infuse sono necessarie all’anima battezzata. Perché un albero cresca e porti frutti, è necessario che l’umore sia messo in moto dal calore del sole, a fine di circolare in tutte le parti dell’albero, dalle radici fino alla punta dei rami. Altrettanto avviene rispetto al cristiano. Per via del battesimo egli possiede l’umore delle virtù soprannaturali; ma se egli vuol crescere e portare dei frutti, bisogna che questo umore divino sia posto in movimento, e circoli in tutte le potenze del suo essere. – Qual’è il sole il cui vivo calore può solo mettere in attività questo prezioso umore? L’abbiamo già detto, è lo Spirito con i sette Doni. Ora la questione della superiorità dei doni sulle virtù, e delle virtù sopra i doni, si spiega da se medesima. I doni sono inferiori alle virtù teologali. Queste virtù difatti uniscono l’anima a Dio, mentre i doni non fanno che muoverla verso di Lui. Ma i doni sono superiori alle virtù morali, perché le virtù morali non fanno che togliere gli ostacoli che allontanano da Dio, mentre i doni dirigono veramente, e muovono verso Dio. [S . Th. l a 2ae, q. 68, art. 4, ad 3 ; et art. 8, corp.]. – La definizione finisce dicendo: “che esse ci dispongono ad obbedire prontamente allo Spirito Santo”. – L’ignoranza o la cognizione imperfetta del bene, la ottusità naturale, i legami di affezioni terrene, qualche volta il timore della pena, il rispetto umano, la dissipazione dello spirito, la debolezza del cuore, il traviamento della volontà e mille altri ostacoli, ci rendono sordi o indocili alle ispirazioni dello Spirito Santo. – Quindi un cerchio insuperabile d’imperfezioni e di bassezze, il sommo delle forze divine nascoste in fondo dell’anima, come umori latenti nel seno della terra. – Tutte queste cose, umilianti e colpevoli che popolano la Chiesa di piccole anime, piene di piccoli pensieri, danno carattere tristemente alla vita e preparano angosce per la morte. – Venga lo Spirito Santo co’ suoi doni. È il fuoco la cui viva luce illumina l’intelletto e il cui calore riscalda il cuore; è il vento veemente del cenacolo che rompe tutte le resistenze; è l’elettricità divina che, circolando in tutte le facoltà dell’anima, le anima, le scuote, le spinge verso il mondo superiore; e rendendo il Cristiano superiore a se medesimo, lo fa travagliare alla sua perfezione personale, come pure alla salute dei suoi fratelli, non lentamente ma attivamente; non superficialmente ma solidamente; non accidentalmente ma costantemente. A questo impulso il mondo deve gli Apostoli, i martiri, i missionari, i santi e le sante di tutte le condizioni, come gli dovrà i nobili vincitori o le nobili vittime degli ultimi tempi. – Definire i doni dello Spirito Santo, è mostrarne la necessità; e questo abbiamo fatto. Nondimeno insistiamo su questo punto essenziale e stabiliamo con prove dirette, che i doni dello Spirito Santo sono assolutamente necessari alla salute. Bisogna dirlo: ecco ciò che importa più che mai di sapere, e per conseguenza, insegnare, atteso ché la gente del mondo non lo sa affatto, e la più parte dei fedeli non lo sanno quasi punto. A questa ignoranza bisogna attribuire il poco caso che si fa dei doni dello Spirito Santo, la poca importanza che si annette al sacramento della Cresima, e la poca cura che si arreca nel conservarne i frutti. Essendo lo Spirito di sapienza e di vita così sconosciuto, che v’è da meravigliarsi se il mondo moderno va in rovina o alla morte? – A fine di rendere sensibile l’indispensabile necessità dei doni dello Spirito Santo, i Padri della Chiesa adoperano diversi paragoni. A quello deill’albero che abbiamo riportato aggiungono i seguenti : « Allo stesso modo, dice in un luogo, sant’Agostino, che l’occhio il più sano non può vedere, se un raggio di luce non venga a colpirlo, cosi l’uomo perfettamente giustificato, non può compiere gli atti della vita cristiana ove non sia spinto dal movimento dello Spirito Santo. »[Lib. de natura et gratia]. – San Basilio, già citato, aggiunge: «Si può paragonare l’uomo ad una nave. Per quanto perfetta si possa supporre costruita una nave, e bon provvista d’attrezzi e di marinai, essa non può camminare senza il soffio del vento. Cosi l’uomo; possedesse pure la grazia santificante e tutte le virtù infuse ad un grado eminente, se egli non ha il movimento dello Spirito Santo, non può fare un solo atto soprannaturale, e neppure pronunziare il nome di Gesù. » Ora il movimento dello Spirito Santo è l’effetto dei suoi doni. Cosi se il vento è necessario alla nave, parimente i doni dello Spirito Santo sono necessari all’anima. – Riepilogando la dottrina dei Padri, san Tommaso dà la ragione fondamentale di questa necessità. « Iddio, dice, perfeziona le opere dell’uomo in due modi: col lume naturale che è la ragione, e col lume soprannaturale venuto dalle virtù teologali. Ma questa seconda maniera è imperfetta; poiché anche con queste virtù noi non conosciamo, né amiamo Dio che imperfettamente. – La ragione é che noi non le possediamo che in un modo incompleto e non da noi medesimi. Ora qualunque essere che non possegga completamente e di per sé medesimo un principio d’azione, non può operare da sé stesso secondo quel principio, ma bisogna che sia mosso dal di fuori. – « Così il sole che è pienamente luminoso, può illuminare da sé medesimo. Ma la luna nella quale la luce non risiede che in una maniera imperfetta, non può illuminare seessa medesima non viene illuminata. Così pure il medico che conosce perfettamente l’arte sua, può operare da sé medesimo, mentre l’allievo imperfettamente istruito non lo può. Bisogna che egli riceva la direzione del suo maestro. [È un assioma delle scienze fisiche, come delle scienze morali, che