Mons. De Ségur: L’INFERNO (2)

Mons. De Ségur: L’INFERNO (2)

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Cap. II 

Che cos’è l’inferno

False e superstiziose idee sull’inferno

Innanzitutto scartiamo con cura le immaginazioni popolari e superstiziose che alterano in tanti spiriti la nozione vera e cattolica dell’inferno, e portano alla sua negazione. Si forgia un inferno di fantasia, un inferno ridicolo, e si dice: « Io non crederò mai a questo. È assurdo, impossibile, no, io non credo, non posso credere all’inferno! ». In effetti se l’inferno fosse quel che sognano tante buone donne, voi avreste cento volte, mille volte di che non credere. Tutte queste invenzioni sono degne di figurare accanto ai racconti fantastici di cui si nutre spesso l’immaginazione popolare. E questo a volte succede anche in ciò che si insegna nelle chiese. E se talvolta, con il fine di impressionare meglio gli spiriti, qualche autore o predicatore ha creduto di poterle impiegare, la loro buona intenzione non impedisce che essi abbiano gran torto, visto che a nessuno è permesso il travestire la verità ed esporla alla derisione delle persone sensate, con il pretesto di far paura alle buone persone per meglio convertirle. Io lo so, molte volte si è fortemente imbarazzati quando si tratta di far comprendere alle moltitudini i terribili castighi dell’inferno, e come la maggior parte della gente ha bisogno di rappresentazioni materiali per concepire delle cose più elevate, ed è quasi necessario parlare dell’inferno e del supplizio dei dannati in maniera figurata. Ma è molto difficile farlo con il senso della misura; e molto spesso, lo ripeto, con le migliori intenzioni, si cade nell’impossibile, per non dire nel grottesco. No, l’inferno non è questo, esso è ben altrimenti grande, ben altrimenti terribile. Andremo a vederlo.

L’inferno consiste essenzialmente nella spaventosa pena della dannazione.

 La dannazione è la separazione totale da DIO. Un dannato è una creatura totalmente e definitivamente privato del suo DIO. È lo stesso Nostro Signore che ci segnala la dannazione come la pena primaria e dominante dei dannati. Vi ricorderete i termini della sentenza che Egli pronuncerà contro essi al giudizio finale e che ora riportiamo: « Allontanatevi da me, maledetti, ed andate nel fuoco eterno che è stato preparato per il demonio e per i suoi angeli ». Vedete come la prima parola della sentenza del Giudice sovrano, ci fa comprendere che il primo carattere dell’inferno, è la separazione da DIO, la privazione di DIO, la maledizione di DIO, in altri termini, la dannazione o riprovazione. La leggerezza dello spirito e la mancanza di fede viva, ci impediscono di comprendere in questa vita tutto ciò che la dannazione contiene come orrori, terrori e disperazioni. Noi siamo fatti per il buon DIO, e per Lui solo. Noi siamo fatti per DIO, come l’occhio è fatto per la luce, come il cuore è fatto per l’amore. In mezzo alle mille preoccupazioni del mondo, noi non lo comprendiamo più, non lo sentiamo, e veniamo distolti da DIO, nostro fine ultimo, da tutto ciò che ci circonda, da tutto ciò che noi vediamo, sentiamo, soffriamo ed amiamo. Ma dopo la morte, la verità riprende tutti i suoi diritti; ciascuno di noi si trova da solo davanti a DIO, davanti a Colui dal Quale e per il Quale è fatto, che solo può e deve essere la sua vita, la sua felicità, il suo riposo, la sua gioia, il suo amore, il suo tutto. Ora figuratevi cosa può essere lo stato di un uomo al quale manca tutto in un colpo solo, in modo assoluto e totale, la sua vita, la sua luce, la sua felicità, il suo amore, in una parola, ciò che è “tutto” per lui. Concepite questo vuoto immediato, assoluto, nel quale si inabissa un essere fatto per amare e per possedere Colui del Quale si vede privo? Un religioso della Compagnia di Gesù, il p. Surin, che le sue virtù, la sua scienza e le sue sofferenze hanno reso celebre nel diciassettesimo secolo, ha avvertito per quasi venti anni le angosce di questo stato raccapricciante. Per strappare una povera e santa religiosa alla possessione del demonio che aveva resistito a tre lunghi mesi di esorcismi, di preghiere e di austerità, il padre caritatevole si era spinto all’eroismo fino ad offrirsi egli stesso vittima se la misericordia divina si fosse degnata di esaudire le sue voci e liberare la sfortunata creatura. Egli fu esaudito; e Nostro Signore permise, per la santificazione del suo servo, che il demonio prendesse possesso del suo corpo e lo tormentasse per lunghi anni. Nulla di più autentico dei fatti strani, pubblici, che segnalarono questa possessione del povero p. Surin, e che sarebbe troppo lungo riportare qui. Dopo la sua liberazione egli raccolse in uno scritto tutto quello che ricordava di questo stato soprannaturale nel quale il demonio, impossessandosi per così dire delle sue facoltà e dei suoi sensi, gli faceva sentire una parte delle impressioni e delle disperazioni del dannato. « Mi sembrava, egli dice, che tutto il mio essere, che tutte le potenze della mia anima e del mio corpo si portavano verso il Signore mio DIO, che io vedevo essere la mia felicità suprema, il mio bene infinito, l’unico oggetto della mia esistenza; e nello stesso tempo io sentivo una forza irresistibile che mi strappava a Lui, che mi teneva lontano da Lui; di modo che, fatto per vivere, io mi vedevo, mi sentivo privato di Colui che è la vita; fatto per le verità e la luce, io mi vedevo assolutamente respinto dalla verità; fatto per amare, io ero senza amore, rigettato dall’amore; fatto per il bene, io ero immerso nell’abisso del male. Io non saprei, egli aggiunge, comparare le angosce e le disperazioni di questa inesprimibile afflizione che somiglia allo stato di una freccia vigorosamente lanciata verso un bersaglio dal quale la respinge una forza invincibile; irresistibilmente portata in avanti, essa è sempre ed invincibilmente respinta indietro ». E questo non è che una pallida simbologia di questa orribile realtà che si chiama la dannazione. – La dannazione è necessariamente accompagnata dalla disperazione. È questo disperare che Nostro Signore chiama nel Vangelo: « il verme » che rode i dannati. È certo meglio, Egli ci ripete, che andare in questa prigione di fuoco, ove il verme dei dannati non muore, “ubi vermis eorum non moritur”. Questo verme dei dannati, è il rimorso, è la disperazione. Esso è chiamato verme perché nell’anima peccatrice e dannata, esso nasce dalla corruzione del peccato, come nel cadavere i vermi corporali nascono dalla corruzione della carne. Ed ancora una volta, noi non possiamo farci che una pallida idea di ciò che è questo rimorso e questo disperare; in questo mondo, ove nulla è perfetto, il male è sempre mischiato al bene, ed il bene mischiato con qualche male; per quanto quaggiù le nostre disperazioni ed i nostri rimorsi possano essere violenti, essi sono sempre temperati da qualche speranza ed anche dall’impossibilità di sopportare la sofferenza quando essa oltrepassa un certo limite. Ma nell’eternità tutto è perfetto: se così si può dire, il male è, come il bene, perfetto, senza misture, senza speranze né possibilità di essere mitigato, come spiegheremo in seguito. I rimorsi ed il disperare dei dannati saranno completi, irrevocabili, irrimediabili, senza ombra di attenuazione, senza possibilità di addolcimento; quanto più assoluto possibile, perché il male assoluto non esiste. Figuratevi cosa possa essere questo stato di disperazione privo di ogni barlume di speranza! E questo pensiero così desolante: « io mi sono perso per dei piaceri, perso per sempre ormai, per dei nonnulla, per delle bagattelle di un attimo! Mentre sarebbe stato così facile salvarmi eternamente, come tanti altri! ». Alla vista dei beati, dice la Sacra Scrittura, i dannati saranno presi da un terrore spaventoso; e nella loro angoscia essi grideranno gemendo: « Dunque, ci siamo ingannati” – “Ergo erravimus!”. Noi abbiamo errato fuori dalla vera via. Noi ci siamo persi nelle strade dell’iniquità e della perdizione; non abbiamo riconosciuto la strada del Signore. A cosa ci sono serviti il nostro orgoglio, le nostre ricchezze ed i nostri piaceri? Tutto è passato come un’ombra. Ed eccoci perduti, ingoiati dalla nostra perversità! ». Ed il sacro Scrittore aggiunge quanto abbiamo già riportato più sopra: « Ecco ciò che dicono nell’inferno i peccatori riprovati ». alla disperazione essi aggiungono l’odio, questo altro frutto della maledizione: « Allontanatevi da me, maledetti! » E quale odio? L’odio di DIO! L’odio perfetto del Bene infinito, della Verità infinita, dell’eterno Amore, della Bontà, della Pace, della Saggezza, della Perfezione infinita, eterna! Odio implacabile e satanico, odio soprannaturale, che nel dannato assorbe tutte le potenze dello spirito e del cuore. Il dannato non potrebbe odiare il suo DIO se gli venisse concesso, come ai beati, di vederLo in Se stesso, con tutte le sue perfezioni e i suoi inenarrabili splendori. Ma certo non è nell’inferno che si vede DIO, i dannati non Lo vedono se non nei terribili effetti della sua giustizia, cioè nei loro castighi; essi odiano DIO, come odiano i castighi che li tormentano, come odiano la dannazione, come odiano la maledizione. Nell’ultimo secolo a Messina, un santo prete esorcizzava un posseduto e domandava al demonio: « Tu chi sei? – io sono l’essere che non ama DIO », rispose lo spirito malvagio. E a Parigi, in un altro esorcismo, il ministro di DIO,chiedendo al demonio: «Dove sei? » – Questi con furore rispose: « Negli inferi, per sempre! – Vorresti essere annientato? – No, per poter così odiare DIO per sempre». Così potrebbe parlare ciascun dannato. Essi odiano eternamente Colui stesso che dovevano amare eternamente. « Ma, talvolta si dice, DIO è la bontà stessa. Come volete che Egli mi danni? ». Non è DIO che danna, è il peccatore che si danna da se stesso. Nel terribile evento della dannazione, non è in causa la bontà di DIO, ma unicamente la sua santità e la sua giustizia. DIO è tanto santo quanto buono; e la sua giustizia è infinita nell’inferno come infinite sono la sua misericordia e la sua bontà nel Paradiso. Non offendete la santità di DIO, e siete sicuri di non essere dannati. Il dannato ha quel che egli ha scelto, che egli ha scelto liberamente e malgrado tutte le grazie del suo DIO. Egli ha scelto il male: egli ha il male; ora nell’eternità, il male si chiama inferno. Se egli avesse scelto il bene, avrebbe avuto il bene, e lo avrebbe avuto eternamente. – Tutto questo è perfettamente logico; e qui, come sempre, la fede si accorda meravigliosamente con la retta ragione e l’equità. Dunque ecco il primo carattere dell’inferno, il primo elemento di questa orribile realtà che si chiama inferno: la dannazione, con la maledizione divina, con la disperazione, con l’odio di DIO.

