Mons. De Ségur: L’INFERNO (3)

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III

L’ETERNITA’ DELLE PENE DELL’INFERNO

L’eternità delle pene dell’inferno è una verità di fede rivelata

    Dio stesso ha rivelato alle sue creature l’eternità delle pene che le attendono nell’inferno, se esse saranno tanto insensate, perverse, ingrate, nemiche di se stesse per ribellarsi alle leggi della sua santità e del suo amore. Riconducetevi, coro lettore, alle testimonianze già citate nel corso di questo opuscolo. Quasi sempre, ricordandoci la rivelazione misericordiosa che si era degnato di fare di questa salutare verità ai nostri progenitori, il Signore nostro Dio parla dell’eternità delle pene dell’inferno, già mentre parla dello stesso inferno. Così attraverso il Patriarca Giobbe e Mosè, Egli ci dichiara che nell’inferno « regna un orrore eterno “sempiternus horror” ». Il testo originale è anche più forte, significando la parola “sempiternus”: sempre eterno, quasi come se volesse dire « eternamente eterno ». Il Profeta Isaia ci ripete il medesimo insegnamento, senza dimenticare questa terribile apostrofe che indirizza a tutti i peccatori: « Chi tra voi potrà dimorare nel fuoco divoratore, nelle fiamme eterne, “cum ardoribus sempiternis?” ». qui ancora il superlativo sempiternus! Nel nuovo Testamento, l’eternità del fuoco e delle pene dell’inferno torna in ogni occasione sulle labbra di Nostro-Signore e sotto la penna dei suoi Apostoli. Qui, riportatevi, caro lettore, a qualche brano che vi abbiamo già citato. Io non ricorderò se non una parola del Figlio di Dio, perché essa riassume solennemente tutte le altre; è la stessa sentenza che presiederà la nostra eternità per tutti: « Venite, benedetti del Padre mio, ed entrate in possesso del reame che vi è stato preparato dall’origine del mondo! Allontanatevi da me, maledetti, ed andate nel fuoco eterno che è stato preparato per il demonio e i suoi angeli ». Ed il Giudice adorabile aggiunge: « questi andranno al supplizio eterno, e gli altri entreranno nella vita eterna; “in supplicium aeternum, in vitam aeternam” ». – Questi oracoli del Figlio di Dio non hanno bisogno di commenti. Sulla loro chiarezza luminosa la Chiesa appoggia diciannove secoli di insegnamento divino, sovrano ed infallibile, che riguarda l’eternità propriamente detta della beatitudine degli eletti in cielo e delle pene dei dannati all’inferno. Dunque, l’eternità dell’inferno ed i castighi spaventosi costituiscono una verità rivelata, una verità di fede cattolica, “certa” così come l’esistenza di Dio e come gli altri grandi misteri della religione cristiana.

L’inferno è necessariamente eterno a causa della natura stessa dell’eternità.

   Da molto tempo la fragilità naturale dello spirito umano si piega sotto il peso di questo terribile mistero dell’eternità dei castighi dei riprovati. Già dai tempi di Giobbe e Mosè, diciassette o diciotto secoli prima dell’era cristiana, certi spiriti leggeri e troppe coscienze troppo gravate dai carichi parlavano della mitigazione, o del termine delle pene dell’inferno. « Essi immaginano, dice il libro di Giobbe, che l’inferno decresce ed invecchia. » Oggi, come in tutti i tempi, questa tendenza a mitigare e ad abbreviare le pene dell’inferno trova degli avvocati più o meno interessati alla cosa. Ma essi si ingannano. Oltre al fatto che la loro supposizione si fonda solo sull’immaginazione ed è direttamente contraria alle affermazioni divine di GESÙ-CRISTO e della sua Chiesa, essa parte da una concezione assolutamente falsa della natura stessa dell’eternità. Non solo non ci sarà termine, ma nemmeno una mitigazione alle pene dei dannati, perché è totalmente impossibile che ciò possa accadere. La natura dell’eternità vi si oppone in maniera assoluta. L’eternità, in effetti, non è come “i tempi”, composti da una successione di istanti aggiunti l’uno agli altri, i cui insiemi formano i minuti, le ore, i giorni, gli anni, i secoli. Nel tempo si può cambiare, semplicemente perché c’è il tempo di cambiare. Ma se davanti a noi non abbiamo né giorno, né ora, né minuti o secondi, non è evidente che non si possa passare da uno stato ad un altro? Questo è ciò che accade nell’eternità. Nell’eternità non ci sono istanti che succedano ad altri istanti e che ne siano distinti. L’eternità è una modalità di durata dell’esistenza che nulla ha in comune con la nostra terra; noi possiamo conoscerla, ma non possiamo comprenderla. È il mistero dell’altra vita; è una vera e misteriosa partecipazione all’eternità stessa di Dio. Come dice San Tommaso, con tutta la tradizione: l’eternità è « tutta intera in una volta, tota simul ». È un presente sempre attuale, indivisibile, immutabile. Non ci sono secoli accumulati dopo secoli, né milioni di secoli aggiunti ad altri milioni di secoli, queste sono delle maniere tutte terrestri e perfettamente false di concepire l’eternità. Io lo ripeto, la natura stessa dell’eternità, che non assomiglia affatto alle successioni dei tempi, fa sì che ogni cambiamento sia impossibile, sia in bene che in male. Per ciò che riguarda le pene dell’inferno, ogni cambiamento pertanto è impossibile; e così come la cessazione, anche la mitigazione di queste pene costituirebbe necessariamente un cambiamento, dobbiamo concludere, con una certezza completa, che le pene dell’inferno sono assolutamente eterne, immutabili, e che il sistema di mitigazioni non è che una deficienza dello spirito, o un capriccio dell’immaginazione e del sentimento. Quel che sto per riassumere qui sull’eternità, caro lettore, è forse un po’ astratto; ma più ci rifletterete, più ne costaterete la verità. In ogni caso, che noi comprendiamo o non, dobbiamo riferirci al proposito, alla chiarissima, normalissima affermazione di Nostro Signore GESÙ-CRISTO; e con tutta semplicità e certezza della fede, diciamo: « io credo alla vita eterna, “credo vitam aeternam”, vale a dire all’altra vita, che per tutti sarà immortale ed eterna: per i buoni, immortale ed eterna nelle beatitudini del Paradiso; per i cattivi, immortale ed eterna nei castighi dell’inferno. Un giorno Sant’Agostino, Vescovo di Ippona, era occupato a scrutare, almeno finché lo poteva fare il suo potente spirito, la natura di questa eternità, ove la bontà e la giustizia di Dio attende tutte le creature. Egli cercava, approfondiva, a volte intravedeva, a volte si sentiva arrestato dal mistero. Tutto ad un tratto dinanzi a lui apparve, in una luce radiosa, un vecchio dal volto venerabile e tutto splendente di gloria. Era San Girolamo, che quasi centenario, stava per morire in un luogo molto lontano da lui, a Bethleem. Sant’Agostino guardava stupefatto e con ammirazione la celeste visione che si offriva ai suoi occhi: « l’occhio dell’uomo non ha mai visto, gli disse il vegliardo, l’orecchio dell’uomo non ha mai inteso, e lo spirito dell’uomo non potrà mai comprendere quello che tu cerchi di comprendere » … e così sparì. Tale è il mistero dell’eternità, sia in cielo, sia nell’inferno. Crediamo umilmente, e profittiamo del tempo di questa vita affinché, quando per noi cesseranno i tempi, veniamo ammessi alla buona eternità e che, per la misericordia di Dio, evitiamo l’altra.

