31 maggio: la Festa di MARIA REGINA

La festa di Maria Regina fu istituita infallibilmente ed irrevocabilmente da S.S. Pio XII, e fissata per il 31 maggio. Chi ne ha cambiato la data, a distanza di pochi anni, con un atto illecito e contrario al Magistero ecclesiale, e quindi alla volontà di DIO, ha così dimostrato, in modo palese e sfacciato, di non possedere alcuna autorità, di non essere cioè il Vicario di Cristo, bensì il suo antagonista ed un fantoccio luciferino, pieno di odio verso Dio e la Vergine Maria, Regina di tutte le creature che amano Dio. Ed ancora una volta la Donna della Genesi e dell’Apocalisse stana il serpente velenoso in attesa che ne schiacci definitivamente la testa “… il mio Cuore Immacolato alla fine trionferà”. W Maria, w la nostra Madre e REGINA.

PIO XII

LETTERA ENCICLICA

AD CAELI REGINAM (1)

DIGNITÀ REGALE DELLA SANTA VERGINE MARIA

Maria Regina

Fin dai primi secoli della chiesa cattolica il popolo cristiano ha elevato supplici preghiere e inni di lode e di devozione alla Regina del cielo, sia nelle circostanze liete, sia, e molto più, nei periodi di gravi angustie e pericoli; né vennero meno le speranze riposte nella Madre del Re divino, Gesù Cristo, mai s’illanguidì la fede, dalla quale abbiamo imparato che la vergine Maria, Madre di Dio, presiede all’universo con cuore materno, come è coronata di gloria nella beatitudine celeste.

Ora, dopo le grandi rovine che, anche sotto i Nostri occhi, hanno distrutto fiorenti città, paesi e villaggi; davanti al doloroso spettacolo di tali e tanti mali morali, che si avanzano paurosamente in limacciose ondate, mentre vediamo scalzare le basi stesse della giustizia e trionfare la corruzione, in questo incerto e spaventoso stato di cose, Noi siamo presi da sommo dispiacere e perciò ricorriamo fiduciosi alla Nostra regina Maria, mettendo ai piedi di lei, insieme col Nostro, i sentimenti di devozione di tutti i fedeli, che si gloriano del nome di cristiani.

È gradito e utile ricordare che Noi stessi, il 1° novembre dell’anno santo 1950, abbiamo decretato, dinanzi a una grande moltitudine di em.mi cardinali, di venerandi vescovi, di sacerdoti e di cristiani, venuti da ogni parte del mondo, il dogma dell’Assunzione della beatissima Vergine Maria in cielo,(2) dove, presente in anima e corpo, regna tra i cori degli Angeli e dei santi, insieme al suo unigenito Figlio. Inoltre, ricorrendo il centenario della definizione dogmatica fatta dal Nostro predecessore, Pio IX, di imm. mem., sulla Madre di Dio Concepita senza alcuna macchia di peccato originale, abbiamo indetto l’anno mariano,(3) nel quale con gran gioia vediamo che non solo in questa alma città – specialmente nella Basilica Liberiana, dove innumerevoli folle continuano a professare apertamente la loro fede e il loro ardente amore alla Madre celeste – ma anche in tutte le parti del mondo la devozione verso la Vergine, Madre di Dio, rifiorisce sempre più; mentre i principali santuari di Maria hanno accolto e accolgono ancora pellegrinaggi imponenti di fedeli devoti.

Tutti poi sanno che Noi, ogni qualvolta Ce n’è stata offerta la possibilità, cioè quando abbiamo potuto rivolgere la parola ai Nostri figli, venuti a trovarci, e quando abbiamo indirizzato messaggi anche ai popoli lontani per mezzo delle onde radiofoniche, non abbiamo cessato di esortare tutti coloro, ai quali abbiamo potuto rivolgerCi, ad amare la nostra benignissima e potentissima Madre di un amore tenero e vivo, come conviene a figli. In proposito, ricordiamo particolarmente il radiomessaggio, che abbiamo indirizzato al popolo portoghese, nell’incoronazione della taumaturga Madonna di Fatima,(4) da Noi stessi chiamato radiomessaggio della «regalità» di Maria.(5)

Pertanto, quasi a coronamento di tutte queste testimonianze della Nostra pietà mariana, cui il popolo cristiano ha risposto con tanta passione, per concludere utilmente e felicemente l’anno mariano che volge al termine e per venire incontro alle insistenti richieste, che Ci sono pervenute da ogni parte, abbiamo stabilito di istituire la festa liturgica della «beata Maria Vergine Regina».

Non si tratta certo di una nuova verità proposta al popolo cristiano, perché il fondamento e le ragioni della dignità regale di Maria, abbondantemente espresse in ogni età, si trovano nei documenti antichi della chiesa e nei libri della sacra liturgia.

Ora vogliamo richiamarle nella presente enciclica per rinnovare le lodi della nostra Madre celeste e per renderne più viva la devozione nelle anime, con vantaggio spirituale.

I

Il popolo cristiano ha sempre creduto a ragione, anche nei secoli passati, che colei, dalla Quale nacque il Figlio dell’Altissimo, che «regnerà eternamente nella casa di Giacobbe» (Lc 1, 32), (sarà) «Principe della pace» (Is 9, 6), «Re dei re e Signore dei signori» (Ap 19, 16), al di sopra di tutte le altre creature di Dio ricevette singolarissimi privilegi di grazia. Considerando poi gli intimi legami che uniscono la madre al figlio, attribuì facilmente alla Madre di Dio una regale preminenza su tutte le cose.

Si comprende quindi facilmente come già gli antichi scrittori della Chiesa, avvalendosi delle parole dell’arcangelo san Gabriele, che predisse il regno eterno del Figlio di Maria (cf. Lc 1, 32-33), e di quelle di Elisabetta, che s’inchinò davanti a Lei, chiamandola «madre del mio Signore» (Lc 1, 43), abbiano, denominando Maria «madre del Re» e «madre del Signore», voluto significare che dalla regalità del Figlio dovesse derivare alla Madre una certa elevatezza e preminenza.