il secondo agente non può agire che per virtù del primo: “nullum agens secundum agit, nisi virtute primi”. Tal’ è la condizione dell’uomo]. – In tutto ciò che è di dominio della ragione, e che tende ad un fine naturale, l’uomo, aiutato da Dio, può operare da sé medesimo mediante i lumi della ragione. « Non succede altrimenti, se si tratta del suo fine soprannaturale. Non essendo, informata che imperfettamente mediante le virtù teologali, la ragione vi ci fa tendere; ma il suo impulso non basta. È necessario il movimento dello Spirito Santo. La Scrittura l’insegna chiaramente: “Quelli che sono condotti dallo Spirito Santo, dice san Paolo, quelli sono i figli di Dio e suoi eredi”. Ed il profeta reale: “È il tuo Spirito che mi condurrà nella terra della beatitudine”. Cosi, nessuno può entrare nell’eredità del cielo, se non è spinto e condotto dallo Spirito Santo. Quindi ne segue che i doni dello Spirito Santo sono assolutamente necessari alla salute. » [l a, 2*, q. 68, art. 2, corp.; et ad 2]. -Tutta, questa bella e profonda dottrina dell’Angelo della scuola, deve compendiarci cosi: con le virtù teologali e morali l’uomo non è talmente perfezionato nei suoi rapporti col suo fine ultimo da non aver bisogno d’essere spinto dal movimento supremo dello Spirito Santo. – I doni dello Spirito Santo essendo necessari come principi generali del movimento soprannaturale, cosi lo sono ancora a parecchi titoli particolari. Sono necessari per conoscere il bene, necessari per operarlo, necessari per evitare il male: per modo che essi sono ad un tempo, lume, forza e protezione. Donde risulta che il considerarli come un alito fecondo, come un semplice impulso senza virtù propria, sarebbe un errore. – Si debbono tenerli per tante perfezioni attive e vivificanti, aggiunte alle virtù e alle potenze dell’anima: “Bona sunt quaedam hominis perfections”. [ Ibid., art. 2, corp.]. Lume: essi sono necessari per conoscere il bene. Per quanto la ragione sia perfezionata mediante le virtù teologali e per le altre virtù infuse, non può essa conoscere tutto ciò che deve conoscere, né dissipare tutte le illusioni delle quali può essere vittima, né tutti gli errori nei quali può ella cadere. Essa ha bisogno di Colui la cui scienza è infinita, e che con la sua presenza la libera da ogni illusione, da ogni follia, da ogni ignoranza, da qualunque inettitudine a conoscere ed a comprendere. – Questo perfezionamento necessario è dovuto allo Spirito Santo ed a’ suoi doni. [ld . art. 2, ad 3.]. – Forza: essi sono necessari per operare il bene. La grazia santificante abituale, non basta per farci operare il bene, ma più del sangue, principio della vita, che non basta per farci vivere occorre che sia messa in circolazione. – Ora il dono dello Spirito Santo comunica alla grazia abituale l’impulso che la pone in moto e la rende efficace. In questo senso, il dono dello Spirito Santo è insieme abituale e attuale. Come abituale, egli dimora nell’anima in stato di grazia. Come attuale, la ispira, l’aiuta, la fortifica, la spinge, secondo il bisogno del momento, sia per praticare il bene, sia per resistere al male. – Protezione: esso ci difende contro i nostri nemici. Il dono dell’operazione dello Spirito Santo non si limita a dirigerci ed a fortificarci, ma ci protegge. L’uomo in stato di grazia ne ha bisogno, per essere sostenuto contro gli assalti del nemico. Per la qualcosa egli deve dir sempre: “Non c’indurre in tentazione”. E perciò con la grazia santificante e i doni dello Spirito Santo il cristiano è un essere perfetto. Ei non ha solamente la vita divina, ma possiede altresì tutti i mezzi di svilupparla, e tutte le armi per difenderla. « Le virtù e i doni, aggiunge san Tommaso, bastano per escludere i peccati ed i vizi nel presente e nell’avvenire in questo senso, che essi impediscono di commetterli. Quanto alle colpe passate, l’uomo ne trova il rimedio nei sacramenti. » [S . Th., III p., q. 62, art. 2, ad 2]. – Da ora in poi resta bene stabilito, che i doni dello Spirito Santo, tanto come principi di moto soprannaturale, che come elementi ‘di lume, di forza e di difesa sono tanto necessari alla salute quanto il moto alla vita, il calore all’umore, il vento alla nave, il vapore alla locomotiva. Ma sono essi tutti necessari allo stesso grado? Senza dubbio. – « Fra i doni dello Spirito Santo, dice la teologia cattolica, la sapienza tiene il primo posto, il timore, l’ultimo. Ora l’una e l’altro sono necessari alla salute. “Nessuno è amato da Dio, dice la Scrittura, se non colui che abita con la sapienza, e nessuno può esser salvo senza il timore”. Dunque i doni intermedii sono del pari necessari alla salute: “Ergo etiam alia dona media sunt necessaria ad salutem”. [S. Th., l a, 2“ , q. 68, art. 4]. – Inoltre, senza lo Spirito Santo, la salute è impossibile. Ora lo Spirito Santo è inseparabile dai suoi doni. Egli é nell’anima con tutti i suoi doni, o non vi è affatto. Donde ne segue che i sette doni dello Spirito Santo sono necessari alla salute di una eguale necessità: “Septem dona sunt necessaria ad salutem. » [Ibid. art. 3, ad 1]. – Non si ripeterà mai abbastanza, che l’uomo senza i doni dello Spirito Santo è privo di movimento soprannaturale. Egli non può convenientemente né conoscere il bene, né operarlo, né evitare il male, né aprirsi le porte del cielo. Ma qual è il numero di questi doni, più preziosi di tutto l’oro del mondo, più necessari mille volte della vita naturale? La Scrittura ci dà la risposta. Parlando di Nostro Signore, secondo Adamo, il profeta Isaia si esprime in questi termini: « E sopra di Lui riposerà lo Spirito del Signore, Spirito di sapienza e d’ intelligenza; Spirito di consiglio e di fortezza; Spirito