Altra ragione dell’eternità delle pene: l’assenza di grazia.

Quando anche il dannato avesse davanti a lui il tempo per poter cambiare, per convertirsi ed ottenere misericordia, questo tempo non gli potrebbe servire, perché? Perché la causa dei castighi che egli sconta sarebbe sempre là. Questa causa è il peccato, è il male che ha scelto sulla terra come sua parte. Il dannato è un peccatore impenitente, incontrovertibile. Il tempo per convertirsi, in effetti, non è sufficiente. Ahimè! Noi lo vediamo purtroppo anche in questo mondo. Noi viviamo in mezzo a gente che il buon Dio attende da dieci, venti, trenta, quaranta anni, ed anche più. Per convertirsi è necessaria, inoltre la grazia. Non c’è conversione possibile senza il dono essenzialmente gratuito della grazia di Gesù-Cristo, la quale è il rimedio fondamentale del peccato, ed il primo principio della resurrezione delle povere anime che il peccato ha separato da Dio e così gettato nella morte spirituale. GESÙ-CRISTO ha detto: « Io sono la resurrezione e la vita »; ed è con il dono della sua grazia che Egli risuscita le anime morte e che le conserva in seguito in vita. Ora nella sua saggezza onnipotente, questo sovrano Signore ha stabilito che in questa vita, che è il tempo della nostra prova, la sua grazia ci sarà data al fine di farci evitare la morte del peccato, e di farci credere nella vita dei figli di Dio. Nell’altro mondo, non c’è più il tempo della grazia né della prova, ma quello della ricompensa eterna per coloro che avranno corrisposto alla grazia vivendo cristianamente ed il tempo dei castighi eterni per coloro che avranno respinto la grazia, morendo nel peccato. Tale è l’ordine della Provvidenza, e nulla lo cambierà. Dunque, nell’eternità non ci sarà più grazia per i peccatori riprovati, e poiché senza la grazia, è assolutamente impossibile pentirsi efficacemente, così com’essa è necessaria per ottenere il perdono, il perdono stesso è impossibile; la causa del castigo rimane sempre, ed il castigo, che non è che l’effetto del peccato, sussiste egualmente. Senza grazia, non c’è pentimento, senza pentimento non c’è conversione, senza conversione nessun perdono, senza perdono, nessuna mitezza né cessazione possibile della pena. Non è ragionevole? Il ricco malvagio del Vangelo non si pente nel fuoco dell’inferno. Egli non dice: « io mi pento! », e non dice nemmeno « io ho peccato ». Egli dice: « Io soffro terribilmente in questa fiamma! » È il grido del dolore e della disperazione, non il grido del pentimento. Egli non si cura di implorare il perdono, non pensa che a se stesso ed al suo sollievo. L’egoista chiede invano una goccia d’acqua che potrebbe dargli sollievo: questa goccia d’acqua è il tocco della grazia che lo salverebbe; gli viene risposto che questo è impossibile. Egli detesta il castigo, non la causa. È la storia raccapricciante di tutti i dannati. Quaggiù la città di Dio e la città di satana sono come insieme mischiate; si può passare dall’una all’altra; da buono si può diventare cattivo, o da cattivo si può diventare buono. Ma tutto questo cesserà al momento della morte. Allora irrevocabilmente le due città saranno separate, come dice il Vangelo, non si potrà passare dall’una all’altra, dalla città di Dio alla città di satana, dal Paradiso all’inferno, e viceversa dall’inferno al Paradiso. In questa vita tutto è imperfetto, il bene come il male; nulla è definitivo; e non essendo mai rifiutata a nessuno la grazia di Dio, si può sempre sfuggire al male, all’impero del demonio, alla morte del peccato, finché si è in questo mondo. Ma come già detto, tutto questo appartiene alla vita presente; ma dal momento che un poveraccio in stato di peccato mortale, ha dato l’ultimo respiro, tutto cambia aspetto: l’eternità succede al tempo; di momenti della grazia e della prova non ce n’è saranno più; la resurrezione dell’anima non è più possibile, e l’albero caduto a sinistra, resterà sempre a sinistra. Dunque, la sorte dei riprovati è fissata per sempre; nessun cambiamento, nessuno sconto di pena, nessuna sospensione, nessuna cessazione dei loro castighi è più possibile. A loro manca non solo il tempo, ma pure la grazia!

Terza ragione dell’eternità delle pene : la perversità della volontà dei dannati.

   La volontà dei dannati, è come pietrificata nel peccato, nel male, nella morte soprannaturale. Che cosa in questa vita rende possibile il fatto che un peccatore possa convertirsi? Innanzitutto, come detto, che ne abbia il tempo e poi che il buon Dio gli conceda sempre la grazia. Ma inoltre, poiché egli è libero, che la sua volontà possa, di sua scelta, ritornare dal lato di Dio. Si tratta infatti di un atto di libera volontà quello che ha allontanato il peccatore dal suo Dio; ed è pertanto con un altro atto di libera volontà, attraverso la grazia di questo Dio buono, che può tornare a Lui, pentirsi e, da povero figliuol prodigo, tornare perdonato alla casa paterna. Ma al momento della morte, ecco che accade per la libertà quel che avviene per la grazia: è finita, finita per sempre. Non si tratta più di scegliere, ma di dimorare in quel che si è scelto. Voi avete scelto il bene, la vita: possederete per sempre il bene e la vita. Voi avete scelto follemente il male e la morte: voi siete nella morte, e per sempre, e solo perché voi l’avete voluto quando potevate volerlo. È l’eternità delle pene! – Ancora oggi nel palazzo di Versailles si può osservare la camera dove morì Luigi XIV, il 1 settembre 1715. Vi sono gli stessi mobili, ed il particolare lo stesso pendolo. Per un sentimento di rispetto per il grande re morto, si arrestò questo pendolo nel momento in cui egli diede l’ultimo respiro, alle quattro , trenta ed un minuto; poi non è stato più toccato. E così dopo cento sessanta anni, la lancetta immobile del quadrante segna le quattro, trenta e un minuto. È una immagine suggestiva dell’immobilità in cui entra e resta la volontà dell’uomo nel momento in cui lascia questa vita. La volontà del peccatore dannato resta dunque necessariamente quella del momento della morte. Così com’è, resta immobilizzata, è eterizzata, se così si ci si può esprimere. Il dannato vuole sempre e necessariamente il male che ha fatto, dice S. Bernardo. Il male e lui fanno un tutt’uno; è come un peccato vivente, permanente, immutabile. Così come i beati, che vedono Dio nel suo amore e Lo amano necessariamente, i riprovati, non vedendo Dio che nei castighi della sua giustizia, Lo odiano necessariamente. Io vi chiedo allora: non è una giustizia rigorosa quella che colpisca con un castigo immutabile una immutabile perversità? E che una pena eterna, sempre la stessa, punisca una volontà eternamente fissata nel male, eternamente staccata da Dio con la rivolta e l’odio, una volontà bloccata nel sempre peccare? Da ciò che stiamo per dire, come da quel che precede, risulta in modo evidente che nell’inferno i dannati non avendo né il tempo, né la grazia, né la volontà di convertirsi, non possono essere perdonati e devono necessariamente subire un castigo immutabile ed eterno; infine come rigorosa conseguenza, le pene dell’inferno, non solo non avranno mai fine, ma non sono suscettibili di queste mitigazioni con le quali ci si vorrebbe illudere.