Pertanto sant’Efrem, con fervida ispirazione poetica, così fa parlare Maria: «Il cielo mi sorregga con il suo braccio, perché io sono più onorata di esso. Il cielo, infatti, fu soltanto tuo trono, non tua madre. Ora quanto è più da onorarsi e da venerarsi la madre del Re del suo trono!».(6) E altrove così egli prega Maria: «… Vergine Augusta e Padrona, Regina, Signora, proteggimi sotto le tue ali, custodiscimi, affinché non esulti contro di me satana, che semina rovine, né trionfi contro di me l’iniquo avversario».(7)

San Gregorio di Nazianzo chiama Maria: Madre del Re di tutto l’universo», «Madre Vergine, [che] ha partorito il Re di tutto il mondo»,(8) mentre Prudenzio ci parla della Madre, che si meraviglia «di aver generato Dio come uomo sì, ma anche come sommo Re».(9)

La dignità regale di Maria è poi chiaramente asserita da coloro che la chiamano «Signora», «Dominatrice», «Regina». Secondo un’omelia attribuita a Origene, Elisabetta apostrofa Maria «Madre del mio Signore», e anche: «Tu sei la mia Signora».(10)

Lo stesso concetto si può dedurre da un testo di san Girolamo, nel quale espone il suo pensiero circa le varie interpretazioni del nome di Maria: «Si deve sapere che Maria, nella lingua siriaca, significa Signora».(11) Ugualmente si esprime, dopo di lui, san Pietro Crisologo: «Il nome ebraico Maria si traduce “Domina” in latino: l’angelo dunque la saluta “Signora” perché sia esente da timore servile la madre del Dominatore; che per volontà del Figlio nasce e si chiama Signora».(12)

Sant’Epifanio, vescovo di Costantinopoli, scrive al sommo Pontefice Ormisda, che si deve implorare l’unità della Chiesa «per la grazia della Santa e consostanziale Trinità e per l’intercessione della nostra Santa Signora, gloriosa Vergine e Madre di Dio, Maria».(13)

Un autore di questo stesso tempo si rivolge con solennità alla beata Vergine seduta alla destra di Dio, invocandone il patrocinio, con queste parole: «Signora dei mortali, santissima Madre di Dio».(14)

Sant’Andrea di Creta attribuisce spesso la dignità regale alla Vergine; ne sono prova i seguenti passi: « (Gesù Cristo) portò in questo giorno come regina del genere umano dalla dimora terrena (ai cieli) la sua Madre sempre Vergine, nel cui seno, pur rimanendo Dio, prese l’umana carne».(15) E altrove: «Regina di tutti gli uomini, perché fedele di fatto al significato del suo nome, eccettuato soltanto Dio, si trova al di sopra di tutte le cose».(16)

San Germano poi così si rivolge all’umile Vergine: «Siedi, o Signora: essendo tu Regina e più eminente di tutti i re ti spetta sedere nel posto più alto»;(17) e la chiama. «Signora di tutti coloro che abitano la terra».(18)

San Giovanni Damasceno la proclama «Regina, Padrona, Signora»(19) e anche «Signora di tutte le creature»;(20) e un antico scrittore della chiesa occidentale la chiama «Regina felice», «Regina eterna, presso il Figlio Re», della quale «il bianco capo è ornato di aurea corona».(21)

Sant’Ildefonso di Toledo riassume tutti i titoli di onore in questo saluto: «O mia Signora, o mia Dominatrice: tu sei mia Signora, o Madre del mio Signore… Signora tra le ancelle, regina tra le sorelle».(22)

I teologi della Chiesa, raccogliendo l’insegnamento di queste e di molte altre testimonianze antiche, hanno chiamato la beatissima Vergine Regina di tutte le cose create, Regina del mondo; Signora dell’universo.

I sommi pastori della Chiesa non mancarono di approvare e incoraggiare la devozione del popolo cristiano verso la celeste Madre e Regina con esortazioni e lodi. Lasciando da parte i documenti dei Papi recenti, ricorderemo che già nel secolo settimo il Nostro predecessore san Martino I, chiamò Maria «Nostra Signora gloriosa, sempre Vergine»;(23) sant’Agatone, nella lettera sinodale, inviata ai padri del sesto concilio ecumenico, la chiamò «Nostra Signora, veramente e propriamente Madre di Dio»;(24) e nel secolo VIII, Gregorio II, in una lettera inviata al patriarca san Germano, letta tra le acclamazioni dei padri del settimo concilio ecumenico, proclamava Maria «Signora di tutti e vera Madre di Dio» e «Signora di tutti i cristiani».(25)

Ricorderemo parimenti che il Nostro predecessore di immortale memoria Sisto IV, nella lettera apostolica Cum praeexcelsa,(26) in cui accenna con favore alla dottrina dell’Immacolata Concezione della beata Vergine, comincia proprio con le parole che dicono Maria «Regina, che sempre vigile intercede presso il Re, che ha generato». Parimenti Benedetto XIV, nella lettera apostolica Gloriosae Dominae, chiama Maria «Regina del cielo e della terra», affermando che il sommo Re ha, in qualche modo, affidato a Lei il suo proprio impero.(27)

Onde sant’Alfonso, tenendo presente tutta la tradizione dei secoli che lo hanno preceduto, poté scrivere con somma devozione: «Poiché la Vergine Maria fu esaltata ad essere la Madre del Re dei re, con giusta ragione la Chiesa l’onora col titolo di Regina».(28)

II

La sacra liturgia, che è lo specchio fedele dell’insegnamento tramandato dai Padri e affidato al popolo cristiano, ha cantato nel corso dei secoli e canta continuamente sia in Oriente che in Occidente le glorie della celeste Regina.