di scienza e di pietà; e riempiralLo lo spirito del timore del Signore. » [Corn. a Lap.,in Is., XI, 3]. – Ciò che si è adempiuto nel Verbo incarnato deve adempirsi in ognuno dei suoi fratelli. Nel giorno del battesimo ciascun cristiano riceve sette doni dello Spirito Santo. Perché questi doni divini sono per l’appunto sette e non sei o otto? Ricordiamoci, che i doni dello Spirito Santo hanno per oggetto d’imprimere il movimento alle virtù. Ora, vi sono sette virtù: tre teologali e quattro cardinali. Queste virtù comprendono tutte le forze, come principi di atti soprannaturali. Queste forze riposano tutte nell’intelletto e nella volontà. L’intelletto deve comprendere la verità, nutrirsene e trasmetterla; la volontà, amarla e ridurla in atti. – Per conoscere la verità di un’utile cognizione, l’intelletto ha bisogno dei doni d’intelligenza, di consiglio, di sapienza, e di scienza. I doni di pietà, di forza e di timore sono gli ausiliari indispensabili della volontà, nell’amore e nella pratica del bene.. Cosi i doni dello Spirito Santo colpiscono tutte le facoltà dell’anima, tutte le virtù intellettuali e morali, e le seguitano nei loro atti, di qualunque natura si siano. [S. Th. a, 2ae, q. 68, art. 4, corp.] – Sotto una figura di una profonda verità, san Gregorio mostra la stessa ragione del numero sette. « Dio, dice, ha creato il mondo e l’ha reso perfetto in sette giorni. Come immagine di Dio, l’uomo è creatore. A ciascun giorno della sua creazione spirituale, corrisponde un dono dello Spirito Santo. Tutti insieme compiono e perfezionano i lavori, tanto della vita attiva che della vita contemplativa. » Ne risulta che il numero sette è quello che conviene ai doni dello Spirito Santo: più sarebbe inutile, meno non basterebbe. A questa mirabile precisione, come non riconoscere l’infinita sapienza, la quale nell’ordine morale, non meno che nell’ordine fisico, fa tutto con numero? – Essa riluce di un nuovo splendore, se si considera, come faremo più tardi, che i doni dello Spirito Santo sono opposti ai sette peccati capitali. Questi sette, peccati, o per dir meglio, questi sette Spiriti maligni s’impadroniscono delle sette virtù o potenze nell’uomo, come del suo intelletto e della sua volontà, cioè dire, eh essi assalgono l’uomo in tutto il suo essere. Per combattere con successo contro queste sette potenze infernali, sette forze divine erano necessarie all’uomo. Ei le trova né più né meno, nei sette doni dello Spirito Santo. – Nuovo tratto di sapienza e di bontà: questo splendido corteggio di perfezioni soprannaturali, questa potente coorte di ausiliari divini è indissolubile. I doni dello Spirito Santo sono inseparabili gli uni dagli altri. « Nessuna virtù morale, dice il principe della teologia, può esistere nell’uomo senza la prudenza. Tutte si riuniscono in questa virtù che le dirige secondo i lumi della ragione. Cosi avviene del cristiano. Tutte le sue virtù, tutte le forze della sua anima sono eccitate e rette dai doni dello Spirito Santo. Ora, lo Spirito Santo abita in noi, mediante la carità. Cosi, come le virtù morali sono messe in un fascio per mezzo della prudenza, parimente i doni dello Spirito Santo si trovano legati insieme nella carità. Colui dunque che ha la carità, possiede i sètte doni dello Spirito Santo, e colui che la perde, perde tutti i sette doni: ma egli gli ricupera ricuperando la grazia.1 »1 [l a, 2, q. 68, art. 4, corp. ; et. 9, 68, art. 5, corp.]. – Tale è, per dirla di passaggio, la ragione del numero sette, così spesso riprodotto nelle penitenze canoniche e nelle indulgenze accordate dalla Chiesa. [S. Anton., Summa theologic. p. IV, tit. X, c. I, p. 152, ediz. in-4, Venet. 1861]. – Non solamente i doni dello Spirito Santo sono inseparàbili; ma sono altresì talmente permanenti, che sopravvivono anche alla morte. Come mezzi necessari di santificazione nell’esilio, cosi divengono nella patria fonti di gloria e di beatitudine. « I doni dello Spirito Santo, continua san Tommaso, possono essere considerati nel loro oggetto attuale e nella loro essenza. Finché riseggono nell’uomo pellegrino, essi hanno per oggetto le opere della vita attiva, vale a dire, la pratica dei differenti doveri, ai quali la salute è annessa. Sotto questo rapporto essi non dimorano in cielo. Essendo allora ottenuto il fine, i mezzi non hanno più ragione d’essere. « Accade diversamente, se li consideriamo nella loro essenza. Difatti, è della loro essenza il perfezionare l’anima, in modo da renderla docile all’impulso divino. – Ora, in cielo questa docilità sarà completa. Là Dio sarà tutto in tutte le cose, e l’uomo perfettamente sottomesso a Dio. Cosi non solamente i doni dello Spirito Santo, principi di questa docilità, sussisteranno in cielo, ma incomparabilmente più perfetti che quaggiù, rifulgeranno negli eletti di una splendida luce, e saranno la misura della loro felicità e della loro gloria. » [l a, 2ae, q. 68, art.’6, corp.]