Preghiera per l’acquisto delle SANTE INDULGENZE

 

INDULGENZE

indulgenze

I S T R U Z I O N I

per l’ acquisto delle Sante Indulgenze.

[da: “La via del Paradiso”, Siena, 1823 –imprimatur.]

Le Indulgenze suppliscono alla debolezza de’ Penitenti, rimettendo loro per l’applicazione dei meriti di Gesù Cristo, e per la intercessione di Maria SS., e dei Santi ciò che manca alla loro penitenza, e perciò assolvono da quella pena, che tratteneva la misericordia di Dio, finché non si fosse pienamente soddisfatto alla sua Giustizia.

Le disposizioni necessarie a lucrare le Indulgenze sono:

1. Una intenzione retta, e pura, cioè: non il desiderio di esimersi dalla penitenza proporzionata ai peccati, ma la brama viva, che i meriti di Gesù Cristo, e la intercessione di Maria SS., e dei Santi suppliscano alla nostra debolezza, e che, avendo per mezzo della Confessione ottenuto il perdono delle colpe, nulla siavi che impedisca il pieno, e più sollecito e più sollecito godimento di DIO.

  1. Si deve essere affatto esente dal peccato, e da qualunque attacco al medesimo, e averne interamente abbandonate le occasioni; altrimenti, qual perdono e quale indulgenza potrebbe aspettarsi da Dio, chi fosse tuttavia disposto a nuovamente offenderLo?
  2.  Bisogna avere una ferma risoluzione di soddisfare a Dio con gli esercizi di penitenza, perché senza questa disposizione la intera penitenza, cioè la Contrizione e la conversione del cuore non possono essere né vere, né sincere.
  3.  Pregare finalmente, come ha ordinato il Sommo Pontefice (quello vero! –n.d.r.) nell’accordare le Indulgenze. E siccome per ordinario suole ingiungere l’obbligo di pregare Dio per l’esaltazione di S. Chiesa, per la estirpazione delle Eresie, e per la pace fra i Principi Cristiani a chi , confessato e comunicato, abbia le suddette necessarie disposizioni, così vi si propongono le seguenti Preghiere, con le quali, devotamente recitate nella Chiesa, o all’ Altare , ov’è l’ Indulgenza, soddisferete alle opere ingiunte da Sua Santità. – Avvertite, che l’Indulgenza plenaria medesima non si può lucrare che una sola volta al giorno.

Così la Sacra Congregazione de’ Riti nel 1717, eccettuata l’Indulgenza del Perdono, che dai primi Vespri del primo Agosto fini ai secondi del seguente giorno si può acquistare due volte in tutte le Chiese dell’Ordine dell’ Ordine di S. Francesco, visitandole replicatamente, e recitando di nuovo le Preci solite, di modo ché una volta si può lucrare per i Vivi , l’altra pe’ Defunti, come nella Dichiarazione della Sacra Congregazione del Concilio nel 1723: Le Indulgenze, che diconsi applicabili anche ai Defunti, non può il Fedele acquistarle per se stesso e per i Defunti, ma o per sé solamente, o per i Defunti. Se nella Città, o nel Paese vi siano in due chiese due diverse indulgenze plenarie applicabili ai vivi e ai morti, se ne potrà applicare una ai defunti, e l’altra a sé medesimo, visitando ambedue le Chiese nel modo prescritto . – Se nella Concessione delle Indulgenze parziali vi sarà, il “Quoties id egerint, toties Indulgentiam, consequantur”, si potranno acquistare tante volte, quante si replicherà l’opera ingiunta, v. gr. alla recita della Giaculatoria: “Sia benedetta la Santa purissima Concezione Immacolata della Vergine Maria” , vi è annessa l’Indulgenza di anni cento ogni volta. Salutando altrui con dire: “lodato Gesù Cristo”, o rispondendo al saluto: “Così sia”, si lucrano ogni volta 25 giorni d’Indulgenza, e così di molte altre. Siate dunque santamente avidi di arricchirvi di questo tesoro spirituale, che supplisce per i meriti di Gesù Cristo alla debolezza della nostra penitenza, con la quale dobbiamo soddisfare alla Giustizia Divina, o in questa vita, o nel Purgatorio. Ma ohimè! quanti ai nostri giorni o nulla sanno d’Indulgenze, o le disprezzano stoltamente, o vilmente le trascurano! Non siate voi nel numero di costoro.

P R E G H I E R A

Per l’acquisto delle Sante Indulgenze.

In Nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen.

– O Padre Celeste pieno di Carità, eccomi ai vostri piedi ad implorare le vostre misericordie. Io spero di avere ottenuto, in virtù del Sacramento della Penitenza la condonazione delle pene eterne dell’Inferno; ma ohimè! Quanto giustamente io temo, che la debolezza della mia contrizione, e tanti miei difetti non mi rendano tuttavia debitore alla vostra ineffabile Giustizia di molte pene temporali in questa, o nell’altra vita. Ah! Signore, allontanate lo sguardo dai miei demeriti, e mirate i meriti infiniti di Gesù Cristo Figlio vostro diletto, che la Santa Chiesa, Madre pietosa, e indulgente oggi qui distribuisce ai Fedeli. Accettate dunque, o mio Dio, la Vita, la Passione, il Sangue e la Morte del mio Redentore: e con la pienezza della vostra Divina Clemenza assolvetemi da tutte le pene, delle quali son debitore alla vostra divina Giustizia, rendendomi partecipe del tesoro inestimabile della Chiesa, avvalorato da una viva Fede, da una ferma Speranza, e da una Carità ardente per l’amabile mio Crocifisso Gesù, sorgente inesausta di ogni bontà, e di ogni misericordia. Dio di Amore, Dio di maestà ascoltate benigno la voce delle mie miserie; esaudite le mie suppliche, e regnate nell’anima mia con la vostra grazia, acciò regni in eterno con Voi nella vostra gloria. Fatevi conoscere ancora, adorare, e obbedire da tutti i Popoli vostri servi, e figliuoli, come Vi conoscono, Vi adorano, e Vi obbediscono gli Angeli vostri Ministri. Provvedete al necessario nostro mantenimento, perché niente ci distolga dal servirVi, ed amarVi; perdonateci le nostre colpe; sosteneteci col vostro braccio potente contro le insidie, e le tentazioni dei nostri nemici visibili, e invisibili; liberateci insomma per vostra carità da tutti i mali temporali, ed eterni. Tutto ciò Vi domando per le viscere della vostra paterna misericordia, per i meriti di Maria SS., degli Angeli, e de’ Santi tutti del Pradiso, e principalmente per le Sacratissime Piaghe di Gesù Cristo, che riverente adoro con tutto il mio spirito, dicendo:

Adoro, Gesù mio, la Piaga Santissima del vostro piede sinistro, e per quel sangue, che dalla medesima versaste, caldamente vi raccomando la concordia e la pace fra i Principi Cristiani, l’estirpazione dell’Eresie, e della incredulità, il trionfo della S. Cattolica Fede, e la più gloriosa esaltazione della Santa Romana Chiesa. Pater, Ave, Gloria.

Adoro, Gesù mio, la Piaga Santissima del vostro piede destro, e per quel Sangue, che dalla medesima versaste, caldamente Vi raccomando il Sommo Pontefice (Gregorio XVIII–n.d.r. -), i nostri Sovrani, e tutti i Principi ecclesiastici (in esilio – ndr. -), e Secolari, perché possano propagare la vostra Santa Religione, e felicemente e santamente governare i Popoli sottoposti. Vi raccomando ancora tutti gli Ordini Ecclesiastici, perché siano quali Voi li volete, istrumenti abili al nostro ammaestramento e a glorificare il vostro Santissimo Nome. Pater, Ave, Gloria.

Adoro, Gesù mio, la Piaga Santissima della vostra mano sinistra e per quel Sangue che dalla medesima versaste, caldamente Vi raccomando la mia Famiglia, il Padre mio Spirituale, i Parenti, i Benefattori, i Poverelli, gli Amici, i Nemici, gli Afflitti, gl’Infermi, e gli Agonizzanti, perché versiate sopra di loro l’abbondanza delle vostre temporali, e spirituali benedizioni. Pater, Ave, Gloria.

Adoro, Gesù mio, la Piaga Santissima della vostra mano destra, e per quel Sangue, che dalla medesima versaste, caldamente Vi raccomando le Anime Sante del Purgatorio, e in particolare quelle dei miei Parenti, Amici, e Benefattori; quelle, che furono più devote dell’acerbissima vostra Passione, e dei Dolori della Beatissima Vergine Maria; quelle, per le quali ho maggior obbligo di pregarVi, e quelle che sono le più abbandonate, e più bisognevoli di particolari suffragi. Dio mio, una sola goccia del vostro preziosissimo Sangue è bastevole alla soddisfazione dei peccati di mille mondi; versatela dunque pietoso sopra quelle vostre care Spose, perché lavate così da ogni reliquia delle antiche loro colpe, volino a benedirVi, e ringraziarVi in eterno. Pater, Ave, Gloria.

Adoro, Gesù mio, la Piaga Santissima del vostro Costato, e per quel Sangue, e quell’Acqua, che dalla medesima versaste, caldamente Vi raccomando tutto me stesso. In questa Piaga amorosa sarà la mia perpetua abitazione; in questa voglio vivere, e voglio morire, perché in questo dolce asilo di misericordia Voi giudichiate l’Anima mia, sperando fermamente, che non vorrete strapparla dal vostro Cuore paterno per gettarla ad ardere nelle fiamme fra i nemici del vostro Santissimo Nome”. Pater, Ave, Gloria .

V.: Domine, exaudi Orationem meam;

R.: et clamor meus ad te veniat.

Oremus.

Domine Jesu Christe, per quinque illa Vulnera tua, quae tibi in Cruce nostri amor inflixit, tuis famulis subveni, quos pretioso Sanguine redemisti. Qui vivis, et regnas in saecula saeculorum. Amen.

Adoro, Gesù mio, il vostro Capo santissimo con inaudita crudeltà coronato di Spine, e per quel Sangue, che da tante ferite versaste, esaudite, Vi supplico, le pie intenzioni de’ Sommi Pontefici, che hanno accordata, e confermata questa santa Indulgenza a gloria vostra, e per salute spirituale di tutti i fedeli. Così sia.  Pater, Ave, Gloria .

Oremus.

Ecclesie tuae, quaesumus, Domine, preces placatus admitte, ut destructis adversitatibus, et erroribus universis, secura tibi serviat libertate.

Deus omnium Fidelium Pastor et Rector, Famulum tuum Gregorium, quem Pastorem Ecclesie tuae praeesse voluisti, propitius respice; da Ei, quaesumus, verbo et exemplo, quibus praest proficere, ut ad vitam una cum grege sibi credito perveniat sempiternam. Per Christum Dominum nostrum. Amen.

Santo N., o Santa N., di cui si fa oggi gloriosa commemorazione aiutatemi con le vostre efficaci orazioni, e impetratemi la grazia di fare acquisto della S. Indulgenza, per la povera anima mia, (o per le Anime del Purgatorio), e di vivere santamente, e più santamente morire. Amen.

Pater, Ave, e Gloria .

Oremus.

Quaesumus, Domine Deus noster, Sanctorum tuorum praesidia nos adjuvent, quia non desinis propitius intueri, quos talibus auxiliis concesseris adjuvari. Per Christum Dominum nostrum. Amen.

Misereatur nostri, Omnipotens Deus, et dimissis peccatis nostri perducat nos ad vitarm aeternam. Amen.

Indulgentiam, absolutionem et remissionem peccatorum nostrorum tribuat nobis Omnipotens, et misericors Dominus. Amen.

Dominus nos benedicat, ab omni malo defendat, et ad vitam perducat aeternam, et Fidelium animae per misericordiam Dei requiescant in pace. Amen.

   In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti. Amen.

Dopo la preghiera al Santo di cui si celebra la Festività, se prendete l’Indulgenza per l’anima vostra, potrete, quando il tempo ve lo permetta, recitare l’Uffizio della Beatissima Vergine, o le sue Litanie, o i Salmi Penitenziali, ovvero le sole Litanie dei Santi o i Salmi Graduali, o l’Uffizio piccolo della S. Croce, o dello Spirito Santo, o del SS. Sacramento, o della Concezione Immacolata di Maria SS., o almeno gli Atti Cristiani o qualunque altra Orazione di vostro piacimento.

Se acquistate l’Indulgenze per le Anime del Purgatorio, aggiungerete l’Uffizio de’ Morti, o il solo Vespro, o i Salmi “Misere mei Deus”, e “De profundis”, o la Sequenza “Dies irae, dies illa”, o le Sacre Offerte, e gli atti Cristiani, e cosi potrete lusingarvi di ottenere dalla misericordia del Signore tanto maggior frutto, quanto maggiori saranno le vostre disposizioni; poiché, dicono i Padri, che nessuno può esser certo di acquistare le Indulgenze plenarie nella loro totalità e interezza.

Applicate spesso le Indulgenze alle Anime del Purgatorio, se bramate per voi la stessa carità; poiché i Padri medesimi osservano che i Giusti, i quali si purificano in quelle fiamme, possono essere esclusi dalla Giustizia di Dio da qualche specie di suffragio in pena di qualche loro incuria e mancanza.

Processione dello Spirito Santo e la storia del FILIOQUE

Processione dello Spirito Santo e la storia del FILIOQUE

Gaume-282x300

[Trattato dello Spirito Santo, vol. II, cap. V e VI]

Processione dello Spirito Santo.

La Chiesa Cattolica, come organo infallibile del Verbo fatto carne per istruire l’uman genere, ha sempre creduto che la terza Persona dell’adorabile Trinità, eguale in tutto al Padre ed al Figliuolo, proceda dall’uno e dall’altro. Di questa invariabile credenza le prove abbondano nei quattro Simboli: quello degli Apostoli, di Nicea, di Costantinopoli e di sant’Atanasio, come negli scritti dei Padri greci e latini, primi testimoni dell’Insegnamento apostolico. Secondo la sua etimologia la parola procedere vuol dire passare da un luogo ad un altro. Nel figurato la si adopra per designare l’emanazione o la produzione di una cosa che esce da un’ altra. La Chiesa cattolica intende per processione : l’origine e la produzione eterna di una Persona divina da una altra Persona, o da due altre. Su di che bisogna notare, che allorquando si tratta della Trinità, la parola processione si prende in due sensi. Il primo, in quanto si applica alla produzione del Figliuolo e dello Spirito Santo, imperocché dice che l’uno e l’altro procedono. Il secondo, in quanto si applica alla produzione particolare dello Spirito Santo. Difatti il Figliuolo e lo Spirito Santo formando due Persone distinte, dicesi del Figliuolo che è generato, e dello Spirito Santo semplicemente che procede. Che nel senso teologico della parola vi sia processione in Dio, niente è più chiaramente insegnato dalla Scrittura, dalla tradizione, dalla ragione medesima. Chi non conosce quelle testimonianze dell’antico Testamento? « Il Signore mi ha detto: Tu sei mio Figlio ; sono io che oggi ti ho generato. Io ti ho generato nel mio seno innanzi 1’ aurora. » [Dominus dixit ad me : Filius meus es tu : ego hodie genui te. Ps. II, 7. — Ex utero ante Luciferum genui te. Ps. CIX, 8.] Nel contemplare il Verbo, aggiunge il profeta Michea: « La sua uscita é sin dal principio, sino dai giorni della eternità.» [Egressus ejus ab initio, a diebus aeternitatis. Mìch., v. 2.]. Ora l’idea di generazione, di uscita, di origine, implica necessariamente l’idea di processione.

Il Nuovo Testamento è ancor più esplicito. Nostro Signore, parlando di se stesso dice : « Io procedo da Dio e sono venuto. » Ego ex Deo processi et veni. [Joan., VIII, 42.] Breve e sublime parola con la quale il Verbo incarnato si rivela tutto intero ! Io procedo da Dio : ecco la sua generazione eterna : e Io sono venuto; ecco la sua generazione temporale e la sua missione nel mondo. Con la sua bocca augusta rende la stessa testimonianza allo Spirito Santo. « Quando sarà venuto il Paracleto, vi manderò dal Padre mio, lo Spirito di verità, il quale procede dal Padre. » [Cum autem venerit Paracletus, quem ego mittam vobis a Patre, Spiritum veritatis qui a Patre procedit. Joan., XV, 26.  Il pensiero divino, cosi fedelmente raccolto dalla tradizione, viene formulato nel simbolo di sant’Atanasio che l’esprime con questa inappuntabile precisione: « Il Figliuolo è del solo Padre : né fatto, né creato, ma generato. Lo Spirito Santo, dal Padre e dal Figliuolo; né fatto, né creato, né generato, ma procedente. » [Filius a Patre solo est: non factus, nec creatus, sed genitus. Spixitus sanctus a Patre et Filio : non factus, nec creatus, nec genitus, sed procedens.].

La ragione illuminata dalla fede reca alla sua volta al domma cattolico, il solido appoggio dei suoi ragionamenti. Essa dice : Dio è l’essere perfetto; la fecondità è una perfezione, dunque Iddio la possiede. « Se sono Io, domanda il Signore, che faccio generare gli altri, perché non genererò Io ? Io che dò la generazione agli altri, sarò Io sterile ? » Numquid ego qui alios parere facio, ipse non pariam?…. Si ego qui generationem caeteris tribuo, sterilis ero? Is., LXVIII, 9.].  Per l’organo di san Cirillo di Gerusalemme essa aggiunge: « Dio è perfetto, non solo perché è Dio, ma perché è Padre. Chi nega che Dio sia Padre, toglie la fecondità alla natura divina : l’annienta rifiutandoGli una perfezione essenziale, la fecondità. » [Tract. de Trinit., edit. Migne, t. IX.]. Spiegando questa divina fecondità, san Giovanni Damasceno continua: « La ragione non permette di sostenere che Dio sia privo della fecondità naturale. Ora in Dio, la fecondità, consiste in ciò che di Lui medesimo, vale a dire della sua propria sostanza, possa egli generare del pari secondo la sua natura. » De Fide ortod. lib. I, c. VIII. La distinzione delle Persone divine fornisce alla ragione un’altra prova senza replica. Vi sono in Dio tre Persone distinte, e questo l’abbiamo stabilito. Nelle divine Persone non si vedono che due cose: la natura e il rapporto d’origine o la processione: così nel Padre, la natura divina e la paternità; nel Figliuolo la natura divina e la generazione; nello Spirito Santo, la natura divina e l’a processione. Donde viene questa distinzione? Non appartiene alla natura, poiché è una e la medesima nelle tre Persone; resta dunque che essa venga dalla differente comunicazione di questa natura a ciascuna delle Persone divine. Per conseguenza l’Angelo della scuola, parlando dello Spirito Santo, dice con ragione: « Lo Spirito Santo è personalmente distinto dal Figliuolo, perché l’origine dell’uno è distinta dall’origine dell’altro. Ora la differenza d’origine consiste in questo, che il Figliuolo è solamente dal Padre, mentre lo Spirito Santo è dal Padre e dal Figliuolo. Le processioni non si distinguono altrimenti. » [I p., q. 36, art. 2, ad 7.] – Di qui quella profonda dottrina di san Gregorio Nazianzeno che i Greci appellano il Teologo: « Il Figliuolo non è il Padre, ma ciò che è il Padre; lo Spirito Santo non è il Figliuolo, ma ciò che è il Figliuolo. Questi tre son uno con la divinità; e quest’uno è tre per le proprietà distinte. » [Filius non est Pater…. sed hoc est quod Pater ; neque Spiritus sanctus est Filius…. sed hoc est quod Filius. Tria haec unum divinitate sunt, et unum hoc proprietatibus sunt tria . Orat. XXXVII]. Per spiegare l’unità della natura divina, la quale rimane intera e indivisibile nelle tre Persone perfettamente distinte, ricordiamo un paragone sovente adoperato dai Padri; « Avviene, dicono essi, della natura divina, come della natura umana: questa è una e la medesima in tutti gli uomini; moltiplicandosi, essi non la dividono. Qualunque siasi il numero degli uomini, non vi è altro che una natura umana. Pietro è Pietro e non Paolo; e Paolo non è Pietro. Pur nonostante essi sono indistinti per la loro natura. In tutti due la natura umana è una; ed essi posseggono senza alcuna differenza tutto ciò che costituisce l’unità naturale…. Pietro, Paolo e Timoteo sono tre persone, ma essi non hanno che una sola e medesima natura. «Cosi come non vi sono tre umanità; cioè l’umanità di Pietro, l’umanità di Paolo, l’umanità di Timoteo, non vi sono per conseguenza nemmeno tre divinità, la divinità del Padre, la divinità del Figlio, la divinità dello Spirito Santo. Dunque hi Dio vi è, come nel genere umano, distinzione e molteplicità di persone, ma comunità e unità di natura. » [S. Cyrill. Alexand lib. IX, Comment in Joan.].

La Scrittura, la tradizione, la ragione stessa, il cui unanime accordo ci mostra che vi è processione in Dio, c’insegnano con la stessa certezza, che vi sono due processioni in Dio, e che non ve ne ha che due. Innanzi tutto i sacri libri non ne contano che due. Poi è facile provare che non ve ne ha un numero maggiore. In Dio vi sono altrettante processioni, quante sono le Persone divine che procedono; e in Dio non vi sono che tre Persone. Ma il Padre come la prima, non procede da nessun altra, cosicché due solamente procedono. Inoltre in Dio non vi sono che due facoltà che operano interiormente: “Ad intra, seu immanenter”, come parla la teologia. Queste due facoltà sono l’intelletto e la volontà. Queste facoltà agiscono necessariamente: imperocché Dio non può non conoscersi e non amarsi. Esse agiscono sempre, poiché Dio è l’azione infinita.1 [ Vitass, de Trinit., quaest. V, art. 1 et 2, assert. 3.]. Stabiliti questi dommi, l’insegnamento cattolico aggiunge che lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figliuolo, vale a dire che esce dall’uno e dall’altro non per mezzo di generazione ma per ispirazione. Intorno a queste parole divine udiamo Bossuet: « Lo Spirito Santo, dice il vescovo di Meaux, il quale esce dal Padre e dal Figliuolo, è della stessa sostanza come l’uno e l’altro, un terzo consustanziale e con essi un solo e stesso Dio. Ma perché dunque non è egli Figliuolo, essendo egli per la sua produzione della stessa natura? Dio non l’ha rivelato. Ha detto pero che il Figliuolo era unico, [Joan., I, 1-18.] essendo perfetto, e tutto ciò che è perfetto è unico. Cosi il Figliuolo perfetto di un Padre perfetto, deve essere unico; e se potessero esservi due Figliuoli, la generazione del Figliuolo sarebbe imperfetta. Tutto ciò dunque che verrà dopo non sarà più Figliuolo, né verrà punto per generazione, quantunque della stessa natura. » [Elev. intorno i mist. II serm., Elev. 5.] Qual sarà dunque questa finale produzione di Dio ? È una processione senza nome particolare. Il padre come eternamente intelligente, si conosce eternamente, ed. eternamente produce, conoscendosi tanto il suo Verbo che il suo Figliuolo, eguale a Lui, e come Lui eterno. Il Padre ed il Figliuolo essendo eterni non possono essere senza conoscersi eternamente, né conoscersi senza amarsi di un amore eguale ad essi, infinito, eterno com’essi. Questo amore reciproco e consustanziale, è lo Spirito Santo. Egli procede dunque dal Padre e dal Figliuolo.