L’inferno consiste in secondo luogo nella pena orribile del fuoco.

 Nell’inferno c’è il fuoco; questo è di fede rivelata. Ricordate le parole così chiare, così precise, così formali del Figlio di DIO: « Allontanatevi da me, maledetti, nel fuoco – in ignem – nella prigione di fuoco ove il fuoco non si spegnerà mai. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi Angeli, e capiranno ciò che avranno fatto di male per essere gettati nella fornace: di fuoco, “in camino ignis” ». parole divine, infallibili, che hanno ripetuto gli Apostoli, e che sono la base dell’insegnamento della Chiesa. Nell’inferno i dannati soffrono la pena del fuoco. Noi leggiamo nella storia ecclesiastica che due giovani che seguivano, nel terzo secolo, i corsi della celebre scuola di Alessandria in Egitto, erano entrati un giorno in una chiesa ove un prete predicava circa il fuoco dell’inferno, ed uno dei due si fece beffe, mentre l’altro, pieno di paura e di pentimento, si convertì, e poco tempo dopo si fece religioso per assicurarsi al meglio la salvezza. Dopo qualche tempo, il primo morì all’improvviso, ed il Signore permise che apparisse al suo vecchio compagno al quale disse: «la Chiesa predica la verità quando predica il fuoco eterno dell’inferno. I preti non hanno che un torto, quello di dire cento volte di meno di quel che ce n’è! ».

Il fuoco dell’inferno è soprannaturale ed incomprensibile.

 Ahimé! Come, sulla terra esprimere o anche solo concepire le grandi realtà eterne? I preti si danno gran da fare, il loro spirito e la loro parola si piegano sotto questo peso. Se del cielo è detto: « l’occhio non ha visto, l’orecchio non ha inteso, lo spirito dell’uomo non saprebbe comprendere ciò che DIO riserva a coloro che Lo amano » , si può ugualmente, ed in nome della infinita giustizia, dire dell’inferno: « No, l’occhio umano non ha mai visto, né l’orecchio udito, né il suo spirito ha mai potuto, né potrà mai concepire ciò che la giustizia di DIO riserva ai peccatori impenitenti » . « Io soffro, io soffro crudelmente in queste fiamme »! Gridava dal fondo dell’inferno il ricco malvagio del Vangelo. Per capire la portata di questa prima parola del riprovato: «Io soffro! – Crucior!- » bisognerebbe capire la portata della seconda: « In questa fiamma – in hac flamma – », il fuoco di questo mondo è imperfetto come tutto ciò che è di questo mondo, e le nostre fiamme materiali non sono, malgrado la loro potenza spaventosa, che un misero simbolo di queste fiamme eterne, delle quali parla il Vangelo. È possibile esprimere, senza restare molto al di sotto della verità, l’orrore della sofferenza che proverebbe un uomo che sarebbe, anche solo per qualche minuto, gettato nella fornace ardente, supponendo che possa sopravvivere? È possibile, io vi domando? Evidentemente no. Che dire allora di questo fuoco tutto soprannaturale, di questo fuoco eterno, i cui orrori non si possono paragonare a nulla? Nondimeno stando noi nel tempo e non nell’eternità, occorre servirci delle piccole realtà di questo mondo, così infime ed imperfette, per elevarci un po’ alle realtà invisibili ed immense dell’altra vita. Occorre, mediante la considerazione dell’indicibile sofferenza che produce quaggiù il fuoco terrestre, impressionare noi stessi, per non cadere negli abissi del fuoco dell’inferno.