. – Questo splendore non sarà lo stesso per tutti i doni, imperocché tutti non hanno la stessa eccellenza. Tutti, è vero, sono tante pietre preziose che formeranno la corona degli eletti; ma nel cielo, come sulla terra, tutte le pietre preziose non hanno né lo stesso pregio, né lo stesso splendore. Il rubino, lo smeraldo, il topazio, il diamante, hanno ciascuno la sua bellezza specifica e una luce differente. Che una eccellenza relativa, una dignità gerarchica distingua i doni dello Spirito Santo, niente è più facile a provarsi. – Questi doni corrispondono alle virtù, cioè dire, che ciascun dono ha per scopo di mettere in movimento una virtù particolare e di nobilitarla, facendola produrre degli atti, prontamente, facilmente, costantemente sotto l’impulso dello Spirito Santo. Ora, vi è una differenza di dignità tra le virtù. Senza parlare delle virtù teologali, che sono le prime di tutte, le virtù intellettuali sono superiori alle virtù morali, e tra le virtù intellettuali quelle contemplative sono preferibili alle attive. La causa e che le prime perfezionano la più nobile facoltà dell’uomo, la ragione; mentre le seconde non perfezionano che la volontà. – È una necessità che non avvenga lo stesso tra i doni: imperocché quanto più nobile è la cosa da muovere, tanto più nobile deve essere il motore; quanto più perfetta è la facoltà da perfezionare, tanto più perfetto deve essere il principio perfezionante. « Cosi, aggiunge san Tommaso, nei doni; la sapienza e 1’intelletto, la scienza e il consiglio, sono preferiti alla pietà, alla forza ed al timore. Fra questi tre ultimi, la pietà è preferita alla forza, e la forza al timore; come la giustizia medesima è preferita alla forza e la forza alla temperanza. – Tale è la superiorità relativa dei doni, presi in sé medesimi. – « Considerati sotto il rapporto degli atti, la forza ed il consiglio sono preferiti alla scienza ed alla pietà, perché la forza ed il consiglio si esercitano nei casi difficili; la pietà ed anche la scienza, nei casi ordinari. Si vede che la dignità dei doni corrisponde all’ordine nel quale essi sono numerati, parte semplicemente, in quanto che la sapienza e l’intelletto sono preferite a tutti; parte secondo il loro ordine di applicazione, in quanto che il consiglio e la forza sono preferiti alla scienza ed alla pietà [S. Th., l a, 2 ae, 9, 68 , a r t . 7, corp.] ». -Ma in che ordine i doni dello Spirito Santo sono numerati? Trovansi due modi di contarli: l’uno discendente che comincia dalla sapienza e finisce col timore; l’altro ascendente, che comincia col timore e finisce con la sapienza. Allorché lo Spirito Santo diffonde i suoi doni su Nostro Signore, Egli li nomina per ordine di dignità; sopra di noi, per ordine di necessità. Di Nostro Signore è detto: Su di Lui riposerà lo Spirito di sapienza e sarà riempito dallo Spirito del timore del Signore. Di noi è detto: Il timore è il principio della sapienza. Perché questa doppia scala? Il Verbo incarnato è l’eterna sapienza; ed il primo dono comunicato alla sua anima è la sapienza. Con ciò Io Spirito Santo ha voluto mostrare, che questa umanità santa, essendo senza peccato né imperfezione,- partecipa alla prima, dell’attributo supremo della Persona divina, alla quale essa va unita. L’ultimo dono nominato dallo Spirito Santo è il timore. La sede del timore è soprattutto nella parte inferiore deir anima, cioè dire, nel punto che pone in contatto immediato Nostro Signore con la nostra povera umanità. E lo Spirito Santo ha voluto insegnarci, che il timore è il primo gradino della scala che deve innalzarci sino a Dio, sapienza infinita. Tal’è l’ordine, secondo il quale lo Spirito Santo si comunica al Dio uomo, l’innocenza stessa e il riparatore dell’innocenza. – Quanto a noi, riceviamo i doni dello Spirito Santo nell’ordine inverso; e si capisce.1 [S. Bonav., ubi supra, p. 241].Carico di miserie e di peccati, il primo sentimento che l’omo deve provare dinanzi a Dio, è il timore. Ecco perché il timore è il primo dono eh’egli riceve, e la sapienza 1’ultimo a cui perviene. Lo Spirito Santo per arrivare sino a noi, discende nel Verbo incarnato, dalla sapienza al timore, e per rialzarci sino al nostro Fratello maggiore, ci fa risalire dal timore alla sapienza.Se vogliamo che il cristiano conosca la concatenazione e la dignità relativa dei doni dello Spirito Santo, tale è l’ordine che importa seguire spiegandoli. È tanto più razionale, in quanto che i doni dello Spirito Santo sono direttamente opposti ai peccati capitali. Ora l’orgoglio è il padre di tutti gli altri: Initium omnis peccati est superbia; ed è altresì il primo che si spiega. Il timore ne è il rimedio, come dimostreremo. È dunque per il timore che deve cominciare r esplicamento dei doni dello Spirito Santo.Questi due ordini, uno dei quali scende e l’altro sale, racchiudono, come é facile vedere, di grandi insegnamenti e di belle armonie. Né gli uni né le altre sono sfuggiti allo sguardo penetrante dei dottori della Chiesa: « Col numero sette, dice sant’Agostino, i doni ci rivelano lo Spirito Santo, il quale scendendo a noi, comincia con la sapienza e finisce col timore; mentre noi per mostrarci fino a lui, cominciamo col timore e si finisce con la sapienza; imperocché il timore dei Signore è il cominciamento della sapienza.1 » [Serm. 448, c. IV, opp. t. V, p. I, p. 1499]. E altrove: « Allorché il profeta Isaia celebra i sette doni mirabili dello Spirito Santo, incomincia colla sapienza e arriva al timore, scendendo dalla vetta fino a noi, a fine d’insegnarci a salire. Egli parte dal punto in cui vogliamo giungere, e perviene al punto in cui noi dobbiamo incominciare. Su di lui riposerà, dice, lo Spirito del Signore, lo Spirito di sapienza e d’intelletto, lo Spirito di consiglio e di forza, lo Spirito di scienza e di pietà, lo Spirito del timore del Signore. Cosi, come il Verbo incarnato non diminuèndo, ma insegnandoci, discende dalla sapienza sino al timore; parimenti noi dobbiamo salire, avanzando, dal timore alla sapienza. Difatti il timore é il principio della sapienza.Essa è quella valle del pianto di cui parla il profeta allorché dice : Egli ha disposto delle ascensioni nel suo cuore, in fondo alla valle delle lacrime. « Questa valle è 1’umiltà. Ora chi è 1’umile se non colui che teme Dio, e che a motivo di questo timore, fa scorrere dal suo cuore delle lacrime di confessione e di penitenza? Dio non disprezza un cuore contrito ed umiliato. Che egli non tema dunque di dimorare nel fondo della valle. In questo cuore contrito e umiliato Iddio ha preparato delle ascensioni, con le quali ci innalziamo sino a Lui. Dove, si fanno queste ascensioni? Nel cuore, dice il profeta, in corde. Di dove bisogna salire? Dal fondo della valle del pianto. Dove bisogna salire? Nel luogo che Dio medesimo ha preparato, in locum quem disposuit. Qual’è questo luogo ? Il luogo del riposo e della pace, dove abita, risplendente di luce, l’mmortale Sapienza.