Bossuet continua a dire: «Questo è ciò che spiega la ragione mistica e profonda dell’ordine della Trinità. Se il Figliuolo e lo Spirito Santo procedono ugualmente dal Padre, senza nessun rapporto tra essi due, si potrebbe dire subito: Il Padre, lo Spirito Santo ed il Figliuolo, come il Padre, il Figliuolo e lo Spirito Santo. Ora, Gesù Cristo non parla a questo modo. L’ordine delle Persone è inviolabile, perché se il Figliuolo è nominato dopo il Padre perché succede a Lui, lo Spirito Santo viene altresì dal Figliuolo, dopo il Quale è nominato; ed Egli è Spirito del Figliuolo, come il Figliuolo è il Figliuolo del Padre. Quest’ordine non può essere arrovesciato. Noi dunque siam battezzati secondo quest’ordine; e lo Spirito Santo non può non essere nominato il secondo, come il Figliuolo non può essere nominato il primo. « Adoriamo quest’ordine delle tre Persone divine, come pure le mutue relazioni che trovansi tra i tre e che fanno la loro eguaglianza, come la loro distinzione e la loro origine. Il Padre intende sé medesimo, parla a sé medesimo, e genera il suo Figliuolo che è la sua parola. Egli ama questa parola prodotta dal suo seno e che vi conserva. E questa parola, che è nello stesso tempo la sua concezione, il suo pensiero, la sua Immagine intellettuale, eternamente sussistente, e sin da quell’istante suo Figliuolo unico, l’ama altresì come Figlio perfetto, ama un Padre perfetto. Ma che cosa è il loro amore se non è questa terza Persona, il Dio d’amore, il dono comune e reciproco del Padre e del Figliuolo, il loro vincolo, il loro nodo, la loro mutua unione, in cui si termina la fecondità, come le operazioni della Trinità? « Tutto è compiuto, tutto è perfetto, quando Dio è infinitamente espresso nel Figliuolo e infinitamente amato nello Spirito Santo, e che del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo si fa una semplicissima e perfettissima unità. Tutto ritorna al principio, di dove tutto viene radicalmente e primitivamente, che è il Padre con un ordine invariabile : l’unità feconda moltiplicandosi in dualità, per terminarsi in trinità. Di maniera che tutto è uno, e tutto ritorna a un solo e medesimo principio.

Quest’è la dottrina dei santi; la tradizione della Chiesa Cattolica. È la materia della nostra fede; noi lo crediamo. Quest’è il soggetto della nostra speranza e lo vedremo. È anche l’oggetto del nostro amore, poiché amare Dio, è amare in unità il Padre e il Figliuolo e lo Spirito, Santo, è amare la loro uguaglianza ed il loro ordine, amare e non confondere le loro operazioni, le loro eterne comunicazioni, i loro mutui rapporti e tutto quel che gli fa uno facendoli tre: perché il Padre che è uno e principio immutabile d’ unità, si diffonde, si comunica senza dividersi. E questa unione ci è data come il modello della nostra: 0 Padre, che sieno tutti una sola cosa in noi, come tu sei in me, o Padre, ed io in te; che sieno aneli essi una sola cosa in noi. » [Meditaz. sul Vangelo, 25° giorno. — Ut omes unum sint sicut tu Pater in me, et ego in te, ut et ipsi in nobis unum sint. (Giov. c. XVIII, 21.). Tre Persone in un solo Dio, eguali tra loro, ma distinte per il loro rapporto d’origine: il Padre non procedendo da nessuno; il Figliuolo procedente dal Padre per via dell’intelletto, come la parola procede dal pensiero; lo Spirito Santo procedente dal Padre e dal Figliuolo, mediante la volontà e lo scambievole amore; tale è intorno al principale e più profondo de’ nostri misteri, il domma cattolico nella sua più semplice espressione. La Chiesa, per difendere la sua fede contro i novatori, radunata successivamente a Nicea ed a Costantinopoli aveva aggiunto alcune spiegazioni al simbolo degli Apostoli. Eccettuati gli eretici, ai quali queste spiegazioni non permettevano d’ingannare i fedeli, l’Oriente e l’Occidente avevano applaudito a questa savia condotta. Per tutti era evidente che la Chiesa non aveva cangiato nulla alla dottrina, nulla innovato; ma usato del diritto di conservazione e di legittima difesa. Quel che fece essa allora, l’ha fatto sempre, e sempre lo farà, quando saranno attaccati i suoi dommi. Tale non è solamente il suo diritto ma il suo dovere ; poiché tale è l’ordine formale del suo divin fondatore. La dottrina della Chiesa non è sua dottrina: “Mea doctrina non est mea”. Essa non ne è proprietaria, ma depositaria. Le è stato detto : « Conservate ciò che vi è stato affidato e non è stato inventato da voi; ciò che voi avete ricevuto e non immaginato. Non è una cosa di genio ma di dottrina; non è una usurpazione della ragion privata, ma una tradizione pubblica. Essa è venuta verso di voi, nè viene da voi; come voi non ne siete l’autore, cosi voi non avete a suo riguardo fuorché il dovere di custode. « Perciò come guardiana vigile e prudente dei dommi il cui deposito le è stato confidato, essa non vi cambia mai nulla; nulla toglie, né nulla aggiunge. Ciò che è necessario essa non lo elimina, quel che è superfluo non l’ammette. Essa non perde il suo possesso, nè piglia quello d’altri. Piena di rispetto per l’antichità, conserva fedelmente ciò che tiene. Se ella trova delle cose che non hanno ricevuto primitivamente, né la loro forma né il loro compimento, tutta la sua sollecitudine consiste nel dilucidarle e pulirle. Se sono confermate e definite, essa le conserva. Il fissare per iscritto ciò che essa ha ricevuto dagli antenati per tradizione; racchiudere molte cose in poche parole; spesso anche impiegare una parola nuova, non per dare alla fede un senso nuovo, ma per meglio chiarire una verità; ecco ciò che la Chiesa cattolica, obbligata dalle novità degli eretici, ha fatto per i decreti dei Concilii; questo sempre e nulla di più. [Vincent, Lirin., Commonit. civ. med.]. « Con una fedeltà incorruttibile si sdebiterà di questo carico sino alla consumazione dei secoli : e quando verrà l’ultimo giorno, essa consegnerà a Dio, sulla tomba delle cose umane, il deposito di tutte le verità ricevute da Lei nel Cenacolo, e che risalgono per le loro basi, sino alla culla dell’umanità. » [Monsignor Gerbet, Istituzione intorno ai diversi errori del tempo presente, 1860].

 

Storia del “Filioque”.

Constantinople

Il vigilare sul deposito della fede e fissare con le sue decisioni infallibili i punti, in balia degli attacchi della eresia, è il diritto e il dovere della sposa del Verbo incarnato. Un mezzo secolo circa dopo il concilio di Costantinopoli, la Chiesa ebbe un nuovo motivo di fare uso di questo diritto inerente alla sua costituzione. Da una parte i settari di Macedonio eransi già sparsi a gran distanza dalla Tracia, nell’Ellesponto e nella Bitinia: [Socr. hist., lib. II, c. XLV; lib. V, c. VIII.], dall’altra i Vandali ed altri popoli usciti da quelle contrade, avevano portato seco il domma eretico nelle loro migrazioni e specialmente in Ispagna. Ivi i Priscillianisti attaccavano apertamente il domma della Trinità e della divinità dello Spirito Santo.

San Leone Magno occupava allora la cattedra di san Pietro. La notizia di questa eresia e delle stragi ch’ella faceva in Ispagna, gli fu inviata da san Turibio, vescovo d’Astorga. Il sovrano Pontefice gli scrisse di radunare in Concilio tutti i vescovi di Spagna, a fine di condannare l’eresia, e di estirpare ad ogni costo questa nuova zizzania dal campo del Padre di famiglia. San Leone nella sua lettera diceva : « Essi insegnano che nella santa Trinità non vi é che una sola Persona ed una sola cosa, chiamata ora il Padre, ora il Figliuolo, ora lo Spirito Santo; che Colui che genera, non è distinto da quello che è generato, né da Colui che procede dall’ uno e dall’altro. [S. Leo Magn. epist. 93, c. VI. ». Il concilio ebbe luogo a Toledo 1’anno 447. Presieduto dal santo vescovo di Astorga, egli condannò gli eretici. A fine di tagliare il male alla radice, e di mettere l’Occidente al coperto da tutti questi errori, fu deciso di inserire .nel simbolo di Costantinopoli la parola del vicario di Gesù Cristo che definiva sì bene la processione dello Spirito Santo, del Padre e del Figliuolo : “De utroque processit” [Battaglinì, Istor. univ. De’ conc., q. 217, 218.] L’aggiunta della quale si tratta, non era punto una innovazione, ma una spiegazione, simile a quella che il Concilio di Nicea aveva inserito nel simbolo degli Apostoli, ed il Concilio di Costantinopoli in quello di Nicea. San Tommaso osserva con ragione, che essa è d’altronde contenuta virtualmente nel Concilio stesso di Costantinopoli, approvato da tutti gli Orientali- « I greci medesimi, dice egli, capiscono che la processione dello Spirito Santo ha qualche rapporto col Figliuolo. Essi convengono che lo Spirito Santo è lo spirito del Figliuolo, e che esso è del Padre mediante il Figliuolo. Dicesi pure che parecchi accordano che lo Spirito Santo è del Figliuolo e che egli deriva da Lui, ma che non procede: distinzione che sembra fondata sull’ignoranza o sull’orgoglio.

« Di fatti, se vogliamo farvi attenzione, troveremo che la parola Processione, tra tutte quelle che esprimono l’origine di una cosa qualunque, è la più comune. Noi ce ne serviamo per indicare 1’origine di qualunque siasi natura; per esempio che la linea procede dal punto, il raggio dal sole, il fiume dalla sorgente. Tutti questi esempi ed altri ancora, autorizzano a dire con verità, che lo Spirito Santo procede dal Figliuolo…. Cosi questo domma é implicitamente contenuto nel simbolo di Costantinopoli, che insegna che lo Spirito Santo procede dal Padre. Ora ciò che è detto del Padre fa d’uopo necessariamente dirlo del Figliuolo, poiché essi non differiscono in nulla, se non che l’uno è il Figliuolo e l’altro il Padre. » [S. Th., I p., q. 36, art. 3. Cor. — Et De Potent, q. 10, art. 4, ad 13]. D’altronde san Leone scrivendone così nettamente in una lettera dottrinale, che lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figliuolo, non era che l’eco dei vicari di Gesù Cristo suoi predecessori: “Petrus per Leonem locutus est. Al tempo stesso del concilio di Costantinopoli il Papa san Damaso insegnava questa dottrina: « Lo Spirito Santo non è solamente lo spirito del Padre o del Figliuolo, poiché è scritto: Se qualcuno ama il mondo, lo Spirito del Padre non è in luì. E altrove : Se qualcuno non ha lo Spirito di Gesù Cristo, non gli appartiene. Questa nominazione del Padre e del Figliuolo, indica bene che si tratta dello Spirito Santo, del quale lo stesso Figliuolo dice nel Vangelo : Egli procede dal Padre; prenderà del mio e ve Io annunzierà. » [Joan. XV]. Dopo il Concilio di Toledo, tutti i cattolici di Spagna e delle Gallie recitarono il Simbolo di Costantinopoli con l’addizione Filioque. Dalla parte della Santa Sede nessuna opposizione; da quella degli Orientali nessuna reclamazione venne ad opporsi a quest’ usanza. Durava da quattro secoli, allorché Carlomagno rientrò nei suoi stati, dopo di essere stato coronato imperatore a Roma da Papa Leone III.

Ora, aveva egli ottenuto per le chiese del suo vasto impero, l’autorizzazione di cantare alla messa il simbolo di Costantinopoli. I vescovi riuniti ad Aquisgrana nell’807 gli domandarono se si poteva cantarlo in pubblico, come lo si recitava in privato, inserendovi l’addizione, Filioque. Il gran principe rispose che non apparteneva a lui il decidere, e che bisognava consultare il sovrano Pontefice. In conseguenza due vescovi e l’abate di Corbia, deputati del Concilio, si recarono a Roma. Il Papa gli accolse con benevolenza, ma rifiutò nettamente il permesso d’ inserire nel simbolo le quattro sillabe Filioque : « Senza dubbio, disse loro, è un articolo di fede inviolabile che lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figliuolo; ma non si può inserire nel simbolo tutti gli articoli di fede. D’altronde non bisogna modificare neppur di una sillaba i simboli decretati dai concilii ecumenici. » [Bini., ad Synod. Aquisgran., t. IlI, Concil.; Làbbé, t. VII, p. 1198; Bar., an. 809, n. 67.].  Per mostrare che la sua risoluzione era immutabile, il Papa ordinò di incidere subito in greco ed in latino il simbolo di Costantinopoli, senza l’aggiunta del Filioque sopra due scudi d’argento del peso di ottantacinque libbre, e li fece porre nella Basilica di san Pietro a destra e a sinistra della Confessione. [Anast Biblioth. in Leon. III, apud Bar., an. 809, n. 62.]. Diciamolo di volo, questo fatto e quello che riferiremo sono due prove monumentali della incorruttibile fedeltà della Chiesa Romana alle tradizioni del passato. Non solamente rifiuta alle preghiere di Carlo Magno suo benefattore d’inserire nel simbolo di Costantinopoli quattro sillabe che esprimono nettamente un articolo di fede; ma essa medesima non canta alla Messa nessun simbolo. Mentre tutte le sue figlie, le chiese d’Oriente e d’Occidente, fanno risuonare le loro basiliche del simbolo di Costantinopoli, essa si attiene a quello degli Apostoli : tuttavia non lo recita altro che nell’amministrazione del Battesimo, e quando l’uso prescrive la professione di fede. I secoli però camminano e le circostanze mutano coi secoli. La Chiesa romana sempre diretta dallo Spirito Santo, più tardi farà quel che essa ha da prima rifiutato, ugualmente infallibile nelle sue concessioni e nei suoi rifiuti. Finché la processione dello Spirito Santo non è attaccata, essa persevera nelle antiche sue tradizioni. Subito si fanno sentire sordi rumori, come pure verso l’anno 866, ai rumori succedono pubbliche negazioni: le quali hanno per organi in Occidente, il Patriarca d’Aquileja, ed in Oriente Fozio, patriarca intruso di Costantinopoli. Roma, per rispondere ad essi come aveva risposto ad Ario ed a Macedonio, fa inserire nel simbolo di Costantinopoli 1’aggiunta di Filioque. Essa stessa che, durante la Messa, non ha cantato mai alcun simbolo, canta quello di Costantinopoli, cosi spiegato, e ordina di cantarlo dappertutto. D’allora in poi un immenso concerto di voci cattoliche risponde dì e notte alle bestemmie dei novatori. [Bar., au. 883, n. 34.]. La maniera con cui ebbe luogo questa memorabile aggiunta offre un nuovo esempio della sapienza della Santa Sede, e della sua prudente lentezza. Fu convocato a Roma un numeroso Concilio, ove si rappresentò al Sovrano Pontefice che da molto tempo, le Chiese di Spagna, delle Gallie, d’Inghilterra e della Germania erano in libertà di cantare pubblicamente il simbolo di Costantinopoli; che Roma le approvava, ma che nelle attuali circostanze il suo prolungato rifiuto d’inserire l’aggiunta Filioque poteva passare agli occhi dei malevoli per un tacito biasimo, o per un timore di professare altamente la fede: che i nemici della Chiesa non mancherebbero di prevalersene, e quindi far nascere delle divisioni, forse uno scisma; che in ogni caso, quest’era il miglior mezzo di confondere Fozio ed i suoi aderenti. [Bar on., an. 888, n. 87; e an. 447, n. 23.].

Il sovrano Pontefice si arrese a queste ragioni, e l’autorizzazione fu accordata; se ne riporta la data all’anno 883. Pur nonostante, Roma medesima non cominciò a cantare il simbolo che 129 anni più tardi, nel 1014, dietro le istanze dell’imperatore sant’Enrico. Questo gran principe, degno di Carlo Magno, per le sue virtù e i servigi eminenti che aveva resi alla Santa Sede, essendo venuto a Roma per farsi coronare, fu sorpreso a non sentir cantare il Credo alla Messa, e ne chiese il perché. « Ecco, scrive l’abate Bernone, quel che gli fu risposto, presente me : La Chiesa di Roma non è stata mai macchiata di alcuna eresia; ma fedele alla dottrina di san Pietro, resta immutabile nella fede cattolica. Essa dunque non ha bisogno di professare la sua fede; questo è dovere delle chiese, che hanno potuto o che possono alterarla o perderla. ». [Bern. Abbas augen., De rebus ad miss. spectant, apud Baron an. 447, n. 24.]. « Magnifica risposta! Par tuttavia dietro le istanze dell’imperatore, papa Benedetto VIII decise che Roma stessa canterebbe da quind’ innanzi il simbolo che fu quello di Costantinopoli, con l’aggiunta Filioque. » [Baron an. 447, n. 24.]. In qualunque punto di vista noi ci poniamo, si scorge che nulla di più legittimo, né di più regolare vi fu di questa inserzione. Come le spiegazioni del simbolo a Nicea ed a Costantinopoli, cosi questa era richiesta dalle circostanze. È lo stesso vicario di Gesù Cristo che presiede un Concilio e che l’ordina. Infine essa non modifica la fede, ma la spiega. « Nessuno può, scrive un antico autore, prendere occasione d’accusare la santa e grande Chiesa di Roma, madre e maestra di tutte le altre, d’avere scritto, composto e insegnato una fede nuova. Lo spiegare l’antico simbolo in vista di prevenire l’alterazione della fede, non vuol dire né fare, né insegnare, né tramandarne un altro. « Sebbene depositaria dell’autorità sovrana, non rifiuta umiliarsi, rispondendo ciò che il concilio di Calcedonia rispose anticamente ai suoi detrattori, cioè: che mi si accusa ingiustamente. Io non stabilisco una nuova fede, rinnuovo soltanto la memoria dell’antica. Rischiarare un punto oscuro del simbolo, non vuol dire alterarlo. Io ho rinnovata la fede come i Padri dei secoli passati ; ed ho aggiunto ai concilii di Nicea, di Costantinopoli e di Calcedonia: ma non ho nulla insegnato che sia ad essi contrario. Fedele nel camminare sulle loro tracce, ho riscontrato dei punti attaccati, che al tempo loro non erano stati mai discussi. Ciò che non era da tutti bene compreso, ho dovuto schiarirlo con una parola d’interpretazione: questo è ciò che io ho fatto. » [Aeterian., apud Bar., an. 883, n. 38.]. Con tutto ciò i Greci, spinti dallo spirito d’orgoglio, rifiutarono ostinatamente di sottoscrivere l’aggiunta del Filioque. L’ambizioso settario che gli sviava, voleva ad ogni costo separare la chiesa orientale dalla chiesa occidentale; imperocché egli sperava, disconosciuta una volta l’autorità del sovrano Pontefice, farsi proclamare patriarca universale; intanto la morte fece svanire i suoi rei progetti, ma non spense lo spirito di ribellione ch’egli aveva soffiato.

Nel 1054, Michele Cerulario, altro patriarca di Costantinopoli, più audace di Fozio, negò formalmente che lo Spirito Santo procede dal Figliuolo. In una lettera diretta a Giovanni, vescovo di Trani, ardì manifestare la sua eresia, invitandolo a farne parte al sovrano Pontefice. Leone IX vi rispose, siccome si addice al custode della fede, scomunicando l’innovatore. Dal canto suo Cerulario, scomunicò il Papa e con lui tutta la Chiesa latina. La rottura fu completa, ed i Greci caddero nello scisma e nell’eresia. Tale fu, come più sotto vedremo, la fonte di tutte le loro sciagure. La Chiesa latina intanto nulla trascurò per ricondurre la sua sorella alla fede dei suoi padri. Dopo molti secoli d’inutili sforzi, questo ritorno tanto desiderato, si compie nel concilio di Lione nel 1274. Riuniti sotto la presidenza del Papa Gregorio X, i vescovi d’Oriente e d’Occidente espressero la loro fede in questi termini: « Noi facciamo professione di credere fedelmente e con pietà, che lo Spirito Santo procede eternamente dal Padre e dal Figliuolo, non come da due principii, ma come da un principio; non da due spirazioni, ma da una sola spirazione. » [Labbe Conc, , .t. II, p. 967]. La riunione era stata giurata per la tredicesima volta. Sventuratamente essa non fu più durevole delle altre. 2 [Battaglini, Istor ecc., p. 660, n. 11]. – Finalmente, il concilio di Firenze riunì di nuovo i Greci ed i Latini. Per soddisfare i primi, il domma della processione dello Spirito Santo fu, per ordine del Papa di nuovo esaminato; non vi fu mai discussione più profonda, più lunga, né più completa. Sofismi, sotterfugi, negative, semiconcessioni, immenso flusso di parole, avendo i Greci ricorso a tutti i mezzi per difendere il loro errore. Nella diciottesima sessione tenuta il 10 marzo 1439, Giovanni da Montenegro provinciale dei Domenicani di Lombardia, chiuse loro la bocca con un argomento senza replica: « Che cosa intendete voi per processioni?, domandò egli ai Greci. Che volete voi dire, quando affermate che lo Spirito Santo procede dal Padre? — Marco, arcivescovo di Efeso, rispose: Io intendo una produzione per la quale lo Spirito Santo riceve da Lui l’Essere e tutto ciò che egli è propriamente. — Benissimo, riprese il frate predicatore, noi tragghiamo pure questa conclusione : lo Spirito Santo riceve dal Padre l’essere, o ne procede, che è la medesima cosa. Ecco dunque come io ragiono: da chi lo Spirito Santo riceve l’Essere, da quello pure Egli procede. Ora, lo Spirito Santo riceve l’Essere dal Figliuolo, dunque lo Spirito Santo procede dal Figliuolo» secondo il proprio significato della parola processione, come voi stessi l’avete definito. Che lo Spirito Santo riceva Tessere dal Figliuolo, lo possiamo dimostrare con molte testimonianze. « Ma, interruppe Marco d’Efeso, di dove ricavate voi che lo Spirito Santo riceva l’Essere dal Figliuolo? La vostra domanda mi piace, replicò Frate Giovanni; ed io vi risponderò subito: che lo Spirito Santo riceva dal Figliuolo l’Essere, ciò si prova con la testimonianza indiscutibile da voi come da noi, di sant’Epifanio, il quale cosi si esprime: io chiamo Figliuolo quegli che è da Lui, e lo Spirito Santo Colui che solo è dei due. Secondo questa parola di sant’Epifanio, se lo Spirito è dei due, riceve dunque dai due l’Essere. Poiché secondo voi, ricevere l’Essere, o procedere, è la stessa cosa. Sappiamo da sant’Epifanio, ch’Egli riceve il suo Essere dal Padre e dal Figliuolo. » [Mansi, t. XXXI, col. 728. — Rohrhacher, Hist univ. t. XXI, p. 584, seconda ediz.]. L’argomento era tanto migliore, quanto più sant’Epifanio è uno dei Padri greci più antichi, e più venerato degli Orientali.