Fervidi accenti risuonano dall’Oriente: «O Madre di Dio, oggi sei trasferita al cielo sui carri dei cherubini, i serafini si onorano di essere ai tuoi ordini, mentre le schiere dei celesti eserciti si prostrano dinanzi a te».(29)

E ancora: «O giusto, beatissimo (Giuseppe), per la tua origine regale sei stato fra tutti prescelto a essere lo sposo della Regina immacolata, la quale darà alla luce in modo ineffabile il Re Gesù».(30) E inoltre: «Scioglierò un inno alla Madre Regina, alla quale mi rivolgo con gioia, per cantare lietamente le sue glorie. … O Signora, la nostra lingua non ti può celebrare degnamente, perché Tu, che hai dato alla luce Cristo, nostro Re, sei stata esaltata al di sopra dei serafini. … Salve, o Regina del mondo, salve, o Maria, Signora di tutti noi».(31)

Nel «Messale» etiopico si legge: « O Maria, centro di tutto il mondo … tu sei più grande dei cherubini pluriveggenti e dei serafini dalle molte ali. … Il cielo e la terra sono ricolmi della santità della tua gloria».(32)

Fa eco la liturgia della chiesa latina con l’antica e dolcissima preghiera «Salve, regina», le gioconde antifone «Ave, o regina dei cieli», «Regina del cielo, rallégrati, alleluia» e altri testi, che si recitano in varie feste della beata Vergine Maria: «Come Regina stette alla tua destra con un abito dorato, rivestita di vari ornamenti»;(33) «La terra e il popolo cantano la tua potenza, o regina»;(34) «Oggi la vergine Maria sale al cielo: godete, perché regna con Cristo in eterno».(35)

A tali canti si devono aggiungere le Litanie lauretane, che richiamano i devoti a invocare ripetutamente Maria Regina; e nel quinto mistero glorioso del santo Rosario, la mistica corona della celeste Regina, i fedeli contemplano in pia meditazione già da molti secoli, il regno di Maria, che abbraccia il cielo e la terra.

Infine l’arte ispirata ai principi della fede cristiana e perciò fedele interprete della spontanea e schietta devozione popolare, fin dal Concilio di Efeso, è solita rappresentare Maria come Regina e Imperatrice, seduta in trono e ornata delle insegne regali, cinta il capo di corona e circondata dalle schiere degli Angeli e dei santi, come colei che domina non soltanto sulle forze della natura, ma anche sui malvagi assalti di satana. L’iconografia, anche per quel che riguarda la dignità regale della beata vergine Maria, si è arricchita in ogni secolo di opere di grandissimo valore artistico, arrivando fino a raffigurare il divino Redentore nell’atto di cingere il capo della Madre sua con fulgida corona.

I pontefici romani non hanno mancato di favorire questa devozione del popolo, decorando spesso di diadema, con le proprie mani o per mezzo di legati pontifici, le immagini della vergine Madre di Dio, già distinte per singolare venerazione.

III

Come abbiamo sopra accennato, venerabili fratelli, l’argomento principale, su cui si fonda la dignità regale di Maria, già evidente nei testi della tradizione antica e nella sacra liturgia, è senza alcun dubbio la sua divina maternità. Nelle sacre Scritture infatti, del Figlio, che sarà partorito dalla Vergine, si afferma: «Sarà chiamato Figlio dell’Altissimo e il Signore Dio gli darà il trono di Davide, suo padre; e regnerà nella casa di Giacobbe eternamente e il suo regno non avrà fine» (Lc 1, 32-33); e inoltre Maria è proclamata «Madre del Signore» (Lc 1, 43). Ne segue logicamente che ella stessa è Regina, avendo dato la vita a un Figlio; che nel medesimo istante del concepimento, anche come uomo, era Re e Signore di tutte le cose, per l’unione ipostatica della natura umana col Verbo. San Giovanni Damasceno scrive dunque a buon diritto: «È veramente diventata la Signora di tutta la creazione, nel momento in cui divenne Madre del Creatore»(36) e lo stesso Arcangelo Gabriele può dirsi il primo araldo della dignità regale di Maria.

Tuttavia la Beatissima Vergine si deve proclamare Regina non soltanto per la maternità divina, ma anche per la parte singolare che, per volontà di Dio, ebbe nell’opera della nostra salvezza eterna. «Quale pensiero – scrive il Nostro predecessore di felice memoria Pio XI – potremmo avere più dolce e soave di questo, che Cristo è nostro re non solo per diritto nativo, ma anche per diritto acquisito e cioè per la redenzione? Ripensino tutti gli uomini dimentichi quanto costammo al nostro Salvatore: “Non siete stati redenti con oro o argento, beni corruttibili, … ma col sangue prezioso di Cristo, agnello immacolato e incontaminato” (1 Pt 1;18-19). Non apparteniamo dunque a noi stessi, perché “Cristo a caro prezzo” (1 Cor 6, 20) ci ha comprati».(37)

Ora nel compimento dell’opera di redenzione Maria santissima fu certo strettamente associata a Cristo, onde giustamente si canta nella sacra liturgia: «Santa Maria, regina del cielo e Signora del mondo, affranta dal dolore, se ne stava in piedi presso la croce del Signore nostro Gesù Cristo».(38) E un piissimo discepolo di sant’Anselmo poteva scrivere nel medioevo: «Come … Dio, creando tutte le cose nella sua potenza, è Padre e Signore di tutto, così Maria, riparando tutte le cose con i suoi meriti, è la Madre e la Signora di tutto: Dio è Signore di tutte le cose, perché le ha costituite nella loro propria natura con il suo comando, e Maria è Signora di tutte le cose, riportandole alla loro originale dignità con la grazia che Ella meritò».(39) Infatti: «Come Cristo per il titolo particolare della redenzione è nostro Signore e nostro Re, così anche la Vergine beata (è nostra Signora) per il singolare concorso prestato alla nostra redenzione, somministrando la sua sostanza e offrendola volontariamente per noi, desiderando, chiedendo e procurando in modo singolare la nostra salvezza».(40)

Da queste premesse si può così argomentare: se Maria, nell’opera della salute spirituale, per volontà di Dio, fu associata a Cristo Gesù, principio di salvezza, e in maniera simile a quella con cui Eva fu associata ad Adamo, principio di morte, sicché si può affermare che la nostra redenzione si compì se­condo una certa «ricapitolazione»,(41) per cui il genere umano, assoggettato alla morte, per causa di una vergine, si salva anche per mezzo di una Vergine; se inoltre si può dire che questa gloriosissima Signora venne scelta a Madre di Cristo proprio «per essere a Lui associata nella redenzione del genere umano»(42) e se realmente «fu Lei, che esente da ogni colpa personale o ereditaria, strettissimamente sempre unita al suo Figlio, Lo ha offerto sul Golgota all’eterno Padre sacrificando insieme l’amore e i diritti materni, quale nuova Eva, per tutta la posterità di Adamo, macchiata dalla sua caduta miseranda»;(43) se ne potrà legittimamente concludere che, come Cristo, il nuovo Adamo, è nostro Re non solo perché Figlio di Dio, ma anche perché nostro Redentore, così, secondo una certa analogia, si può affermare parimenti che la beatissima Vergine è Regina, non solo perché Madre di Dio, ma anche perché quale nuova Eva è stata associata al nuovo Adamo.