« Cosi per istruirci, Isaia scende a gradi dalla sapienza sino al timore, vale a dire dal soggiorno della pace eterna sino al fondo della valle dei gemiti, passeggeri come il tempo. Egli vuole insegnarci, poveri penitenti, che piangiamo e che gemiamo, a non restare nei gemiti e nelle lacrime; ma a salire da questa trista valle sino alla montagna spirituale, su quella cima sulla quale è edificata la santa Gerusalemme, nostra madre, dove noi godremo di una gioia senza misura e senza fine. Tale è la ragione per cui egli pone nel primo grado la sapienza, vale a dire la vera luce dell’ anima, e al secondo l’intelligenza. Come se rispondesse a coloro che gli domandano da qual punto bisogna partire per arrivare alla sapienza, egli dice: dall’intelletto. E per pervenire all’intelletto? dal. consiglio. E al consiglio? dalla forza. E alla forza? dalla scienza. Ed alla scienza? dalla pietà. E alla pietà? dal timore. Dunque alla sapienza dopo il timore: dalla valle del pianto, sino alla montagna della pace.1 ». Serm, 247, c. III, opp. t. ‘V, p. 1987]. – Nella maniera con cui Isaia parla del dono di timore nel nostro Signore, cosi l’abate Ruperto ci fa ammirare la profonda condiscendenza del Verbo incarnato, divenuto il salvatore ed il precettore dell’uman genere. Ecco le sue parole : Il profeta dice : « E lo Spirito del timore del Signore lo riempirà. È degno di nota che, parlando d’ei sei primi doni, Isaia dice costantemente: Su di Lui riposerà lo Spirito del Signore, lo Spirito di sapienza, lo Spirito d’intelletto, e. cosi degli altri. Perché, giunto al settimo cambia egli la parola e dice: lo Spirito di timore lo riempirà? Comprendiamo il mistero: Iddio ha voluto mostrare all’universo questo stupendo spettacolo: il Creatore dell’uomo, il Dio dell’eternità, che discende sino al punto da cui deve partire l’uomo peccatore, per uscire dall’abisso del vizio e liberarsi dalle catene infernali del peccato. – « Di fatti, il principio della sapienza è il timore del Signore. Il Creatore é sceso appunto fin qui. Lo Spirito del timore di Dio lo riempirà, dice il profeta. Che egli abbia detto: Sopra di lui riposerà lo Spirito dì sapienza e d’intelletto, non havvi nulla di sorprendente. Tutte queste magnifiche qualità si addicono alla Maestà di un Dio. Ma qual é l’Angelo, o l’uomo che non sia stupefatto, vedendo il Signore discendere fino al timore del Signore; il Padrone sovrano e terribile del cielo e della terra, pieno di timore non in parte, ma pienamente e in tutta l’estensione, che uomini ispirati dello Spirito Santo possono dare alla parola pienezza ? » [De Spir. sanct, lib. I, c. XXV]. – Tale è la scala misteriosa che il Verbo, condotto dallo Spunto Santo, ha calata per giungere fino a noi, e che noi medesimi dobbiamo salire per giungere sino a Lui. Fermiamoci per un istante a considerare questo duplice movimento di discesa e di salita. Questo studio per se stesso interessante ha tre grandi vantaggi. Il primo: di verificare con fatti l’enumerazione gerarchica d’Isaia: il secondo, di pòrci nella condizione di esercitare i doni dello Spirito Santo; il terzo di propalare gli effetti generali dei doni dello Spirito Santo sul genere umano. – 1. Verificare l’enumerazione gerarchica d’Isaia. Certo la vita del Verbo, fatto carne, è una manifestazione sostenuta dallo Spirito che riposava su di Lui. Nondimeno si trovano delle circostanze in cui rifulge di uno splendore più vivo ciascun dono dello Spirito settiforme, e nell’ordine stesso della enumerazione profetica. Gesù entra nella sua vita pubblica, e il primo dono che in lui riluce è la sapienza. Appena uscito dalle acque del Giordano, lo Spirito lo spinge nel deserto. Ivi, egli digiuna quaranta di e quaranta notti; permette al demonio di venire a tentarlo, a fine di avere occasione di vincerlo; respinge i suoi assalti con parole divine scelte mirabilmente, e così prelude a tutte le vittorie che Egli ed i suoi discepoli, di tutti i secoli e di tutti i paesi, riporteranno sull’eterno tentatore. – Dov’ è 1′ uomo la cui vita dirà una sapienza paragonabile a questa? Ritornato tra gli uomini, uno dei suoi primi atti è di entrare nella Sinagoga di Nazaret, ove si alza per fare la lettura dei libri santi, gli fu dato il libro d’Isaia, e spiegato che ebbe il libro, trovò quel passo dove era scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per lo che mi ha unto e mi ha mandato ad evangelizzare a poveri; a curare coloro che hanno il cuore contrito; ad annunziare agli schiavi la liberazione, ed ai ciechi la recuperare la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, e predicare l’anno accettevole del Signore e il giorno della retribuzione. E ripiegato il libro lo rese al ministro e si pose a sedere e principiò a dir loro: “Oggi con le vostre orecchie avete udito l’adempimento di questa Scrittura”. [Luc IV, 17-19].» – Essa è compiuta; imperocché il profeta parla di miracoli dell’ordine morale, e in me e per me voi state per vedere operarsi tutti questi miracoli. Trovare immediatamente questo passo d’Isaia e darne il senso preciso, non é egli il trionfo del dono dell intelletto? – Ecco il dono del consiglio. Sospettando l’incredulità dei suoi uditori, fa loro intendere che questi miracoli non