Il P. de Bussy ed il giovane libertino.

Ecco come un giorno volle far toccare con mano, ad un giovane libertino, un santo missionario dell’inizio del secolo, celebre in tutta la Francia per il suo zelo apostolico, la sua eloquenza, la sua virtù, ed un po’ anche per le sue originalità. Il P. de Bussy dava, in una grande città del sud, una importante missione che impressionò tutta la popolazione. Si era nel cuore dell’inverno, si avvicinava il Natale, e faceva gran freddo. Nel salone ove il Padre riceveva gli uomini, c’era una stufa con un bel fuoco. Un giorno il Padre vede arrivare un giovane, che gli era stato segnalato per la sua vita disordinata e le sue empie fanfaronate. Il P. de Bussy comprende presto che non c’è molto da discutere con lui. « Venite qui, mio buon amico, gli dice con gaiezza, non abbiate paura, io non confesso le persone che non lo vogliono, sedetevi là, facciamo due chiacchiere e intanto riscaldiamoci ». Egli apre la stufa, e si accorge che la legna si è quasi tutta consumata. « Ah, prima di sedervi, portatemi qui uno o due tocchetti di legna », dice al giovane. Questi, un po’ perplesso, fa quanto il Padre gli chiede. « Ora, metteteli qua nella stufa, ben in fondo ». Appena il giovane mette la legna nella stufa, il P. de Bussy, gli afferra improvvisamente le braccia e le spinge in fondo alla stufa. Il giovane lancia un grido e salta dietro. « Ah! grida, ma siete matto? Così mi bruciate! ». – « Ma cosa avete, caro mio, riprende il Padre tranquillamente? Ma io lo faccio per farvi abituare! Dovete sapere che nell’inferno, dove andrete se continuate a vivere come fate, non saranno solo le punta delle dita a bruciare nel fuoco, ma tutto il vostro corpo; e questo fuocherello qui, non è nulla a paragone dell’altro. Andiamo, andiamo, amico caro, coraggio, bisogna abituarsi a tutto ». Il giovane naturalmente, cerca di ritrarre le braccia, ma il Padre ancora fa resistenza. « Povero figlio mio, gli dice allora il P. de Bussy cambiando tono, rilassatevi un po’; non è meglio ogni cosa dell’andare a bruciare eternamente nell’inferno? E il sacrificio che Dio vi chiede per farvi evitare un supplizio così terribile, non è in realtà ben poca cosa? » Il giovane libertino se ne va frastornato e pensieroso; egli rifletté così bene che non tardò poco tempo dopo a tornare dal missionario che lo aiutò a scaricarsi dalle sue colpe ed a rientrare nei costumi di una buona vita. Io sono certo che su mille, due mila uomini che vivono lontano da Dio, e di conseguenza sulla strada dell’inferno, non ce n’è uno che resisterebbe alla “prova del fuoco”. Non ci sarebbe nessuno così folle da accettare una tale contropartita: per l’intero anno tu potrai abbandonarti impunemente a tutti i piaceri, a saziare le tue voglie, a soddisfare tutti i capricci, a condizione di trascorrere un giorno, o anche solamente un’ora, nel fuoco. Nessuno accetterebbe la condizione, ne volete una prova? Eccola, ascoltate!

I tre figli di un vecchio usuraio.

Un padre di famiglia, che si era arricchito con traffici illeciti, si era ammalato gravemente. Egli sapeva che la gangrena era già iniziata alle sue piaghe e nondimeno non poteva decidersi a restituire il maltolto. «Se io restituisco, diceva, cosa diventeranno i miei figli? ». Il suo curato, un uomo di spirito, per salvare questa povera anima, mette in atto un curioso stratagemma. Egli gli dice che, affinché possa guarire, può suggerirgli un rimedio estremamente semplice, ma caro, molto caro. «Dovessi infatti sborsare anche mille, due mila o dieci mila franchi, che importa! Risponde prontamente il vecchio; e in cosa consiste questo rimedio? » – « Esso consiste nel far colare sulla zona cancrenosa delle piaghe, il grasso di una persona vivente. Non sarà necessario molto tempo: se voi trovate qualcuno che per diecimila franchi voglia lasciarsi bruciare la mano per meno di un quarto d’ora, questo sarà possibile. » Ahimè! Dice il povero uomo sospirando, io credo di non trovare nessuno che lo voglia fare. « Ecco un metodo, dice il curato tranquillamente: fate venire qui il vostro figlio primogenito, egli vi ama, deve essere il vostro erede! E ditegli: mio caro figlio, tu puoi salvare la vita al tuo vecchio padre se acconsenti a lasciarti bruciare una mano solo per meno di un quarto d’ora. Se egli rifiuta, fate la proposta al secondo, impegnandovi a lasciarlo erede al posto del fratello primogenito. Se anch’egli rifiuta, sicuramente il terzo accetterà». La proposta così fu fatta ai tre fratelli che, uno dopo l’altro, rifiutarono con orrore. Allora il padre disse loro. E che, per salvarmi la vita, un momento di dolore vi spaventa? Ed io per procurarvi l’agiatezza dovrei bruciare eternamente nell’inferno? In verità sarei un folle. E si convinse così a restituire tutto ciò che doveva, senza aver pensiero di cosa sarebbe accaduto ai suoi figli. Egli ebbe certamente ragione, così come i suoi figli. Lasciarsi bruciare una mano, per nemmeno un quarto d’ora, fosse anche per salvare la vita al padre, è un sacrificio troppo superiore delle forze umane. E questo, come già detto, che cos’è a paragone delle anime che bruciano nel fuoco dell’inferno?