È certo che in senso pieno, proprio e assoluto, soltanto Gesù Cristo, Dio e uomo, è Re; tuttavia, anche Maria, sia come madre di Cristo Dio, sia come socia nell’opera del divin Redentore, e nella lotta con i nemici e nel trionfo ottenuto su tutti, ne partecipa la dignità regale, sia pure in maniera limitata e analogica. Infatti da questa unione con Cristo Re deriva a Lei tale splendida sublimità, da superare l’eccellenza di tutte le cose create: da questa stessa unione con Cristo nasce quella regale potenza, per cui Ella può dispensare i tesori del regno del divin redentore; infine dalla stessa unione con Cristo ha origine l’inesauribile efficacia della sua materna intercessione presso il Figlio e presso il Padre.

Nessun dubbio pertanto che Maria santissima sopravanzi in dignità tutta la creazione e abbia su tutti il primato, dopo il suo Figliuolo. «Tu infine – canta san Sofronio – hai di gran lunga sopravanzato ogni creatura. … Che cosa può esistere di più sublime di tale gioia, o Vergine Madre? Che cosa può esistere di più elevato di tale grazia, che per volontà divina tu sola hai avuto in sorte?».(44) E va ancora più oltre nella lode san Germano: «La tua onorifica dignità Ti pone al di sopra di tutta la creazione: la tua sublimità Ti fa superiore agli Angeli».(45) San Giovanni Damasceno poi giunge a scrivere la seguente espressione: «È infinita la differenza tra i servi di Dio e la sua Madre».(46)

Per aiutarci a comprendere la sublime dignità che la Madre di Dio ha raggiunto al di sopra di tutte le creature, possiamo ripensare che la santissima Vergine, fin dal primo istante del suo concepimento, fu ricolma di tale abbondanza di grazie da superare la grazia di tutti i santi. Onde – come scrisse il Nostro predecessore Pio XI di fel. mem. nella lettera apostolica Ineffabilis Deus – «ha con tanta munificenza arricchito Maria con l’abbondanza di doni celesti, tratti dal tesoro della divinità, di gran lunga al di sopra degli angeli e di tutti i santi, che Ella, del tutto immune da ogni macchia di peccato, in tutta la sua bellezza e perfezione, avesse tale pienezza d’innocenza e di santità che non se ne può pensare una più grande al di sotto di Dio e che all’infuori di Dio nessuno riuscirà mai a comprendere».(47)

Inoltre la beata Vergine non ha avuto soltanto il supremo grado, dopo Cristo, dell’eccellenza e della perfezione, ma anche una partecipazione di quell’influsso, con cui il suo Figlio e Redentore nostro giustamente si dice che regna sulla mente e sulla volontà degli uomini. Se infatti il Verbo opera i miracoli e infonde la grazia per mezzo dell’umanità che ha assunto, se si serve dei sacramenti dei suoi santi come di strumenti per la salvezza delle anime, perché non può servirsi dell’ufficio e dell’opera della Madre sua Santissima per distribuire a noi i frutti della redenzione? «Con animo veramente materno – così dice lo stesso predecessore Nostro Pio IX di imm. mem. – trattando l’affare della nostra salute Ella è sollecita di tutto il genere umano, essendo costituita dal Signore Regina del cielo e della terra ed esaltata sopra tutti i cori degli Angeli e sopra tutti i gradi dei santi in cielo, stando alla destra del suo unigenito Figlio; Gesù Cristo, Signore nostro, con le sue materne suppliche impetra efficacissimamente, ottiene quanto chiede, né può rimanere inesaudita».(48) A questo proposito l’altro predecessore Nostro di fel. mem., Leone XIII, dichiarò che alla beata Vergine Maria è stato concesso un potere «quasi immenso» nell’elargizione delle grazie;(49) e san Pio X aggiunge che Maria compie questo suo ufficio «come per diritto materno».(50)

Godano dunque tutti i fedeli cristiani di sottomettersi all’impero della Vergine Madre di Dio, la Quale, mentre dispone di un potere regale, arde di materno amore.

Però in queste e altre questioni, che riguardano la beata Vergine, i teologi e i predicatori della divina parola abbiano cura di evitare certe deviazioni per non cadere in un doppio errore; si guardino cioè da opinioni prive di fondamento e che con espressioni esagerate oltrepassano i limiti del vero; e dall’altra parte si guardino pure da un’eccessiva ristrettezza di mente nel considerare quella singolare, sublime, anzi quasi divina dignità della Madre di Dio, che il dottore angelico ci insegna ad attribuirle «per ragione del Bene infinito, che è Dio».(51)

Del resto, in questo, come in altri campi della dottrina cristiana, «la norma prossima e universale» è per tutti il Magistero vivo della Chiesa, che Cristo ha costituito «anche per illustrare e spiegare quelle cose, che nel deposito della fede sono contenute solo oscuramente e quasi implicitamente».(52)

IV

Dai monumenti dell’antichità cristiana, dalle preghiere della liturgia, dall’innata devozione del popolo cristiano, dalle opere d’arte, da ogni parte abbiamo raccolto espressioni e accenti; secondo i quali la Vergine Madre di Dio primeggia per la sua dignità regale; e abbiamo anche mostrato che le ragioni, che la sacra teologia ha dedotto dal tesoro della fede divina, confermano pienamente questa verità. Di tante testimonianze riportate si forma un concerto, la cui eco risuona larghissimamente, per celebrare il sommo fastigio della dignità regale della Madre di Dio e degli uomini, la quale è stata «esaltata ai regni celesti, al di sopra dei cori angelici ».(53)

EssendoCi poi fatta la convinzione dopo mature ponderate riflessioni, che ne verranno grandi vantaggi alla Chiesa se questa verità solidamente dimostrata risplenda più evidente davanti a tutti, quasi lucerna più luminosa sul suo candelabro, con la Nostra autorità apostolica, decretiamo e istituiamo la festa di Maria Regina, da celebrarsi ogni anno in tutto il mondo il giorno 31 maggio. Ordiniamo ugualmente che in detto giorno sia rinnovata la “Consacrazione del genere umano al Cuore Immacolato della beata vergine Maria. In questo gesto infatti è riposta grande speranza che possa sorgere una nuova era, allietata dalla pace cristiana e dal trionfo della Religione.

