La strana sindrome di nonno Basilio: 25

La strana sindrome di nonno Basilio -25-

nonno

   Caro direttore, sono di nuovo qui con questa mia nuova, sperando di non seccare oltremodo lei ed i suoi cortesi lettori, e le chiedo ancora una volta umilmente scusa e se possibile il suo aiuto perché, da quando abbiamo iniziato le discussioni circa il neo-modernismo esploso nella Chiesa attuale, evoluzione (o sarebbe meglio dire forse: involuzione ulteriore) del “modernismo”, a suo tempo vigorosamente denunciato ed anatemizzato dal Santo Padre Pio X nell’Enciclica “Pascendi” e nel decreto “Lamentabili”, si è aperta una vivace discussione tra i miei carissimi nipoti, Mimmo e Caterina, e me che, reduce dai miei altalenanti ed instabili problemi di memoria, faccio notevole fatica ad identificare come “cattolici” riti, comportamenti e orientamenti vari che a me sembrano eccessivamente fantasiosi, stravaganti, e soprattutto assolutamente non in linea con la “Tradizione” della Santa Chiesa Cattolica Romana, Cattedra di verità, così come “depositum fidei” definita da ben venti Concili e da oltre 260 Papi, a cominciare da San Pietro, fino a quel sant’uomo, integerrimo Pastore, Guida del gregge di Giacobbe autorevole ed irreprensibile, che è stato il “mio” papa Pio XII, e sostenuta da una Patristica ferrea oltre che da una teologia scolastica razionalmente inattaccabile. (Mi dice Mimmo che San Tommaso e la sua “Summa”, oramai non fanno parte più del bagaglio del moderno sacerdote, anzi che alcuni lo confondono con San Tommaso apostolo, e qualcuno addirittura con san Tommaso Moro! … ma io so che Mimmo mi prende in giro e si burla di me … anche perché, lui dice, ormai il latino non si studia più nei seminari! Lo so che sono mattacchionate di quel giocherellone di Mimmo (è del tutto evidente che si tratta di affermazioni infondate, … o no, le pare?!) ma riesce comunque a farmi innervosire … bah, questi giovani!. Ma veniamo ai fatti: stavo consultando l’antico Messale Romano Tridentino, quello edito da S. Pio V, poi da Clemente VIII e quindi Urbano VIII, che mi ha lasciato (autentica eredità spirituale) il caro zio Tommaso, utilizzato per tanti anni e poi finito in soffitta perché sostituito da un messale in vernacolo, e alla Messa “Misericordia Domini”, la seconda domenica di Pasqua, all’antifona alla Comunione leggevo il versetto: “Ego sum pastor bonus, alleluia: et cognosco oves meas, et cognoscunt me meae, alleluia, alleluia”.(Io sono il buon pastore, alleluia: conosco le mie pecore, ed esse conoscono me, alleluia, alleluia! Giov. X, 14) che poi è la ripresa del Vangelo di Giovanni, al capitolo X. In questo capitolo, il Signore Gesù affigge un manifesto circa le caratteristiche del sacerdote cattolico, che doveva rispecchiare il ritratto che già era stato delineato nell’Antico Testamento a cominciare da Melchisedek, tratteggiato e colorito progressivamente dai Profeti e dai Salmi. Così ad esempio in Malachia (II, 7) possiamo leggere :Labia enim sacerdotis custodient scientiam, et legem requirent ex ore ejus, quia angelus Domini exercituum est” [Infatti le labbra del sacerdote devono custodire la scienza e dalla sua bocca si ricerca l’istruzione, perché egli è messaggero del Signore degli eserciti]. Le citazioni potrebbero essere numerose, ed ognuno può divertirsi a trovarle, cominciando dal versetto del Salmo CIX, 4 “Juravit Dominus, et non poenitebit eum: Tu es sacerdos in aeternum secundum ordinem Melchisedech.” [Il Signore ha giurato e non si pente: “Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedek] .Ma non sempre i sacerdoti hanno fatto il loro dovere, e questo fin dall’antichità, tanto che Dio stesso, per bocca dei suoi profeti, è intervenuto per richiamarli. Tali richiami, caro direttore, come ognuno purtroppo può osservare nel suo piccolo, sono particolarmente attuali oggi, mi sembra di capire da quello che i miei nipoti mi riferiscono. Sfoglio le pagine della Bibbia, che ho sempre con me, “luce dei miei passi”, e mi capita sott’occhio il tremendo inizio del capitolo XXXIV di Ezechiele, che lei certamente conoscerà, capitolo che viene solitamente letto, stranamente, dal versetto 11 in poi; io me lo ricordo bene perché lo zio Tommaso, sacerdote straordinario che ha improntato la mia giovinezza (ah … se lo avessi ascoltato, quanti guai avrei evitato … ma tante cose da giovani non si comprendono … e poi dicono beata gioventù!