Finalmente il 6 luglio 1439, giorno dell’ottava degli Apostoli, san Pietro e san Paolo, fu celebrata l’ultima sessione del concilio. Alla presenza dell’augusta assemblea, ed in mezzo agli applausi dei Greci e dei Latini, vi si lesse il decreto d’unione, che cosi comincia : « Si rallegrino i cieli ed esulti la terra! Il muro che divideva la Chiesa d’Oriente e la Chiesa d’Occidente, è stato tolto di mezzo. La pace e la concordia è ristabilita, sulla pietra angolare, Gesù Cristo, il quale di due popoli non ne ha fatto che un solo. Noi definiamo, e vogliamo che tutti credano e professino, che lo Spirito Santo è eternamente dal Padre e dal Figliuolo; ch’egli ha la sua essenza ed il suo essere sussistente insieme al Padre ed ai Figliuolo; ch’Egli procede in eterno dall’uno e dall’altro, come da un solo principio e da una sola spirazione. Inoltre noi definiamo che la spiegazione Filioque é stata legittimamente e con ragione aggiunta al simbolo, per schiarire la verità, e per una necessità allora imminente. » [Defìnìmus explicationem verborum illorum Filioque, veritatis declarandae gratia, et imminente necessitate, licite et rationabiliter, fuisse symbolo appositam, ecc. Apud Labbe, ecc.].

costantinopoli (Agenzia: email) (NomeArchivio: COSTAjn4.JPG)

La gioia della Chiesa non fu di lunga durata; simile all’infedele Samaria, lo scismatico Oriente ricadde il giorno di poi negli errori che aveva abiurati la vigilia: ma la misura era colma. Salmanazar risuscitò in Maometto; e tredici anni solamente dopo il concilio di Firenze, l’impero dei Greci subì la sorte del regno di Israele.

 

I falsi vescovi senza mandato papale

A proposito dei falsi vescovi senza mandato papale, privi di giurisdizione, e dello stato di necessità degli pseudo-tradizionalisti.

Riprendendo l’argomento pretestuoso del cosiddetto “stato di necessità”, ventilato dai settari della sesta “colonnetta” che puntella i marrani usurpanti della “quinta colonna” oramai traballante, proponiamo questo brano di Dom Gueranger a commento del Vangelo di S. Giovanni cap. X, 1-10, al quale si era pure riferito S.S. Pio XII in Principis Apostolorum.

GesùBuonPastore

La fedeltà del vero pastore.

[da: “l’anno liturgico” vol. II, martedì. dopo Pentecoste

[-i grassetti sono redazionali-]

   Proponendo questo brano del vangelo ai neofiti della Pentecoste, la Chiesa voleva premunirli contro un pericolo che poteva presentarsi durante il corso della loro vita. Nel momento in cui siamo, essi sono le pecorelle di Gesù Buon Pastore, e questo divin pastore è rappresentato presso di essi da uomini che egli stesso ha investito della missione di pascere i suoi agnelli. Questi uomini hanno ricevuto da Pietro tale missione, e colui che è con Pietro è con Gesù. Ma spesso è accaduto che nell’ovile si siano introdotti falsi pastori, che il Salvatore qualifica col nome di ladri e di assassini, perché invece di entrare per la porta, hanno scalato il recinto dell’ovile. Ci dice che Egli stesso è la porta dalla quale devono passare coloro che hanno il diritto di pascere le sue pecore. Ogni pastore, per non essere assassino, deve aver ricevuto la missione da Gesù, e questa missione non può venire che da colui che Egli ha stabilito a rappresentarlo fino a che venga lui stesso.

Lo Spirito Santo ha diffuso i suoi doni nelle anime di questi nuovi cristiani; ma le virtù che sono in essi non possono esercitarsi in modo di meritare la vita eterna, che nel seno della vera Chiesa. Se, invece di seguire il pastore legittimo, essi avessero la disgrazia di affidarsi a falsi pastori, tutte quelle virtù diverrebbero sterili.

Essi devono dunque fuggire, quale straniero, colui che non ha ricevuto la sua missione dal solo Maestro che può condurli attraverso i pascoli della vita. Spesso, durante il corso dei secoli, si sono incontrati pastori scismatici; il dovere dei fedeli è di fuggirli, e tutti i figli della Chiesa devono prestare attenzione all’avvertimento che in questo brano dà nostro Signore. La Chiesa che egli ha fondato e che conduce per mezzo dello Spirito, ha il carattere di essere apostolica. La legittimità della missione dei Pastori si manifesta per mezzo della successione; e perché Pietro vive nei suoi successori, il successore di Pietro è la sorgente del potere pastorale. Chi è con Pietro è con Gesù Cristo.

A CHI SI DEVE NEGARE L’ASSOLUZIONE

A CHI SI DEVE NEGARE L’ASSOLUZIONE

confessione

 [Da: I TESORI DI CORNELIO ALAPIDE- vol. 1 S.E.I. Torino – terza ed. 1930]

51WT7Di2saL__AA160_

I confessori sono tenuti a negare o differire l’assoluzione:

1° a coloro che ignorano i misteri principali della fede, o i comandamenti di Dio e della Chiesa.

2° Ai padri, alle madri, ai padroni, alle padrone che non istruiscono o non fanno istruire o impediscono che s’istruiscano i loro figli, i loro dipendenti, delle cose necessarie alla salute, o che non vigilano la loro condotta.

3° A quelli che esercitano professioni, arti, mestieri cattivi di loro natura, o che non si possono esercitare senza peccato, come quelli d’istrioni, di spiritisti, di scrittori empi od immorali.

4° A chi conserva odio, che rifiuta di perdonare e di riconciliarsi.

5° A chi ha fatto torto o cagionato danno al prossimo, sia nella roba, sia nella fama e non vuole ripararlo secondo il suo potere, né promettere di farlo quando sarà in condizione.

6° A quelli che vivono nell’abito di un peccato mortale, se non si adoperano sinceramente e con ogni potere a svestirsene.

7° A coloro che stanno volontariamente esposti al peccato mortale, se non allontanano l’occasione; come anche a quelli che non vogliono cessare di farsi occasione prossima di peccato.

8° I peccatori pubblici non possono esseri ammessi ai sacramenti sino a tanto che non abbiano riparato, per mezzo di conveniente soddisfazione, lo scandalo dato; una semplice promessa non basta, si richiede una vera riparazione.

LO STATO DI NECESSITA’ PRESUNTO DEI FALSI TRADIZIONALISTI

Dal Vangelo odierno [martedì dopo Pentecoste]:

“In illo témpore: Dixit Iesus pharisaeis: Amen, amen, dico vobis: qui non intrat per óstium in ovíle óvium, sed ascéndit aliúnde, ille fur est et latro. Qui autem intrat per óstium, pastor est óvium. Huic ostiárius áperit, et oves vocem eius áudiunt, et próprias oves vocat nominátim et e ducit eas. Et cum próprias oves emíserit, ante eas vadit: et oves illum sequúntur, quia sciunt vocem eius. Aliénum autem non sequúntur, sed fúgiunt ab eo; quia non novérunt vocem alienórum. Hoc provérbium dixit eis Iesus. Illi autem non cognovérunt, quid loquerétur eis. Dixit ergo eis íterum Iesus: Amen, amen, dico vobis, quia ego sum óstium óvium. Omnes, quotquot venérunt, fures sunt et latrónes, et non audiérunt eos oves. Ego sum. óstium. Per me si quis introíerit, salvábitur: et ingrediétur et egrediátur et páscua invéniet. Fur non venit, nisi ut furétur et mactet et perdat. Ego veni, ut vitam hábeant et abundántius hábeant.” [Ioannes X:1-10]

Omelia di sant’Agostino Vescovo

[Trattato 45 su Giovanni, dopo il principio.]– Che dirò dei Giudei? Ecco gli stessi farisei leggevano, e in ciò che leggevano celebravano il Cristo, ne speravano la venuta, e non lo riconoscevano punto, sebbene fosse presente. Si vantavano ancora d’essere del numero dei Veggenti, cioè, dei sapienti, e negavano il Cristo, e non entravano per la porta. Anch’essi per conseguenza, se riuscivano a sedurne alcuni, li attiravano non per liberarli, ma per ammazzarli e ucciderli. Ma lasciamo anche questi. Vediamo se almeno entrano per la porta coloro che si gloriano del nome dello stesso Cristo. Sono innumerevoli coloro che non solo si spacciano per Veggenti, ma vogliono essere considerati come illuminati da Cristo: e questi sono gli eretici…  [ … Videamus illos, si forte ipsi intrant per ostium, qui ipsius Christi nomine gloriantur. Innumerabiles enim sunt, qui se Videntes non solum iactant, sed a Christo illuminatos videri volunt: sunt autem haeretici.].

… a proposito dello stato di necessità e delle consacrazioni abusive (ed invalide) invocato dai finti (pseudo)tradizionalisti falsi preti spuntati dalla radice velenosa del 30° Liennart e del suo “figlioccio” spirituale!

 Tutti i trasgressori della legge del mandato papale, sono ladri e briganti!

PioXII-tiara

Papa Pio XII, in “Ad Apostolorum Principis” (29 giugno 1958)

ha “Infallibilmente”

condannato le “consacrazioni” episcopali senza Mandato papale.

“Ci sarà una generale defezione dalla Chiesa verso la fine del mondo, soprattutto per quanto riguarda la sua obbedienza.” (Profezia di Richard Rolle di Hample, d. 1349)

(Nota: quanto segue è estratto dall’enciclica di Pio XII, “Ad Apostolorum Principis” . Le Encicliche papali sono parte di ciò che costituisce il Magistero ordinario della Chiesa e quindi sono infallibili, irreformabili e vincolanti per tutti in eterno.)

I Vescovi illegittimi distruggono l’unità dell’obbedienza e della disciplina!

“… Abbiamo nuovamente fatto riferimento a questo insegnamento quando abbiamo poi rivolto a voi la lettera “Ad Sinarum Gentem.,” in cui abbiamo detto: “la potestà di giurisdizione, che al sommo Pontefice viene conferita direttamente per diritto divino, proviene ai Vescovi dal medesimo diritto, ma “soltanto” mediante il successore di San Pietro, al quale non solo i fedeli, ma anche tutti i vescovi sono tenuti ad essere costantemente soggetti, e legati con l’ossequio dell’obbedienza e con il vincolo dell’unità ” (Enciclica”Ad Sinarum Gente,”7 ottobre 1954.). […]

Tornano al proposito quanto mai ammonitrici le parole del divino Maestro: “Colui che non entra nell’ovile per la Porta, ma vi sale per altra parte, è ladro e brigante”(Giovanni X,1.); le pecorelle riconoscono la voce del loro vero pastore e lo seguono docilmente, “ma uno sconosciuto non lo seguiranno, anzi fuggono da lui: perché non conoscono la voce degli estranei” (Giovanni X, 4-5.).

… Sappiamo bene che, purtroppo, per legittimare le loro usurpazioni, i ribelli si richiamano alla prassi seguita in altri secoli, ma tutti vedono che cosa mai diventerebbe la disciplina ecclesiastica se, in una questione o nell’altra, fosse lecito a chiunque di rifarsi a disposizioni che non sono più in vigore, in quanto la suprema autorità ha, da diverso tempo, disposto altrimenti. Anzi, proprio il fatto di appellarsi ad una diversa disciplina, lungi dallo scusare l’operato di costoro, è prova della loro intenzione di sottrarsi deliberatamente alla disciplina che vige e che devono seguire: disciplina che vale non solo per la Cina e per i territori di recente evangelizzazione, ma per tutta le Chiesa; disciplina che è stata sancita in virtù di quella universale e suprema potestà di pascere, di reggere e di governare, che fu conferita da nostro Signore ai successori dell’Apostolo Pietro. […] Per quanto vi abbiamo esposto consegue che nessun’altra autorità, che non sia quella del supremo Pastore, può revocare l’istituzione canonica data ad un Vescovo; nessuna persona o assemblea, sia di sacerdoti che di laici, può arrogarsi il diritto di nominare vescovi; nessuno può conferire legittimamente la Consacrazione episcopale se prima non sia certa l’esistenza dell’apposito mandato apostolico [can. 953]. Sicché, per una siffatta consacrazione abusiva, la quale è un gravissimo attentato alla stessa unità della chiesa, è stabilita la scomunica riservata in modo specialissimo alla sede apostolica, in cui automaticamente incorre non solo chi riceve l’arbitraria consacrazione, ma anche chi la conferisce.

Proponiamo qualche altro stralcio dell’Enciclica del Santo Padre: … che vescovi non nominati né confermati dalla Santa Sede, e anzi scelti e consacrati contro le esplicite disposizioni di essa, non possono godere di alcun potere né di magistero né di giurisdizione; perché la giurisdizione viene ai vescovi unicamente attraverso il romano Pontefice, come già avemmo occasione di ricordare nella lettera enciclica Mystici corporis: «I vescovi … in quanto riguarda la loro diocesi, sono veri pastori che guidano e reggono in nome di Cristo il gregge assegnato a ciascuno. Mentre fanno ciò, non sono del tutto indipendenti, perché sono sottoposti alla debita autorità del romano pontefice, pur fruendo dell’ordinaria potestà di giurisdizione che è comunicata loro direttamente dallo stesso sommo pontefice». Dottrina che avemmo occasione di richiamare ancora nella lettera Ad Sinarum gentem a voi successivamente diretta: «La potestà di giurisdizione, che al sommo Pontefice viene conferita direttamente per diritto divino, proviene ai Vescovi dal medesimo diritto, ma soltanto mediante il successore di san Pietro, al quale non solamente i semplici fedeli, ma anche tutti i Vescovi devono costantemente essere soggetti e legati con l’ossequio dell’obbedienza e con il vincolo dell’unità». (…) … E gli atti della potestà di ordine, posti da tali ecclesiastici, anche se validi – supposto che sia stata valida la consacrazione loro conferita – sono gravemente illeciti, cioè peccaminosi e sacrileghi. Tornano al proposito quanto mai ammonitrici le parole del divino Maestro: «Chi non entra nell’ovile per la porta, ma vi sale per altra parte, è ladro e brigante» (Gv 10,1); le pecorelle riconoscono la voce del loro vero pastore, e lo seguono docilmente, «ma non vanno dietro a un estraneo, anzi fuggono da lui: perché non conoscono la voce degli estranei» (Gv 10,5). (…) … quando vorrebbero giustificarsi invocando la necessità di provvedere alla cura delle anime nelle diocesi prive della presenza del loro vescovo?

È evidente, anzitutto, che non si provvede ai bisogni spirituali dei fedeli con la violazione delle leggi della chiesa [… Liquet imprimis spirituali commodo christifidelium nequaquam consuli, si leges Ecclesiae violantur] (…) … nessuna persona o assemblea, sia di sacerdoti sia di laici, può arrogarsi il diritto di nominare vescovi; nessuno può conferire legittimamente la consacrazione episcopale se prima non sia certa l’esistenza dell’apposito Mandato apostolico. Sicché, per una siffatta consacrazione abusiva, la quale è un gravissimo attentato alla stessa unità della chiesa, è stabilita la scomunica riservata in modo specialissimo alla sede apostolica, in cui automaticamente incorre non solo chi riceve l’arbitraria consacrazione, ma anche chi la conferisce!

pioxii-4

Teniamoci allora ben lontani da briganti e ladri, additandoli come tali alle “pecorelle ingannate”, restando ben saldi nella fede Apostolica e radicati nel solenne ed inviolabile MAGISTERO della CHIESA CATTOLICA, …  costi quel che costi!

Prove dirette della divinità dello Spirito Santo.

Prove dirette della divinità dello Spirito Santo.

[mons J.-J. Gaume: Tratt. dello Spirito Santo, vol. II, cap. III e IV]

Gaume-282x300

    La prima cosa a sapersi dello Spirito Santo si è che Egli è Dio come il Figliuolo e il Padre: che ha la stessa natura, la stessa divinità, le stesse perfezioni: che è eterno com’Essi, onnipotente, infinitamente sapiente, e infinitamente buono; degno come loro della fiducia e dell’amore, delle adorazioni, delle preghiere e delle lodi del cielo e della terra, degli Angeli e degli uomini. Ecco tutto ciò che noi professiamo, dicendo: Io credo nello Spirito Santo: Credo in Spiritum Sanctum.  Ora nei libri sacri, dalla Genesi sino all’Apocalisse: quell’insegnamento non interrotto per diciotto secoli, dei Padri della Chiesa e della Chiesa medesima, la divinità dello Spirito Santo non brilla con minore splendore che la divinità del Figliuolo e del Padre. La prova é nelle testimonianze citate sin qui in favore del domma della Trinità. Noi potremmo starcene a questo, imperocché niente è meglio fondato della nostra fede sulla divinità dello Spirito Santo. Con tutto ciò rechiamo alcune prove dirette di questa verità fondamentale. Esse si presentano numerosissime nei nomi che la Scrittura dà allo Spirito Santo; negli attributi che essa Gli riconosce; nella tradizione dei Padri e nella dottrina della Chiesa.

Questi nomi ci offrono due generi di prove della divinità dello Spirito Santo: una negativa, e le altre positive. La prima risulta da questo fatto perentorio, che nelle scritture dell’antico e nuovo Testamento, lo Spirito Santo non è appellato mai creatura. Però noi troviamo nei profeti e negli Apostoli, la luminosa enumerazione delle principali creature del cielo e della terra. David ce la dà parecchie volte nei salmi. Daniele la ripete magnificamente nel cantico dei tre fanciulli di Babilonia. Fra tutti i capi d’opera della potenza créatrice, non si fa nessuna menzione dello Spirito Santo. Paolo, rapito sino al terzo cielo, ha visto le gerarchie angeliche: egli nomina gli ordini che le compongono, ciascuno pel suo nome. Il suo aspetto, irradiato dalla luce dello stesso Dio, non ha scoperto lo Spirito Santo. In nessun luogo Lo nomina tra le creature: il che pertanto non avrebbe egli mancato di fare, se lo Spirito Santo non era Dio. Difatti, il suo sublime censimento delle angeliche creazioni ha per iscopo di mostrare che tutto ciò che non è Dio, é al disotto del Verbo incarnato. Non solamente ei non nomina mai lo Spirito Santo tra le creature, ma sempre ei Lo pone nella stessa linea del Padre e del Figliuolo e Lo nomina con Essi.

Veniamo adesso alle prove positive. Nell’Antico Testamento il nome di Jehovah, e nel Nuovo il nome di Dio senza modificazione é, come ognun sa, il nome incomunicabile di Dio. Ora questo doppio nome è dato costantemente allo Spirito Santo. Nel secondo libro dei Re, Davide dice: «Lo Spirito di Jehovah ha parlato per me, e il suo discorso è uscito dalle mie labbra. » [Spiritus Domini (hebraice Jehovah) locutus est per me, et sermo ejus per linguam meam. II Reg. XXIII, 2.] Qual’è questo Spirito? Il seguente versetto tosto ce lo insegna: « Il Dio d’Israele mi ha detto: Il Forte d’Israello ha parlato. » [Dixit Deus Israel mihi : Locutus est Fortis Israel. Id., 8.]. Donde si vede che lo Spirito di Jehovah è Jehovah medesimo, il Forte, il Dio d’Israele. Isaia alla volta sua così si esprime: « E il Signore degli eserciti (Jehovah) ha detto: Va’ e di’ a quel popolo: Voi ascolterete attentamente, e non vorrete intendere » [Et dixit Dominus exercituum (hebraice Jehovah): Vade, et dices populo huic : Audite audientes, et nolite intelligere. Is., VI, 9.]. Qual è questo Dio, questo Jehovah degli eserciti? Lo Spirito Santo, risponde san Paolo. Nella sua prigione di Roma, parlando agli Ebrei increduli accorsi ad udirlo, ricorda questo testo d’Isaia e dice loro: « Lo Spirito Santo ha avuto ragione di dire per bocca d’Isaia: Va e di’ a questo popolo: Voi ascolterete con attenzione ma non vorrete capire.» [Bene Spiritus sanctus locutus est per Isaiam: Vade, et dices populo huic: Audite audientes, et nolite intelligere. Act. XXVIII, 25]. Ivi ancora quegli che Isaia chiama il Signore degli eserciti, Jehovah, il Dio d’Israele, il vero Dio, in una parola: l’Apostolo ci dice che è lo Spirito Santo. Poteva egli insegnare con più chiarezza la divinità della terza Persona dell’Augusta Trinità? Non è solamente in Isaia, ma in tutti i libri dell’Antico e del Nuovo Testamento è detto che Dio ha parlato per mezzo dei profeti. Per non citarne che due esempi: nel principio del suo Vangelo san Luca si esprime in questi termini : « Come il Dio d’Israele lo ha detto per bocca dei suoi santi profeti nel succeder dei secoli. » [Sicut locutus est per os sanctorum, qui a saeculo sunt, prophetarum ejus. Luc., I, 70]. E san Paolo scrivendo agli Ebrei: « In antico Iddio ha parlato ai nostri padri per mezzo dei profeti. » [Olim Deus loquens patribus in prophetis. Hebr., I, 1]. Ebbene, questo Dio ispiratore dei profeti è ancora lo Spirito Santo. Noi non possiamo esserne più assicurati se non per la testimonianza di san Pietro medesimo. Ecco le sue parole : « Bisogna che la Scrittura sia compiuta, come lo Spirito Santo l’ha predetto per bocca di David. » [Oportet implori scripturam, quam praedixit Spiritus sanctus per os David. Act, I, 11]. E altrove : « È per ispirazione dello Spirito Santo che hanno parlato i santi uomini di Dio.1 » [Spiritu sancto inspirati locuti sunt sancti Dei homines. II Petr., I, 21.]. Di qui dunque quel ragionamento tanto semplice quanto concludente: Colui che ha parlato mediante i profeti è il vero Dio. Ora è lo Spirito Santo che ha parlato per i profeti. Lo Spirito Santo è dunque Dio, vero Dio, come il Padre ed il Figliuolo. Di più, siccome la Scrittura distingue lo Spirito Santo dal Padre e dal Figliuolo, ne risulta chiaramente che lo Spirito Santo è una Persona distinta dal Figliuolo e dal Padre.