Figli miei, non andate all’inferno

Nel 1814, io ho conosciuto al Seminario di San Sulpicio, a Issy, vicino Parigi, un professore di scienze naturali veramente in gamba, del quale ognuno ammirava l’umiltà e la mortificazione. Prima di farsi prete, l’abate Pinault era stato uno dei professori più eminenti dell’istituto politecnico. Al Seminario egli teneva il corso di fisica e di chimica. Un giorno, durante un esperimento, dal fosforo che egli stava manipolando, non si sa come, si sprigionò del fuoco, ed in un istante la sua mano si trovò avvolta dalle fiamme. Nell’arco di pochi minuti, la sua mano si trasformò in una massa informe, incandescente, e le unghie sparite. Vinto dall’eccesso di dolore, il malcapitato perse conoscenza. Gli si infilò la mano e il braccio in un catino d’acqua fredda per tentare di attenuare almeno un po’ la violenza di questo martirio. Per tutto il giorno e la notte egli non fece che gridare con grida irresistibili e laceranti, e quando, per qualche istante, poteva articolare qualche parola, diceva e ripeteva ai tre o quattro seminaristi che lo assistevano: «O figli miei, figli miei, non andate all’inferno, non andate all’inferno! » Lo stesso grido di dolore e carità sacerdotale venne emesso, nel 1857, dalle labbra, o piuttosto dal cuore di un altro prete, in una circostanza analoga. Vicino a Pontivy, diocesi di Vanner, un giovane vicario, nominato Laurent, si getta nelle fiamme di un incendio per salvare una sfortunata madre di famiglia con due bambini: egli si lancia in due o tre riprese, con un coraggio ed una carità eroici, dal lato dove provenivano le grida dei malcapitati, avendo così la gioia di trarre, sani e salvi i due bambini, fuori dalle fiamme. La madre però ancora resta imprigionata e nessuno osa affrontare la violenza delle fiamme che aumentano di minuto in minuto. Dando ascolto solo alla sua carità, l’abate Laurent ancora una volta si lancia nel fuoco e riesce a trarla fuori dalle fiamme folle di terrore. Nello stesso momento il tetto crolla; il santo prete sconvolto, rotola in mezzo alla macerie infuocate; chiamati i soccorsi a mala pena si riesce a sottrarlo ad una morte immediata. Ma ahimè, è troppo tardi, il povero prete è già colpito mortalmente; ha respirato le fiamme, il fuoco comincia a bruciargli interiormente e lo divorano inesprimibili sofferenze. Niente da fare, il fuoco interiore continua a far danni e, in capo a qualche ora il martire della carità giunge in cielo a ricevere la ricompensa del suo atto eroico. Anche lui, durante la sua raccapricciante agonia, gridava a coloro che lo circondavano: « Amici miei, figli miei, non andate all’inferno, non andate all’inferno! … è spaventoso, in questo modo si brucia nell’inferno »

Il fuoco dell’inferno è un fuoco corporale

   Ci si domanda spesso che cos’è questo fuoco dell’inferno; quale sia la sua natura, se sia un fuoco materiale o se invece sia unicamente spirituale, e molti propendono per questa ultima opinione, perché in fondo questa li spaventa di meno. San Tommaso non è però dello stesso avviso, come d’altra parte la teologia cattolica. Come diciamo sempre, è di fede che il fuoco dell’inferno è un fuoco reale e vero, un fuoco inestinguibile, un fuoco eterno, che brucia senza consumare, che penetra gli spiriti così come i corpi. Ecco ciò che è rivelato da DIO ed insegnato come articolo di fede dalla Chiesa di DIO. Il negarlo, sarebbe non soltanto un errore, ma una empietà ed un’eresia propriamente detta. Ma ancora una volta: di che natura è il fuoco che brucia nell’inferno? È un fuoco corporale? È della medesima specie della nostra? È il principe della teologia, San Tommaso che ci risponde, con la sua chiarezza e profondità ordinaria. Egli nota innanzitutto che i filosofi pagani, che non credevano alla resurrezione della carne, e che nondimeno ammettevano, con la tradizione intera del genere umano, un fuoco vendicatore nell’altra vita, dovevano insegnare, ed insegnavano in effetti che questo fuoco era spirituale, della stessa natura delle anime. Il razionalista moderno, che tende ad infestare tutte le intelligenze, e che minimizza i dati della fede quanto più gli è possibile, ha fatto inclinare verso questo sentimento un gran numero di spiriti, poco istruiti degli insegnamenti cattolici. Ma il gran Dottore, dopo aver esposto questo primo sentimento, dichiara francamente che: « il fuoco dell’inferno sarà corporale ». E la ragione che ne dà è perentoria: « infatti, dopo la resurrezione, i riprovati vi saranno nuovamente precipitati, ed i corpi non possono subire che una pena corporale, quindi il fuoco dell’inferno sarà corporale. Una pena non potrebbe essere applicata al corpo se fosse spirituale ». e san Tommaso appoggia il suo insegnamento, su quello di San Gregorio Magno e di S. Agostino, che dicono la stessa cosa nei medesimi termini. Non di meno si può dire, aggiunge il gran Dottore, che questo fuoco corporale abbia qualcosa di spirituale, non quanto alla sua sostanza, ma quanto ai suoi effetti; perché punendo il corpo, non lo consuma, non lo distrugge, non lo riduce in cenere, ed inoltre esso esercita la sua azione vendicativa fin sulle anime. In questo senso il fuoco dell’inferno si distingue dal fuoco materiale, che brucia e consuma i corpi.

Benché corporale, il fuoco dell’inferno aggredisce le anime

Ci si chiederà forse come il fuoco dell’inferno possa interessare delle anime che fino al giorno della resurrezione e del giudizio finale, restano separate dal loro corpo. Occorre rispondere innanzitutto, che in questo terribile mistero delle pene dell’inferno, un conto è conoscere chiaramente la verità di ciò che è, altra cosa è comprenderla. Noi sappiamo in modo positivo ed assoluto, secondo l’insegnamento infallibile della Chiesa, che immediatamente dopo la morte, le anime cadono nell’inferno e nel fuoco dell’inferno. Ora questo non può che intendersi per le anime, poiché fino alla resurrezione i loro corpi restano affidati alla terra nella tomba. Una volta separato dal suo corpo, l’anima del riprovato si trova relativamente all’azione misteriosa del fuoco dell’inferno, nella condizione dei demoni. I demoni, in effetti, benché non abbiano un corpo, subiscono i tormenti del fuoco nel quale saranno un giorno gettati i corpi dei dannati, come indicano espressamente le sentenze del Figlio di DIO sui riprovati: « Allontanatevi da me, maledetti! Andate nel fuoco eterno che è stato preparato per il demonio ed i suoi angeli ». Ora questo fuoco è corporale, perché altrimenti non attecchirebbe sui corpi dei riprovati. Dunque l’anima separata dal corpo, l’anima del riprovato, subisce le azioni di un fuoco corporeo. Ecco ciò che sappiamo con certezza. Ciò che non sappiamo è il “come”, ma per credere non abbiamo bisogno di sapere, le verità rivelate da DIO hanno come fine il chiarire il nostro spirito e nel contempo di restare nella dipendenza e sottomissione. Per fede noi siamo certi della realtà del fatto: ci è sufficiente vedere che la cosa non sia impossibile. Ora il ragionamento e l’analogia ce lo fanno vedere chiaramente: non siamo forse noi stessi in ogni istante i testimoni irrecusabili dell’azione non solo reale, ma intima, incessante che il nostro corpo esercita sulla nostra anima? Il nostro corpo, che è sostanza materiale sulla nostra anima, che è una sostanza spirituale? Dunque è perfettamente possibile che una sostanza materiale, come lo è il fuoco dell’inferno, agisca su di una sostanza spirituale, come è l’anima del riprovato.

Il capitano aiutante maggiore di Saint-Cyr.