Se è vero che Dio sia ingiusto nel punire con delle pene eterne dei peccati momentanei.

   Si tratta di una vecchia obiezione, sollevata per timore da coscienze malconce. Nel quarto secolo l’illustre arcivescovo di Costantinopoli, S. Giovanni Crisostomo, la risolveva già in questi termini: « C’è chi dice “io ho messo solo un istante ad uccidere un uomo, a commettere un adulterio, e per questo peccato di un momento, devo subire delle pene eterne” ». « Sì certamente, perché ciò che Dio giudica nel peccato, non è il tempo impiegato nel commetterlo, ma la volontà che lo fa commettere ». Ciò che abbiamo già detto sarebbe già sufficiente per eliminare anche l’ombra di una difficoltà. Essendo nell’inferno assolutamente impossibile la conversione ed il cambiamento, per difetto di tempo, di grazia e di libertà, la causa del castigo sussiste eternamente nella sua interezza, e deve, a rigor di giustizia, produrre eternamente il suo effetto. Nulla da eccepire. Si tratta di pura giustizia. Voi trovate ingiusto che Dio possa con una pena eterna punire dei crimini di un istante? Ma vedete cosa accade ogni giorno nell’umana società. Tutti i giorni essa punisce con la morte assassini, parricidi, incendiari etc. che hanno perpetrato il loro crimine nell’arco di qualche minuto. È questo ingiusto? Chi oserebbe dirlo? Ora che cos’è la pena di morte nell’umana società? Non è una pena perpetua, senza ritorno? Senza mitigazione possibile? Questa pena di morte priva per sempre dalla società degli uomini, come l’inferno priva per sempre dalla società di Dio. Perché dovrebbe essere altrimenti per i crimini di lesa maestà divina, vale a dire per i peccati mortali? – Ma qui il tempo non ha nulla a che fare col peso morale del peccato. Come diceva S. Giovanni Crisostomo, non è la durata dell’atto colpevole che viene punita nell’inferno con una pena eterna, ma è la perversità della volontà che ha fatto agire il peccatore e che la morte è venuta ad immobilizzare. Persistendo sempre questa perversità, il castigo vi si applica eternamente: lungi dall’essere ingiusto, è tutto ciò che c’è di più giusto, ed anche necessario. La santità infinita di Dio non deve respingere forse eternamente un essere che si trova in uno stato eterno di peccato? Tale è il riprovato nell’inferno. E poi chiunque vi rifletterà seriamente noterà che in ogni peccato mortale vi è un doppio carattere: il primo, che è essenzialmente finito, è l’atto libero della volontà che viola la legge di Dio e pecca; il secondo, che è infinito, è l’oltraggio fatto alla santità, alla Maestà infinita di Dio. Da questo punto di vista, il peccato racchiude una malizia in qualche modo infinita: « quamdam infinitatem », dice San Tommaso. Ora la pena eterna risponde in modo esatto a questo carattere finito ed infinito del peccato. Essa stessa è finita ed infinita: finita nell’intensità; infinita ed eterna nella durata. Finita quanto alla durata dell’atto e alla malizia della volontà di colui che pecca, per cui il peccato è punito con una pena più o meno considerevole, ma sempre finita in intensità; infine in rapporto alla santità di Colui che è offeso, è punito con una pena di durata infinita, cioè eterna. Ancora una volta niente di più logico, di più giusto delle pene eterne che nell’inferno puniscono il peccato ed il peccatore. Ciò che non sarebbe giusto, sarebbe che tutti i riprovati subissero la stessa pena. In effetti è evidente che non sono colpevoli tutti allo stesso modo. Tutti sono nello stato di peccato mortale; uniti in questo, meritano tutti ugualmente una pena eterna; ma non essendo colpevoli tutti allo stesso grado, l’intensità di questa pena eterna è esattamente proporzionale al numero ed alla gravità della colpa di ognuno. Ancora una volta abbiamo una giustizia perfetta, una giustizia infinita. Infine ancora un’osservazione molto opportuna: se le pene del peccatore impenitente, riprovato nell’inferno, avevano un fine, questo sarebbe lui stesso, e non il Signore, che avrebbe quindi l’ultima parola nella sua lotta sacrilega contro Dio. Egli potrebbe dire a DIO: « Io prendo il mio tempo, voi prendete il vostro. Ma che il vostro tempo sia corto o lungo, io finirò sempre per avere la meglio su di Voi; io sarò maestro della situazione ed un giorno, che vogliate o non, io dividerò la vostra gloria e la beatitudine eterna nei cieli ». È possibile, io vi domando? – Dunque da questo punto di vista ancora, ed indipendentemente dalle ragioni perentorie che esporremo, la Giustizia, la Santità divina, richiede di stretta necessità che i castighi dei dannati siano eterni. – « Ma la bontà di DIO? » … forse qualcuno penserà! – La bontà di DIO qui non ha nulla a che fare: l’inferno è il luogo della sua giustizia, infinita come la sua bontà. La bontà di DIO si esercita sulla terra, dove Egli perdona tutto, sempre ed immediatamente dopo il pentimento. Nell’eternità la bontà non si esercita più, perché non c’è che da coronare nelle gioie del cielo la sua opera compiuta sulla terra col perdono. Vedreste per caso che, nell’eternità DIO esercitasse la sua bontà nei confronti di gente che ne hanno abusato indegnamente sulla terra, e che non vi hanno fatto ricorso nel momento della morte, e che ora non ne vogliono e non possono più volerne? Questo sarebbe semplicemente assurdo. Da parte di DIO soprattutto, la bontà non potrebbe esercitarsi a spese della giustizia. – Dunque, punendo con delle pene eterne delle colpe passeggere, lungi dall’essere ingiusto, DIO è giusto, anzi giustissimo.