In una circostanza memorabile lo stesso Apostolo proclama con splendore non minore la divinità dello Spirito Santo. Anania inganna sul prezzo del suo campo; all’inganno aggiunge una pubblica menzogna, ed in presenza di tutta la Chiesa di Gerusalemme, Pietro gli dice : « Perché Satana ha egli tentato il tuo cuore sino a farti mentire allo Spirito Santo? non hai mentito soltanto agli uomini ma a Dio. >> [Dixit autem Petrus : Anania, cur tentavit Satanas cor tuum, mentiri te Spiiitui sancto et fraudare de pretio agri?…. Non es mentitus hominibus sed Deo. Act, V, 3, 4.]. Anania ha mentito allo Spirito Santo. Pietro svela la sua colpa e gli dice: Mentendo allo Spirito Santo, non agli uomini, né ad una semplice creatura tu hai mentito, ma a Dio stesso.

Spirito Santo

   Dunque lo Spirito Santo è Dio. La conseguenza è logica e la conclusione inappuntabile. Per gli attributi, lo stesso ragionamento che per i nomi. È Dio quegli al Quale si convengono tutti gli attributi di Dio: ora tutti gli attributi di Dio convengono allo Spirito Santo. I grandi attributi di Dio sono : l’eternità, l’immensità, l’intelligenza infinita, l’onnipotenza; e lo Spirito Santo gli possiede tutti.

L’eternità. È eterno Colui il quale ha preceduti tutti i tempi: ed ha preceduti tutti i tempi, Colui che nel creare l’uomo, ha creato il tempo medesimo. Ora lo Spirito Santo ha creato il mondo di concerto col Padre e col Figliuolo. Nel Principio, Dio creò il cielo e la terra, e lo Spirito di Dio era portato sulle acque.

L’immensità. È immenso Quegli il quale abbraccia tutti i luoghi e che gli riempie, sino al punto che niuno può sottrarsi alla sua presenza. « Lo Spirito del Signore riempie il globo. [Spiritus Donimi replevit orbem terrarum. Sap.I, 7.]. Dove andrò io lontano dal vostro Spirito? Dove fuggirò lontano dalla vostra faccia? Se io monto in cielo, Voi vi siete; se io scendo nell’inferno, vi siete pure; se io piglio le ali dell’aurora e mi trasporto al di là degli oceani, è la vostra mano che mi vi condurrà e mi tenete alla vostra diritta. » [Quo ibo a Spiritu tuo et quo a facie tua fugiam? Si ascendero in coelum, tu illio es; si descendero in infemum, ades. Si sumpsero pennas meas diluculo et habitavero in extremis maris, etenim illuc manus tua deducet me et tenebit me dextera tua. Psalm. CXXXVIII, 7-10].

L’intelligenza infinita. Egli vede tutto, conosce tutto, sa tutto, Quegli pel quale il cielo e la terra non hanno nessun segreto; che penetra sin nelle loro profondità i misteri dello stesso Dio: che abbraccia la verità, tutta la verità nel passato, nel presente, nell’avvenire, e che n’è il dottore infallibile. Tal’é lo Spirito Santo. Parlando delle meraviglie della celeste Gerusalemme, san Paolo dice: « L’occhio non ha punto visto, l’orecchio non ha punto udito e il cuore dell’uomo non ha mai compreso ciò che Dio prepara a quelli che L’amano; ma per noi Iddio ce l’ha rivelato per mezzo del suo Spirito, poiché questo Spirito penetra ogni cosa, anche le profondità di Dio. Chi conosce tra gli uomini ciò che è nell’uomo, se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Parimente, nessuno conosce ciò che è un Dio, se non lo Spirito di Dio…. [I Cor. II, 9-11] ». E san Giovanni : « Il consolatore, lo Spirito Santo, che mio Padre manderà in mio nome, vi insegnerà tutte le cose, vi rammenterà tutto ciò che Io vi ho detto e vi annunzierà tutto quello che deve accadere.». [Joan.XIV, 26, e XV, 13] Questi testi così chiari furono le armi vittoriose, di cui sant’Ambrogio e gli antichi Padri si servirono per confondere il negatore della divinità dello Spirito Santo, l’empio Macedonio.

L’onnipotenza. È onnipotente colui che fa uscire l’essere, dal nulla, con un sogno della sua volontà e per cui tutte le opere denotano una potenza infinita. Tale è ancora lo Spirito Santo. « I cieli, dicono i profeti, sono stati creati dal Verbo del Signore, e la loro costante armonia dallo spirito della sua bocca; imperocché lo Spirito della sapienza creatrice è onnipotente,» [Verbo Domini coeli firmati sunt, et Spiritu oris ejus omnis virtus eorum. Ps. XXXII, 6. — Omnium enim artifex.docuit me sapientia… est enim in illa Spiritus… omnem habens virtutem. Sap., VII, 21-23].

Le opere. Noi non faremo che sfiorare quest’ampio soggetto, poiché dobbiamo trattarne minutamente nel seguito dell’opera nostra. Le opere di Dio sono di due sorte, le opere della natura e le opere della grazia. Ora tutte queste opere sono attribuite allo Spirito Santo, come al Figliuolo ed al Padre. Nell’ordine naturale la creazione dell’uomo e del mondo; noi l’abbiamo già visto per le testimonianze dei libri santi. Aggiungiamo soltanto la parola cosi precisa del sant’uomo Giobbe: « È lo Spirito di Dio che mi ha creato : Spiritus Dei fecit me. » [XXXIII, 4]. Nell’ordine della grazia, la rigenerazione dell’uomo e del mondo. Il profeta ce l’insegna: «Voi manderete il vostro Spirito e tutto sarà creato, e rinnoverete la faccia della terra. [Ps. CIII, 30] » E con più chiarezza ancora il Maestro dei profeti: « Se qualcuno non rinasce dall’acqua e dallo Spirito Santo non può entrare nel regno di Dio. » [Jo. III, 5]. È la formula stessa della rigenerazione universale: « Andate dunque, istruite tutte le nazioni battezzandole nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo.  » Matth., XXVIII, 14]. Qual uguaglianza più perfetta!

« Oh, si, Spirito santificatore, esclama Bossuet, voi siete eguale al Padre ed al Figliuolo, poiché noi siamo del pari consacrati nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo; chè voi avete con essi uno stesso tempio che è l’anima nostra, il nostro corpo, e tutto ciò che noi siamo. Nulla d’ineguale né di estraneo al Padre ed al Figliuolo, deve essere nominato con essi in eguaglianza. Io non voglio essere battezzato nè consacrato in nome di un conservo, né voglio essere il tempio di una creatura, chè sarebbe una idolatria il fabbricarle un tempio, e con maggior ragione l’essere e il credersi sé medesimo il proprio tempio ». [Elev. sopra i mist., II Serm., Elev. 5.].

La tradizione. Essa si è espressa mediante la voce dei Padri e dei dottori. Non meno precisa di quella della Scrittura, la sua parola ha attraversato i secoli, di continuo riprodotta da nuovi organi. La vediamo altresì immobilizzata in tanti monumenti che risalgono sino alla culla del cristianesimo. Gli echi dell’Oriente e dell’Occidente ripetevano ancora gli ultimi accenti della voce degli apostoli; san Giovanni era appena sceso nella tomba, quando comparvero i primi apologisti cristiani. Relativamente a san Basilio, il papa san Clemente, terzo successore di San Pietro, martirizzato verso l’anno 100, aveva l’usanza di fare questa preghiera: Vìva Dio e il nostro Signor Gesti Cristo e lo Spirito Santo, [Vivit Deus et Dominus Jesus Cristus et Spiritus sanctus – Lib, de Spir. sanct.XXIX, n. 72]. Nella sua eloquente Apologia presentata all’imperatore Antonino, verso 1’anno 120, san Giustino così si esprime: « Noi onoriamo e adoriamo in spirito e in verità il Padre e il Figliuolo e lo Spirito Santo. » [Hunc (Patrem) et qui ab eo venit … Filium et Spiritum sanctum colimus et adoramus, cum ratione et veritate venerantes. Apolog. 1, n. 6].  Ciò che san Giustino aveva detto a Roma, qualche anno più tardi sant’Ireneo l’ insegnava nelle Gallie: « Coloro che, dice, scuotono il giogo della legge e si lasciano adescare dai loro allettamenti, non avendo nessun desiderio dello Spirito Santo, l’apostolo gli chiama con ragione uomini di carne. [Eos vero, qui effrenes sunt, et feruntur ad suas concupiscenti as. nullum h.ab entes divini Spiritus desiderium, merito apostolus camales vocat. (Citato da san Basilio in prova della divinità dello Spirito Santo. Lib. de Spir. Sanct., c. XXIX, n. 72.)  All’istess’epoca Atenagora domandava : « Non è egli strano che siamo chiamati atei, noi che predichiamo Dio il Padre, il Figliuolo e lo Spirito Santo? » Quis non miretur, cum auclit nos, qui Deum patrem praedicàmus et Deum Filium et Spiritum sanctum…. atheos vocari- Legat. pro christian. n. 12 e 24]. Il suo contemporaneo, Eusebio di Palestina, per incoraggiarsi a parlare, diceva: « Invochiamo il Dio dei Profeti, autore della luce, mediante il nostro Salvatore Gesù Cristo con lo Spirito Santo.5 » [Loquitur enim in hunc modum, se ad dicendum excitans: Sanctum ProphetarumDeum, lucis auctorem, per Salvatorem nostrum Jesum Christum cum sancto Spiritu, invocante». Ap. Basii,, ibid.].

Sono scorsi appena venti anni e noi troviamo la testimonianza non più di un solo uomo, ma di tutta una Chiesa. L’anno 169, i fedeli di Smirne scrivono a quelli di Filadelfia la stupenda lettera nella quale raccontano che san Policarpo, loro vescovo e discepolo di san Giovanni, prossimo a soffrire il martirio, ha reso gloria a Dio in questi termini : « Padre del diletto e benedetto Figliuolo tuo, Gesù Cristo: ….O Dio degli Angeli e delle potenze, Dio di ogni creatura, io vi lodo, vi benedico, vi glorifico con Gesù Cristo vostro Figliuolo diletto, pontefice eterno, per cui gloria a Voi con lo Spirito Santo, adesso e nei secoli dei secoli. » [Pater dilecti et benedicti Ellii tui Jesu Christi…. Deus Angelorum et Potestatum, Deus totius creaturae..-.. Te laudo, te benedico, te glorifico per Jesum Christum dilectum Filium tuum, Pontifìcem aeternum, per quem tibi cum Spiritu sancto gloria nunc et in futura saecula saeculorum. Amen. Epist. Smym. Eccl., apud Baron an. 169]. Che la divinità dello Spirito Santo fosse un domma della fede cristiana, gli stessi pagani lo sapevano. Nel suo dialogo intitolato Philopatris. Luciano, uno dei più grandi nemici, introduce un cristiano che invita un catecumeno a giurare per il Dio sovrano, per il Figliuolo del Padre, per lo Spirito che ne procede, che fanno uno in tre e tre in uno, ciò che è il vero Dio.

Nel terzo secolo noi troviamo in Occidente, il terribile Tertulliano. Il suo libro De Trinìtate contro Praxea comincia cosi : « Praxea, procuratore del diavolo è venuto a Roma a fare due opere del suo maestro; egli ha cacciato il Paracleto e crocifìsso il Padre. La zizzania praxeana ha germogliato. Con l’aiuto di Dio la svelleremo; basta che noi opponiamo a Praxea il simbolo che ci viene dagli Apostoli. Noi crediamo dunque sempre, e ora più che mai, in un solo Dio, il quale ha inviato sulla terra il proprio Figliuolo, il quale alla sua volta è risalito a suo Padre, ha mandato lo Spirito Santo, santificatore della fede di coloro che credono al Padre, e al Figliuolo ed allo Spirito Santo. Benché essi sieno inseparabili, pur tuttavia altro è il Padre, altro il Figliuolo, altro lo Spirito Santo ».

Dall’Oriente ci viene la testimonianza del santo vescovo martire, Dionigi d’Alessandria; quantunque falsamente accusato di sabellianismo, termina la sua difesa con queste notevoli parole: « Conformandoci in tutto alla formula ed alla regola ricevuta dai vescovi che hanno vissuto prima di noi, unendo la nostra voce alla loro, vi rendiamo grazie e poniamo fine a questa lettera. Cosi a Dio Padre e al Figliuolo Gesù Cristo nostro Signore con lo Spirito Santo, sia gloria ed impero nei secoli dei secoli. Àmen.2 » [….Tandem nunc vobis scribere desinimus : Deo autem Patri et Filio Domino nostro Jesu Chxisto cum sancto Spiritu gloria et imperium in saecula saeculorum. Amen. Apud S. Basii., ubi supra, n. 72.].  La formula gloriosa di fede non sfugge a Giulio Africano. Nel quinto libro della sua Storia egli dice: « Noi che abbiamo intesa la forza di questo linguaggio, e che non ignoriamo la grazia della fede, rendiamo, grazie al Padre che ha dato a noi, sue creature, il Salvatore di tutte le cose, Gesù Cristo, al quale sia resa gloria e maestà con lo Spirito Santo in tutti i secoli. ». [Adv. Prax. C. I, II, IX, edit. Pamel]. Ecco nel quarto secolo, i due grandi luminari della Chiesa Orientale, san Basilio e san Gregorio Nazianzeno. Il primo incomincia col citare due costumanze, come testimoni viventi della fede immemorabile alla divinità dello Spirito Santo, le preghiere lucernarie e l’inno d’Atenogene. « È parso buono a noi padri, dice egli, di non ricevere in silenzio il benefìzio della luce della sera, ma di render grazie appena che essa brilla. Chi è l’autore della preghiera, che si recita in rendimento di grazie, allorché si accendono le lampade, non lo sappiamo; ma il popolo pronunzia questa antica formula che nessuno ha mai tacciato d’empietà: «Lode al Padre ed al Figliuolo ed allo Spirito Santo. Chi conosce l’inno di Atenogene, lasciato da questo martire ai suoi discepoli come un preservativo, allorché s’incamminava al rogo, sa ciò che i martiri hanno pensato dello Spirito Santo.2 » [Apud S. Basii., ubi supra, n. 73.]

L’illustre vescovo diventa egli medesimo un organo potente della tradizione. Lo Spirito Santo, dice, è chiamato santo, come il Patire è Santo, come il Figlio è Santo; santo non come la creatura che trae la sua santità dal di fuori, ma santo nella stessa essenza della sua natura. Per conseguenza egli non è santificato, ma santifica. Egli è detto buono, come il Padre è buono, perché la bontà gli è essenziale; parimente è detto retto, come lo stesso Signore Dio è retto, perché è di sua natura la stessa rettitudine, la stessa verità, la stessa giustizia, senza variazione, senza alterazione a causa della immutabilità di sua natura. È detto Paracleto, come il Figliuolo medesimo; di modo che tutti i nomi comuni al Padre e al Figliuolo convengono allo Spirito Santo, in virtù della comunanza di natura. Dove trovare un’altra origine? » [Lib. de Spirìt. sancii, c. XXIX, n. 78]. Ascoltiamo adesso l’amico suo san Gregorio Nazianzeno: « Lo Spirito Santo è sempre stato, è, e sarà’; non haa avuto mai principio, né avrà mai fine, nulla più che il Padre ed il Figliuolo, co’quali è inseparabilmente unito. Egli è stato dunque partecipe della divinità non la ricevendo mai; perfezionante, né stato mai perfezionato; riempiendo ogni cosa, tutto santificando, non essendo né santificato né ripieno; che dà la divinità e non la riceve; sempre lo stesso e sempre eguale al Padre ed al Figliuolo; invisibile, eterno, immenso, immutabile, incorporeo, essenzialmente attivo, indipendente, onnipotente; vita e padre della vita; luce e centro della luce; bontà e sorgente di bontà, ispiratore di profeti, distributore delle grazie. Spirito di adozione, di verità, di sapienza, di prudenza, di scienza, di pietà, di consiglio, di forza, di timore; che possiede tutto in comune col Padre e col Figliuolo: adorazione, potenza, perfezione, e santità.1 » [Spiritus sanctus et semper erat, et est, et erit, nec ullo ortu generatus, nec finem habiturus, etc.: Orat. in die Pentecoste]. Che cosa di più chiaro di questo passo, a cui sarebbe facile aggiungerne molti altri dell’epoca medesima? Né meno formali, né meno numerose sono le testimonianze dei tempi posteriori: una sola basterà. « Noi crediamo allo Spirito Santo, dice Ruperto, e noi lo proclamiamo vero Dio e Signore, consustanziale e coeterno al Padre ed al Figliuolo, cioè dire assolutamente lo stesso in sostanza che il Padre ed il’ Figliuolo, ma non lo stesso, quanto alla persona. Infatti siccome altra è la persona del Padre, e altra la persona del Figliuolo ; cosi altra è la Persona dello Spirito Santo. Ma la divinità, la gloria, la maestà del Padre e del Figliuolo, sono la divinità, la gloria, la maestà dello Spirito Santo. A fine di distinguere la Persona del Figlio dalla Persona dello Spirito Santo, noi diciamo che il Figliuolo è il Verbo, e la Ragione del Padre, ma Verbo sostanziale, Ragione eternamente e sostanzialmente vivente; e dello Spirito Santo, diciamo che è la Carità o l’Amore del Padre e del Figliuolo, non carità accidentale, amore passeggero, ma Carità sostanziale e Amore eternamente sussistente. » [Spiritum sanctum credimus et confìtemur verum esse Deum et Dominum, Patri et Filio consubstantialem, quod Patrem et Filium, non eumdem in persona quam Patrem et Filium, etc. De Operib. Spir. sancL, lib. I c. III]. E per fare risaltare con splendore la divinità dello Spirito Santo, il profondo teologo aggiunge: « Vogliamo noi aver qualche idea di questo amore e della sua maestosa potenza? Pigliamo due creature dello stèsso genere e della stessa specie, una delle quali lo possiede, e l’altra ne è priva. Se questo è fra gli Angeli, uno è Lucifero, l’altro san Michele; tra gli uomini, uno è Pietro, l’altro Giuda. La sola cosa che forma la differenza tra questi due angeli e tra questi due uomini, si è che uno è partecipe dello Spirito Santo, l’altro no. Alla maestà del Verbo che gli ha creati, l’uno e l’altro debbono l’essere ragionevoli, essi non differiscono tra loro, come si è detto, se non che per la partecipazione o per la privazione dell’eterno amore. Quest’esempio fa rifulgere il carattere proprio dell’operazione dello Spirito Santo: la creatura ragionevole deve la sua esistenza al Verbo eterno: ed allo Spirito Santo deve l’esistenza buona. » [ibid.].  La grande parola dei secoli si è incarnata in parecchie pratiche eminentemente tradizionali : vogliamo parlare delle tre immersioni nel battesimo ; del Kyrie ripetuto tre volte in onore di ciascuna persona divina ; del trisagio cantato nella liturgia; del segno della croce, della doxologia e del Gloria Patri. Specialmente queste due preghiere sono la splendida proclamazione del domma della Trinità, per conseguenza della divinità dello Spirito Santo. Come eco terreno dell’eterno trisagio dei serafini, ‘queste ammirabili formule danno termine a tutti gli inni e a tutti i salmi dell’ufficio. sino dai tempi apostolici esse si ripetono giorno e notte in tutti i punti del globo, per mezzo di migliaia di bocche sacerdotali. Altrettanto è del segno della croce. Questo segno augusto, la cui origine, non di questa terra, ripete con una voce indefessa a tutti gli echi del mondo e a tutti gli istanti della giornata; il Padre é Dio, il Figliuolo è Dio, lo Spirito Santo è Dio. Quanto più questi usi sono polari, tanto più confermano l’antichità e la universalità della tradizione.

Ci rimane da coronare tutte le prove dirette della divinità dello Spirito Santo, per mezzo dell’insegnamento della Chiesa. Ciò che essa sta per insegnarci è la verità, nulla più che la verità, tutta la verità. Difatti, le è stato detto : « Andate, istruite tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo, insegnando loro a custodire tutte le verità che Io vi ho affidate ; imperocché ecco che Io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo. » [S. Matt. XXVII; 19,20] Il Verbo incarnato non sarebbe Dio, se la Chiesa, con la quale Egli ha promesso d’essere, tutti i giorni, per tutti i secoli, potesse insegnare una sola volta un solo errore, per quanto piccolo lo si supponga, o lasciar perire una sola delle verità affidate alla sua custodia.