sono per essi. « In verità vi dico che molte vedove eranvi in Israele a tempo d’Elia, quando il cielo stette chiuso per tre anni e sei mesi, e fu carestia grande per tutta la terra. E a nessuna di esse fu mandato Elia, ma. a una donna vedova di Sarepta del territorio di Sidone. E molti lebbrosi erano in Israele al tempo di Eliseo Profeta: e nessuno di essi fu mondato fuori che Naaman Siro.» Luc., IV, 25-27]. – Conoscenza chiara e rivelazione precisa degli eterni decreti sui Giudei e sui gentili, tutto è in queste parole. Sulle labbra del Salvatore esse dicono: Col vostro orgoglio, o giudei, voi chiuderete sul vostro capo il cielo della misericordia: tutta la pioggia di grazie, caduta sopra di voi, mediante il ministero di Mosè e dei profeti, prenderà la sua direzione verso i gentili: e la vostra lebbra che voi non volete curare, sarà la guarigione della lebbra delle nazioni, per cui lo Spirito dei sette doni sarà la purificazione e il medico. – Il dono di Consiglio può egli spiccare di una più viva luce? – Il dono di Forza non è più difficile a trovarsi. Irritati dall’esperienza data ad essi dal dono di consiglio, gli Ebrei s’impadroniscono del Verbo incarnato e lo conducono in cima del monte sul quale la loro città era edificata, a fine di precipitarlo; ma sgusciò loro di mano e si allontanò tranquillamente. Questo non era che il preludio di atti più luminosi del dono di forza. – Cacciare il forte armato’ dalla sua cittadella, rompere i legami della morte, risuscitare se medesimo alla gloria, che cosa è questo se non il dono di Forza, innalzato alla sua più alta potenza? – Ogni passo del Salvatore nella sua vita pubblica, è contrassegnato dal dono di Scienza. Che dico? lo si vede risplendere come un raggio di luce divina nell’oscurità della sua vita nascosta. Potremmo noi dimenticare la meraviglia cagionata a tutti i vecchi dottori della legge, con le domande e risposte di quel fanciullo di dodici anni? Ma come il sole diventa più splendido a misura che si avanza sull’orizzonte, così con gli anni, il dono di Scienza rifulge in Gesù di un nuovo splendore. Per la festa dei tabernacoli egli sale a Gerusalemme; e dinanzi alla moltitudine riunita nel tempio egli insegna la sua dottrina. L’ammirazione splende da tutte le parti e si traduce con queste parole: Come sa egli le scritture senza averle mai apprese? Si può proclamar meglio il dono di Scienza ? – Continuando a scendere i gradini della scala misteriosa, il Verbo redentore giunge al dono di Pietà. Nessuno ignora ciò che rivelano le commoventi parabole del buon Samaritano: del padre di famiglia che invita al suo banchetto i poveri, gli infermi, i ciechi e gli storpi; della dramma e delle pecore perdute. – Ma la parola del figliuol prodigo non è l’inimitabile capo d’opera del dono di Pietà? – Eccoci finalmente al dono di Timore. Poiché nota all’uman genere il primo passo che dee fare per elevarsi a Dio, questo dono apparisce 1’ultimo e negli ultimi momenti del divin maestro. Esso é come il vestigio ancor caldo, nel quale l’uomo deve cominciare col mettere il piede. Questo vestigio indelebile è preso dal giardino degli Olivi. Non vedete voi il Forte d’Israele, colpito tutto ad un tratto da timore, da noia e da tristezza che cade in ginocchio e dice: Padre, se è possibile, allontanate dalle mia labbra questo calice? Non lo vedete voi nei patimenti dell’agonia, ricoperto di sudore, di sangue e ridotto per non soccombere, ad accettare il soccorso di un Angelo consolatore? Al timore mortale aggiungete la sottomissione la più rispettosa e la più intera agli ordini paterni, e dite se mai il dono di Timore si é rivelato con una tale perfezione! [Vedi Ruperto, De Spir. sanct., lib. I, c. XXI]. 2. Porci in grado di esercitare o praticare i doni dello Spirito Santo. Noi conosciamo i gradini pei quali il Verbo divino è sceso dalla vetta delle colline eterne sino in fondo alla valle dei pianti. Per compiere il moto contrario, quali sono quelli che noi dobbiamo seguire? Il saperlo è per noi di un capitale interesse. Con questi doni dello Spirito Santo il Verbo ha salvato l’uomo e creato un mondo nuovo.11 [Luc., IV, 17; Hebr., IX, 14] – Come immagine del Verbo e piccolo mondo, il cristiano può e deve, mediante gli stessi doni e con essi unicamente salvarsi, e fare di sé un mondo nuovo. Come metterli in opera? Dinanzi ai suoi occhi è la scala da salire. Avere la pretensione di alzarsi al primo salto fino allo scalino superiore, sarebbe follia. Bisogna dunque cominciare col porre il piede sul più basso. Quest’ultimo scalino, l’abbiamo visto, è il timore. Il Salvatore ci attende e ci, porge la mano. Lo stesso Spirito che l’ha fatto discendere fin li, comincia per innalzarci fino a quello. Tale è la sua prima operazione. – Ascoltiamo san Bernardo : « È con ragione, egli dice, che il timore di Dio è chiamato il principio della sapienza. Iddio, infatti, comincia a farsi gustare all’anima, allorquando gli insegna a temere, e non a sapere : imperocché temere è gustare: Timor, sapor est Ora il gusto rende savio, come la scienza rende sapiente. Temete voi la giustizia e la potenza di Dio? Voi gustate Dio giusto e potente. Sapienza viene da sapore. Ecco perché il timore, cominciamento della sapienza, diffonde nelle profondità dell’essere un sapore molteplice, che rigenera tutta la famiglia interiore dell’anima, purifica il suo regno, lo pacifica e lo santifica. 2 »2 [Serm . 28 in Cantic.]