A questo proposito, lasciatemi, caro lettore, raccontare un fatto assai curioso che è successo alla scuola militare di Saint-Cyr, negli ultimi anni della restaurazione. La scuola militare aveva allora per cappellano militare, un ecclesiastico pieno di spirito e di talento, che aveva il nome bizzarro di Rigolot. Egli predicava un bel ritiro ai giovani della Scuola, che ogni sera si riunivano in cappella prima di salire in dormitorio. Una sera, dopo che il cappellano ha predicato parlando in modo mirabile dell’inferno, a cerimonia conclusa, si ritira, con un candeliere in mano, nel suo appartamento, situato in un’ala riservata agli ufficiali. Nel momento in cui apre la porta, si sente chiamare da qualcuno che lo ha seguito lungo le scale. Si tratta di un vecchio capitano, dai baffi grigi, e dall’aria poco fine. « Pardon, signor cappellano, egli dice, con voce un po’ ironica; voi avete fatto un bel sermone sull’inferno. Solo avete dimenticato di dire, se nel fuoco dell’inferno si verrà arrostiti, messi alla griglia, o bolliti. Potreste dirmelo? ». Il cappellano, vedendo con chi ha a che fare, lo fissa nelle pupille, e mettendogli il candelabro sotto il naso, gli risponde tranquillamente: « voi, questo lo vedrete, capitano »! E chiude la porta senza potersi trattenere dal sorridere un po’ della figura goffa e buffa del povero capitano. Egli non ci pensa più, ma a partire da quel momento gli sembra di avvertire il capitano come se gli giri i tacchi quanto più lontano può, ogni volta che lo vede. Sopraggiunge poi la rivoluzione di luglio, la figura del cappellano militare viene soppressa, sia quella di Sain-Cyr che di tutte le altre. L’abate Rigolot è nominato dall’arcivescovo di Parigi ad occupare un altro incarico non meno onorevole. Una ventina di anni dopo, il venerabile prete si trova una sera in un salone con numerose personalità civili, quando gli si avvicina una vecchio “baffo bianco” che lo saluta, domandandogli se non sia l’abate Rigolot, già cappellano di Sain-Cyr. E alla sua risposta affermativa: « Oh! monsignor cappellano, gli dice emozionato il vecchio militare, permettetemi di stringervi la mano ed esprimervi tutta la mia riconoscenza: voi mi avete salvato! – Io?! E come mai? – Ah, voi non mi riconoscete? Vi ricordate che una sera il capitano istruttore della scuola, all’uscita da un sermone sull’inferno, vi aveva posto una domanda ridicola, e voi gli avete risposto mettendogli sotto il naso il vostro candelabro dicendo: “voi lo vedrete, capitano” ? » Quel capitano ero io! Figuratevi che da quel momento queste parole mi hanno perseguitato dappertutto, con il pensiero di dover andare a bruciare nell’inferno. Io ho lottato dieci anni, ma alla fine mi sono arreso, sono andato a confessarmi, sono diventato cristiano, cristiano secondo l’uso militare, cioè tutto d’un pezzo. È a voi che devo questa felicità; sono ben contento di rincontrarvi per potervelo dire ». Si mio caro lettore, se mai vi dovesse capitare di ascoltare qualche maligno buontempone porre delle domande strampalate sull’inferno, rispondetegli come l’abate Rigolot: « voi lo vedrete, mio caro amico, voi lo vedrete ». Vi garantisco che non avranno la tentazione di andarvi per vedere!

La mano bruciata di Foligno

Certa è una cosa, che, nei riguardi del fuoco dell’altra vita, tutte le volte che DIO ha permesso ad una povera anima riprovata di manifestarsi, o ad un’anima del Purgatorio di apparire sulla terra e di lasciare una traccia visibile, questa traccia non sia stata che quella del fuoco. Ricordate anche ciò che già più in alto abbiamo riportato, la terribile apparizione di Londra, del braccio carbonizzato della dama col braccialetto e del tappeto bruciato. Ricordate l’atmosfera di fuoco e fiamme che avvolgeva la ragazza perduta di Roma ed il giovane religioso sacrilego di S. Antonino di Firenze. In questo stesso anno in cui vi parlo, nel mese di aprile, io stesso ho visto e toccato a Foligno, vicino ad Assisi, in Italia, una di queste impressionanti impronte di fuoco, che ancora una volta di più attesta la verità di quanto andiamo qui dicendo: che il fuoco dell’altra vita è un fuoco reale. Il 4 novembre del 1859, morì di apoplessia fulminante nel convento del terziarie francescane di Foligno, una buona suora, di nome Teresa Margherita Gesta, da lungo tempo maestra delle novizie ed incaricata del povero vestiario del monastero. Essa era nata in Corsica, a Bastia, nel 1717, ed era entrata al monastero nel febbraio del 1826. Inutile dire che era ben preparata alla morte. Dodici giorni dopo, il 17 novembre, una suora di nome Anna-Felicia, che l’aveva assistita nel suo incarico e che dopo la sua morte, era rimasta sola ad espletarlo, sale al vestiario e sta per entrarvi, quando intende dei gemiti che sembrano venire dall’interno della camera; un po’ spaventata, si accinge ad aprire la porta: non c’è nessuno! Ma nuovamente si fanno sentire dei gemiti, e tanto accentuati che, malgrado il suo coraggio ordinario, ella si sente invadere dalla paura. « O Gesù e Maria! Gridò, ma cosa succede? ». Non ha nemmeno finito, che sente una voce flebile, accompagnata da un sospiro doloroso: « Oh! Mio DIO!, come soffro! Oh, DIO, che tanto peno! ». La suora stupefatta riconosce subito la voce della povera suor Teresa. Si riprende come meglio può e domanda: « E perché? – A causa della povertà, risponde suor Teresa. – Ma come! – Riprende la piccola suora, proprio voi che eravate così povera! – Non è stato per me, ma per le suore alle quali ho lasciato troppa libertà a questo riguardo. Ed anche tu, riguardati e bada a te stessa ». In quello stesso istante tutta la sala si riempie di uno fumo denso e l’ombra di suor Teresa appare dirigersi verso la porta scivolando lungo il muro. Giunta vicino alla porta, ella grida con forza: « Ecco una testimonianza della misericordia di DIO! » E ciò dicendo, colpisce il pannello più alto della porta, lasciandovi incisa nel legno carbonizzato, l’impronta più perfetta della sua mano destra; poi sparisce. La povera suor Anna-Felicia resta mezza morta dallo spavento. Tutta agitata comincia a gridare ed a invocare soccorso. Accorre una delle sue compagne, poi un’altra, poi tutta la comunità; si avvicinano ad essa, meravigliandosi dell’odore di legno bruciato. Cercano, guardano, e sulla porta intravedono la terribile impronta e vi riconoscono subito la forma della mano di suor Teresa, la quale era notevolmente minuta. Spaventate esse scappano via, corrono al coro, si mettono in preghiera e, dimenticando anche i bisogni corporali, trascorrono tutta la notte a pregare, a singhiozzare ed a far penitenza per la povera defunta, e l’indomani vanno tutte a comunicarsi per lei. La notizia si sparge fuori dal monastero: i frati minori, i buoni preti amici del monastero e tutti i cittadini dalla città uniscono le loro preghiere e le suppliche a quelle dei francescani. Questo slancio di carità ha qualcosa di soprannaturale e di particolarmente insolito. – Intanto, suor Anna-Felicia, ancora tutta sconvolta per l’emozione, riceve l’ordine formale di andare a riposarsi. Ella obbedisce, ben decisa a far sparire ad ogni costo, l’indomani mattina, l’impronta carbonizzata che rende sgomenta tutta Foligno. Ma ecco che suor Teresa-Margherita le appare nuovamente. « Io so cosa tu vuoi fare, le dice con severità, tu vorresti togliere il segno che io ho lasciato. Sappi che non è in tuo potere il farlo, essendo questo prodigio stato ordinato da DIO come insegnamento ed ammonimento per tutti. Per il suo giusto e terribile giudizio, io ero condannata a subire per quaranta anni le spaventose fiamme del Purgatorio, a causa della debolezza che spesso avevo mostrato nei riguardi di alcune mie consorelle. Io vi ringrazio, te e le tue compagne, delle tante preghiere che, nella sua bontà, il Signore si è degnato di applicare esclusivamente alla mia povera anima; ed in particolare i sette salmi penitenziali, che mi sono stati di grande sollievo ». Poi con viso sorridente, aggiunge: « O felice povertà, che procura una grande gioia a tutti coloro che veramente la osservano ». E così sparisce di nuovo. Infine l’indomani, suor Anna-Felicia, dopo aver dormito come d’abitudine, si sente ancora una volta chiamare per nome. Si sveglia tutta frastornata, rimanendo inchiodata nella sua posizione e senza poter articolar parola. Questa volta ancora, ella riconosce perfettamente la voce della suor Teresa. Nello stesso istante un globo di luce tutto luminoso e splendente appare ai piedi del suo letto illuminando la sua cella come in pieno giorno; nel mentre le giunge ancora la voce di suor Teresa che, con voce gioiosa e trionfante, dice: « io sono morta un venerdì, il giorno della Passione; ed ecco che un venerdì io me ne vado in gloria. Siate forti nel portare la croce! Siate coraggiose nella sofferenza! » Ed aggiungendo con amore: “addio, addio, addio!” si trasfigura in una nube leggera, bianca, luminosa, si alza in volo e sparisce. Ben presto fu aperta una inchiesta canonica dal Vescovo di Foligno e dai magistrati della città. Il 2 novembre, alla presenza di un gran numero di testimoni, si aprì la tomba di suor Teresa-Margherita; e l’impronta bruciata della porta si trovò esattamente conforme alla mano della defunta. Il risultato dell’inchiesta fu un giudizio ufficiale, che constatava con certezza l’autenticità perfetta di quanto avvenuto e raccontato. La porta, con l’impronta carbonizzata, è conservata nel convento con grande venerazione. La madre badessa, testimone del fatto, si è degnata di mostrarmela ella stessa, e i miei compagni di pellegrinaggio ed io abbiamo visto e toccato questo legno che attesta in modo così evidente e terribile che le anime, sia eternamente, sia solo di passaggio, soffrono nell’altra vita la pena del fuoco, e sono compenetrati e bruciati da questo fuoco. Quando, per ragioni che solo DIO conosce, è concesso loro di apparire in questo mondo, il fuoco ed esse sembrano essere una sola cosa; è come il carbone quando è arroventato dal fuoco. Dunque benché noi non possiamo penetrarne il mistero, sappiamo che, senza poterne dubitare, il fuoco dell’inferno, benché essenzialmente corporale, esercita la sua azione vendicatrice fin sulla anime.