Cosi i protestanti che negano la perpetua infallibilità della Chiesa, negano altresì virtualmente la divinità di Nostro Signore, Il loro Dio non è il vero Dio ; è un Dio impotente o mentitore. Impotente, poiché non ha potuto impedire l’insegnamento dell’errore; mentitore, poiché non l’ha voluto, dopo aver promesso di farlo. Ora, fra tutte le verità, la custodia delle quali e l’insegnamento, sono state rimesse alla Chiesa, brilla in primo grado la divinità dello Spirito Santo. Come quella del Figliuolo e del Padre, noi la vediamo scritta a caratteri indelebili nel Sinodo degli Apostoli, nel Simbolo di Nicea, nel Simbolo di Costantinopoli e in quello di sant’Atanasio. Riassumendo con una inimitabile precisione la dottrina dei tre altri, quest’ultimo cosi, si esprime: «La fede cattolica è di adorare un solo Dio nella Trinità, e la Trinità nell’unità, non confondendo punto le persone, né separando la sostanza. Infatti, altra è la persona del Padre, altra quella del Figliuolo, altra quella dello Spirito Santo. Ma del Padre e dei Figliuolo e dello Spirito Santo la divinità è una, la gloria eguale, la maestà coeterna. Tale il Padre, tale il Figlio, tale lo Spirito Santo. Increato il Padre, increato il Figlio, increato lo Spirito Santo. Immenso il Padre, immenso il Figlio, immenso lo Spirito Santo. Eterno il Padre, eterno il Figlio, eterno lo Spirito Santo. E con tutto ciò non vi sono tre eterni, ma un solo eterno; parimente non vi sono tre increati, né tre immensi, ma un solo increato, un solo immenso. Così Dio il Padre; Dio il Figlio; Dio lo Spirito Santo. E ciononostante, non vi sono tre Dei, ma un solo Dio. » Alla vista dello Spirito del Bene che si rivela nel mondo con tanto splendore,.e cammina a gran passi a riprender possesso delle intelligenze, lo Spirito del male comprese che il suo impero era minacciato persino nelle sue fondamenta. Per scongiurarne la ruina, egli suscita, in Oriente ed in Occidente, innumerevoli negatori dello Spirito Santo. Armati di sofismi, i Valentiniani, i Montanisti, i Sabelliani, gli Ariani,, gli Eunomeni, scendono 1’uno dopo l’altro nell’arena. Costoro con una fede malvagia e, con una pertinacia, della quale non si trova ragione d’essere, altro che nella ispirazione satanica, assalgono fortemente, di viva voce e per iscritto la divinità dello Spirito Santo, trionfalmente difesa dai dottori cattolici. Ma quando la passione discute, la ragione non è mai sicura di vincere. Gli errori intorno allo Spirito Santo si accrescono come un cancro, sino a Macedonio che ne fa una lebbra così estesa, quasi quanto l’arianesimo. Chi fu quest’uomo, il cui nome, aggiunto a quello di Ario, ricorda cosi tristemente uno dei più famosi eresiarchi della Chiesa primitiva? Macedonio era patriarca di Costantinopoli: innalzato a quella dignità nel 351 dagli Ariani, dei quali partecipava gli errori, esercitò contro i Novaziani ed i cattolici, violenze tali che lo resero odioso, anche all’imperatore Costanzo, suo protettore. In un conciliabolo tenuto a Costantinopoli nel 360, e presieduto da Acacio ed Eutropio, gli Ariani lo deposero e lo fecero esiliare dalla capitale. Ristabilito sulla sua sede per ordine dell’imperatore, ei si mostrò nemico giurato dei cattolici e degli Ariani. Contro questi ultimi ei sostenne la divinità di Nostro Signore, e contro i primi negò la divinità dello Spirito Santo, del quale fece una semplice creatura più perfetta delle altre. Un anno dopo nel 361, l’eresiarca, spogliato una seconda volta della sua dignità, morì come Ario, miseramente.

Frattanto la zizzania dei suoi errori era caduta in molte teste sediziose. Ricchi di facondia, di artifizio e di scelleratezza, i macedoniani formarono una sètta tanto numerosa, che la Chiesa durò fatica ad estirparla. I principali furono Maratone, vescovo di Nicomedia, Eleusio di Cizica, ordinati da Macedonio; Sofronio, vescovo di Pompeopoli nella Paflagonia, ed Eustasio di Sebaste in Armenia. Come tutti i novatori, cosi i macedoniani, detti altresi Pneumatoniachi, vale a dire nemici dello Spirito Santo, o Maratoniani, dal nome del vescovo di Nicomedia, affettavano una grave esteriorità e austeri costumi. Grazie a questo artifizio essi. Seducevano il popolo ed i monaci, tra quali si occupavano a seminare i loro errori. E malgrado degli sforzi della Chiesa d’Oriente, l’eresia, lungi dall’essere spenta, estendeva le sue devastazioni. Venti anni di inutili lotte fecero capire a Teodosio la necessità di un concilio generale. Di concerto col papa san Damaso, il pio imperatore convoco l’augusta assemblea a Costantinopoli per il mese di maggio dell’ anno 381. Ella si trovò composta di cento cinquanta vescovi. Alla loro testa vedevasi san Gregorio di Nazianze, san Cirillo di Gerusalemme, san Gregorio di Nissa, fratello di san Basilio; Melecio, vescovo dAntiochia; Ascolio di Tessalonica, e fuori dell’ordine dei vescovi, l’illustre dottore san Girolamo. A fine di togliere ogni pretesto, sia di nullità del concilio, ossia di giudizio reso senza avere udito le parti, l’imperatore chiese che i macedoni ani fossero convocati con i cattolici. Essi vi furono di fatti rappresentati da trentasei vescovi, i due principali dei quali erano Eleusio di Cizica e Mariano di Lampsaco. Fra le mani dei Padri trovavasi la formula di fede della Chiesa cattolica, mandata nel 353 dal papa san Damaso a Paolino, vescovo d’Antiochia ; di più, il simbolo di Nicea. I vescovi resero testimonianza della fede delle loro Chiese, interamente conforme a questi due monumenti. Quanto ai macedoniani, essi furon sentiti, i loro sofismi rifiutati ed essi stessi convinti di essere novatori, in opposizione con la fede cattolica e con la fede degli apostoli. Cosi, proclamando solennemente la divinità dello Spirito Santo, il concilio non fece un nuovo articolo di fede ; ei si contentò di confermare il domma, e nel definirlo, di porlo al riparo dagli attacchi dell’eresia. Dietro l’esempio del concilio di Nicea, il quale, per annientare l’arianesismo, aveva aggiunto alcune spiegazioni al simbolo degli apostoli, il concilio di Costantinopoli confuse i macedoniani e assicurò l’ortodossia della dottrina, sviluppando l’articolo del simbolo di Nicea intorno allo Spirito Santo.

La divinità dello Spirito Santo non essendo punto attaccata, il concilio di Nicea aveva detto semplicemente : E allo Spirito Santo la santa Chiesa cattolica, ecc. Nello spiegare queste parole, i Padri di Costantinopoli aggiunsero: E allo Spìrito Sànto, Signore e vivificatore, il quale procede dal Padre, e che col Padre ed il Figliuolo è adorato e conglorificato; che ha parlato mediante i profeti. La lettura solenne di quest’articolo fu seguita incontanente dagli applausi del concilio e dagli anatemi contro l’eresia. A voce unanime, i vescovi esclamarono: « Ecco la fede degli ortodossi! a questo modo crediamo tutti. Maledizione ed anatema a chiunque tenesse un’altra dottrina, diversa da quella che è stata definita, e che attaccherebbe la fede di Nicea, che noi approviamo, che giuriamo, e che professiamo, dichiarando empie, inique, perverse, eretiche, le opinioni degli ariani, degli eunomiani, dei sabelliani, dei marcellanisti, dei fontiniani, degli apollinaristi e di tutti coloro che aderiscono alle loro dottrine, che le predicano o che le favoriscono! » A fine di rendere la loro definizione, per quanto era possibile ancor più rispettabile, imprimendole una nuova impronta di cattolicità, i Padri di Costantinopoli indirizzarono una lettera sinodale a tutti i vescovi d’Occidente. Ed eccone il tenore: « Ai nostri generabilissimi fratelli e colleghi Damaso, Ambrogio, Brittonio, Valeriano ed altri santi vescovi, riuniti nella gran città di Roma. Il domma che abbiamo definito deve essere approvato da voi e da tutti coloro che non pervertono la parola della vera fede. Difatti, essendo esso antichissimo e conforme alla formula del battesimo, c’insegna a credere nel nome del Padre, e del Figliuolo, e dello Spirito Santo, vale a dire alla divinità, alla potenza ed all’unità di sostanza del Padre, e del Figliuolo e dello Spirito Santo; all’eguaglianza di dignità ed alla coeternità d’impero in tre ipostasi, o persone infinitamente perfette. « Di maniera che, non vi ha più appiglio per la pestilenziale eresia di Sabellio, la quale, confondendo le Persone, distrugge le loro rispettive proprietà; né per le bestemmie degli eunomiani, degli ariani e degli altri che attaccano lo Spirito Santo, dividono 1’essenza, la natura o la divinità, e introducono nella Trinità, che è increata, consustanziale e coeterna, una natura posteriormente ingenerata o creata, o di una essenza differente. »Da questa lettera risulta che i vescovi d’ Occidente erano radunati a Roma col Papa Damaso, per distruggere l’eresia di Macedonio, intantoché i vescovi d’Oriente lo scomunicavano a Costantinopoli. Non fuvvi mai accordo più perfetto, né maggiore unanimità, né condanna più solenne e più irrevocabile.

Satana battuto da questo colpo di fulmine, stette per lunghi secoli senza osare di rialzare il capo e assalire direttamente la divinità dello Spirito Santo. Finalmente giunse il ritorno del suo regno. Col rinascimento vedonsi ricomparire tutti gli errori e tutte le eresie che si credevano per sempre spente; esse riappariscono ancor più sottili più audaci e più complete che nell’antichità. Cosicché i sociniani rinnovano 1’eresia di Macedonio, svolgendola; e gli autori di questa setta furono i due Socino, zio e nipote. Il primo, nacque a Siena nel 1525; e a malgrado degli anatemi del concilio di Laterano, il razionalismo, alimentato dallo studio fanatico degli autori pagani, invadeva l’Europa. Socino fu nutrito in quell’atmosfera avvelenata. Appena uscito di collegio assisté nel 1546 al famoso conciliabolo di Vicenza [ritenuto l’atto di fondazione della franco-massoneria moderna -n.d.r.-], dove la distruzione del Cristianesimo fu risoluta. Fedele agli impegni ch’egli vi contrasse ed ai principi della sua educazione, il giovane e libero pensatore, impiegò tutta la sua vita nel rinnovellare l’arianesimo e il macedonianismo, a fine di scalzare dalla sua base il cristianesimo. Il secondo, nato a Siena nel 1530, ereditò lo spirito anticattolico del suo zio e fu uno dei più ardenti promotori delle sue eresie. Aveva meno di vent’anni che già la paura dell’inquisizione gli fece abbandonare l’Italia. Ei passò in Francia, di là in Svizzera, dove pubblicò le sue empietà. L’inquietudine del suo spirito congiunta al desiderio di dommàtizzare dapertutto, lo condusse ben presto in Polonia. I letterati l’accolsero con favore; ed un gran numero si dichiararono suoi partigiani, ed egli mori in mezzo appunto a questa truppa di atei nel 1604.1 suoi discepoli, degni del loro maestro, vollero trarre conseguenze pratiche dalle sue dottrine. Furono commessi grandi eccessi; il popolo indignato li cacciò, e in odio dell’eresia, dell’eresiarca e del suo seguito, le ceneri di Socino furono disotterrate, portate sulle frontiere della piccola Tartaria, e messe dentro a un cannone, le mandarono nel paese degli infedeli. [Di questo empio, funesto ed immondo servo di satana, parleremo compiutamente in un prossimo scritto –n.d.r.-]. Abbiamo detto che nelle loro empietà contro lo Spirito Santo i sociniani avevano oltrepassato i macedoniani. Secondo sant’Agostino questi ultimi non negavano resistenza personale dello Spirito Santo, ma la sua divinità. D’altro canto erano essi ortodossi circa le due altre Persone della santa Trinità. [Lib. de haeresib.] Per i sociniani lo Spirito Santo non è neppure una creatura; ma un soffio, una forza, una semplice influenza di Dio sull’uomo e sul mondo. La stessa Trinità, un’accozzaglia di parole senza idee: il peccato originale, la grazia, i sacramenti, il cristianesimo tutto quanto, altrettante chimere. Quest’è la negazione pagana, la negazione di Sesto Empirico, innalzata alla sua ultima formula, e continuata dai nostri razionalisti moderni.

A questa negazione impudente nella sua espressione, assurda nel suo principio, funesta nelle sue conseguenze, basta opporre e le testimonianze della tradizione da noi citate, e la conferma solenne di tutti i dommi attaccati, fatta dal concilio di Trento al principio de’ suoi immortali lavori: « I nostri predecessori, dicono i Padri, inauguravano le loro sessioni con la professione della fede cattolica e l’opponevano come uno scudo impenetrabile a tutte le eresie. Dietro al loro esempio ci par buono il professare solennemente il simbolo di cui si serve la santa Chiesa Romana, unico ed incrollabile fondamento della fede, contro il quale non prevarranno mai le porte dell’inferno: Io credo in Dio Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, e nel Signore Gesù Cristo, figliuolo unico di Dio e nello Spirito Santo, Signore e vivificatore; il quale procede dal Padre e dal Figliuolo; il quale Col Padre e col Figliuolo è adorato e conglorificato, e che ha parlato per mezzo dei profeti. 1 » [ Conc. Triden. sess. III.]  Questo simbolo cattolico, immutabile come la stessa verità, espressione esatta della fede delle nazioni incivilite, rivestito della sanguinosa sottoscrizione di dodici milioni di martiri, è la prova eternamente trionfante della divinità dello Spirito Santo, il rifugio sicuro di ogni spirito perseguitato dal dubbio, la inespugnabile rocca, dall’alto della quale il cristiano sfida satana ed i suoi ministri, con tutti i loro sofismi e tutte le loro negazioni.

Il macedonianismo ed il socinianismo : tali sono le due grandi eresie le quali, a dodici secoli di distanza hanno assalito, ma invano, la divinità dello Spirito Santo. Nell’intervallo, ne è sorta una terza ; la quale apparentemente, meno fondamentale delle due altre, ha avuto più disastrose conseguenze. S’intende bene che vogliamo parlare dell’eresia dei Greci intorno alla Processione dello Spirito Santo. Muro di divisione, tuttora in piedi, tra la chiesa latina e la chiesa greca, bisogna oggidi più che mai farlo conoscere e confutarlo.

 

La strana sindrome di nonno Basilio: 19

nonno

   Caro direttore, eccomi ancora qui davanti al mio aggeggio elettronico per raccontarle le strane vicende della mia famiglia, che si susseguono purtroppo ininterrottamente e turbinosamente. Ma veniamo ai fatti: in una chiara mattina primaverile, circa all’ora terza, ero intento a salmodiare il “Veni Creator Spiritus”, che apre la mia novena allo Spirito Santo, la madre di tutte le novene che, in verità, iniziata come tale, è poi diventata prima una “novantena”, poi una novena con prolungamento semestrale, infine una “giornaliera continua” che mi aiuta molto nella mia vigilanza spirituale, e giacché ci sono, anche per conservare le mie residue attività cerebrali. Con me erano ovviamente, anche se solo di passaggio, i miei cari nipoti Mimmo e Caterina che sostenevano a tratti la mia voce stentata. E ripensavo a come ci si sia potuti separare nella fede dalla Chiesa Cattolica Romana proprio su di un argomento chiave come lo Spirito Santo, così come successe nel 1054, anno in cui si verificò il cosiddetto scisma d’Oriente, perpetrato dall’orgoglio di Fozio che fu portato a disconoscere il Primato di Pietro, oltre che ad introdurre poi altre perniciose eresie. Come mi aspettavo, interviene subito Mimmo interrompendo il mio discorsetto: “Ma nonno, anche il mio parroco dice che tra Ortodossi e Cattolici romani non ci sono diversità sostanziali, forse più che altro di riti, e che quindi qui il discorso ecumenico può essere proficuamente attuato!”. “Caro Mimmo, se questa cosa l’avessi detta tu, conoscendoti per quel mattacchione che sei, mi sarei fatta una grassa risata, ma poiché sostieni che tali espressioni siano state proferite, anche se ho i miei dubbi, da un prelato, a sua volta confortato da autorità più alte e Caterina me ne da subito conferma, citando anche nomi illustri oltre a numerosi avvenimenti “ecumenici” tra alte cariche ecclesiastiche, sono costretto a puntualizzare, ricorrendo ai “rimasugli” della mia malandata memoria, dalla quale si riaffacciano prodigiosamente non solo gli insegnamenti dello zio Tommaso, santo sacerdote, come ripetutamente detto, ma pure i ricordi della tremenda campagna di Russia di un anziano medico veterinario, mio dirimpettaio in gioventù. Ciò premesso, andiamo ad analizzare attentamente la religione eretico-scismatica dei cristiani orientali, detta impropriamente “Ortodossa”, perché nei fatti non lo è proprio!. Anzitutto a livello linguistico va notato che “cattolici” e “ortodossi” sono due titoli che entrambe le istituzioni, sia la Chiesa romana, che la “setta” orientale, si auto-assegnano. Anche l’apostolicità, condizione necessaria per rendere validi i sacramenti[1], è condivisa sia dalla Chiesa romana sia da quelle orientali. Quale è dunque il problema? Interviene ancora Mimmo: “Secondo il mio amico idraulico bielorusso Yuri (ma dopotutto) la Chiesa romana ha perduto la vera ed originaria Fede”. “Ma questo, caro Mimmo –ribatto subito- è il leitmotiv tipico di ogni scismatico come giustifica che poi non si riesce mai a definire. Eppure, anche qui, analizzando realmente il processo storico che ha portato alla spaccatura tra Occidente ed Oriente cristiano, si comprende benissimo che la colpa di tale divisione è per lo più esclusivamente degli pseudo-ortodossi”. “Ed adesso tocca a te dimostrarlo, nonno”, mi dice Mimmo con aria di sfida.“Cominciamo allora dagli interessi politici. Sin dai primi secoli, la Chiesa Apostolica ha ribadito che il primato nella Chiesa spetta al vescovo di Roma, il Papa. Ne parla il Vangelo, lo ribadirono i Padri della Chiesa, lo affermarono solennemente i Concilii ecumenici, così come già detto in altre occasioni … vattele a ripassare. Negli Acta del Concilio di Nicea (325), ad esempio, al canone VI leggiamo, a proposito della precedenza di alcune sedi sulle altre: “In Egitto, nella Libia e nella Pentapoli siano mantenute le antiche consuetudini per cui il vescovo di Alessandria abbia autorità su tutte queste province; anche al vescovo di Roma infatti è riconosciuta una simile autorità. Ugualmente ad Antiochia e nelle altre province siano conservati alle chiese gli antichi privilegi”. La Chiesa poneva il vescovo di Alessandria, il vescovo di Gerusalemme e il vescovo di Antiochia come Patriarchi, ossia Vescovi con particolare onore e con particolare potere di giurisdizione su quelle regioni. Il Canone specifica che anche al Vescovo di Roma è riconosciuta una simile autorità, segno che i nuovi patriarcati venivano costituiti sul modello di quello romano, sebbene esclusivamente il Papa romano mantenesse il primato pietrino. Il primato di Roma non fu mai pienamente tollerato dal potere ecclesiastico e soprattutto politico delle regioni orientali. Già Costantino pare, secondo vari autori, che decise di farsi battezzare come ariano in punto di morte, in segno di disprezzo verso la Chiesa di Roma, Chiesa che insieme a tutte le altre aveva dichiarato – proprio nel Concilio da egli stesso convocato a Nicea – l’arianesimo come eresia. Dieci anni dopo Nicea, infatti, lo stesso Costantino convocò un conciliabolo a Tiro, dove condannò il vescovo patriarca di Alessandria, Sant’Atanasio, approvando il credo ariano. Le prime incrinature con l’Oriente, dunque, sono di natura prettamente politica. Costantino e i successivi imperatori cristiani cercavano di manovrare la Fede per questioni di potere e non di Verità religiosa. Fu sotto Teodosio, nel 381, che il Concilio di Costantinopoli I stabilì solennemente valide ed immutate le decisioni del Concilio di Nicea e ribadì la condanna all’arianesimo e alle varie innovazioni teologiche che si stavano diffondendo nell’area orientale, che in quanto innovazioni costituivano di per sé eresie (… un po’come tutte le innovazioni moderniste …. capiscimi bene Mimmo!) Fu in occasione di questo Concilio, e non prima, che fu istituita la figura del Patriarca di Costantinopoli, che tuttavia aveva un primato d’onore nella regione orientale ed era però sempre sottomesso alle decisioni del Pontefice. Dunque, impossibilitati a dare fondatezza teologica per praticare l’eresia del cesaropapismo, il clero orientale e le autorità imperiali continuarono a cercare pretesti teologici per screditare la Chiesa di Roma. Il primo fu, ovviamente, quello riguardante il primato petrino. Commenterà Sant’Alfonso: “È fuori dubbio che il Signore, comunicando a Pietro il nome di “pietra”, gli comunicò la potestà vicaria di capo ( … ) Inoltre disse il Signore a Pietro: “pasce agnos meos … pasce oves meas…”. Per pasce (pasci) si intende ogni atto pastorale di presiedere, condurre, ridurre, agnos (agnelli) sono tutti i fedeli, i figli, oves (pecore madri) sono gli Apostoli ed i Vescovi loro successori … potrei dirtene tanti altri ma mi fermo qui. Più volte fu ribadito il primato petrino del vescovo romano e più volte uscirono dissensi da parte dell’Impero e del clero bizantino. Ma la Chiesa può piegarsi alle esigenze politiche? Il patriarca di Costantinopoli fu quindi scomunicato nel 1054 da Papa Leone IX, ma questi, invece di ritrattare o ubbidire, senza autorità decise di scomunicare a sua volta il Pontefice romano, compiendo una insanabile frattura fra Occidente ed Oriente, nota più tardi con il nome di Grande Scisma. Sin dal 1054, le varie chiese orientali (molto differenti al loro interno anche a livello teologico, oltre che liturgico, in quanto autocefale, cioè autonome secondo fantasia…) sono cresciute in funzione della loro ostilità a Roma. Mentre la Chiesa Cattolica ha con il tempo approfondito e chiarito solennemente, attraverso i Concilii e le affermazioni dogmatiche e magisteriali, il deposito della Tradizione ereditata dagli Apostoli, le chiese ortodosse non hanno indetto più alcun Concilio ecumenico, per timore di dar ragione alla Chiesa Cattolica anche su un singolo dogma. Ne è un esempio clamoroso il dibattito sul Purgatorio. Qualsiasi cristiano orientale ortodosso, infatti, negherà l’esistenza del Purgatorio come regno ultraterreno alternativo ad Inferno e Paradiso, in cui sono destinate le anime di coloro che muoiono in stato di grazia ma che non hanno ancora espiato definitivamente le proprie colpe. Eppure, anche gli ortodossi durante le loro celebrazioni pregano per i defunti, tradizione che arriva dall’epoca apostolica ed anche preapostolica (come dimostrano i libri dei Maccabei) e che loro continuano a trasmettere. Tuttavia gli ortodossi non hanno avuto mai il coraggio di chiedersi: perché pregare per i defunti? Chiedilo anche al tuo amico Yuri vediamo cosa risponde … Infatti, se le anime dei defunti per cui si prega sono all’inferno, le preghiere sono inutili, perché la dannazione è irrevocabile. Se invece essi sono in paradiso, le preghiere sono parimenti inutili, perché hanno già raggiunto la beatitudine, la mèta della propria esistenza. Perché dunque pregare per i defunti se non per dar loro suffragio, ossia aiutarli a raggiungere la pienezza della santità e della salute eterna? Paradossalmente, anche le tradizioni degli stessi ortodossi danno ragione ai dogmi cattolici. Gli ortodossi negano a parole il dogma del Purgatorio, ma nei fatti lo affermano. Negare una verità di fede esclusivamente per non concordare con Roma è un mero atto di superbia, nonché esternazione di poca libertà spirituale, ancora peggio: è peccato contro lo Spirito Santo (non uno, bensì tre … : impugnare la verità conosciuta … ostinarsi nel peccato, … l’impenitenza finale). Può infatti una chiesa essere veramente libera se è costretta in tutto quello che dice a confrontarsi con un’altra, e scegliere ciò che è vero e ciò che è falso in base a ciò che afferma l’altra chiesa? Tralasciando la santità di Costantino, accettata dagli ortodossi, passiamo alla “questione del Filioque”, che fu un altro pretesto per lo scisma, o della processione dello Spirito Santo. I teologi occidentali aggiunsero nel Credo niceno-costantinopolitano, per una maggiore chiarezza, che “lo Spirito Santo […] procede dal Padre “e” dal Figlio”. Essa è dunque la terza Persona della Santissima Trinità. I teologi orientali, invece, sostenevano che lo Spirito Santo procedesse solo dal Padre e che fosse dunque la seconda Persona trinitaria. Spiega Padre Dragone nel Catechismo di San Pio X commentato: “Da tutta l’eternità il Padre, per via della conoscenza genera il Figlio in modo perfetto e totale, come un atto unico e puro. Il Figlio è quindi perfetto come il Padre da tutta l’eternità. Il Padre contemplando da tutta l’eternità il Figlio Lo ama con un amore infinito, e il Figlio da tutta l’eternità ricambia il Padre con lo stesso amore. Padre e Figlio, con un atto unico e perfettissimo spirano a vicenda un amore eterno, infinito, perfetto, Amore che è la Terza Persona, eguale e distinta dal Padre e dal Figlio, e che riceve tutto il suo essere dal Padre e dal Figlio, come da unico principio o fonte d’amore”. Il Vangelo stesso dichiara che lo Spirito Santo non è la seconda, ma la terza Persona della Trinità: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo”(S.Matteo XXVIII,19). Caterina dimostra di inserirsi correttamente nella discussione e ci ricorda: “ … ma diversi Papi si sono sforzati con ogni mezzo, amorevolezza ed energia, di ricondurre gli orientali sulla retta strada dottrinale, come nei confronti ad es. di Michele Cerulario, ed essi più volte sembravano esserne convinti, come al Concilio di Firenze. Ed anche in questo caso, tornati a casa ritrattarono subito i documenti ivi firmati, un ribaltone in piena regola, come il conciliabolo vat’inganno secondo, sempre fomentati da coloro che per padre hanno il ‘farfariello’ e sono nemici di tutti gli uomini, ma in particolare dei cristiani. A questo punto però, la sede di Costantinopoli, in balia di una cotale eresia anti-filioque, senza sostegno divino (ricordiamo che disprezzare lo Spirito Santo significa condannarsi “in cielo e in terra” senza misericordia alcuna, e così fu …) venne spazzata via in pochissime battute, con ferocia cruenta impressionante, dalle orde dei maomettani, cancellata per sempre come vera cattedra apostolica! Come doveva poi succedere in Russia, in tempi più recenti, e fino ad oggi in Iraq, in Siria e così via”. Brava Caterina, vedo che hai ben approfondito la questione, anche ci sarebbe ancora molto da dire, ma … ragazzi, adesso sono stanco, è l’ora del biscottino della nonna Genoveffa (mia moglie, per chi non avesse letto le precedenti missive) … ne riparliamo anzi, presentatemi i vostri amici orientali, così potremo conoscere più da vicino i loro usi e … costumi religiosi”. Caro direttore, la saluto e non dubiti, le farò sapere come andrà a finire!