. – La conferma del gran mistero è tanto più vera, in quanto che il dono di Timore non produce il timore servile, ma il timore figliale; timore rispettoso, rassegnato e fiducioso, simile a quello dell’Uomo-Dio nell’orto di Getsemani. – Il timore è dunque il primo gradino della nostra ascensione verso Dio, la prima condizione del nostro riscatto, la prima legge della nostra rigenerazione; la Chiesa lo sa. Essa che non ignora nessuno dei segreti dell’ordine morale, incomincia sempre la salute dei suoi col timore. Ai suoi occhi, il lavoro di rigenerazione o di creazione nuova, imposto all’uomo, si divide in tre periodi, che essa appella la vita purgativa, la vita illustrativa e la vita contemplativa. A ciascuna corrispondono alcuni dei doni dello Spirito Santo. Il timore è il primo fondamento della vita purgativa, e la vita purgativa è il principio della rigenerazione. – Leggete inoltre tutti gli autori ascetici, quegli ufficiali del genio nella guerra spirituale; non ve ne è uno che non dia ai piani d’attacco e di difesa il timore, per primo centro d’operazione. Ascoltate tutti i predicatori di ritiri e di missioni, quei capitani esperimentati che fanno manovrare tutte le forze spirituali contro le potenze nemiche della salute; neppur’uno che non cominci la battaglia, senza mettere innanzi i «fini ultimi dell’uomo, fonti eterne del timore. – Come interpreti dello Spirito Santo, tanto gli uni che gli altri, non fanno che applicare la legge immutabile, che pone il timore come principio della sapienza. Per l’organo infallibile del concilio di Trento, lo Spirito santifìcatore, descrive egli medesimo il modo con cui egli opera la giustificazione dei peccatori. Il timore della giustizia di Dio dà loro la scossa; dal timore passano alla considerazione della misericordia: questa considerazione gli conduce alla confidenza, che Dio gli perdonerà in vista dei meriti del suo Figliuolo. Allora essi cominciano ad amarlo, come .fonte di ogni giustizia, e a detestare i loro peccati. [Sess. IV, c. VI.]. – È dunque’ bene stabilito che l’uomo, mediante il dono di timore si pone in contatto con l’eterna sapienza, e comincia l’opera della sua nuova creazione. Questa creazione, capo d’opera dei sette doni dello Spirito Santo, fu come tutte le opere della grazia, figurata nella creazione del mondo materiale. In quella guisa che il primo giorno della settimana primitiva, chiama il secondo, e il secondo il terzo, fino all’ultimo; cosi il primo dono dello Spirito Santo, messo in opera conduce al secondo, e questo a tutti gli altri sino al settimo, cioè alla sapienza, che è il riposo perfetto. Ivi giunto, l’uomo può dire, come lo stesso Dio nel contemplare 1’opera sua: Egli vide tutto ciò che aveva fatto, e lo trovò buonissimo. [S. Aug. De doctr. christ., c. vii]. Siccome noi abbiamo altrove spiegato l’economia di questo mirabile lavoro, perciò non vi ritorneremo. – 3. Effetti generali dei doni dello Spirito Santo nell’uman genere. I doni dello Spirito Santo fanno del Nostro Signore un Dio-scorno. Del cristiano essi fanno con le debite differenze un uomo-Dio. La prima cosa che gli apostoli, organi dello Spirito Santo, predicano ai rappresentanti del genere umano, riuniti nel Cenacolo, è la penitenza. Poenitentiam agite. Ora la penitenza è inseparabile dal dono di timore. Con questo dono 1’umanità, unita al Verbo incarnato, non tarda a ricevere la sua pienezza, la pienezza della sua pietà, la pienezza della sua scienza, quella della sua forza, quella del suo consiglio, quella del suo intelletto, quella infine della sua sapienza. Noi ne riceviamo, secondo la capacità delle nostre anime, e secondo la misura della nostra fedeltà. – In lui è la sorgente, in noi il rivo; in lui il focolare, in noi la scintilla; in lui lo Spirito dei sette doni in tutta la loro abbondanza, in noi una parte di questa abbondanza. Ecco perché, nota san Giovanni Crisostomo, il profeta non dice: lo dono il mio spirito, ma: Io diffonderò il mio spirito sopra ogni carne. [Propterea non dixit, do Spiritum, sed effundam de Spiritu meo super omnem camem. Exposit., in Ps. 44, n. 2, opp. t. V. p. I, p. 195]. – Tuttavia voi vedete ciò che produce nel mondo questa goccia di grazia, questa scintilla dello Spirito Santo! « La terra intera ne riceve l’influenza e ne prova la commozione. Caduta da prima sulla Palestina, essa guadagna l’Egitto, la Fenicia, la Siria, la Cilicia, l’Eufrate, la Mesopotamia, la Cappadocia, la Galazia, la Scizia, la Grecia, la Gallia, l’Italia, tutta la Libia, l’Europa, l’Asia ed anche l’Oceano. Havvi bisogno di un più lungo discorso? Quanta terra illumina il sole, altrettanta questa grazia ne percorre; e questa grazia, questa scintilla dello Spirito Santo, riempie il mondo di scienza. Per lei si compiono i miracoli, per lei i peccati sono rimessi. Pur nonostante questa grazia, estesa a tante regioni, non è che una parte e un’arra dello stesso dono. Egli ha deposto nei nostri cuori, dice l’ Apostolo, un arra dello Spirinto, cioè dire della sua operazione; imperocché lo Spirito non si divide. « Che cosa dire della sorgente? Ad uno è dato, mediante lo Spirito, il linguaggio della sapienza; ad un altro il linguaggio della scienza, mediante lo stesso spirito; all’altro la fede; all’altro la grazia delle guarigioni; all’altro il dono dei miracoli; all’altro la profezia; all’altro il discernimento degli spiriti; all’altro il dono delle lingue. Mediante la grazia ricevuta nel battesimo egli estende a tutte le nazioni tutti questi doni. Ecco quel che fa una goccia dello Spirito Santo. Che questa sia una goccia soltanto, lo dichiara il profeta, dicendo: Io diffonderò del mio spirito: Vedete dunque quant’è la potente fecondità della grazia dello Spirito Santo, la quale da sì lungo tempo basta all’intero mondo, e che non conoscendo né frontiere, né diminuzione, ricolma l’uman genere d’ineffabili ricchezze, senza impoverir sé medesimo. » [Ubi supra] – Avanti il gran Tertulliano, l’illustre patriarca di