Procurino dunque tutti di avvicinarsi ora con maggior fiducia di prima, quanti ricorrono al trono di grazia e di misericordia della Regina e Madre nostra, per chiedere soccorso nelle avversità, luce nelle tenebre, conforto nel dolore e nel pianto, e, ciò che conta più di tutto, si sforzino di liberarsi dalla schiavitù del peccato, per poter presentare un ossequio immutabile, penetrato dalla fragrante devozione di figli, allo scettro regale di sì grande Madre. I suoi templi siano frequentati dalle folle dei fedeli, per celebrarne le feste; la pia corona del Rosario sia nelle mani di tutti per riunire insieme, nelle chiese, nelle case, negli ospedali, nelle carceri, sia i piccoli gruppi, sia le grandi adunanze di fedeli, a cantare le sue glorie. Sia in sommo onore il nome di Maria, più dolce del nettare, più prezioso di qualunque gemma; e nessuno osi pronunciare empie bestemmie, indice di animo corrotto, contro questo nome ornato di tanta maestà e venerando per la grazia materna; e neppure si osi mancare in qualche modo di rispetto ad esso.

Tutti si sforzino di imitare, con vigile e diligente cura, nei propri costumi e nella propria anima, le grandi virtù della Regina celeste e nostra Madre amantissima. Ne deriverà di conseguenza che i cristiani, venerando e imitando sì grande Regina e Madre, si sentano infine veramente fratelli, e, sprezzanti dell’invidia e degli smodati desideri delle ricchezze, promuovano l’amore sociale, rispettino i diritti dei poveri e amino la pace, Nessuno dunque si reputi figlio di Maria, degno di essere accolto sotto la sua potentissima tutela, se sull’esempio di Lei non si dimostrerà mite, giusto e casto, contribuendo con amore alla vera fraternità, non ledendo e nuocendo, ma aiutando e confortando.

In molti paesi della terra vi sono persone ingiustamente perseguitate per la loro professione cristiana e private dei diritti umani e divini della libertà: per allontanare questi mali nulla valgono finora le giustificate richieste e le ripetute proteste. A questi figli innocenti e tormentati rivolga i suoi occhi di misericordia, che con la loro luce portano il sereno allontanando i nembi e le tempeste, la potente Signora delle cose e dei tempi, che sa placare le violenze con il suo piede verginale; e conceda anche a loro di poter presto godere della dovuta libertà per la pratica aperta dei doveri religiosi, sicché servendo la causa dell’evangelo, con opera concorde e con egregie virtù, che nelle asprezze rifulgono ad esempio, giovino anche alla solidità e al progresso della città terrena.

Pensiamo anche che la festa istituita con questa lettera enciclica, affinché tutti più chiaramente riconoscano e con più cura onorino il clemente e materno impero della Madre di Dio, possa contribuire assai a che si conservi, si consolidi e si renda perenne la pace dei popoli, minacciata quasi ogni giorno da avvenimenti pieni di ansietà. Non è Ella l’arcobaleno posto sulle nubi verso Dio, come segno di pacifica alleanza? (cf. Gn 9, 13). «Mira l’arcobaleno e benedici colui che l’ha fatto; esso è molto bello nel suo splendore, abbraccia il cielo nel suo cerchio radioso e le mani dell’Altissimo lo hanno teso» (Eccli 43, 12-13). Chiunque pertanto onora la Signora dei celesti e dei mortali – e nessuno si creda esente da questo tributo di riconoscenza e di amore – La invochi come Regina potentissima, mediatrice di pace; rispetti e difenda la pace, che non è ingiustizia impunita né sfrenata licenza, ma è invece concordia bene ordinata sotto il segno e il comando della volontà di Dio: a fomentare e accrescere tale concordia spingono le materne esortazioni e gli ordini di Maria Vergine.

Desiderando moltissimo che la Regina e Madre del popolo cristiano accolga questi Nostri voti e rallegri della sua pace le terre scosse dall’odio, e a noi tutti mostri, dopo questo esilio, Gesù, che sarà la nostra pace e la nostra gioia in eterno, a voi, venerabili fratelli, e ai vostri fedeli, impartiamo di cuore l’apostolica benedizione, come auspicio dell’aiuto di Dio onnipotente e in testimonianza del Nostro amore.

Roma, presso San Pietro, nella festività della maternità di Maria vergine, l’11 ottobre 1954, XVI del Nostro pontificato.

PIO PP. XII

(1) PIUS PP. XII, Litt. enc. Ad caeli Reginam de regali Beatae Mariae Virginis dignitate eiusque festo instituendo, [Ad venerabiles Fratres Patriarchas, Archiepiscopos, Episcopos aliosque locorum Ordinarios pacem et communionem cum Apostolica Sede habentes], 11 octobris 1954: AAS 46(1954), pp. 625-640.

pioxii-4

Istituzione della festa della regalità di Maria s.ma. La devozione costante dei popoli per Maria s.ma, culminata con la proclamazione del dogma della sua Assunzione. Coronare l’opera istituendo la festa di Maria Regina, in realtà non nuova, ma già espressa in ogni età: dalla sacra Scrittura, dai padri e scrittori ecclesiastici con dottrina profonda e poetici accenti, dai sommi pontefici, dalla liturgia romana e orientale e infine dall’arte d’ogni tempo. Principali argomenti dogmatici e di convenienza. È giusto perciò che tutti riconoscano questo potere regale: la festa al 31 maggio; ricorrere alla Madre di Dio, imitandone le virtù, impetrando la forza nelle tribolazioni, la pace fra i popoli e la visione eterna del suo divin Figlio.