Dove si trova il fuoco dell’inferno?

 Forse ci si domanderà ancora dove sia il fuoco dell’inferno e quale luogo occupi. Senza rimarcare niente di assolutamente preciso su questo punto, la rivelazione cristiana e l’insegnamento cattolico si accordano nel mostrarci gli abissi brucianti del fuoco centrale della terra come il luogo ove saranno precipitati, dopo la resurrezione, i corpi dei riprovati. È così che il celebre Catechismo del Concilio di Trento ci dice a chiare lettere che l’inferno è : « al centro della terra, “in medio terrae” ». questo è pure l’insegnamento formale di S. Tommaso, il quale tuttavia lo presenta come il sentimento più probabile. « Nessuna persona, egli dice, conosce con certezza ove sia l’inferno, a meno che non lo abbia direttamente appreso dallo Spirito Santo; si ha ragione nel credere che esso sia sotto terra. Innanzitutto il nome stesso sembra indicarcelo: “infernus”, inferno, vuol dire: “ciò che è al di sotto”, in un luogo inferiore rispetto alla terra. Poi nelle scritture, i riprovati sono detti essere «sotto terra, subtus terram ». Inoltre si dice nello stesso Vangelo e nelle lettere di San Paolo, che il Venerdì Santo la santa anima di Nostro Signore, momentaneamente separata dal suo corpo, scese nel cuore della terra, “in corde terrae,”, e « nei luoghi inferiori della terra, in inferiores partes terrae ». Ora noi sappiamo che essa andò a portare la notizia della redenzione e della salvezza ai giusti dell’Antica Legge che, dall’inizio del mondo avevano creduto in Lui e Lo attendevano pieni di speranza e di amore, nella pace del limbo; infine che questa santa Anima andò a rinfrancare e liberare le anime che erano allora in Purgatorio, e avevano compiuto l’espiazione delle loro colpe. Poi passa da lì nel limbo; infine che Essa discese fin nell’inferno “descendit ad inferos”, per manifestare a satana, a tutti i demoni e a tutti i riprovati, la sua divinità trionfante sul peccato, la carne ed il mondo. Ora da tutto questo si evince, anche se non con evidenza assoluta, ma tuttavia con grande forza, che il luogo dell’inferno è e sarà il centro della terra, che tutti i geologi ci rappresentano infatti come un immenso oceano di fuoco, di zolfo e bitume in fusione, e come qualcosa di così spaventoso ed insieme così potente, che niente potrebbe darcene un’idea in questa vita. Aggiungiamo a tutto questo il linguaggio delle Scritture nelle quali lo Spirito Santo presenta sempre l’inferno come un abisso nel quale si è precipitati, ove si cade, ove si discende; parole che esprimono necessariamente un luogo non soltanto inferiore, ma profondo. È ugualmente questo il linguaggio universale della Chiesa, dei Santi Padri e dei Teologi, ed anche di tutto il mondo. Infine, malgrado le loro alterazioni, le tradizioni del paganesimo, principalmente tra i Greci ed i Latini, vengono a confermare il sentimento che noi qui riassumiamo, dipingendo il luogo del castigo dell’altra vita, come una vasta regione sotterranea, o il regno del tetro dio Plutone, caricatura mitologica di satana; ove il fuoco e le fiamme giocano un ruolo principale, come già detto; e sotto il nome di Campi Elisi si vedono altre regioni, pure sotterranee, ove regnano però una certa pace ed una certa malinconica felicità, curioso riflesso della tradizione vera sul “limbo” degli antichi giusti. Aggiungiamo infine l’osservazione di S. Agostino, riportata da S. Tommaso: che dopo la morte il corpo è interrato, cioè disceso e deposto nella terra, per espiare il peccato con la putrefazione, e che sembra almeno corretto ritenere che l’anima debba espiare questo stesso peccato, sia come purificazione nel Purgatorio, sia come castigo nell’inferno, con lo scendere per trovare nei luoghi inferiori il fuoco vendicatore acceso dalla giustizia divina. Da tutto questo non possiamo, ed anche non dobbiamo concludere che l’inferno, con il suo fuoco spaventoso, abbia come sede speciale il centro della terra, ove il fuoco dell’abisso brucia con maggiore intensità? Osserviamo tuttavia che questo fuoco naturale è soprannaturalizzato dall’Onnipotenza della giustizia divina, alfine di produrre tutti gli effetti che richiede questa adorabile e terribile giustizia; tra l’altro, col fine di coinvolgere e penetrare gli spiriti come i corpi, senza consumare i corpi dei dannati ma al contrario conservarli, secondo questa terribile parola del sovrano Giudice stesso, “nella Geenna del fuoco inestinguibile, tutti i riprovati saranno salati dal fuoco “igne salietur”, in modo tale che il sale penetra e conserva la carne delle vittime, così per un effetto soprannaturale, il fuoco corporale dell’inferno penetra, senza mai consumarli, sia i demoni che i riprovati.