Costantinopoli, aveva celebrato la rapida deificazione dell’uman genere, mediante lo Spirito dei sette doni. Per lui questo miracolo era la prova irrefutabile della divinità del Verbo fatto carne, da cui il mondo aveva ricevuto lo Spirito rigeneratore. « Gli apostoli, dice nel suo magnifico linguaggio, furono il porta voce dello Spirito Santo, e le loro parole hanno risuonato in tutti gli echi dell’universo. A chi hanno mai creduto tutte le nazioni del globo? Al Cristo, e al Cristo solo. Davanti a Lui tutte le porte delle città si sono aperte, dinanzi a Lui tutte le serrature si sono rotte: e le valvole di bronzo hanno girato. sui loro cardini per farlo passare. Certo questi miracoli appartengono all’ordine morale, e bisogna intenderli in questo senso; che i cuori, degli abitanti della terra, assediati, chiusi, posseduti dal demonio, sono stati liberati, o aperti dalla fede del Cristo. Ma questi miracoli non sono però meno reali, poiché in tutti i luoghi abita oggidì il popolo cristiano. Ora, chi può estendere il suo regno all’intero universo, se non Cristo Figliuolo di Dio, annunziato come dovente regnare eternamente su tutte le nazioni ? « Salomone ha regnato, ma nelle frontiere della Giudea, da Dan fino a Bersabea. Dario ha regnato sui Babilonesi ed i Persii, ma non al di là. Il Faraone ha regnato sugli Egizii, ma solamente su di essi. Nabuccodonosor ha regnato dall’ Indie sino all’ Etiopia ; poco più lungi il suo impero era sconosciuto. Alessandro il Macedone ha regnato, ma sopra una parte dell’Asia soltanto. Che dirò dei Romani?Essi circondano il loro impero di stazioni militari, ed a queste barriere viventi finisce la loro potenza. Quanto a Cristo, il suo regno e il suo nome si distendono da per tutto. Da per tutto è creduto, da per tutto adorato, da per tutto comanda, dandosi a tutti senza accettazione di persona, per tutti uguale, per tutti re, per tutti giudice, per tutti Dio e Signore. Afferma tutto ciò senza esitare, poiché tu lo vedi co’ tuoi propri occhi. » [Lib. adv. Judaeos, c. VII]. – San Gregorio, colpito dallo stesso spettacolo, esclama: « Lo Spirito invisibile si è reso visibile nei suoi servi. I loro miracoli provano la sua presenza. Nessuno può fissare il disco abbagliante del sole quando si leva; ma noi possiamo vedere la cima dei monti che indora con la sua luce, e così sappiamo essere sull’orizzonte. Poiché non possiamo contemplare in se medesimo il sole di giustizia, vediamo i monti che ei fa risplendere della sua luce; i santi Apostoli, le cui virtù e i miracoli annunziano a tutta quanta la terra il levarsi del sole divino. Se è invisibile in se medesimo, noi vediamo i monti che illumina. La virtù della stessa Divinità è il sole nel cielo; la virtù della Divinità negli uomini è il sole sulla terra. Noi contempliamo dunque il sole sulla terra, poiché non possiamo contemplarlo nel cielo. » [Homil. XXX in Evang.] – Il genere umano, tratto dalla barbarie pagana, e stabilito nella piena luce del Vangelo, tali sono gli effetti generali dei doni dello Spirito Santo. Diciamo di passaggio, dinanzi a questo fatto, sempre antico e sempre nuovo, che cosa sono le obiezioni dell’ incredulo contro il cristianesimo? Ciò che sono i ragionamenti del cieco nato, contro l’esistenza del sole; ciò che sono le parole dell’insensato contro la certezza degli assiomi di geometria. – Come si è questo gran fatto compiuto nell’umanità? Come si compie in ciascun uomo; esso ha cominciato col dono del timore, traendosi dietro tutti gli altri. Che cosa predica Giovanni Battista, il precursore della luce? Il timore: « Fate degni frutti di penitenza. Di già la scure è posta alla radice dell’albero: ogni albero che non reca buoni frutti sarà tagliato e gettato nel fuoco. » [Luc,, III, 8.] – E Pietro, primo interprete del Redentore, davanti agli Ebrei dice: « Fate penitenza, e ciascun di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo, in remissione de’ vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo. » [Act., II, 38]. – E Paolo, suo apostolo, davanti ai gentili: « Iddio annunzia ora agli uomini che tutti, in ogni luogo facciano penitenza. » [Act, XVII, 30]. – Cosi da per tutto il dono di timore è in capo lista. Il principio della sapienza è il timore; tale è la legge immutabile della redenzione. – Per la ragione contraria, la perdita del timore è il principio della rovina. Come fece il mondo cristiano a scuotere il giogo del Cristianesimo? come giunge egli parimente a questo grado di aberrazione, da negare l’evidenza dei fatti evangelici? Perdendo i doni dello Spirito Santo. In quale ordine gli perde egli? Nello stesso ordine in cui gli riceve. Il primo a perdersi, come il primo a riceversi, .è il timore. Che cosa pensare di un’epoca che non ha più il timore di Dio ? I doni dello Spirito Santo essendo inseparabili, un’epoca che perde il timore di Dio, è un’epoca che perde la sapienza, che perde l’intelligenza, che perde il consiglio e la forza della virtù. È un epoca che si trova abbandonata ai sette spiriti contrari, allo spirito d’orgoglio, allo spirito di avarizia, allo spirito di lussuria, allo spirito d’iniquità, sotto tutti i nomi e sotto tutte le forme. Ove va essa? E come meravigliarsi di ciò che vediamo? e come non presentire ciò che vedremo? Se il timore è il principio della sapienza, la mancanza di timore è il principio della follia. Qui la follia è il preludio del delitto senza rimorsi presso gli individui, e catastrofi senza nome per i popoli. Se il mondo non vuol perire, ritorni ad aver dunque il timore: quest’é la prima legge della sua conservazione, la prima condizione della sua felicità: “Timeat Dominimi omnis terra…. Beatus vir qui timet Dominimi”. [Ps. XXXII et CXI].