(2) Cf. Const. apost. Munificentissimus Deus: AAS 42 (1950), p. 753ss; EE 6/1931ss.

(3) Cf. Litt. enc. Fulgens corona: AAS 45(1953), p. 577ss; EE 6/944ss.

(4) Cf. AAS 38(1946), p. 264ss.

(5) Cf. L’Osservatore Romano, 19.5.1946.

(6) S. EPHRAEM, Hymni de B. Maria, ed. Th. J. Lamy, t. II, Mechliniae 1886, Hymn. XIX, p. 624.

(7) S. EPHRAEM, Oratio ad Ss.mam Dei Matrem: Opera omnia, ed. Assemani, t. III (graece), Romae 1747, p. 546.

(8) S. GREGORIUS NAZ., Poemata dogmatica, XVIII, v. 58: PG 37, 485.

(9) PRUDENTIUS, Dittochaeum, XXVII: PL 60, 102A; Obras completas de Aurelio Prudencio (edicion bilingüe), BAC, Madrid 1981, p. 758.

(10) Hom. in S. Lucam, hom. VII: ed. Rauer, Origenes Werke, t. IX, p. 48 (ex catena Macarii Crysocephali). Cf. PG 13, 1902D.

(11) S. HIERONYMUS, Liber de nominibus hebraeis: PL 23, 886.

(12) S. PETRUS CHRYSOLOGUS, Sermo 142, De Annuntiatione B.M.V.: PL 52, 579C; cf, etiam 582B, 584A: «Regina totius exstitit castitatis».

(13) Relatio Epiphanii Ep. Constantin.: PL 63, 498D.

(14) Encomium in Dormitionem Ss.mae Deiparae (inter opera S. Modesti): PG 86, 3306B.

(15) S. ANDREAS CRETENSIS, Homilia II in Dormitionem Ss.mae Deiparae: PG 97, 1079B.

(16) S. ANDREAS CRETENSIS, Homilia III in Dormitionem Ss.mae Deiparae, I: PG 98, 303A.

(17) S. GERMANUS, In Praesentationem Ss.mae Deiparae, I: PG 98, 303A.

(18) S. GERMANUS, In Praesentationem Ss.mae Deiparae, II: PG 98, 315C.

(19) S. IOANNES DAMASCENUS, Homilia I in Dormitionem B.M.V.: PG 96, 719A.

(20) S. IOANNES DAMASCENUS, De fide orthodoxa,1. IV, c.14: PG 44,1158B.

(21) De laudibus Mariae (inter opera Venantii Fortunati): PL 88, 282B et 283A.

(22) ILDEFONSUS TOLETANUS; De virginitate perpetua B.M.V.: PL 96, 58AD.

(23) S. MARTINUS I, Epist. XIV: PL 87, 199-200A.

(24) S. AGATHO: PL 87; 1221A; Dz 547.

(25) HARDOUIN, Acta Conciliorum, IV, 234 et 238: PL 89, 508B.

(26) XYSTUS IV, Bulla Cum praeexcelsa, 28 febr. 1476.

(27) BENEDICTUS XIV, Bulla Gloriosae Dominae, 07 sept. 1748.

(28) S. ALFONSO, Le glorie di Maria, p. I. c. I, § 1.

(29) Ex liturgia Armenorum: in festo Assumptionis, hymnus ad Matutinum.

(30) Ex Menaeo (byzantino): Dominica post Natalem, in Canone, ad Matutinum.

(31) Officium hymni Akátistos (in ritu byzantino).

(32) Missale Aethiopicum, Anaphora Dominae nostrae Mariae, Matris Dei.

(33) Breviarium Romanum, Versiculus sexti Respons.

(34) Festum Assumptionis, Hymnus Laudum.

(35) Festum Assumptionis, ad Magnificat II Vesp.

(36) S. IOANNES DAMASCENUS, De fide orthodoxa, 1. IV, c. 14: PG 94, 1158s.B.

(37) PIUS XI, Litt. enc. Quas primas: AAS 17(1925), p. 599; EE 5/147.

(38) Festum septem dolorum B. Mariae Virg., Tractus.

(39) EADMERUS, De excellentia Virginis Mariae, c. 11: PL 159, 508AB.

(40) F. SUAREZ, De mysteriis vitae Christi, disp. XXII, sect. II: éd. Vivès, XIX, 327.

(41) S. IRENAEUS, Adv. haer., V, 19, 1: PG 7, 1175B.

(42) PIUS XI, Epist. Auspicatus profecto: AAS 25(1933), p. 80.

(43) PIUS XII, Litt, enc. Mystici corporis: AAS 35(1943), p. 247; EE 6/258.

(44) S. SOPHRONIUS, In Annuntiationem Beatae Mariae Virginis: PG 87, 3238D et 3242A.

(45) S. GERMANUS, Hom. II in Dormitionem Beatae Mariae Virginis: PG 98, 354B.

(46) S. IOANNES DAMASCENUS, Hom. I in Dormitionem Beatae Mariae Virginis: PG 96, 715A.

(47) PIUS IX, Bulla Ineffabilis Deus: Acta Pii IX, I, pp. 597-598; EE 2/app.

(48) Ibidem, p. 618; EE 2/app.

(49) LEO XIII, Litt. enc. Adiutricem populi: AAS 28(1895-96), p.130; EE 3.

(50) PIUS X, Litt. enc. Ad diem illum: AAS 36(1903-04), p. 455; EE 4/27.

(51) S. THOMAS, Summa theol., I, q. 25, a. 6, ad 4.

(52) PIUS XII, Litt. enc. Humani generis: AAS 42(1950), p. 569; EE 6/721.

(53) Ex Brev. Rom.: Festum Assumptionis Beatae Mariae Virginis.