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Il fuoco dell’inferno è un fuoco tenebroso. Visione di Santa Teresa.

 Nel rivelarci che l’inferno è nel fuoco, Nostro Signore ci ha detto ugualmente, con l’autorità divina ed infallibile della sua parola, che l’inferno è nelle tenebre. Nel vangelo di San Matteo, nel capitolo ventiduesimo, Egli dà all’inferno il nome di tenebre esteriori. « Gettatelo, dice parlando dell’uomo che non è vestito con l’abito nuziale, cioè che non è nello stato di grazia, gettatelo nelle tenebre esteriori, “in tenebras exteriores”. » In altri passi del Vangelo, e nelle Epistole degli Apostoli, i demoni sono chiamati: « I princìpi delle tenebre, i potenti delle tenebre ». San Paolo dice ai fedeli: « voi siete tutti figli di luce: noi non siamo figli delle tenebre ». Le tenebre dell’inferno saranno corporali come il fuoco stesso, e queste due verità non implicano alcuna contraddizione. Il fuoco, o per parlare più esattamente, il produttore del calore, è come l’anima e la vita del fuoco, è un elemento perfettamente distinto dalla luce. Nello stato naturale, quando si produce la fiamma in mezzo al gas dell’aria, il fuoco è sempre più o meno luminoso, ma nell’inferno, conservando tutta la sua sostanza, l’elemento fuoco sarà privo di alcune proprietà naturali e ne acquisterà altre che saranno soprannaturali, che cioè non possiede di per se stesso. È quel che insegna San Tommaso che, appoggiandosi sul Santo Basilio Magno, insegna: « per la potenza di Dio, la chiarezza del fuoco sarà separata dalla proprietà che ha di bruciare, ed è la sua virtù comburente che servirà da tormento ai dannati ». Inoltre, « al centro della terra, ove è l’inferno, aggiunge San Tommaso, non può esserci che un fuoco tetro, oscuro, tutto denso di fumo »… quel poco che ne fuoriesce dalla bocca dei vulcani, conferma pienamente questa asserzione. Nell’inferno dunque ci saranno delle tenebre corporali, ma con un certo barlume che permetterà ai riprovati di intravedere quello che dovrà comporre i loro tormenti. Essi giungeranno a vedere nel fuoco e nell’ombra, ai bagliori delle fiamme dell’inferno, dice S. Gregorio Magno, coloro che hanno trascinato con essi nella dannazione; e questa vista sarà il complemento del loro supplizio. Pertanto, l’orrore stesso delle tenebre, che conosciamo per esperienza sulla terra, non deve essere ritenuto poca cosa nel castigo dei riprovati. Il nero è il colore della morte, del male, della tristezza. Santa Teresa racconta che un giorno, rapita in spirito, Nostro Signore si degnò di rassicurarla circa la sua eterna salvezza, se ella continuasse a servirLo ed amarLo come già faceva; e per aumentare nella sua serva fedele il timore del peccato e dei terribili castighi che esso genera, Egli volle farle intravedere il luogo che avrebbe occupato nell’inferno se ella avesse seguito le sue inclinazioni per il mondo, con la vanità e con i piaceri. « Un giorno in preghiera – ella racconta – mi trovai in un istante, senza saper in qual modo, trasportata corpo ed anima nell’inferno. Io compresi che Dio voleva farmi vedere il posto che i demoni mi avevano preparato e che avrei meritato per i peccati nei quali sarei caduta se non avessi cambiato vita. Questo durò per uno spazio breve, ma per quanto io vivessi ancora tanti anni, mi sarebbe impossibile cancellarne il ricordo. « L’entrata in questo luogo di tormento mi parve simile ad una sorta di forno estremamente basso, oscuro, stretto. Il suolo era un fango orribile, di un odore fetido e pieno di rettili striscianti. Alla sua estremità si levava una muraglia nella quale c’era un ridotto molto stretto ove mi vidi richiudere. Nessuna parola può dare la minima idea del tormento che là provai; è incomprensibile. Nella mia anima sentii un fuoco, di cui non ci sono parole per descriverne la natura, ed il mio corpo era nello stesso tempo in preda a dolori intollerabili. Io avevo provato nella mia vita crudelissime sofferenze che, secondo il parere dei medici, sono tra le più grandi che quaggiù si possano contrarre. Io avevo visto i miei nervi contrarsi in modo terribile all’epoca in cui persi l’uso dei miei arti; tutto questo era nondimeno nulla a paragone dei dolori che sentii allora; e il colmo era la consapevolezza che sarebbero stati eterni e senza sollievo. Ma queste torture del corpo non sono nulla a loro volta rispetto all’agonia dell’anima. È una stretta, un’angoscia, un infrangersi del cuore così sensibile, è nello stesso tempo una così disperata ed amara tristezza, che tenterei invano di descrivere. Se io dicessi che si prova in ogni istante l’angoscia della morte, direi ben poca cosa. No, mai potrò trovare espressioni che diano un’idea di questo fuoco interiore e di questa disperazione, che sono come il colmo di tanti dolori e tormenti. « Ogni speranza di consolazione in questo terrificante soggiorno è spenta, vi si respira un odore pestilenziale. Tale era la mia tortura in questo anfratto stretto scavato nel muro ove mi trovavo chiusa; le mura di questa cella, terrore per gli occhi, mi opprimevano esse stesse col loro peso. Là tutto soffoca; nessuna luce, non vi sono che tenebre della più tetra oscurità; eppure, o mistero!, anche senza alcun chiarore, si percepisce tutto quello che è più penoso per la vista. « Non è più piaciuto al Signore darmi una ulteriore maggiore conoscenza dell’inferno. Mi ha mostrato poi dei castighi ancora più spaventosi inflitti a certi vizi; poiché non ne soffrivo la pena, il mio terrore era minore. Nella prima visione, al contrario, il divino Maestro volle farmi provare veramente in spirito, non solo l’afflizione interiore, ma i tormenti anche esteriori come se il mio corpo li avesse sofferti. Io ignoro il modo in cui questo accadeva, ma compresi che era una grande grazia, e che il mio adorabile Salvatore aveva voluto farmi vedere con i miei occhi da quale supplizio Egli mi avesse liberato. Perché tutto ciò che si può sentir dire dell’inferno, tutto ciò che i nostri libri ci dicono degli strazi e dei diversi supplizi che i demoni fanno subire ai dannati, tutto questo non è niente rispetto alla realtà; tra l’uno e l’altro c’è la stessa differenza che esiste tra un quadro inanimato ed una persona vivente; bruciare in questo mondo è ben poca cosa in confronto a questo fuoco in cui si brucia nell’altro. Sono trascorsi quasi sei anni da questa visione, aggiunge Santa Teresa, ed ancora oggi, nello scriverlo, avverto un tale spavento che il sangue mi si gela nelle vene. In mezzo alle prove ed ai dolori, io evoco questo ricordo e da allora ogni cosa che possa accadermi quaggiù mi sembra più nulla; e trovo che noi ci lamentiamo senza motivo. « Da questo giorno, tutto mi sembra facile da sopportare in confronto ad un solo istante da trascorrere nel supplizio nel quale fui allora immersa. E non posso stupirmi del fatto che, pur avendo letto tante volte dei libri che trattano delle pene dell’inferno, ero così lontana dal formarmi un’idea giusta, e di temerlo come avrei dovuto. A cosa pensavo, Dio mio, e come potevo gustare qualche riposo in un genere di vita che mi conduceva ad un sì spaventoso abisso! O mio adorabile Maestro, siate eternamente benedetto! Voi avete mostrato nel modo più eclatante che Voi mi amate infinitamente più di quanto io non ami me stessa. Quante volte mi avete liberato da questa nera prigione, e quante volte vi sono rientrata contro la vostra volontà! « Questa visione ha fatto nascere in me un indicibile dolore alla vista di tante anime che si perdono. Essa mi ha inoltre dato i desideri più ardenti di lavorare per la loro salvezza; per strappare un’anima sola da sì orribili supplizi, lo sento, sarei pronta ad immolare mille volte la mia vita. » Che la fede sopperisca in ciascuno di noi alla visione; e che il pensiero delle «tenebre esterne» nelle quali i riprovati saranno gettati come la spazzatura e le scorie della creazione ci trattengano nelle tentazioni e faccia noi dei veri figli di luce!.