Se è lo stesso per i peccati di debolezza.

   Senza volere scusare oltre misura i peccati di debolezza di cui gli stessi cristiani si rendono molto spesso colpevoli, occorre riconoscere che c’è un abisso tra quelli che li commettono e coloro che la Sacra Scrittura chiama in genere “i peccatori”. Questi sono le anime perverse, i cuori impenitenti che operano il male per abitudine, senza rimorsi, come cosa ordinaria, e che vivono senza DIO, in rivolta permanente contro GESÙ-CRISTO. Questi sono i peccatori propriamente detti, i peccatori di professione. « Essi peccano finché vivono, diceva San Gregorio; essi peccherebbero sempre se potessero vivere sempre; essi vorrebbero vivere sempre per poter sempre peccare. Per costoro, una volta che sono morti, la giustizia del sovrano Giudice esige evidentemente che non siano mai senza castigo, perché essi non hanno mai voluto essere senza peccato ». Queste non sono le disposizioni degli altri: una quantità di povere anime cadono in peccato mortale, e ciò nonostante esse non sono né cattive né corrotte, ed ancor meno empie, è la fragilità che le fa cadere, e non l’amore per il male nel quale esse cadono. Esse somigliano ad un bambino strappato dalle braccia della madre con violenza o per seduzione; che si lasciano così separare da essa, ma con dispiacere, senza mai lasciarla con lo sguardo e tendendo sempre a lei le braccia; non appena il seduttore lo lascia, egli torna a gettarsi subito pentito e gioioso nelle braccia della buona madre. Tali sono questi poveri peccatori occasionali, quasi per caso, che non amano il male che commettono, e la cui volontà non è gangrenata, almeno nel fondo. Essi subiscono il peccato piuttosto che ricercarlo; essi si pentono già nel momento in cui vi si abbandonano. Di tali peccati, non sono essi ben più scusabili? E come la misericordia adorabile del Salvatore non accorderebbe con facilità, soprattutto nel momento decisivo della morte, grandi grazie di pentimento e di perdono ai figliuol prodighi che, pur offendendoLo, non Gli hanno voltato le spalle, e che, pur lasciandosi trasportare lontano da Lui, non Lo hanno lasciato con lo sguardo e col desiderio? Si può affermare che il DIO che ha detto : « mai rigetterò colui che viene a me », troverà sempre nel suo divino Cuore dei segreti di grazie e di misericordie sufficienti per strappare queste povere anime alla eterna dannazione. Ma, diciamolo ben forte, questo è un segreto del Cuore di DIO, un segreto impenetrabile alle creature, sul quale non bisogna contare troppo, perché lascia comunque sussistere questa terribile dottrina, che è di fede, e cioè che ogni uomo che muore in peccato mortale è eternamente dannato e destinato nell’inferno ai castighi che meritano le sue colpe. Una parola per finire. Che gli spiriti sottili e le « anime sensibili » che cercano di cavillare in luogo di credere semplicemente e di santificarsi, si rassicurino pensando ai riprovati. La giustizia, la bontà, la santità di Nostro Signore regoleranno tutto al meglio, sia nell’inferno che nel purgatorio, là non ci sarà nemmeno l’ombra di una qualsiasi ingiustizia. Tutti coloro che saranno all’inferno avranno perfettamente meritato di esservi e di dimorarvi eternamente, per quanto terribili possano essere le loro pene, pene assolutamente proporzionate alle loro colpe. Qui non è come per i tribunali, le leggi e i giudici della terra, che possono ingannarsi, colpire ingiustamente, punire troppo o troppo poco: il Giudice eterno e sovrano GESÙ-CRISTO sa tutto, vede tutto, può tutto; Egli è più che giusto, è la Giustizia stessa, e nell’eternità, come ha dichiarato con la sua stessa bocca, « renderà a ciascuno secondo le sue opere », né più, né meno. Dunque, benché spaventose, incomprensibili allo spirito umano, le pene eterne dell’inferno saranno sovranamente, eternamente giuste.

Chi sono coloro che prendono la strada dell’inferno?