ABUSO DELLE GRAZIE

ABUSO DELLE GRAZIE

[E. Barbier “i Tesori di Cornelio Alapide, vol. I, Torino,1930]

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  1. L’abuso delle grazie è una grande disgrazia. — O città ingrata! esclamava Gesù Cristo versando lagrime sopra Gerusalemme che abusava di tante sue grazie; o città sventurata! Ah se tu conoscessi, almeno ancora in questo giorno, quel che importa alla tua pace! ma ora questo è a’ tuoi occhi celato (Luc. XIX, 41-42); tu ti rifiuti di vedere i miei favori per non approfittarne. O figlia di Sionne, tu sei pur quella ch’io ho tanto amato, onorato, arricchito, istruito, ed or non mi conosci, ma mi rigetti, mi condanni, mi perseguiti, mi crocifiggi!… Io son disceso per te dal Cielo in terra; per te son nato e vissuto tra continui stenti, dolori e privazioni : io t’ho visitata, coltivata; ho guarito i tuoi lebbrosi, i tuoi malati, i tuoi ossessi, risuscitato i tuoi morti: e tu mi fuggi, mi disprezzi, mi fai guerra!… Non son forse tratteggiati in questo quadro i cristiani infedeli ed ingrati? non son essi gli imitatori de’ Giudei?… Udite S. Agostino che mette sulle labbra di Gesù queste parole: O uomo, sono io che t’ho fatto colle mie mani dal fango della terra, che t’ho inspirato il soffio della vita; che mi son degnato crearti a mia immagine e somiglianza, e tu, trascurando i miei precetti, fatti per darti la vita, hai preferito il Demonio al tuo Dio. Quando fosti cacciato dal Paradiso e incatenato coi ceppi della morte per cagione del tuo peccato, io presi carne, stetti esposto in una mangiatoia, coricato ed avviluppato in fasce; tollerai affronti e privazioni senza numero; sopportai gli schiaffi e gli sputi di coloro che di me si burlavano; fui flagellato, coronato di spine; e finalmente spirai su la croce. Perché hai tu lasciato perdersi il frutto di quello ch’io soffrii per te? Perché, ingrato, non volesti riconoscere e accettare i doni della Redenzione? Perché attaccarmi alla croce de’ tuoi misfatti, croce mille volte più dolorosa di quella del Golgota? Sì, la croce de’ tuoi peccati è per me molto più pesante che la croce del Calvario: perché a questa io mi sottoposi volentieri per compassione di te e vi morii per rendere a te la vita; ed a quella io mi veggo da te inchiodato contro mio volere (Enchiridion). Udite quel che fa l’uomo il quale abusa delle grazie: ecco i malanni che attira sopra di lui questo abuso. « La vigna del mio diletto, dice Isaia (V, 1-4), è piantata in colle ubertoso. Egli l’ha munita tutt’intorno di siepe; la sgombrò dalle pietre, la fornì d’elette viti, v’ha costrutto nel bel mezzo una torre, vi stabilì uno strettoio, poi aspettò che desse uve ed ella portò lambrusche. – Or dunque, abitanti di Gerusalemme, o voi uomini di Giuda, giudicate tra di me e la mia vigna. Che cosa potevo io fare per lei, che non l’abbia fatto? Perché invece d’uve m’ha prodotto lambrusche?». Non è forse questa la condanna di chi abusa delle grazie? Non siamo noi tutti la vigna del Signore? Non s’è egli studiato in ogni modo di schiantare dal nostro cuore i bronchi e le cattive piante? Non ci ha forse scelti con quella cura, con cui il vignaiuolo sceglie le piante per la sua vigna per averne frutto? Non siamo noi stati circondati d’attenzioni e colmati di grazie? Che poteva far di più per noi il Signore? Ci ha creati a sua immagine, e noi quest’immagine l’abbiamo profanata, sfigurata nelle lordure del peccato; ci ha riscattati a prezzo del suo sangue; ha istituito i Sacramenti, quasi torre insuperabile che doveva servire a proteggerci, e noi tutti questi benefizi abbiamo resi inutili. Che pesante fardello! che terribile disgrazia!… Noi abusiamo della creazione, della Redenzione, de’ Sacramenti, delle sante inspirazioni, della parola e della legge di Dio. Abusiamo degli occhi, delle orecchie, della lingua, de’ piedi, delle mani, di tutto il corpo, della sanità, delle forze, degli anni. Abusiamo di tutti gli elementi, del giorno e della notte; abusiamo dell’anima e delle sue potenze, memoria, intelligenza, volontà; abusiamo del cuore, come delle ricchezze, degli onori, dei piaceri, del cibo, della bevanda, de’ vestimenti. Abusiamo della vita, del tempo, dell’eternità, degli Angeli, degli uomini, delle creature tutte, di Dio medesimo!… O delitto inconcepibile! o sventura micidiale!
  2. Castighi dell’abuso delle grazie. — « Ed ora vi spiegherò quel che son per fare alla mia vigna ingrata, dice il Signore: ne estirperò la siepe ed ella sarà devastata; getterò a terra il suo muro ed ella sarà conculcata». (Isai. V, 5). « La renderò deserta, e non sarà potata, né sarchiata; vi cresceranno sterpi e spine; comanderò alle nuvole che non piovano stilla sopra di lei » (Ib. 6). « Coloro che abusano delle grazie, soggiunge S. Paolo a’ Romani, s’accumulano un monte d’ira pel giorno dell’ira e della manifestazione del giudizio di Dio» (II, 5). Noi, scrive S. Gregorio, i quali abbiamo ricevuto molte più grazie che non parecchi altri, dovremo anche sottostare a più severo giudizio. Poiché a proporzione che aumentano le grazie, s’accresce pure il conto che dovremo renderne. Tanto più umili dunque dobbiamo essere e più pronti a servire Dio, approfittando de’ favori ricevuti, quanto più stretto conto vediamo di doverne rendere in ragione del loro numero e valore. « E benedetta dal Signore quella terra, notava già S. Paolo agli Ebrei, che bevendo la pioggia, che di frequente le cade in grembo, produce per chi la coltiva utili erbe: ma se germoglia triboli e spine, è riprovata e prossima a maledizione, e il suo fine sarà d’essere bruciata ». Il Signore aguzzerà la sua collera in forma di lancia, sta scritto nel Libro della Sapienza, contro coloro che abusano dei suoi doni: (Sap. V, 21). Ora, commenta S. Gregorio, « siccome noi abusiamo di tutto, saremo quindi colpiti in tutto. Tutto ciò che riceviamo per l’uso della vita, è da noi impiegato al peccare; ma badiamo che tutto ciò che noi, mancando al nostro fine, volgeremo a cattivo uso, diverrà per noi strumento di vendetta ». E dice la Sapienza: « Il mondo intero combatterà a fianco di Dio contro gl’insensati che abusano delle sue grazie » (Sap. V, 21). Il sole, gli astri, la terra, le piante, gli animali, gli elementi tutti grideranno vendetta contro quelli che avranno abusato dei loro doni che sono benefizi di Dio. « Noi sacrifichiamo la nostra sanità ai vizi, soggiunge S. Gregorio, e impieghiamo l’abbondanza dei beni terreni non a sovvenire alle necessità della vita, ma a pervertirci. È dunque giusto che tutte le cose, le quali servirono alle nostre passioni, tutte a un tempo ci feriscano, così che alla fine ci strazino tanti tormenti quanti furono i godimenti provati prima ».