Quali altre grandissime pene accompagnano il tetro fuoco dell’inferno.

Oltre al fuoco e alle tenebre, nell’inferno ci sono altri castighi, altre pene ed altri modi di soffrire. Lo richiede infatti la giustizia divina; i riprovati hanno commesso il male in molte maniere, avendo ciascuno dei loro sensi partecipato più o meno ai loro peccati, e di conseguenza alla loro dannazione, è giusto che siano puniti innanzitutto nei punti che maggiormente avranno contribuito al peccato, secondo questa parola della Scrittura: “ciascuno sarà punito a secondo di come ha peccato”. È principalmente ancora il fuoco, questo fuoco terribile e soprannaturale di cui stiamo parlando, che sarà lo strumento di questi castighi molteplici: esso punirà con azione speciale questo o quel senso che avrà contribuito particolarmente all’iniquità; è così pure in rapporto a ciascun vizio, a ciascuno dei suoi peccati, che il dannato, gettato nel fuoco e nelle tenebre esteriori, come dice il Vangelo, piangerà amaramente su di un passato irreparabile e striderà i denti, nell’eccesso della disperazione. “Là vi sarà pianto e stridor di denti, “flatus et stridor dentium”. Tali sono le parole di DIO stesso. Questi pianti dei riprovati saranno più spirituali che corporali, dice S. Tommaso; e questo anche dopo la resurrezione, ove i corpi dei riprovati, riprendendo i loro corpi umani con tutti i loro sensi, tutti i loro organi e tutte le proprietà essenziali, non saranno nondimeno più suscettibili di certi atti né di certe funzioni. Le lacrime, in particolare, suppongono un principio fisico di secrezione che non esisterà più. O buon lettore, figuratevi dunque ciò che saranno e soffriranno sotto le diverse influenze di questo fuoco e di queste tenebre, di questi terribili rimorsi e di queste disperazioni inutili, gli occhi di un dannato, quegli occhi che tante volte, e per tanti anni, saranno serviti a contentare il proprio orgoglio, la vanità, la cupidigia, tutte gli appetiti della lussuria. E le sue orecchie aperte a discorsi impudichi, alle menzogne, alle calunnie, alle beffe dell’empietà! E la sua lingua, la sua bocca, strumento di tante sensualità, di tanti discorsi empi ed osceni, di tante leccornie! E le sue mani, che hanno cercato, scritto, che hanno sparso tante cose detestabili, che hanno fatto tante cattive azioni! Ed il suo cervello, organo di milioni di colpevoli pensieri di ogni genere! E il suo cuore, sede della sua volontà depravata, e di tutte le cattive affezioni, svanite per sempre! Ed il suo corpo tutto intero, la sua carne per la quale è vissuta, e di cui ha soddisfatto tutti i desideri, tutte le passioni, tutte le concupiscenze! Tutto in lui avrà il suo castigo, il suo tormento speciale, oltre alla pena generale della dannazione, della maledizione divina, e del fuoco vendicatore. Che orrore! E non è tutto. San Tommaso aggiunge, in effetti, con i Santi Padri: « nella purificazione finale del mondo, ci sarà tra gli elementi una separazione radicale; tutto ciò che è puro e nobile sussisterà nel cielo per la Gloria dei beati; mentre tutto ciò che è ignobile e sporco sarà precipitato nell’inferno per il tormento dei dannati. E così, come ogni creatura sarà causa di gioia per gli eletti, i dannati troveranno in tutte le creature una causa di tormenti. » E questo sarà il compimento dell’oracolo dei Libri santi: « L’universo intero combatterà con il Signore contro gli insensati, cioè i riprovati ». Infine, e per completare l’esposizione di questo lugubre stato dell’anima riprovata, aggiungiamo che Nostro Signore ha dichiarato Egli stesso nella formulazione della sentenza ultima del giudizio finale, vale a dire che: i maledetti, i dannati, andranno a bruciare nell’inferno, « nel fuoco che è stato preparato per il demonio e per i suoi angeli », negli abissi infuocati dell’inferno; i riprovati avranno dunque il supplizio dell’esecrabile compagnia di satana e di tutti i demoni. In questo mondo si trova talvolta una sorta di sollievo nel non essere soli a soffrire: ma nell’eternità, questa associazione del dannato con tutti i cattivi angeli e tutti gli altri riprovati sarà al contrario un aggravio di disperazione, di odio, di rabbia, di sofferenze dell’anima e dei dolori fisici. Ecco il poco che sappiamo, per rivelazione divina e attraverso gli insegnamenti della Chiesa, sulla molteplicità dei tormenti che saranno, nell’altra vita, il castigo degli empi, dei blasfemi, degli impudichi, degli orgogliosi, degli ipocriti, ed in generale di tutti i peccatori ostinati ed impenitenti. Ma quello che più di tutto il resto rende tutte queste pene spaventose, è la loro “eternità”!