In primo luogo sono gli uomini che abusano della loro autorità, in un ordine qualunque, per indurre i loro subordinati al male, sia con la violenza, sia con la seduzione. « Un duro giudizio li attende ». Veri satana della terra, essi sono coloro ai quali si indirizza, nella persone del padre, la terribile parola della Scrittura: « O lucifero, come sei caduto dalle altezze del cielo? » – Sono tutti coloro che abusano dei doni dello Spirito per distogliere dal servizio di Dio la povera gente e per strappar loro la fede. Questi pubblici corruttori sono gli eredi dei farisei del Vangelo, e cadono sotto l’anatema del Figlio di DIO: « Maledetti a voi, scribi e farisei ipocriti! Perché chiudete agli uomini il regno dei cieli. Voi non vi entrate, ed impedite agli altri che vi entrino. Maledetti voi, scribi e farisei ipocriti! Perché voi percorrete la terra e i mari per fare un proselito; e quando lo avete guadagnato, fate di lui un figlio dell’inferno, due volte peggio di voi. » – A questa categoria appartengono gli empi pubblicisti, professori di ateismo ed eresie, e questa turba di scrittori senza fede e senza coscienza che ogni giorno mentono, calunniano, blasfemano coscientemente, e di cui il demonio, padre della menzogna, si serve per perdere le anime ed insultare GESÙ-CRISTO. Poi vi sono gli orgogliosi che, pieni di se stessi, disprezzano gli altri e contro di loro scagliano impietosamente la pietra. Gli egoisti, i ricchi malvagi che affogando nella ricerca del lusso e della sensualità, non pensano che a se stessi e dimenticano i poveri. Ne è testimone il ricco malvagio del Vangelo, del quale DIO stesso ha detto: « … egli fu sprofondato nell’inferno. ». Poi ci sono gli avari che sognano solo di accumulare scudi, e che dimenticano GESU’-CRISTO e l’eternità. Gli uomini d’affari, che mediante operazioni più che dubbie, per mezzo di ingiustizie consumate in segreto e commerci disonesti, sottraendo magari illecitamente i beni della Chiesa, fanno o hanno fatto la loro fortuna, grande o piccola, su basi che la legge di DIO condanna. Di essi è scritto: « che non possederanno il regno dei cieli ». Ci sono poi i voluttuosi, che vivono tranquillamente, senza rimorsi, con le loro impudiche abitudini, che si abbandonano a tutte le passioni, che hanno come Dio il loro ventre, che finiscono per non aver altra felicità che nei piaceri bestiali e grossolani dei sensi. Vi sono le anime mondane, frivole, che non pensano che a divertirsi, che a trascorrere il tempo follemente, le persone oneste secondo il mondo ma che dimenticano la preghiera, il servizio di DIO, i Sacramenti di salvezza, che non hanno alcuna preoccupazione della vita cristiana, non pensano affatto alla propria anima; essi vivono in uno stato di peccato mortale, e la lampada della propria coscienza è spenta, senza che essi se ne inquietino. Se il Signore viene all’improvviso, come ha predetto, essi ascolteranno la terribile risposta che Egli indirizza alle vergini stolte del Vangelo: « non vi conosco! ». Maledetto l’uomo che non è rivestito dell’abito nuziale! Il Giudice sovrano ordinerà ai suoi Angeli di afferrare, al momento della morte, « il servitore inutile » per farlo gettare, piedi e mani legati, nell’abisso delle tenebre esteriori, cioè nell’inferno! Coloro che vanno all’inferno, sono le coscienze false ed ambigue che calpestano, con cattive confessioni e comunioni sacrileghe, il Corpo ed il Sangue del Signore, « mangiando così e bevendo la propria condanna », secondo la terribile parola di San Paolo. Ed ancora abbiamo le persone che abusano delle grazie di DIO, trovano il modo di essere malvagi negli ambienti più santi; sono i cuori pieni di odio, che rifiutano di perdonare. Infine abbiamo i settari della franco-massoneria e le vittime insensate delle società segrete, che si votano, per così dire, al demonio e giurano solennemente di vivere e morire fuori dalla Chiesa, senza Sacramenti, senza GESÙ-CRISTO, e di conseguenza, contro GESÙ-CRISTO. Non è detto che tutte queste povere persone andranno certamente all’inferno, ma esse vi si dirigono, cioè vi si incamminano. Fortunatamente per loro, non vi sono ancora giunte, e si spera che prima della fine del loro viaggio, essi preferiscano convertirsi umilmente piuttosto che bruciare eternamente. Ahimè, il cammino che conduce all’inferno è così largo, così comodo! Va sempre in discesa, è sufficiente lasciarsi andare. Il Nostro Salvatore ce lo dice a chiare lettere: « la via che porta alla perdizione è larga e molti vi si incamminano! ». Esaminatevi, lettore amico mio; e se per disgrazia avete bisogno di mutare percorso, di grazia, non esitate, e portatevi fuori dalla strada dell’inferno finché siete ancora in tempo.

Se sia certa la dannazione di qualcuno che si vede morire in malo modo

   No. Questo è un segreto che appartiene solo a DIO. Ci sono persone che mandano tutti all’inferno, così come altri che mandano tutti in cielo. I primi credono di essere giusti, i secondi caritatevoli. In verità entrambi si ingannano; il loro primo errore è voler giudicare le cose che all’uomo non è dato conoscere quaggiù. Vedendo morire qualcuno in malo modo, si deve indubbiamente tremare, e non dissimulare la terrificante probabilità di una eterna riprovazione. È così che a Parigi, qualche anno orsono, una disgraziata madre, apprendendo la morte di suo figlio avvenuta in   circostanze raccapriccianti, presa da crisi di disperazione, restò in ginocchio per due giorni. Trascinandosi da un mobile all’altro, tra crisi continue di disperazione e ripetendo incessantemente: “figlio mio, povero figlio mio!! … nel fuoco! … bruciare, bruciare eternamente!!”