Preghiera per i giorni delle QUATTRO TEMPORA

Da: “Via del paradiso”, Siena 1823 – imprimatur –

“O Dio sapientissimo, Dio santissimo, che ci avete insegnato per bocca del vostro santo Angelo Raffaele, che l’orazione accompagnata dal digiuno, e dalla limosina è un sacrificio grato alla vostra divina Maestà, e ci avete dichiarato di vostra propria bocca esservi una specie di demoni che non si vince se non coll’orazione e col digiuno, siate benedetto d’aver’ispirato alla vostra Chiesa di consacrare al digiuno ed all’orazione tre giorni in ogni stagione dell’anno.

Degnatevi, Vi prego, di accettare a gloria vostra, l’esaltazione della santa Chiesa e a santificazione delle anime nostre, il sacrificio del nostro spirito per mezzo dell’orazione e del nostro corpo per mezzo del digiuno, che Vi offriamo in queste Tempora. Accettateli, Vi supplico, in ringraziamento di tanti benefici che abbiamo da Voi ricevuti, e de’ quali ci riconosciamo indegni. Accettateli in penitenza delle colpe passate, delle quali Vi chiediamo umilmente perdono. Con questo santo digiuno, che indebolisce la carne, indebolite gli sforzi del demonio contro di noi, e fortificateci nel vostro santo servizio; elevateci ed uniteci inseparabilmente a Voi per mezzo dell’orazione, moltiplicando sopra di noi le vostre grazie, e benedizioni.

E poiché appartiene principalmente ai vostri Ministri di ottenerci queste grazie e benedizioni in questi tempi che la santa Chiesa ha destinato all’Ordinazione dei Sacerdoti, dateci per vostra bontà uomini secondo il vostro cuore, che si applichino unicamente a conoscere ed adempire le vostre sante volontà. Ispirate ai Pastori di eleggere all’augusto e santo Sacerdozio persone piene di scienza, di virtù e di zelo, che possono elevare al Cielo le mani pure ed offrirVi degnamente il Sacrificio pel vostro popolo. Imprimete nel loro spirito le vostre sante Verità, animate il loro cuore coll’amor della vostra santa legge, riempiteli di zelo per le anime, acciò essendo essi lucerne ardenti e luminose avanti a Voi e avanti agli uomini, possano con l’esempio servire di guida ai fedeli per condurli sicuramente al Cielo. Così sia.

raphael-sara-tobia1

QUATTRO TEMPORA

(Dom Guéranger: “l’anno liturgico”)

   La Chiesa pratica in questo giorno (mercoledì dopo Pentecoste – n.d.r. -) il digiuno chiamato delle Quattro Tempora, il quale si estende anche al Venerdì e al Sabato seguenti. Questa osservanza non appartiene punto all’economia dell’Avvento; essendo una delle istituzioni generali dell’Anno Ecclesiastico. Si può annoverare nei numero delle usanze che la Chiesa ha derivate dalla Sinagoga; poiché il profeta Zaccaria parla di digiuno del quarto, del quinto, del settimo e del decimo mese. L’introduzione di tale pratica nella Chiesa cristiana sembra risalire ai tempi apostolici; questa è almeno l’opinione di san Leone, di sant’Isidoro di Siviglia, di Rabano Mauro e di parecchi altri scrittori del l’antichità cristiana: tuttavia, è da notare che gli Orientali non osservano tale digiuno.

Fin dai primi secoli, le Quattro Tempora sono state fissate, nella Chiesa Romana, alle epoche in cui si osservano ancora attualmente; e se si trovano parecchie testimonianze dei tempi antichi nelle quali si parla di Tre Tempora e non di Quattro, è perché le Tempora di primavera, cadendo sempre nel corso della prima Settimana di Quaresima, non aggiungono nulla alle osservanze della Quarantena già consacrata a un’astinenza e a un digiuno più rigorosi di quelli che si praticano in qualsiasi altro tempo dell’Anno.

Le intenzioni del digiuno delle Quattro Tempora sono nella Chiesa le stesse che nella Sinagoga: consacrare cioè, mediante la penitenza, ciascuna delle stagioni dell’anno. (…) Esso [il digiuno] è la fonte di pensieri casti, di risoluzioni sapienti, di consigli salutari. Mediante la mortificazione volontaria, la carne muore ai desideri della concupiscenza, lo spirito si rinnova nella virtù. Ma poiché il digiuno non ci basta per acquistare la salvezza delle nostre anime, suppliamo al resto con opere di misericordia verso i poveri. Facciamo servire alla virtù quello che togliamo al piacere; e l’astinenza di colui che digiuna divenga il nutrimento dell’indigente ».

Prendiamo la nostra parte di questi avvertimenti, noi che siamo i figli della santa Chiesa; e poiché viviamo in un’epoca in cui il digiuno dell’Avvento [e della Pentecoste –ndr.-] non esiste più, impegniamoci con tanto più fervore a soddisfare il precetto delle Tempora, in quanto questi tre giorni (…), nei quali la disciplina della Chiesa ci impone in modo preciso, in questa stagione, l’obbligo del digiuno. Rianimiamo in noi, con l’aiuto di queste lievi osservanze, lo zelo dei secoli antichi, ricordandoci sempre che se per la venuta di Gesù Cristo nelle nostre anime é soprattutto necessaria la preparazione interiore, tale preparazione non potrà essere vera in noi, senza manifestarsi all’esterno attraverso le pratiche della religione e della penitenza.

Il digiuno delle Quattro Tempora ha ancora un altro fine oltre quello di consacrare, con un atto di pietà, le diverse stagioni dell’Anno; esso ha un legame intimo con l’Ordinazione dei Ministri della Chiesa, che riceveranno la consacrazione il sabato, e la cui proclamazione aveva luogo un tempo davanti al popolo nella Messa del Mercoledì (…) I fedeli debbono unirsi alle intenzioni della Chiesa, e presentare a Dio l’offerta dei loro digiuni e delle loro astinenze, con lo scopo di ottenere degni Ministri della Parola e dei Sacramenti, e veri Pastori del popolo cristiano.

Divinità dello Spirito Santo.

 

Divinità dello Spirito Santo.

[J.-J. Gaume: Trattato dello Spirito Santo, vol. II]

Gaume-282x300

Dio, la Trinità e la divinità dello Spirito Santo! Nel linguaggio della rivelazione come nella fede dei popoli, queste tre verità sono talmente unite, che la certezza della prima implica la certezza delle due altre. Ora, Dio esiste con tutti gli attributi coi quali L’adora il genere umano. Innanzi a tutti i secoli, al di là di tutti i mondi evvi un Essere personale, eterno, infinito, immutabile che é a sé medesimo il suo principio e la suà felicità. Come essere sempre fecondo Egli é la vita di tutte le vite, il n. 1, centro di tutti i movimenti, il principio e la fine di tutto ciò che è. Come l’Oceano che contiene la goccia d’acqua nella sua immensità, Egli avvolge nel suo seno l’universo e le sue molteplici creazioni. Egli è dentro e fuori, è lontano e vicino, infine dappertutto. Nell’astro che brilla nella fronte dei cieli Egli vi é; nell’aria che mi fa vivere, vi è. Nel calore che mi anima e nell’acqua che mi disseta; nell’alitare del vento, come nei muggiti delle onde; nel fiore che mi rallegra e nell’animale che mi serve; nello spirito e nella materia, nella culla e nella tomba, nell’atomo e nell’immensità; nel rumore e nel silenzio egli è desso sempre e dapertutto. Egli intende ogni cosa; e la musica armoniosa delle sfere celesti, ed i giocondi canti della lodoletta, ed il ronzio dell’ape, ed il ruggito del leone, e il passo della formica, e il rumor della foglia agitata, e il respiro dell’uomo, e la preghiera del giusto, e le bestemmie del malvagio. Ei vede tutto; il sole che splende agli sguardi dell’universo, e l’insetto nascosto sotto l’erba, ed il vermiciattolo sepolto sotto la scorza dell’albero, e l’impercettibile infusorio perduto negli abissi dell’Oceano. Ei vede il giuoco vario dei loro muscoli e la circolazione del loro sangue, ed i pensieri del mio spirito, e i palpiti del mio cuore, ed i bisogni dell’augellino che domanda il suo cibo, ed i voti solitari del debole, e le lacrime dell’ oppresso. Ei tutto governa; e l’innumerevole esercito dei cieli: e le stagioni, ed i venti, e le tempeste, ed i secoli, ed i popoli, e le umane passioni, e le potestà delle tenebre, e le creature prive di ragione, e gli esseri dotati d’intelligenza. Ei nutrisce, Ei riscalda, Egli alloggia, veste, protegge, conserva tutto ciò che respira; imperocché tutto ciò che respira, non respira che per Lui e non dee respirare che per Lui.

Come fonte eterna del vero, e regola immutabile del bene, Ei dà all’uomo la luce per conoscerlo, la forza per compierlo. Nella sua bilancia infallibile Ei pesa le azioni dei re e dei sudditi, degli individui e dei popoli. Rimuneratore supremo della virtù, e vendicatore incorruttibile del vizio, egli cita al suo tribunale il debole ed il potente, e il giusto che Lo adora, e l’empio che L’oltraggia. Agli uni manda dei gastighi senza misericordia e senza speranza, agli altri una felicità perfetta e senza fine. 0 Essere superiore a tutti gli esseri, Creatore e moderatore dell’universo! Tutto proclama la vostra esistenza; e le magnificenze del cielo, e lo sfolgorante abbigliamento della terra, e la obbedienza figliale dell’onde irritate, e le virtù dell’ uomo dabbene, ed i castighi del colpevole, e la demenza stessa dell’ateo. Chi parla, Vi loda con le sue acclamazioni; ciò che è muto, Vi loda col suo silenzio. Ogni cosa venera la vostra maestà, e la viva e la morta natura. A Voi s’indirizzano tutti i dolori; verso di Voi s’innalzano tutte le preghiere. Creatore, Conservatore, Moderatore, Padre, Giudice, Rimuneratore e Vendicatore, tutti i nomi di potenza, di sapienza, d’amore, d’indipendenza e di giustizia Vi sono dati; tutti Vi convengono e non pertanto nessuno saprebbe nominarVi. Essere al disopra di tutti gli esseri, questo nome è il solo che non sia di Voi indegno. “Ego sum qui sum”. Un Essere al disopra di tutti gli esseri, un Dio autore e regolatore supremo del mondo e dei secoli, tale è il domma fondamentale che proclama l’universo e dinanzi al quale si sono piegati, con la fronte nella polvere, tutte le generazioni che da sei mill’anni, sono passate sulla faccia del globo. Contro questo fatto su cui riposa, come l’edifizio sulla sua base, la fede dell’uman genere, che cosa provano e che possono i dinieghi dell’ateo?

Che cosa provano? Quello che prova una voce scordante in un vasto concerto. La si fa tacere o si fa ritornare all’unisono, e senza di lei o con lei, il concerto continua. Che cosa possono essere? quello che può il debole dardo, scagliato nel passare dall’Arabo fuggitivo, contro la piramide del deserto. L’Arabo sparisce, e la piramide rimane. Alla sua volta, cosa vuole da noi la filosofia razionalista col suo dio di fabbrica umana, col suo dio travicello, col suo nulla? Essere di ragione o piuttosto di sragione, dio impersonale, sordo, muto, indifferente alle opere ed ai bisogni delle sue creature, prodotto variabile del pensiero individuale; no, tale non è, tale non fu in nessun epoca e sotto alcun clima, il Dio dell’uman genere. La sua storia l’attesta: « Giammai, dice un uomo che la conosce a fondo, giammai le nazioni caddero cosi basse nel culto degli idoli, da perdere la cognizione, più o meno esplicita di un solo vero Dio, creatore di tutte le cose. » Il domma dell’unità di Dio non è vero soltanto perché ha tanti testimoni quanti sono astri nel firmamento, e fili d’erba sulla terra; ma è vero altresì perché è necessario. Quel che è il sole nel mondo fisico, Iddio lo è per tutti il rispetti, e più ancora, nel mondo morale. Immaginate che il sole invece di continuare a versare sul globo i suoi torrenti di luce e di calore, venga egli tutt’ad un tratto a estinguersi; e poi sappiatemi dire che cosa diventa la natura. La vegetazione in un istante si arresta ; i fiumi ed i mari diventano tante pianure di ghiaccio; la terra s’indurisce come lo scoglio ; tutti gli animali malefici che la luce incatena nei loro antri tenebrosi, escono fuori dai loro nascondigli e s’invitano al carname; il terrore e lo spavento s’impadroniscono dell’uomo, dovunque regna la confusione, la disperazione e la morte, pochi giorni bastano per ricondurre il mondo nel caos. Appena che Iddio, sole necessario delle intelligenze, venisse a sparire, tosto la vita morale si estinguerebbe. Tutte le nozioni del bene e del male si cancellano, l’errore e la verità, il giusto e l’ingiusto si confondono nel diritto del più forte. In mezzo a queste tenebre, tutte le più schifose cupidigie, sopite nel cuore dell’uomo si risvegliano, e senza timore, come senza rimorsi, si disputano i mutilati brandelli delle fortune, delle città e degli imperi ; la guerra è dappertutto, la guerra di tutti contro tutti, e il mondo non è più che una caverna di ladri e di assassini. Questo spettacolo, non vidde mai occhio d’uomo, molto meno ha visto 1’universo senza l’astro che lo vivifica. Ma quel che ha visto, é un mondo in cui, simile al sole velato da folte nebbie, l’idea di Dio non gettava più che un bagliore incerto. Attraverso a tenebre nelle quali essi si erano volontariamente sepolti, i popoli pagani non scorgevano che indistintamente l’unità incomunicabile dell’essenza divina. Perocché la fiaccola che dovea dirigerla vacillava al vento delle passioni, degli interessi e delle opinioni; il loro cammino intellettuale e morale fu or titubante, ora assurdo, ora retrogrado; gli dei fuorviavano l’uomo. Eterne dubbiezze intorno a questioni più importanti e più semplici, superstizioni grossolane e crudeli, sistemi oscuri o immorali, condannano il genere umano al castigo venti volte secolare dell’idolatria. Ivi, giacciono ancora incatenate le moderne nazioni, lontane dalle benedette zone sulle quali rifulge di tutto il suo splendore il domma tutelare dell’unità divina. Non può essere altrimenti: tra l’uomo e il male, non vi é che una barriera: Iddio; Iddio conosciuto e rispettato. Togliete Iddio, l’uomo senza freno e senza regola, diventa una belva feroce, il quale scende con delizia sino ai combattimenti dei gladiatori ed ai banchetti di carne umana. Per la ragione contraria, vogliamo noi impedire all’uomo di cadere nell’abisso della degradazione e dell’infortunio? Se vi si trova sepolto, vogliamo noi ritrarnelo fuori e condurlo al più alto grado di luce, di virtù e di felicità? Facciamo tregua ai discorsi, tregua alle combinazioni ed ai sistemi: basta una parola. Dite al grande infermo: “vi è un Dio, alzati e cammina alla sua presenza”. Che il genere umano pigli questa parola sul serio, in modo tale che il domma sovrano dell’unità divina, gravi con tutto il suo peso sugli spiriti e sulle volontà, e l’infermo è guarito. Iddio regna; e l’uomo è illuminato dalla sola luce che non sia ingannatrice; egli è virtuoso della sola virtù, che non sia una maschera; esso è felice della sola felicità, che non sia una fraude; egli è libero della sola libertà, che non sia una vergogna, né un delitto, né una menzogna. [Ambula coram me et esto perfectus. Gen. XVII, 1]. Noi lo ripetiamo con una sola parola: Vi è un Dio, il mondo sarà guarito; se no, no. Questa parola fu detta un giorno sul genere umano, incancrenito di paganesimo, detta dappertutto, detta con una autorità sovrana, e il gran Lazzaro sorse dal suo letto doloroso, e cuoprì di ardenti baci la mano che lo aveva salvato. Filosofi, politici, senato, areopago, voi tutti che vi deste e che vi date ancora pei risanatori delle nazioni, quella mano non fu la vostra, né mai sarà. Tuttodì ancora questa parola sovrana vien pronunziata in Europa su qualche anima inferma; nelle isole lontane dell’Oceania, su qualche popolazione antropofaga; e da vicino come da lontano, produce sotto i nostri occhi l’effetto miracoloso che produsse milleottocento anni fa. Tale è, confermata dalla ragione e dalla storia, la potenza salutare, cioè la verità del domma dell’unità di Dio. Ma che cosa è questo Dio? Dio, è il Padre e il Figliuolo e lo Spirito Santo, tre Persone distinte in una sola e medesima divinità. In altri termini, Dio è la Trinità; né può essere altra cosa. Interrogato su ciò che egli è, lo stesso Dio ha risposto: Io sono colui che sono; io sono l’Essere, l’Essere assoluto, l’Essere senza qualificazione [“Ego sum qui sum.” Exod. III, 14.]. Ora l’essere assoluto, possiede necessariamente tutto ciò che costituisce l’essere, e lo possiede in tutta la sua perfezione. Tre cose costituiscono l’essere.; la misura, il numero, il peso. [Omnia in mensura, et numero, et pondere disposuisti, Sap., XI, 21. 3 Mensura omni rei modum praefìgit, et numerus onmi rei speciem praebet, et pondus omnem rem ad quietem et stabilitatem trahit. S. Aug. De Gen. ad Litt., lib. IV, c. III.]. Negli esseri materiali, la misura è il fondamento o la sostanza; il numero, è la figura che modifica la sostanza; il peso è il vincolo che unisce la sostanza alla figura, e tra di esse, tutte le parti dell’essere. Cercate in tutta la natura, dal cedro al filo dell’erba, dall’elefante ai vermiciattoli del monte in mezzo alla sabbia, voi non troverete un solo essere che non riunisca queste tre cose. Esse sono talmente essenziali, che con una di meno, l’essere non può esistere, nemmeno concepirsi. Così se togliete la sostanza, che cosa avete voi? il nulla; la figura? il nulla; il vincolo ? il nulla. La misura, il numero e il peso non sono nelle creature se non perché Iddio ve le ha messe. Iddio ve le ha messe perché le possiede, vale a dire perché è Lui stesso misura, numero e peso. Come abbiamo visto circa il domma dell’unità di Dio, cosi la Trinità ha dunque altrettanti testimoni quante sono nell’universo creature inanimate, astri nel firmamento, atomi nell’aria e fili d’erba sulla terra: quest’è il pensiero dei più grandi genii. « In tutte le creature, dice sant’Agostino, appare il vestigio della Trinità. Ciascun’opera del divino Artefice presenta tre cose: l’unità, la bellezza, e l’ordine. Ogni essere è uno, come la natura dei corpi e l’essenza delle anime. Questa unità riveste una forma qualunque, come le figure o le qualità dei corpi, le dottrine o i talenti delle anime. Questa unità e questa forma, hanno tra loro dei rapporti e sono di un ordine qualunque. Così nei corpi, la gravità e la posizione ; nelle anime l’amore e il piacere. Da questo, poiché è impossibile di non intravvedere il Creatore nello specchio delle creature, noi siamo condotti a conoscere la Trinità, della quale ciascuna creatura presenta un vestigio più o meno splendido. Difatti, in questa sublime Trinità vi è l’origine di tutti gli esseri, la perfetta bellezza, il supremo amore.