…) lo rileggeva spesso in nostra presenza per richiamare e confermare la sua vocazione, ben conscio della responsabilità che questa comportava davanti a Dio e al suo Cristo. Pensi che noi nipoti lo avevamo quasi imparato a memoria … ma chi lo conosceva “a campanello” era, ovviamente quella secchiona di Felicina (mi pare di averne già parlato … o no?). Adesso che la mia memoria non è più esattamente prodigiosa, ecco che me lo rileggo e le ricordo pure a lei, se mi consente: “Et factum est verbum Domini ad me, dicens: Fili hominis, propheta de pastoribus Israel: propheta, et dices pastoribus: Haec dicit Dominus Deus: Vae pastoribus Israel, qui pascebant semetipsos! nonne greges a pastoribus pascuntur? Lac comedebatis, et lanis operiebamini, et quod crassum erat occidebatis, gregem autem meum non pascebatis. Quod infirmum fuit non consolidastis, et quod aegrotum non sanastis: quod confractum est non alligastis, et quod abjectum est non reduxistis, et quod perierat non quaesistis: sed cum austeritate imperabatis eis, et cum potentia. Et dispersae sunt oves meae, eo quod non esset pastor: et factae sunt in devorationem omnium bestiarum agri, et dispersae sunt. Erraverunt greges mei in cunctis montibus, et in universo colle excelso: et super omnem faciem terrae dispersi sunt greges mei, et non erat qui requireret: non erat, inquam, qui requireret. Propterea, pastores, audite verbum Domini: Vivo ego, dicit Dominus Deus, quia pro eo quod facti sunt greges mei in rapinam, et oves meae in devorationem omnium bestiarum agro, eo quod non esset pastor: neque enim quaesierunt pastores mei gregem meum, sed pascebant pastores semetipsos, et greges meos non pascebant: propterea, pastores, audite verbum Domini: Haec dicit Dominus Deus: Ecce ego ipse super pastores: requiram gregem meum de manu eorum, et cessare faciam eos, ut ultra non pascant gregem, nec pascant amplius pastores semetipsos: et liberabo gregem meum de ore eorum, et non erit ultra eis in escam. [Mi fu rivolta questa parola del Signore: “Figlio dell’uomo, profetizza contro i pastori d’Israele, predici e riferisci ai pastori: Dice il Signore Dio: Guai ai pastori d’Israele, che pascono se stessi! I pastori non dovrebbero forse pascere il gregge? Vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il gregge. Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e violenza. Per colpa del pastore si sono disperse e son preda di tutte le bestie selvatiche: sono sbandate. Vanno errando tutte le mie pecore in tutto il paese e nessuno va in cerca di loro e se ne cura. Perciò, pastori, ascoltate la parola del Signore: Com’è vero ch’io vivo, – parla il Signore Dio – poiché il mio gregge è diventato una preda e le mie pecore il pasto d’ogni bestia selvatica per colpa del pastore e poiché i miei pastori non sono andati in cerca del mio gregge – hanno pasciuto se stessi senza aver cura del mio gregge – udite quindi, pastori, la parola del Signore: Dice il Signore Dio: Eccomi contro i pastori: chiederò loro conto del mio gregge e non li lascerò più pascolare il mio gregge, così i pastori non pasceranno più se stessi, ma strapperò loro di bocca le mie pecore e non saranno più il loro pasto] (Ezech. XXXIV, 1-10). E alla fine della lettura, ricordo lo zio Tommaso, che per rincarare la dose diceva a se stesso: “povero Signore in mano a Tommaso, e … che non si dica dopo la mia morte: povero Tommaso nella mani del Signore!” … eh altri tempi, altra tempra direttore! Come se non bastasse ci faceva poi recitare tutti all’unisono i versetti di Isaia: “I suoi guardiani sono tutti ciechi, non