. Era orribile sia il vederla che il sentirla. Ma nondimeno, benché probabile, benché possa sembrare certa la perdita eterna di qualcuno, resta sempre, nell’impenetrabile mistero di ciò che passa tra l’anima e DIO nel momento supremo, il non disperare. Chi potrà dire cosa passa nel profondo delle anime, anche nelle più colpevoli, in questo istante unico in cui il DIO di bontà, che ha creato tutti gli uomini per amore, che li ha riscattati col suo sangue e vuole la salvezza di tutti, fa necessariamente, per salvare qualcuno di essi, un ultimo sforzo di grazia e di misericordia? Ci vuole così poco tempo alla volontà per rivolgersi a DIO! – Anche la Chiesa non tollera affatto che si pronunci, come certuni fanno, la dannazione certa per chicchessia. Questo è un usurpare il ruolo di DIO. salvo Giuda e qualcun altro la cui riprovazione è più o meno esplicitamente rivelata da DIO stesso nelle Sante Scritture, la dannazione di qualcuno non è assolutamente sicura. La Santa Sede ne ha dato una curiosa prova non molto tempo orsono, in occasione della beatificazione di un grande servo di DIO, il P. Pallotta, che è vissuto e morto a Roma in concetto di grande santità, sotto il Pontificato di Gregorio XVI. Un giorno il santo prete accompagnava all’ultimo supplizio un assassino della peggior specie, che rifiutava ostinatamente di pentirsi, si beffava di Dio, blasfemava, sghignazzava fin sul patibolo. Il P. Pallotta aveva esaurito tutti i mezzi di conversione. Egli era sul patibolo, al fianco di questo miserabile; col viso bagnato di lacrime, si era gettato in ginocchio, supplicandolo che chiedesse perdono per i sui crimini, mostrandogli l’abisso aperto dell’inferno nel quale stava per cadere: a tutto questo il mostro aveva risposto con un insulto ed un’ultima blasfemia; e la sua testa cadde sotto il colpo fatale. Nell’esaltazione della sua fede, del suo dolore, della sua indignazione, e perché questo turpe scandalo si potesse trasformare per la folla che assisteva in una lezione salutare, il povero prete si alzò, prese per i capelli la testa sanguinante del giustiziato e presentandola alla moltitudine : « Vedete – gridò con voce tuonante -guardate bene, ecco la faccia di un dannato! » Questa pulsione di fede era certo ben concepibile, ed in un certo senso era ammirevole. Questo però fu sufficiente per arrestare il processo di beatificazione del venerabile Pallotta; tanto la Chiesa è Madre di misericordia e tanto Ella spera, anche contro la speranza, poiché si tratta della salvezza eterna di un’anima! È così che si può lasciare qualche speranza e portare qualche consolazione ai veri cristiani al cospetto di certe morti terrificanti, improvvise ed impreviste, o anche positivamente cattive. A giudicare dall’apparenza, queste povere anime sono evidentemente perse; da tanti anni quel vecchio viveva lontano dai Sacramenti, si beffava della Religione, ostentava incredulità! Questo povero giovane, morto senza potersene rendere conto, si comportava così male, ed i suoi costumi così deplorevoli! Quest’uomo, questa donna sono stati sorpresi dalla morte in un momento così cattivo, e sembrava certo che non abbiano avuto il tempo di rientrare in se stessi! Non importa, noi non dobbiamo, non possiamo dire in maniera assoluta che essi sono dannati. Senza nulla togliere ai diritti della Santità e della Giustizia di Dio, non perdiamo mai di vista, quelli della sua Misericordia. A questo proposito ricordo un fatto straordinario, e nello stesso tempo molto consolante. La fonte da cui lo traggo è per me una garanzia assoluta della sua perfetta autenticità. In uno dei migliori conventi di Parigi, ancora oggi vive una religiosa, di origine giudaica, notevole per le sue alte virtù e la sua intelligenza. I suoi genitori erano israeliti, e non so come, all’età di circa venti anni, ella si convertì e ricevette il battesimo. Sua madre era una vera giudea; prendeva sul serio la sua religione, e praticava di conseguenza tutte le virtù di una buona madre di famiglia. Ella amava sua figlia con passione. Quando apprese della conversione della figlia, entrò in un furore indescrivibile; a partire da questo giorno si scatenò ininterrottamente con minacce e stratagemmi di ogni genere per riportare « l’apostata », come ella la definiva, alla religione dei suoi padri. Dal canto suo, la giovane cristiana, piena di fede e di fervore, pregava incessantemente e faceva di tutto per ottenere la conversione di sua madre. Costatando la sterilità assoluta dei suoi sforzi, e pensando che un grande sacrificio, più che tutte le preghiere, potesse ottenerle la grazia che impetrava, si risolse di darsi tutta a GESÙ-CRISTO e di farsi religiosa; cosa che mise in atto coraggiosamente. All’epoca aveva circa venticinque anni. La disgraziata madre fu più esasperata che mai nei confronti della figlia e verso la Religione cristiana, cosa che faceva aumentare ancor più l’ardore della novella religiosa per conquistare a DIO un’anima a lei tanto cara. Ella continuò così per venti anni. Vedeva sua madre di tanto in tanto, l’affetto materno si era in parte ridestato, ma, almeno in apparenza, non si intravedeva nessun progresso sul versante dell’anima. Un giorno la povera religiosa ricevette una lettera che la metteva al corrente della morte improvvisa della madre: l’avevano trovata morta nel suo letto. Descrivere la disperazione della religiosa sarebbe impresa impossibile. Come impazzita, non sapendo che cosa facesse o dicesse, corse, con la lettera in mano, a gettarsi ai piedi del Santo-Sacramento; e quando i suoi singhiozzi le permettevano di pensare e parlare, ella disse, o piuttosto gridò a Nostro Signore. « Dio mio, è così che avete esaudito le mie suppliche, le mie lacrime e tutto ciò che ho fatto per venti anni? » Ed enumerando, per così dire, i suoi sacrifici di ogni genere, ella aggiunse, con strazio inesprimibile: « … e pensare che malgrado tutto ciò, mia madre, la mia povera madre, è dannata! » Ella non aveva completato la frase, che una voce uscì dal Tabernacolo dicendole: « E che ne sai tu? » Spaventata la povera suora restò interdetta. « Sappi, riprese la voce del Salvatore, che per confonderti e consolarti nello stesso tempo, Io ho dato a tua madre, nel momento supremo, una grazia così potente di luce e di pentimento, che la sua ultima parola è stata: « Io mi riposo e muoio nella Religione di mia figlia ». Tua madre è salva, è in Purgatorio … e non smettere di pregare per lei ». – Io ho sentito raccontare più volte dei fatti analoghi. Qualunque sia l’autenticità di ciascun caso in particolare, essi testimoniano una così grande e dolce verità, e cioè che in questo mondo la misericordia di DIO sovrabbonda, che all’ultimo momento, Ella compie uno sforzo spremo per strappare i peccatori all’inferno; e che infine qui cadono tra le mani dell’eterna Giustizia, solo coloro che rifiutano fino alla fine gli approcci della Misericordia.