Trinità! ecco secondo Lattanzio, sant’Atanasio, san Dionigi d’Alessandria, Tertulliano, il domma che proclama incessantemente, a coloro che hanno orecchi per udire, l’università degli esseri. I più nobili lo ripetono con una voce più sonora. Sarebb’egli giusto che fosse altrimenti? Non devono essi un omaggio particolare all’augusto mistero, il cui vestigio più luminoso, segnato sulla loro fronte, è la ragione stessa e la misura della loro nobiltà? Cosi il sole, l’albero, la fonte, sono tanti predicatori eloquenti della Trinità. Nell’unità della stessa essenza essi ci mostrano, uno: il centro, il raggio, il calore: l’altro la radice, il tronco ed i rami; il terzo il serbatoio, il corso ed il fiume. L’angelo della scuola (san Tommaso), nello spiegare la dottrina dei Padri, aggiunge che: « In ciascuna creatura trovansi delle cose che si riferiscono necessariamente alle divine Persone, come alla loro causa. Difatti ogni creatura ha il suo proprio essere, la sua forma, il suo ordine e peso. Ora, come sostanza creata, essa rappresenta la causa e il principio, e dimostra la Persona del Padre che è il principio senza principio. In quanto essa ha una forma, rappresenta il Verbo, e come forma dell’opera concepita dall’operaio. In quanto essa ha l’ordine e il peso, rappresenta lo Spirito Santo, come amore che unisce gli esseri tra loro che procedono dalla volontà creatrice. A ciò si riferiscono la misura, il numero ed il peso: la misura alla sostanza dell’essere ; il numero alla forma; il peso all’ordine. » Se le creature inanimate, che sono le ultime nella scala degli esseri, presentano il vestigio della Trinità, è chiaro che questo vestigio dee rifulgere con più splendore nelle creature di un ordine superiore. Ma che dico? non è solamente il vestigio che noi troveremo ma la immagine. «Ogni effetto, continua san Tommaso, rappresenta la sua causa in parte, ma in modi differenti. Un certo effetto rappresenta soltanto la causalità della causa, senza indicazione della forma. Per tale modo il fumo rappresenta il fuoco. Tale rappresentazione si chiama rappresentazione per vestigio. E con ragione, imperocché il vestigio prova che un essere é passato da questo; ma non dice quale sia. Cert’altro effetto rappresenta la causa, quanto alla rassomiglianza. Così il fuoco generato rappresenta il fuoco generatore, la statua di Mercurio, Mercurio. Questa rappresentazione si chiama così per immagine. « Ora le processioni delle Persone divine si considerano secondo gli atti dell’intelletto e della volontà. Difatti, il Figliuolo procede, come la parola, dall’intelletto; lo Spirito Santo, come l’amore, dalla volontà. Ne resulta che nelle creature ragionevoli dotate d’intelletto e di volontà si trova la rappresentazione della Trinità in forma d’immagine, poiché trovasi in esse il Verbo concepito e l’amore che deriva». Ne resulta ancora che il domma della Trinità ha tanti riflessi, quanti sono Angeli in cielo, demoni nell’inferno, e uomini venuti o da venire sulla terra, dal principio del mondo sino alla fine. Riassumendo: ciò che nelle creature inanimate è misura, numero e peso, si chiama nelle creature ragionevoli potenza, sapienza, amore; e in Dio: Padre o potenza, Figliuolo o sapienza, Spirito Santo o amore mutuo del Padre e del Figliuolo. Queste tre cose: potenza, sapienza, amore, sono talmente essenziali in Dio, che una di meno, Dio non è, né può nemmeno concepirsi. Se voi Gli togliete la potenza che cosa avete? il nulla. La sapienza? il nulla. L’amore? il nulla. Abbiamo aggiunto che Dio possiede le tre condizioni essenziali dell’essere in tutta la loro perfezione. Ora nell’Essere propriamente detto, la perfezione di queste condizioni è di essere reali, sostanziali, sussistenti per sé medesimi; in una parola vere ipostasi o Persone distinte. Aspettando le prove dirette del domma della Trinità, ciò sia detto, non per dimostrare ciò che è non dimostrabile, ma per mostrare che l’augusto mistero non ha niente di contrario alla ragione, e che anche la vera filosofia ne sospetta l’esistenza innanzi d’averne la certezza. Cosi Dio l’ha voluto. E perché ? Da un lato, a fine di non lasciarsi senza testimonianza, imprimendo le sue vestigia o la sua immagine in tutte le creature; dall’altro lato, allo scopo di dare agli uomini e specialmente alle nazioni cristiane il mezzo di raggiungere la loro perfezione, pigliando per modello la Potenza infinita, la Sapienza infinita e l’infinito Amore. Di fatti, se il domma dell’Unità di Dio fu il sole del mondo giudaico, il domma della Trinità è il sole del mondo evangelico. Ora, quel che è la rosa in boccio alla rosa sbocciata, il domma dell’unità di Dio sta al domma della Trinità. Camminare alla presenza di un Dio in tre Persone chiaramente noto, è dunque per i popoli cristiani la legge del loro essere e la condizione della loro superiorità. Se questa legge del loro essere vengono essi a dimenticarla o a disconoscerla, cadono sull’istante dalle altezze luminose del Calvario, e retrocedendo di quaranta secoli, ricadono nelle tenebre del Sinai. Ma non si arresta qui la loro caduta. Un popolo cristiano non può cessare d’esserlo, senza discendere al disotto dell’ebreo, al disotto del maomettano, senza diventare una razza degradata che non ha nome nell’umano linguaggio. Tale è la condizione della sua superiorità. La perfezione intellettuale e morale di una società è sempre in ragione diretta della nozione che essa ha di Dio. Quanto la cognizione chiara dell’unità divina innalzò i figli d’Israello al disopra delle nazioni pagane, altrettanto la rivelazione della Trinità innalza i popoli cristiani al disopra del popolo ebreo. Che lo sappiano le società battezzate o che lo ignorino, che lo credano o lo neghino, è nelle profondità di questo domma eternalmente fecondo, che trovasi la sorgente nascosta della loro superiorità sotto tutti i rapporti. La Trinità è il cardine del Cristianesimo, per conseguenza la principale divisa delle società nate dal Cristianesimo. Togliete questo domma, e l’incarnazione del Verbo non è altro che una chimera; la redenzione del mondo una chimera; l’effusione dello Spirito Santo una chimera; la comunicazione della grazia una chimera; i sacramenti una chimera; il Cristianesimo tutto quanto una chimera, e la società una rovina.

Vedere l’augusta Trinità nello specchio delle creature, non è più illusione che il riconoscere l’albero dai suoi frutti o l’operaio dalla sua opera. Per conseguenza le vedute ed i ragionamenti dei grandi genii che abbiamo citati, sono confermati autenticamente dallo stesso Creatore. Tre capi d’opera riassumono ai nostri occhi la sua opera esteriore: il mondo materiale, l’uomo ed il cristiano. Ora, come l’artefice pone la sua impronta ad ogni prodotto della sua industria e si fa in tal modo conoscere al pubblico; cosi Iddio medesimo ci dice che si è scolpito in caratteri indelebili su ciascuno dei suoi capolavori, in modo da dichiararsi l’autore di tutti gli esseri e di manifestarsi a chiunque possegga occhi per vedere e uno spirito per comprendere. Dice san Paolo: « Il Vangelo non mi fa arrossire, perché é la virtù di Dio per salvare coloro che credono. Cosi ci è altresì rivelata l’ira di Dio che scoppierà dal cielo contro tutta l’empietà e l’ingiustizia di quelli uomini, i quali ritengono ingiustamente la verità’ di Dio; poiché ciò che possiamo conoscere di Dio è loro noto: Dio medesimo lo ha loro manifestato. Di fatti le cose che sono invisibili in sé, come la sua eterna potenza e la sua divinità, sono diventate visibili nello specchio della creazione, di maniera che sono inescusabili, poiché avendo conosciuto Dio non lo hanno punto glorificato come Dio. » Vogliamo noi vedere quanto è legittima quest’ira ispirata contro i negatori o i disprezzatori della Trinità? Studiamo la condotta dello stesso Dio. Ei vuole che il suo primo organo, Mosè, cominci la storia del mondo dalla rivelazione della Trinità creatrice. « Iddio, nel principio, crea il cielo e la terra, e lo Spirito di Dio era portato sulle acque.[Gen.I, 1, 2.] » Su di che il più autorevole come il più profondo degli interpetri, sant’Agostino, cosi si esprime: « Nel momento stesso in cui la creazione in massa fu chiamata dal nulla sotto il nome di cielo e di terra per indicare ciò che doveva esser fatto, la Trinità del Creatore è insinuata. Dice la Scrittura: “Nel principio Dio creò il cielo e la terra. Ora sotto il nome di Dio noi comprendiamo il Padre; sotto il nome di Principio il Figliuolo che non è principio per il Padre ma per tutte le creature; e quando la Scrittura aggiunge: E lo Spirito di Dio era portato sulle acque, noi abbiamo la rivelazione completa della Trinità, poiché questa parola indica la potenza sovrana dello Spirito Santo. »

La Trinità non contenta d’essersi rivelata nella creazione della massa materiale, essa si rivela in ciascuna opera particolare che ne trae. È anche questo un concetto del grande vescovo d’Ippona: «Nella manipolazione e nel perfezionamento della materia per formare delle creature distinte s’insinua la stessa Trinità. In queste parole: Dio dice, noi abbiamo il Verbo o la parola, e il generatore del Verbo; e in quest’altre: Dio vide che ciò era buono, abbiamo la Bontà infinita, lo Spirito Santo, per cui solo piace a Dio tutto ciò che gli piace. » Ora le stesse parole ritornano sette volte nell’opera della creazione; cosicché ripetesi per sette volte la proclamazione del domma della Trinità; sette volte l’affermazione divina che il mondo materiale nel suo insieme ed in ciascuna delle sue parti porta il suggello del suo Autore. Ascoltiamo un altro commentatore, del pari degno di nota per la purità del suo cuore e per la solidità della sua scienza: « Il libro che contiene l’origine delle cose, dice l’Abate Ruperto, comincia con queste parole: “Al principio Dio creò il cielo e la terra”. Poiché la stessa creazione è il principio del mondo, perché dicesi: “Al principio Iddio creò”? È la stessa cosa come se avesse detto: al principio cominciò. Se lo pigliamo qui nel significato volgare, la parola cominciamento, forma una tautologia ridicola. È dunque ben fondato il prenderlo per un nome proprio del Figliuolo. Egli stesso vuole cosi, poiché interrogato dai Giudei che Gli dicevano : Chi siete voi ? Egli risponde: lo sono il Cominciamento o il Principio, Io che vi parlo. » Difatti, è veramente nel Principio che Dio creò il cielo e la terra, poiché tutte le cose sono state fatte da Lui. La medesima Scrittura conferma questa interpretazione, quando altrove dice: “Voi avete fatte le cose per mezzo della Sapienza”. Ora questa Sapienza non è altro che il Verbo di Dio, il Quale come abbiamo visto si chiama Lui stesso il Principio. E lo Spirito di Dio era portato sulle acque. La materia esiste ma è informe; bisogna darle la vita e la bellezza. Lo Spirito di Dio fa per essa ciò che l’uccello, col suo calore, fa sul pulcino rinchiuso nell’uovo: lo scalda, lo anima, lo vivifica e ne fa un essere dotato di tutte le sue perfezioni. Chi pensate voi che sia questo Spirito di Dio, se non l’Amore stesso di Dio, Amore, non di affezione, ma Amore sostanziale, vita e virtù vivente dimorante nel Padre e nel Figliuolo, procedente dall’Uno e dall’Altro e consustanziale all’Uno ed all’Altro? Ora Egli si recava sulle acque, per conseguenza sulla terra racchiusa nel loro seno, perché il Creatore era attratto da un immenso amore verso la sua creatura; e non potendo essere Lui medesimo ciò che avea creato, voleva trarne tanti esseri capaci di unirsi a Lui. Questa Bontà, quest’Amore del Creatore è lo stesso Spirito Santo: « In testa del Libro dei libri, è dunque splendidamente iscritto il domma della Trinità creatrice. Nel nome di Dio noi vediamo il Padre; nel nome del Principio il Figliuolo; in quello che è portato sulle acque, lo Spirito Santo. » Come prova di questa interpretazione cosi netta e tanto autorevole, gli interpreti più abili nella lingua ebraica, fanno valere l’anomalia grammaticale del testo ebraico. Letteralmente egli deve tradursi: nel ‘principio “gli Dei” creò. Perché questa forma strana? Perché il concetto deve essere superiore a tutte le parole, e che dinanzi alla volontà sovrana di Colui che nella prima parola ispirata dal suo primo organo vuole rivelare la sua Essenza divina, debbono piegare tutte le leggi della grammatica. Elohim, “gli Dei”, al plurale indica in Dio la pluralità delle persone, come l’unità di essenza è indicata dal verbo singolare “Bara” creò. La storia della creazione del mondo materiale comincia dunque con la rivelazione del domma della Trinità. Alla stessa guisa comincia la storia della creazione dell’uomo, “Facciamo l’uomo ad immagine e somiglianza nostra, dice il Creatore; e il divino Artefice incide se medesimo a caratteri indelebili, fin nell’essenza di quella nuova creatura. Consideriamo prima di tutto la profondità del linguaggio biblico: queste due parole immagine e somiglianza non sono una inutile ripetizione. Una è il preambolo dell’altra: entrambi riunite rivelano all’uomo e i suoi rapporti con Dio, e il fine della sua vita. Al Padre della stirpe umana e ad ognuno dei suoi discendenti essi dicono : « Dotato della triplice facoltà di ricordarti, di conoscere e di amare, tu sei fatto ad immagine del Dio Trinità. Questa immagine è improntata perfino nei più intimi penetrali del tuo essere. Ebreo, pagano, cattolico, eretico, giusto o peccatore, chiunque tu sii, e qualunque cosa tu faccia, finché sarà vero che tu sei uomo, sarà vero che tu sei l’immagine di Dio. Dannato, tu la porterai nell’inferno, e le fiamme eterne la bruceranno senza distruggerla. » Non è il fine della tua vita il conservarla, ma il perfezionarla, insino a formare in te la rassomiglianza con Dio. Tale è la legge del tuo essere e la condizione della tua felicità. Come peccatore tu perdi questa somiglianza; come giusto sulla terra, tu l’hai, ma imperfetta; santo nel cielo tu la possederai nella sua perfezione. Allora, e allora soltanto tu potrai dire: Io ho raggiunto il fine della mia creazione: sono simile a Dio. Se non vi ha dottrina più sublime di questa, nessun’altra è più certa. « Alla immagine di Dio impressa nell’anima mia, dice san Basilio, io debbo l’uso della ragione: alla grazia d’essere cristiano, la rassomiglianza con Dio. » E san Girolamo : « Bisogna osservare che l’immagine solamente è fatta in noi dalla creazione; la rassomiglianza mediante il battesimo. » E san Crisostomo: « Dio dice immagine, a motivo dell’impero dell’uomo su tutte le creature; rassomiglianza, affinché nella misura delle nostre forze noi ci rendiamo simili a Dio con la mansuetudine, con la dolcezza, con la virtù, secondo il precetto di Gesù Cristo medesimo che dice: Siate simili al Padre rostro che è nei cieli». Lavoro magnifico del quale san Giovanni fa brillare ai nostri occhi il complemento eterno quando egli scrive: « 0 diletti, noi siamo adesso i figli di Dio; ma non si sa ancora quel che noi saremo. Solamente sappiamo che quando Egli apparirà noi saremo simili a lui, [Jo. III, 2] ». Ma in che consiste questa immagine della Trinità che portiamo in noi medesimi? In nome di tutti lasciamo parlare due grandi maestri della dottrina; sant’Agostino e Bossuet: « Occupandoci della creazione, dice il primo, abbiamo per quanto da noi dipenderà, avvertito coloro che cercano la ragione delle cose, di applicare tutta la forza del loro spirito nel considerare le perfezioni invisibili di Dio, nelle sue opere esteriori, e principalmente nella creatura ragionevole che è stata fatta ad immagine di Dio. Là, come in uno specchio essi vedranno se sono capaci di vedere la Trinità divina nelle nostre tre facoltà; la memoria, l’intelletto, e la volontà. « Chiunque distingue chiaramente queste tre cose scolpite nell’anima propria dalla mano del Creatore, e che considera quanto è grande il vedere in quest’anima creata la natura immutabile di Dio, ricordata, veduta, amata; imperocché ce ne ricordiamo mediante la memoria, Lo vediamo mediante l’intelletto, e Lo amiamo per mezzo della carità; quegli trova senza dubbio in sé medesimo l’immagine della Trinità. Trinità sovrana, obietto eterno della memoria, dell’intelletto e dell’amore, cosicché tutta quanta la vita dee avere per fine di ricordare, di contemplare ed amare. [De Trinitate, lib. XV, n. 39] » Dopo il Vescovo d’Ippona, ascoltiamo il Vescovo di Meaux. Delineando all’uomo l’augusta immagine ch’ei porta e scongiurandolo a farne l’oggetto continuo della sua imitazione: « Questa Trinità, dice Bossuet, increata, sovrana, onnipotente, incomprensibile, a fine di darci qualche idea della sua perfezione infinita, ha fatto una Trinità creata sulla terra…. Se volete sapere qual è questa Trinità creata, della quale parlo, rientrate in voi stessi, e la vedrete; è l’anima vostra. « Di fatti, come l’augustissima Trinità ha una sorgente ed una fonte di divinità, secondo parlano i Padri greci, un tesoro di vita e d’intelligenza che noi chiamiamo il Padre, dal quale il Figliuolo e lo Spirito Santo non cessano mai di attingere, cosi l’anima umana ha il suo tesoro che la rende feconda. Tutto ciò che i sensi gli recano di fuori, ella raduna internamente: e ne fa come un serbatoio che appelliamo memoria. E nella stessa guisa che questo tesoro infinito, cioè il Padre eterno, contemplando le sue proprie ricchezze, produce il suo Verbo che é sua immagine; cosi l’anima ragionevole, piena e ricolma di belle idee, produce quella parola interiore che noi chiamiamo il pensiero, o il concetto; o il discorso, che è la viva immagine delle cose. « Imperocché noi cristiani non sentiamo, che quando concepiamo qualche oggetto; ce ne facciamo noi medesimi una pittura animata, che l’incomparabile sant’Agostino chiama il Figlio del nostro cuore: Filius cordìs nostri? [De Trin. IX c. VII] Finalmente, come producendo in noi questa immagine che ci dà l’intelletto, noi ci compiacciamo di intenderla, amiamo per conseguenza questa intelligenza, e cosi da questo tesoro che è la memoria, e dall’intelligenza ch’essa produce, nasce una terza cosa che si chiama “amore”, nella quale hanno termine tutte le operazioni dell’anima nostra. « Cosi dal Padre che è il tesoro, e dal Figlio che è la ragione e l’intelletto, procede quello Spirito, infinito, che è il termine dell’operazione dell’uno e dell’altro. E siccome il Padre, questo eterno tesoro, si comunica senza estinguersi; così questo tesoro invisibile e interiore che l’anima nostra racchiude nel proprio suo seno, nulla perde diffondendosi, imperocché la nostra memoria non si esaurisce con i concetti che essa produce, ma rimane sempre feconda come Dio Padre è sempre fecondo. E altrove: « Abbiamo detto che, la Trinità risplende magnificamente nella creatura ragionevole. Simile al Padre essa ha l’essere; simile al Figlio essa ha l’intelletto, e simile allo Spirito Santo essa ha l’amore. Simile al Padre e al Figlio ed allo Spirito Santo ha essa nel suo essere, nella sua intelligenza e nel suo amore una stessa felicità ed una stessa vita. Voi non sapreste toglierle nulla, senza toglierle tutto. Felice creatura e perfettamente simile, se essa si occupa unicamente di Lui. Allora essendo perfetta nel suo essere, nella sua intelligenza, nel suo amore, essa intende tutto ciò che è, ed ama tutto ciò ch’essa intende. Il suo essere e le sue operazioni sono inseparabili. Dio diventa la perfezione del suo essere, il nutrimento immortale del suo intelletto, e la vita del suo amore. Essa non dice come Dio, che una sola parola, la quale comprende tutta la sua sapienza. Come Dio essa non produce che un solo amore, il quale abbraccia tutto il suo bene. E tutto ciò non muore punto in lei. « La grazia sopraggiunge su questo fondamento, e rialza la natura: la gloria le è mostrata, ed aggiunge il suo complemento alla grazia. Fortunata creatura se essa sa, lo ripeto ancora, conservare la sua felicità. O uomo, tu l’hai perduta! dove si smarrisce la tua intelligenza? Dove va ad annegarsi il tuo amore? Ahimè! Ahimè! e senza fine ahimè! ritorna alla tua origine. » Ritorna; e se tu vuoi conoscere la tua dignità ed il fine della tua esistenza, non guardare né il cielo, né la terra, né gli astri, né gli elementi, né tutto quell’universo che ti circonda: guarda te stesso dunque, o uomo! Ascolta non più la voce che esce dalle creature, ma la voce che viene da te. Tu stesso sei il predicatore della Trinità. Dovunque ti rechi, ne porti l’immagine. Rispettala, amala, copiala, fatti a sua somiglianza, poiché la tua felicità è a questo prezzo. Nei grandi avvenimenti che segnano la vita dell’uomo primitivo, la Trinità riapparisce. Adamo è caduto: « Ecco, dicono le divine persone, Adamo divenuto simile a uno di noi: “Ecce Adam factus est quasi unus ex nobis”. [Gen.III, 22] ». Quanto più queste parole sono chiare, interpretate nel senso cattolico, tanto più esse sono assurde se non indicano la pluralità delle Persone divine. In questo caso esse hanno il seguente significato: ecco Adamo divenuto simile a uno di me. satana vuol gettare le fondamenta della Città del male. Per edificarla egli riunisce gli uomini nelle pianure di Sennaar. La città e la torre che deve innalzarsi fino al cielo salgono a vista d’occhio. Questa audace impresa provoca una nuova manifestazione della Trinità. Siccome le tre Persone hanno tenuto consiglio per creare l’uomo, esse si trovano d’accordo per punirlo. «Venite, dicono Esse, scendiamo e confondiamo il loro linguaggio [Gen. XI, 7]».