si accorgono di nulla. Sono tutti cani muti, incapaci di abbaiare; sonnecchiano accovacciati, amano appisolarsi. Ma tali cani avidi, che non sanno saziarsi, sono i pastori incapaci di comprendere. Ognuno segue la sua via, ognuno bada al proprio interesse, senza eccezione. (Isaia LVI,10-11). A questo punto partiva quella secchiona di Felicina con la recita dei salmi XIV e LIII soffermandosi, come voleva lo zio Tommy (come affettuosamente lo chiamavamo … era un po’ severo, ma aveva un cuore d’oro ….) sulle parole: “Omnes declinaverunt, simul inutiles facti sunt. Non est qui faciat bonum, non est usque ad unum. Sepulchrum patens est guttur eorum; linguis suis dolose agebant. Venenum aspidum sub labiis eorum. Quorum os maledictione et amaritudine plenum est; veloces pedes eorum ad effundendum sanguinem. Contritio et infelicitas in viis eorum, et viam pacis non cognoverunt; non est timor Dei ante oculos eorum. Nonne cognoscent omnes qui operantur iniquitatem, qui devorant plebem meam sicut escam panis? [Tutti hanno traviato, sono tutti corrotti; più nessuno fa il bene, neppure uno. Non comprendono nulla tutti i malvagi che divorano il mio popolo come il pane?] (Salmo XIII, 3-4), e “Omnes declinaverunt, simul inutiles facti sunt; non est qui faciat bonum, non est usque ad unum” [Tutti hanno traviato, tutti sono corrotti; nessuno fa il bene; neppure uno]. (LII,4). Appena finito lo zio scoppiava in lacrime, e noi non capivamo perché … piangeva, ci disse un giorno, perché vedeva le proprie incorrispondenze, le ingratitudini sue e quelle dei suoi confratelli all’amore di Cristo che si faceva Carne e Sangue vivo nelle loro mani, la loro superficialità nel celebrare l’Evento del suo Sacrificio, della sua Immolazione, per la nostra salvezza. Per calmarlo e consolarlo almeno in parte, correvo allora a prendere l’“Imitazione di Cristo” e leggevo con piglio fermo e deciso al capitolo V del IV° libro: “Grande è l’ufficio, grande la dignità dei sacerdoti, ai quali è dato quello che non è concesso agli angeli; giacché soltanto i sacerdoti, ordinati regolarmente nella Chiesa, hanno il potere di celebrare e di consacrare il corpo di Cristo. Il sacerdote, invero, è servo di Dio: si vale della parola di Dio, per comando e istituzione di Dio” e: “Il sacerdote deve essere ornato di ogni virtù e offrire agli altri l’esempio di una vita santa; abituale suo rapporto non sia con la gente volgare secondo modi consueti a questo mondo, ma con gli angeli in cielo o con la gente santa, in terra. Il sacerdote, rivestito delle sacre vesti, fa le veci di Cristo, supplichevolmente e umilmente pregando Iddio per sé e per tutto il popolo. Egli porta, davanti e dietro, il segno della croce del Signore, perché abbia costante ricordo della passione di Cristo; davanti, sulla casula, porta la croce, perché guardi attentamente a quelle che sono le orme di Cristo, e abbia cura di seguirla con fervore; dietro è pure segnato dalla croce, perché sappia sopportare con dolcezza ogni contrarietà che gli venga da altri. Porta davanti la croce, perché pianga i propri peccati; e la porta anche dietro, perché pianga compassionevolmente anche i peccati commessi da altri, e sappia di essere stato posto tra Dio e il peccatore, non lasciandosi illanguidire nella preghiera e nell’offerta, fin che non sia fatto degno di ottenere grazia e misericordia. Con la celebrazione, il sacerdote rende onore a Dio, fa lieti gli angeli, dà motivo di edificazione ai fedeli, aiuta i vivi, appresta pace ai defunti e fa di se stesso il dispensatore di tutti i benefici divini”. Allora succedeva un’altra cosa stranissima, lo zio si calmava ma uno alla volta cominciavamo a piangere noi altri, finché io stesso, con la voce strozzata dalle lacrime, ponevo termine alla lettura. Con gli occhi rossi dal pianto, commosso … però vedo che pure Mimmo e Caterina si voltano per non mostrare la lacrimuccia … saluto lei ed i suoi lettori … alla prossima.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.