CONCLUSIONI PRATICHE  

Uscire immediatamente e ad ogni costo dallo stato di peccato mortale.

   Quali pratiche conclusioni possiamo trarre da tutto questo, mio buono e caro lettore? Queste grandi verità non ci vengono rivelate da DIO che per ispirarci fortemente il timore che è, con la fede, la base della salvezza, timore della giustizia e dei giudizi di DIO; timore del peccato che porta all’inferno; timore di questa dannazione e maledizione spaventosa, di questa disperazione senza fine, di questo fuoco sovrannaturale che penetra nello stesso tempo le anime e i corpi, di queste tenebre oscure, di questa orribile società di satana e dei demoni, infine, dell’eternità immutabile di tutte queste pene, giustissimo castigo del riprovato.

COME EVITARLO

   Certo è una buona, anzi ottima cosa aver fiducia nella misericordia senza misura, ma, alla luce della vera fede, la speranza non deve essere separata dal timore, e se la speranza deve sempre dominare il timore, questo avviene a condizione che il timore sussista come le fondamenta di una casa, che danno a tutto l’edificio forza e solidità. Così il timore della giustizia di DIO, la paura del peccato e dell’inferno deve allontanare dall’edificio spirituale della nostra salvezza ogni vana presunzione. Lo stesso DIO che ha detto: « Mai rigetterò colui che viene a me » , ha detto egualmente : « Preparate la vostra salvezza con timore e tremore ». Bisogna santamente temere per aver il diritto di sperare santamente. In presenza degli abissi brucianti ed eterni dell’inferno, rientrate in voi stessi, mio caro lettore, ma per bene e seriamente. Come vi trovate ora? Siete nello stato di grazia? non avete sulla coscienza qualche grave peccato per cui, se moriste improvvisamente questo potrebbe compromettere la vostra eternità? In questo caso, credetemi, non esitate a pentirvi sinceramente, poi andate a confessarvi oggi stesso appena avete un momento disponibile. È necessario dirvi, che di fronte all’inferno, tutto passa in secondo ordine, ed è imperativo, -sentitemi bene- assolutamente imperativo, assicurare la vostra salvezza. « A che serve all’uomo guadagnare il mondo, se poi perde la sua anima? Ha detto a tutti noi il Giudice sovrano, e cosa potrà dare in cambio della sua anima? » –   Non rimandate a domani quel che potete fare oggi! E poi … siete sicuri che ci sarà un domani per voi? Io ho conosciuto una volta, in un piccolo villaggio della Normandia, un povero uomo che dopo il suo matrimonio, cioè dopo trenta anni, s’era lasciato prendere dai suoi affari, dal suo piccolo commercio e poi, bisogna dirlo, dall’osteria e dal vino, tanto che aveva finito per dimenticare il servizio di DIO. Egli non era malvagio, tutt’altro. Due o tre mezzi attacchi gli avevano fatto paura, ma sfortunatamente non tanto da farlo tornare ai suoi doveri. Le feste di Pasqua si avvicinavano. Il suo curato lo incontrò una sera e gli parlò molto francamente! « Signor curato, rispose l’altro, io vi ringrazio per la vostra bontà, ci penserò, ve lo prometto, parola di uomo onesto. Se non vi dispiace, tornerò a parlare con voi fra qualche giorno. » Il giorno seguente si trovò il corpo del povero uomo in un fiume là vicino: attraversandolo a cavallo, era stato colpito da apoplessia ed era caduto nell’acqua. – Due anni or sono, nel quartiere latino, uno studente di ventiquattro anni, che dopo il suo arrivo a Parigi, si era dato ai bagordi con tutti i comportamenti tipici dei giovani, riceveva un giorno la visita di uno dei suoi compagni, così buono e puro come poco lo era lui stesso. Era un compatriota che veniva a chiedergli nuove circa il suo paese. Dopo qualche minuto di conversazione, questi si ritirò. Ma ricordandosi subito che aveva dimenticato uno dei suoi libri dall’amico, tornò a bussare alla sua porta. Egli dormiva, nessuna risposta. La chiava era però nella serratura. Dopo aver suonato e bussato di nuovo, entrava … il disgraziato era steso a terra morto stecchito. Non era passato neppure un quarto d’ora da quando l’amico lo aveva lasciato. Un aneurisma, pare, gli avesse lesionato il cuore. Si trovò una scrivania piena di lettere abominevoli, ed i soli libri che componevano la sua esigua biblioteca, erano dei più osceni che si trovassero. Esempi del genere si potrebbero moltiplicare senza numero, senza contare poi i mille incidenti che ogni giorno fanno per così dire, passare repentinamente dalla vita alla morte; gli incidenti ferroviari e stradali, ad esempio, le cadute da cavallo, gli incidenti di caccia o di navigazione, i naufragi, etc. essi mostrano con maggiore eloquenza che tutti i ragionamenti, che bisogna sempre essere pronti a comparire davanti a DIO, che non bisogna giocarsi la proprie eternità con un “forse”, e che l’uomo in stato di peccato mortale che non pensa a riconciliarsi immediatamente con DIO con il pentimento e la confessione, è un folle che danza su un abisso, un triplice folle. « Io non comprendo – diceva S. Tommaso – come un uomo in stato di peccato mortale sia capace di ridere e scherzare ». Egli si espone con gaiezza di cuore a sperimentare a sue spese le profondità di questa parola spaventosa dell’Apostolo San Paolo: « È una cosa orribile cadere tra le mani del DIO vivente ».

Evitare con grande cura le occasioni pericolose e le illusioni  

   Ma non si tratta solo di vivere nello stato di peccato mortale quando si è avuta la sventura di cadervi. Bisogna portare ancora più lontano il nostro zelo della eterna salvezza, e prendere delle precauzioni ancora più serie. Non bisogna contentarsi di uscire al più presto dalla via dell’inferno, bisogna evitare di esserne avviati. Bisogna ad ogni costo evitare le occasioni di caduta, soprattutto quelle che per triste esperienza hanno dimostrato la loro pericolosità. Un cristiano, un uomo con senso comune, affronta tutto, sopporta tutto per sfuggire al fuoco dell’inferno. DIO stesso non ha forse detto: « Se la vostra mano destra, se il vostro piede, se il vostro occhio, se ciò che avete di più caro al mondo è per voi occasione di peccato, tagliatelo, cavatelo senza esitare; è meglio entrare, non importa a quali condizioni, nel regno di DIO e nella vita eterna, piuttosto che essere gettati nell’abisso del fuoco, nel fuoco eterno, ove il rimorso non muore mai, ed il fuoco mai si estinguerà ». – Nessuna illusione al riguardo! Le illusioni sono il movimento aggirante con il quale il nemico cerca di sorprenderci quando non riesce ad avere garanzie da un attacco frontale e fa che queste illusioni siano perfide, sottili, multiple, frequenti! Esse si attaccano a tutto, ma più particolarmente all’egoismo, con i suoi freddi calcoli e le sue raffinatezze; sopra ogni sfumatura di insurrezione dello spirito contro la fede, contro l’intera sottomissione dovuta all’autorità della Santa Sede e della Chiesa; sulle pretese necessità di salute o di abitudini, che fanno scivolare insensibilmente nella fossa dell’impurità; sugli usi e le convenienze del mondo in mezzo alle quali si vive, e che vi introducono facilmente nel turbinio del piacere, della vanità, dell’oblio di DIO, e nella negligenza della vita cristiana: infine sull’accecamento della cupidigia che spinge tanta gente a frodare, con il pretesto della necessità del commercio nel generale costume negli affari, della saggia preveggenza per l’avvenire dei figli, etc. Ma lo ripeto, nessuna illusione! Quanti riprovati sono oggi all’inferno che non vi sono entrati che da quest’ultima porta! Si può sedurre se stessi, almeno in una certa misura, ma non si saprebbe ingannare lo sguardo di DIO. – La stessa vita religiosa non sempre è sufficiente a preservarcene. Sappiatelo bene, ci sono religiosi all’inferno; ce ne sono pochi, io spero, ma infine ve n’è. E come sono arrivati là? Con il fatale cammino delle illusioni: illusioni che riguardano l’obbedienza, la pietà, la povertà, la castità, la mortificazione, l’uso della scienza, ed altro, che so? … è com’è largo questo cammino delle illusioni! Qui ne darò un esempio, preso dalla vita di S. Francesco d’Assisi. Tra i principali appartenenti al nascente ordine dei Frati Minori, vi era un certo fra’ Giovanni da Strachia, la cui passione per la scienza minacciava di far deviare i suoi religiosi dalla semplicità e dalla santità della loro vocazione. San Francesco lo aveva avvertito a più riprese, ma sempre invano. Giustamente sgomento della funesta influenza che questo provinciale esercitava, lo depose in pieno Capitolo, dichiarando che Nostro-Signore gli aveva rivelato che bisognava agire con questo rigore, perché l’orgoglio di questo uomo aveva attirato su di lui la maledizione di DIO. L’avvenire lo dimostrò ben presto. Il disgraziato morì in effetti in mezzo alla più terribile disperazione, gridando: « Sono dannato e maledetto per l’eternità! » – E delle raccapriccianti circostanze che seguirono alla sua morte confermarono questa sentenza.