Dal canto suo Iddio vuole formare la Città del bene. Abramo ne sarà la pietra angolare, e la Trinità gli apparisce. In mezzo alla valle di Mambre s’innalzava la tenda del Padre dei credenti. Un giorno verso l’ora di mezzodì il caritatevole patriarca stava seduto sulla sua porta, allorquando, alzando gli occhi, ei vede tre personaggi ritti dinanzi a lui. A quello spettacolo volge la faccia verso terra e adora dicendo in “singolare”: «Signore se io ho trovato grazia appresso di Te non venire dinanzi al tuo servo. [Domine, si inveni gratiam in oculis tuis, ne transeas servum tuum. Gen. XVIII, 3 ] » Abramo vede tre Persone, ed egli non adora che un solo Signore, al Quale dà costantemente il nome incomunicabile di Jehova. Che cosa significa questo linguaggio? Consultiamo l’oracolo, interprete infallibile della Scrittura, la Tradizione: « Ecco tosto, dice un Padre della Chiesa, che la Maestà incorporea scende sulla terra, sotto la corporea figura di tre Personaggi. Abramo corre loro incontro; tende verso di Essi le sue mani supplichevoli, bacia Loro le ginocchia e dice: Signore, se io ho trovato grazia appo Te non passare dinanzi al tuo servo senza fermarti. Voi vedete, che il Padre dei credenti si precipita incontro a quei tre e non adora che un solo: Unità in tre, Trinità in uno. Ecco che la celeste Maestà prende posto alla tavola di un mortale, accetta un desinare, gusta delle pietanze, e si stabilisce una amichevole conversazione famigliare tra Dio e un uomo. Alla vista di quei tre personaggi, Abramo comprende il mistero della santa Trinità; e se non adora in Essi che un solo Signore, è perché non ignora che in quelle tre Persone, non vi è che un Dio solo. »

Da queste molteplici manifestazioni era resultata presso gli ebrei, la conseguenza certa del domma fondamentale della fede dell’uman genere, nell’antica alleanza come nella nuova. « Gli uomini illuminati tra gli Ebrei, dice sant’Epifanio, tanto profondamente istruito nelle cose della sua nazione, insegnarono fino dai primi tempi e con una intera certezza, la Trinità in un’unica Essenza divina. » Un altro figliuolo d’Israele, non meno versato nella storia religiosa della Sinagoga, il signor Drach, cosi si esprime: « Nei quattro Vangeli non si osserva meno la Rivelazione nuova della santa Trinità, punto fondamentale, e cardine di tutta la religione cristiana, quanto quella di ogni altra dottrina di già insegnata nella Sinagoga, al momento della venuta di Cristo: come, per es.: il peccato originale, la creazione del mondo senza materia preesistente, e l’esistenza di Dio. «Quando Nostro Signore dà ai suoi discepoli, che avea tutti scelti tra i Giudei, la missione di andare a predicare il suo santo Vangelo ai popoli della terra, ordina loro di battezzarli in nome del Padre, e del Figliuolo, e dello Spirito Santo. È chiaro che queste parole, le sole dei quattro Evangeli, in cui le tre divine Persone vengono nominate insieme in termini tanto espressi, non sono dette come aventi per oggetto di rivelare la santa Trinità. Se il Salvatore pronunzia qui i nomi odorabili del Padre, e del Figliuolo e dello Spirito Santo, egli è per prescrivere la formula sacramentale del battesimo. La menzione del gran mistero in questa circostanza, in occasione del battesimo, produce sullo spirito di chiunque legge il Vangelo, l’effetto di un articolo di fede già conosciuto e pienamente ammesso tra i figli d’Israele. « Insomma, gli evangelisti prendono per punto di partenza il mistero della incarnazione. Essi ce lo rivelano e ci prescrivono di credervi. Quanto a quello della Trinità che lo precede, e che n’è la base nella fede, se ne impadroniscono come di un punto già manifesto, ammesso nella credenza della legge antica. Ecco perché non dicono in nessun luogo, sapete; ma credete che vi sono tre Persone in Dio. Difatti chiunque è in familiarità con ciò che insegnavano gli antichi dottori della Sinagoga, soprattutto quelli che hanno vissuto innanzi la venuta del Salvatore, sa che la Trinità in un Dio unico, era una verità ammessa tra loro fino dai più remoti tempi. [Armonia della Chiesa e della Sinagoga, t. II, p. 277, 279]». Però vi è una creazione più nobile di quella dell’universo materiale, più nobile di quella dell’uomo stesso, vale a dire la creazione del cristiano. Come i due primi, cosi questo terzo capo d’opera comincia con la rivelazione del domma della Trinità. La pienezza dei tempi è compiuta: il Verbo mediante il Quale tutto é stato fatto, è disceso sulla terra per rigenerare la sua opera. Un nuovo mondo più perfetto dell’antico deve nascere alla sua voce. Egli stesso ascende di nuovo al Padre suo; ma i suoi apostoli hanno ricevuto l’ordine ed il potere di continuare questa meravigliosa creazione. Nel momento solenne della sua dipartita, lascia cadere dalle labbra divine il nome ineffabile di Jehovah, che non aveva ancor punto pronunziato nel suo intiero, e la cui completa enunciazione, doveva essere, secondo la profetica tradizione della Sinagoga, il segnale della redenzione universale. [La Trinità delle persone in un Dio solo non doveva essere insegnata pubblicamente, chiaramente, a confessione stessa dei Rabbini, se non all’epoca della venuta del Messia nostro, giusto, epoca in cui il nome di Jehova che annunzia quest’augusto mistero, alla stessa guisa che l’incarnazione del Verbo, doveva cessare d’essere impronunziabile… Una delle loro antiche tradizioni dice in termini formali: la Redenzione si opererò, mediante l’intiero nome Jehova ; quando una delle tre Persone divine, inseparabile dalle due altre si sarà fatta, il che significa l’ultima lettera del nome ineffabile: Uomo Dio ecc. Drach, ibid.7 t. II, p. 455. ].

Ei dice loro: « Andate dunque, istruite tutte le nazioni e battezzatele in nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo. [Matteo, XVIII, 19] ». Ecco, ornai, indicata la perfetta uguaglianza delle Tre Persone, la stessa potenza, la stessa virtù santificante in un solo nome, vale a dire in una sola divinità: che cosa vi ha di più chiaro! Cosi l’uomo, che deve l’essere suo naturale all’adorabile Trinità, Le dovrà pure il suo essere soprannaturale. Vita umana e vita divina gli derivano dalla stessa sorgente. Questa grande verità sarà scritta nell’atto stesso della sua duplice creazione. Nasca sotto qualunque clima, un figlio di Adamo non può diventare Figlio di Dio, senza che la Chiesa sua madre gli scolpisca sulla fronte il marchio indelebile dell’augusta Trinità. Ma ciò non basta. Come Iddio in tre Persone nell’antico Testamento moltiplicò le sue apparizioni all’uomo primitivo, cosi sotto la legge di grazia Egli le moltiplica più’ spesso, e più chiare all’uomo nuovo. Seguitate il cristiano dalla culla sino alla tomba; ei non potrebbe fare un passo nella vita senza incontrare la Trinità. Battezzato che sia in nome della Trinità, egli è rivestito della forza e ripieno dei lumi dello Spirito Santo, perché lo é in nome della Trinità. Se egli riceve la carne vivificante del suo Redentore, è in nome della Trinità. Se ricupera la purità dell’ anima per la remissione delle sue colpe; se è fortificato nei pericoli dell’ultima lotta; se secondo la carne, o secondo lo spirito, diventa il padre di una nuova famiglia, lo è sempre in nome della Trinità. Se infine, ritorna egli all’ultima sua dimora terrena, ed è consegnato alla tomba come un inviolabile deposito, lo è sempre in nome della Trinità. Così, da qualunque lato ch’ei si volga, che sollevi i suoi sguardi verso il firmamento, che gli abbassi verso la terra, o che gli riconcentri su se medesimo, dappertutto vede brillare il domma augusto di un Dio in tre Persone. Per negarlo, fa d’uopo che egli neghi l’universo, che neghi la sua ragione, che neghi le Scritture, che neghi sé stesso, come uomo e come cristiano. Ma quante volte egli lo afferma, tante volte afferma la divinità dello Spirito Santo. Il nostro compito era di stabilire appunto ciò.

Omelia della Domenica della Pentecoste

Ascensione

Omelia della Domenica della Pentecoste 

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. II -1851-]

-Ispirazioni –

È questo il memorabile giorno in cui lo Spirito Santo discese in forma di fuoco sopra i discepoli, con Maria Vergine nel Cenacolo congregati. Se mi chiedete, uditori umanissimi, perché venne in questa forma di fuoco? Io vi rispondo con l’angelico dottor S. Tommaso (3 P, q. 39. A. 7.) che lo Spirito Santo prese forma sensibile di questo elemento per significare ch’egli produce nell’anime nostre quegli effetti, che sono propri del fuoco. Il fuoco illumina, purifica, consuma. Lo Spirito Santo illumina la mente, purifica il cuore, consuma le viziose abitudini: “Deus noster ignis conmmens est” (ad. Ebr. XII, 29). Ma perché in noi produca questi salutevoli effetti, è necessario aprirGli la strada con accogliere e mettere in pratica de sue sante ispirazioni. Si verificherà allora ciò che Gesù Cristo ha promesso nell’odierno Vangelo, che lo Spirito Santo c’insegnerà e ci suggerirà ogni cosa appartenente alla nostra eterna salute: “Ille docebit vos omnia, et suggeret vobis omnia”. Ma come potrà insegnare, se chiudiamo le orecchie alle sue voci? Come potrà suggerirci i mezzi e la via da tenere per andar salvi, se chiudiamo gli occhi alla sua luce? È dunque della somma importanza, anzi della massima necessità, il profittare della sua luce, l’ascoltare la sua voce, il seguire le sue sante ispirazioni. Ispirazioni, notate bene quel che mi accingo a dimostrarvi, ispirazioni, dall’accoglimento o rifiuto delle quali può dipendere la nostra eterna salvezza, o la nostra eterna perdizione. Uditemi cortesemente!

Noi siamo pellegrini su questa terra: “peregrinamur a Domino” (2 Cor. V, 6). In questa nostra pellegrinazione, i nostri passi sono indirizzati alla casa dell’eternità “Ibit homo in domum aeternitatis suae” (Prov. XVI, 5), e di quella eternità felice, o sventurata a cui l’uomo viatore avrà diretti i suoi passi, “in domum aeternitatis suae”. Posto ciò, egli è certo che in qualità di viatori o di pellegrini ci troviamo sovente ad un bivio, in capo a due strade, l’una a destra, l’altra a sinistra, una che al bene ci porta, l’altra al male, una di salute, l’altra di perdizione. Tutto il punto sta a metter bene il primo piede, a dar il primo passo nella buona strada. Si chiama dallo Spirito Santo un tal passo: “initium viae bonae”, principio di buon sentiero, che sul cominciare da una ispirazione, la quale ci suggerisce una limosina o una preghiera, una confessione da farsi, o un vizio da emendarsi, un’occasione da fuggire, o una virtù da praticare; alla quale ispirazione secondata vien poi dietro una serie non interrotta d’altri passi virtuosi, che dirittamente ci conducono fino all’ultima meta, fino alla beata eternità.

La predestinazione degli eletti, come co’ santi Agostino e Tommaso insegnano i teologi, altro non è che la divina prescienza, e l’ordinazione de’ mezzi valevoli a condurre i predestinati all’eterna beatitudine; onde siccome la sua provvidenza ha disposto di darci l’esistenza e la vita, così la sua bontà ha decretato di farci sentire nel tal tempo, nella tal circostanza quella santa ispirazione, la quale se prontamente si accoglie e s’eseguisce, come il primo anello di ben contesta catena, trae seco l’altre grazie, gli altri lumi, gli altri mezzi, che facilmente conducono all’ultimo beato fine.

Vediamolo in pratica. Dove cominciò la predestinazione, la santità di tanti eroi, che veneriamo sugli altari? Da un’occasione per essi fortuita, ma dallo Spirito Santo diretta a commuoverli, accompagnata dall’impulso della sua grazia, e da un raggio della superna sua luce. Entra a caso in una Chiesa S.Antonio Abbate ancor giovanetto, mentre si legge il santo Vangelo, ciò che sente lo crede detto a se stesso, e sull’istante vende tutto ciò che possiede, lo dà a’ poveri, fugge dal mondo, si nasconde in un deserto, diviene Patriarca di monaci, caro a Dio, terribile a’ demoni. Una limosina prima negata, e poi per commovente ispirazione conceduta, innalzò alla più gran santità un Francesco d’Assisi. Giugne casualmente alle mani d’Ignazio di Loiola un libro divoto, comincia a leggerlo per rompere l’ozio; ma leggendo, lo Spirito del Signore lo illumina, profitta di questo lume, rompe i legami del mondo, e si fa uno de’ più zelanti promotori della gloria di Dio. La vista del contraffatto cadavere del complice de’ suoi disordini, congiunta con una luce alla mente, e con un tocco al cuore, converte sul momento la peccatrice Margherita da Cortona in una fervidissima penitente. Un avviso della propria madre ben accolto da Andrea Corsino lo cangia di lupo in agnello in un chiostro del Carmelo, e lo fa un Vescovo santissimo! Ditemi ora, uditori, se questi santi, e tanti altri di cui son piene l’ecclesiastiche storie, avessero disprezzata quell’ispirazione, negletta quella chiamata, ributtata quella grazia, volete dire che, rifiutato il primo passo, avrebbero poi potuto più metter piede in quella virtuosa carriera, che li portò all’onore degli altari, ed alla patria dei beati? V’è molto a dubitarne. L’ occasione è calva, dicea un antico uomo di senno, una volta che sia passata non si può più tenere per i capelli. Gesù Cristo chiamò i suoi discepoli a seguitarLo, e li chiamò passando, “cum pertranserit”, e li chiamò una sola volta, e sull’ istante Simon Pietro abbandonò la sua barca, Matteo il suo banco, i figli di Zebedeo, Giovanni e Giacomo, le loro reti, e cominciarono così la carriera dell’ apostolato, che li rese tanto accetti a Dio, e tanto benemeriti della sua Chiesa.

Per l’opposto que’ due seguaci della legge di Mosè, invitati dal Redentore a seguirLo, perché trovarono scuse, uno per assistere al funerale del padre, l’altro per ispedire gli affari domestici, perdettero la bella sorte d’essere annoverati fra’ suoi discepoli, e S. Agostino li piange come perduti. Ah, dicea pertanto lo stesso Agostino, fratelli miei, osservo nel santo Vangelo che Gesù dispensa i suoi benefici come lampi fuggitivi, e via passando, “pertransit benefaciendo”, e vi confesso apertamente, e v’assicuro, che mi riempie di timore Gesù che passa. “Fratres mei, dico, et aperte dico, timeo lesum transenuntem” (Serm. 18 de verb. Dom.). La sua chiamata è una luce che balena alla mente: chi non profitta di questa luce resterà al buio, camminerà fra le tenebre, incontrerà inciampi e precipizi; e perciò il Redentore ci avvisa a camminare al favor di questa luce acciò non ci sorprendano tenebre per noi fatali: “Ambulate dum lucem habetis, ne vos tenebrae comprehendant (Jo. XII, 33).

È vero che talora rinnova le sue chiamate, Iddio pietoso, e fa di nuovo risplendere la sua luce, anche a chi chiuse gli occhi per non vederla; ma di qui appunto nasce il pericolo per l’uomo caparbio, che ostinato nelle sue ripulse vie più s’indura, come una incudine al dir di Giobbe (Giob. XLI, 15), sotto i colpi di grave martello. Non vi fu anima tanto dalla divina grazia amorevolmente assediata con replicate ispirazioni, quanto quella di Giuda. Osservate la traccia amorosa tenuta dal divino maestro per espugnare il cuore di questo suo discepolo traditore. Gesù scopre, e comincia a dargli indizio d’avere scoperto il suo iniquo disegno. Voi siete, dice a’ suoi discepoli, per purezza di cuore costituiti in grazia e mondi; ma tutti nol siete “Vos mundi estis, sed non omnes” (Jo. XIII, 10). Potea Giuda conoscere l’infelice suo stato, e sentirne rimorso, ma non si muove. Replica Gesù e con più forza gli mette innanzi l’enormità del suo delitto con dire: Uno fra voi è per malizia un vero Demonio: “Ex vobis unus diabolus est”, e Giuda non inorridisce. Passa ad intimargli l’atrocità della pena che va ad incorrere, pena per la quale sarebbe meglio per lui che mai veduta avesse la luce del giorno: “Bonum erat ei si non fuisset homo ille” (Mat. XXVI, 24); e Giuda è insensibile. Parla Gesù in genere finora, e non lo nomina per lasciargli un segreto ritiro a ravvedersi, ma nulla giova. Torna alle prese il buon Salvatore, e alquanto più chiaro: un di voi, o miei discepoli, un di voi mi tradirà: “Unus ex vobis tradet me” , e Giuda dissimula. Più chiaro ancora: La mano del traditore è meco su questa mensa. “Manus tradentis me mecum est in mensa” (Luc. XXII, 21): assai più chiaro: Chi meco in questo piatto pone la mano, desso è colui che mi tradirà: “Qui mecum intingit manum in paropside, hic me tradet” (Mat. XXVI, 23), e Giuda fa il sordo, e tutto disprezza. E via, finalmente gli dice Gesù, vanne pure, ed il reo attentato che volgi in mente affrettati ad eseguirlo. “Quod facis, fac citius” (Jo. XII, 21). Non fu già questo un precetto, dice qui il Crisostomo, non comanda Iddio un’azione sì indegna, un tradimento, “non est vox praecipientis”. Non fu consiglio, una somma bontà non può consigliare un eccesso cotanto esecrabile, “non est vox consulentis”. Che dunque volle significare Cristo con quelle parole? Volle dimostrare il giusto e tremendo abbandono ch’egli facea di quel cuore indurito, come non più capace di ravvedimento e di emenda. “Cum Judas, conchiude il citato Dottore, “esset inemendabilis, dimisit cum Christus” (Hom. 73 in Io.). Ma pure Giuda dà qualche segno di penitenza, restituisce il danaro a’ sacerdoti, rende la fama al suo divino maestro, si ritratta, confessa d’aver tradito il sangue d’un giusto. Ahimè nulla giova, movimenti son questi da disperato, non d’un convertito. Dio vi guardi, miei cari, dall’imitare nel rifiuto delle divine ispirazioni questo discepolo prevaricatore, incontrerete la stessa sorte. Farete forse come Giuda qualche opera apparentemente buona, ma non vi gioverà ad uscire da quel precipizio, che dopo tanti avvisi non avete voluto schivare.

Potete forse lagnarvi che Iddio non v’abbia parlato? Dio vi parlò quando vi trovaste in quella malattia, quando per lo spavento di morte temporale ed eterna vi fé’ conoscere lo stato deplorabile dell’anima vostra: prometteste allora, se Dio vi accordava grazia d’uscirne, di cangiar vita; Egli vi esaudì, e voi non adempiste la fatta promessa. Vedeste esposto in Chiesa, o condotto al sepolcro il cadavere di quella donna, colpita nel fior dell’età, foste presente al funerale di quel facoltoso, ed una voce vi disse al cuore: ecco dove va a finire la beltà e la ricchezza. La vanità delle terrene cose disingannò in quel momento il vostro intelletto, ma la volontà non si arrese a romperne il colpevole attacco. Quel rimorso, fratello mio, quel rimorso, che vi lacera il cuore, è una grazia da voi non conosciuta, con cui Iddio pietoso vi stimola ad emendar costume, a troncare quella scandalosa corrispondenza; che conto ne fate? Vi avvisa per mezzo di quel congiunto, di quell’amico, di quel buon cristiano a ritirarvi da quella licenziosa conversazione, a lasciare quel giuoco, quel ridotto, quel malvagio compagno, che ascolto gli date? Figlio, dice a più d’uno di noi, se non paghi gli operai, se non soddisfi quel debito, se non dismetti quella lite ingiusta, se non adempi quel pio legato, non isperare salute. Figlio, dice a quell’altro, le partite di tua coscienza son mal in ordine, datti fretta d’aggiustarle con una generale confessione: fa’ al presente quel che desidererai voler fare in punto di morte. Tutte queste e simili voci, pensieri, sentimenti, ispirazioni, rimorsi, sono chiamate di Dio, sollecito del vostro bene; se chiudete l’orecchie, come un aspide sordo, Iddio offeso, Iddio disprezzato tratterà voi come da voi venne trattato. Così Egli si esprime e minaccia: “Vocavi, et renuistis, ego quoque in interitu vestro ridebo” (Prov. I, 24. 26). Ponderate bene, peccatori fratelli miei, queste tremende divine parole. “Vocavi”, ch’io vi abbia più volte chiamati, e tuttora vi chiami, non potete negarlo. Vi ho chiamati per bocca de’ miei sacri ministri colla predicazione, per bocca dei vostri parenti colle ammonizioni, per mezzo di quelle disgrazie, di quelle infermità, coll’esempio de’ buoni, col castigo de’ malvagi: “Vocavi, et renuistis”, che abbiate ricusato di ascoltarmi, dovete confessarlo, ve ne convince la propria coscienza. Che cosa dunque potete aspettarvi? “Ego quoque”, che Dio cioè vi renda la pariglia, e nel maggior de’ vostri affanni si rida di voi, “in interitu vestro ridebo”. Miei cari, se si può dire di voi che fate continua resistenza agl’impulsi dello Spirito Santo, come ai contumaci Ebrei rinfacciò lo zelante Levita S. Stefano, “vos semper Spiritui Sancto resistitis” (Act. VII, 51), voi siete perduti. Sarete come una casa, che minaccia ruina, che perciò si lascia vuota e abbandonata. “Ecce relinquetur vobis domus vestra deserta” (Mat. XXIII, 38): abbandono, segno fatale d’eterna riprovazione. Che Dio vi guardi.