Assicurarsi la salvezza eterna con una vita seriamente cristiana

Volete ancora essere più sicuri di evitare l’inferno, mio caro lettore? Non vi contentate di evitare il peccato mortale, di combattere i vizi ed i difetti che vi ci conducono; conducete una vita buona e santa, seriamente cristiana e piena di GESÙ-CRISTO. Fate come le persone prudenti che attraversano percorsi impervi che costeggiano precipizi: per paura di cadere, esse si guardano bene dal camminare sul bordo, ove un semplice passo falso potrebbe diventare fatale; esse prendono saggiamente l’altro lato della strada, e si allontanano quanto più possono dal precipizio. Fate lo stesso. Abbracciate generosamente questa bella nobile vita che si chiama la vita Cristiana, la via della pietà. Guidati dai consigli di qualche santo prete, imponetevi una sorta di regolamento di vita, nel quale farete entrare, in proporzione ai bisogni della vostra anima e delle circostanze esteriori nelle quali vi trovate, qualche buono e solido esercizio di pietà, tra i quali vi raccomando i seguenti, alla portata di tutti: Cominciate e finite la vostra giornata sempre con una preghiera ben curata, fatta col cuore. Aggiungete, mattino e sera, la lettura attenta di una o due paginette del Vangelo, o dell’Imitazione, o di qualche altro buon libro a vostra scelta che meglio vi edifichi; e dopo questa breve lettura qualche minuto di raccoglimento e di buoni propositi, al mattino per la giornata, alla sera per la notte, col pensiero della morte e dell’eternità. Prendete l’eccellente abitudine di fare il segno della croce tutte le volte che uscite dalla vostra camera, e ogni volte che vi entrate. Questa pratica, estremamente semplice, è molto santificante. Ma abbiate sempre cura di non fare questo segno sacro alla leggera, senza pensarvi, distrattamente come una routine, come fanno tanti. Bisogna farlo religiosamente e gravemente. – Cercate, se i doveri del vostro stato ve ne lasciano l’opportunità, di andare a Messa tutte le mattine, di buon’ora, per ricevere ogni giorno la benedizione per eccellenza. E di rendere a Nostro Signore il dovuto omaggio che ciascuno di noi Gli deve nel suo grande Sacramento. Se non potete, sforzatevi almeno di fare ogni giorno un’adorazione al Santo Sacramento, sia entrando in Chiesa, sia da lontano e dal profondo del vostro cuore. Rendete ugualmente ogni giorno, con cuore veramente filiale, alla Santissima Vergine MARIA, Madre di DIO e Madre dei Cristiani, qualche omaggio di pietà, di amore, di venerazione. L’amore della Santa Vergine, unita all’amore del Santo Sacramento, è una caparra quasi infallibile di salvezza, e l’esperienza ha dimostrato in tutti i secoli che Nostro-Signore GESÙ-CRISTO accorda delle grazie straordinarie sia durante la loro vita, sia al momento della loro morte, a tutti quelli che invocano e che amano sua Madre. Portate sempre addosso o uno scapolare, o una medaglia, o un rosario. Prendete senza lasciarla mai l’abitudine eccellente di confessarvi e comunicarvi spesso. La Confessione e la Comunione sono i due grandi mezzi offerti dalla misericordia di GESÙ-CRISTO a tutti quelli che vogliono salvare e santificare le loro anime, evitare le colpe gravi, crescere nell’amore del bene e nella pratica delle virtù cristiane. Non si può al riguardo dare una regola generale, ma ciò che si può affermare con certezza, è che gli uomini di buona volontà, cioè quelli che vogliono evitare sinceramente il male, servire il buon DIO ed amarLo con tutto il cuore, sono tanto migliori se si comunicano frequentemente. Quando si è così disporti si è al meglio; e questo dovrebbe ripetersi più volte alla settimana, o anche ogni giorno; tutti i buoni cristiani farebbero molto bene, avendone la facoltà, a santificare con una buona Comunione tutte le domeniche e le feste, senza mancarvi mai per loro colpa. Il celebre Catechismo del Concilio di Trento, sembra dire che il meno che possa fare un cristiano, appena preoccupato della sua anima, è l’andare al Sacramento tutti i mesi. Infine, proponetevi, nel vostro piccolo regolamento di vita, di combattere incessantemente i due o tre difetti che voi notate, o che altri hanno fatto rimarcare essere in voi: è questo il lato debole della piazza, ed è evidentemente da qui che da un momento all’altro il nemico tenterà sorprese e colpi di mano. Evitate come la peste le cattive frequentazioni e le cattive letture. Voi lo comprendete, caro lettore, che io non vi raccomando cose obbligatorie, lungi da me! … ma, vi ripeto, se entrate in questa via di generosità e di fervore e la seguirete risolutamente, voi vi assicurerete in maniera sovrabbondante il grande affare della vostra eternità; e sarete così certi di evitare le pene eterne dell’inferno, come si è certi di evitare le privazioni della povertà, con una saggia ed intelligente amministrazione che aumenti potentemente la propria fortuna. In ogni caso, non mancate di prendere da queste direzioni ciò che potrebbe fare al vostro caso al meglio; ma per l’amore dell’anima vostra, per l’amore del Salvatore che ha versato tutto il suo sangue per essa, non indietreggiate davanti al Vangelo, e siate dei buoni cristiani. – Pensate spesso seriamente all’inferno, alle sue pene eterne, alle sue fiamme divoranti, e vi assicuro che andrete in cielo. Il grande missionario del cielo è l’inferno. Un giorno, un buon prete che, dopo aver per quaranta anni predicato in tutta la Francia con encomiabile zelo apostolico, era a Roma ai piedi del buono e Santo Padre, S.S. il Papa PIO IX, che si intratteneva familiarmente con lui su questo bel mistero. « Predicate molto le grandi verità della fede, gli diceva il Papa, predicate soprattutto l’inferno. Nessuna dissimulazione, dite chiaramente, con fermezza e a voce alta, tutta la verità sull’inferno. Nulla è più efficace nel far riflettere e ricondurre a DIO i poveri peccatori. » È proprio ricordandomi di queste parole, così profondamente vere del Vicario di GESÙ-CRISTO, che ho intrapreso la stesura di questo piccolo lavoro sull’inferno. E poi, meditando le pene eterne e le sciagure dei riprovati, mi sono pure ricordato di una espressione di San Girolamo che eccitava una vergine cristiana al timore dei giudizi di DIO: « Territus terreo”, egli scriveva, atterrito atterisco ». Io mi sono sforzato di farlo qui, e Nostro Signore mi è testimonio che nulla ho nascosto di quanto so di questo terribile mistero. A voi lettore, chiunque voi siate, trarne profitto. Quante anime sono in cielo spinte principalmente dal timore dell’inferno! Io vi offro questo modesto opuscolo chiedendo al buon DIO di farvi penetrare in fondo all’anima queste grandi verità che esso riassume, affinché il timore vi ecciti all’amore, e l’amore vi conduca dritti in Paradiso. Degnatevi di pregare per me [ … e per i redattori di questo blog –ndr.-], affinché DIO mi faccia misericordia, come a voi stessi, degnandosi di pormi con voi, nel numero dei suoi eletti.

pio IX

8 dicembre 1875, festa dell’Immacolata Concezione.