La strana sindrome di nonno Basilio: 21

nonno

Caro direttore, spero di non esserle di fastidio in questa mia nuova missiva e di non seccare troppo i suoi lettori che avranno la pazienza di seguirmi ma, la prego, le ricordo che si tratta di un’opera di misericordia: “consigliare i dubbiosi”, anche se per la verità, più che dubbioso, sono stravolto! Ascolti: io ed i miei nipoti, tanto carini da rinunciare a qualche momento di svago per visitarmi (anche questa è un’opera di misericordia, le pare: “visitare gli ammalati” … o forse nel mio caso: “sopportare pazientemente le persone moleste” … boh! …! lei che ne dice?) stavamo cantando il “Te Deum”, e giunti al punto modulante del “salvum fac populum tuum et benedic hereditati tuæ et rege eos et extolle eos usque in æternum” (che poi è il versetto 9 del Salmo XXVII), nell’articolare un neuma gregoriano, particolarmente impegnativo per le mie ridottissime capacità canore, la Sacra Bibbia mi scivola dalle mani chiudendosi … la riprendo e vedo che si è riaperta nel bel mezzo dell’Apocalisse (II,20): “Lettera alla chiesa di Tiatira” al punto in cui parla di “… Iezabèle, la donna che si spaccia per profetessa e insegna e seduce i miei servi inducendoli a darsi alla fornicazione” (II, 20). Terminato il canto, il versetto apocalittico mi riverbera nella mente e all’improvviso mi “fulminano” le parole dello zio Pierre: “Iezabèle che seduce i miei servi … ma certo, Iezabèle è il “modernismo”!!. Subito Caterina, sempre in cerca di nozioni mi chiede: “nonno, ma che cosa è questo modernismo, se ne sente parlare tanto, ma nessuno sa definirlo con precisione”. Solerte le rispondo citando essenzialmente la definizione che S. Pio X ne da nella sua strepitosa enciclica “Pascendi”. S. Pio X definì il “Modernismo”: la “sintesi di tutte le eresie”, ossia il “compendio di tutti gli errori”. Certo, i buoni fedeli non sanno nulla (anche perché spesso non vogliono sapere nulla!) e quindi non possono capire dov’è il sottile veleno delle sue teorie, che possiamo dire: l’agnosticismo, il panteismo, il luteranesimo, il razionalismo, per finire nel naturalismo, materialismo, ateismo ed infine il nichilismo. Siamo, ormai, allo scoperto delle “due città” di S. Agostino, ossia alla città di Dio e a quella di satana, due campi nitidamente separati! L’enciclica di S. Pio X, la “Pascendi Dominici Gregis” del 1907 è un documento che c’insegna a definire e combattere questo nefando Movimento. Anche il Concilio Vaticano lo prevenne con ammaestramenti e definizioni, colpì a morte le teorie moderniste, che vorrebbero spiegare l’introduzione della religione cristiana nel “mondo” con teorie soggettivistiche d’immanenza e di monismo evolutivo. Infatti, nella teoria modernista non è Dio che crea l’uomo, ma è l’uomo che crea un Dio adatto alla sua coscienza (pensi un po’ che idiozia!), per cui deve avere quel culto che più garba al suo modo di vedere e di vivere, ossia: un Dio selvaggio per i selvaggi, un Dio bello ed esteta in Grecia, giuridico marziale per Roma, feticcio nelle Indie, un Dio, perciò, che non deve disturbare nessuno, lasciando tutti nelle loro disparate o assurde convinzioni “culturali” e perciò falso ed eretico senza che alcuno debba ammaestrare nessuno, in modo da mandare tutti all’inferno! “Ma è proprio quello che ci dicono oggi nelle nostre parrocchie e nelle prediche della Messa …”, interviene Mimmo spavaldo. Caro Mimmo, insisto io, mentre i pagani avevano idoli di pietra, di piante, d’animali, i moderni pagani hanno degli idoli fantastici, astratti, fabulistici, sentimentali, “idola mentis”, come direbbe S. Agostino; ma l’idolo peggiore è il “culto dell’uomo” sponsorizzato da tutte le “conventicole mondialiste”, come le definiva lo zio Pierre (chissà cosa volesse intendere?), “conventicole”, a suo dire, infiltrate anche nei palazzi curiali (ma le ho spiegato, caro direttore, che lo zio aveva delle strane idee sulle vicende umane e storiche, e della Chiesa in particolare … che soggetto singolare!). Arriva Caterina che si era momentaneamente allontanata, e trionfante dice: “L’eresia modernista”: verso la fine del secolo diciannovesimo si era sviluppato, in seno alla Chiesa cattolica, il movimento modernista, nella prospettiva di promuovere un progressivo adattamento della dottrina e delle strutture della Chiesa alla mentalità relativista e democratica della cosiddetta società moderna, contro cui i Papi avevano invece intrapreso, già da circa un secolo, una serrata lotta (per tutti Pio IX ed il suo “Syllabo”). Tra i principali esponenti del modernismo, un posto di primo piano era occupato dall’abbé Alfred Loisy, dall’oratoriano p. Lucien Laberthonnière e dal gesuita p. George Tyrrel, mentre in Italia svolgevano una notevole attività, tra gli altri, soprattutto don Ernesto Buonaiuti, don Salvatore Minocchi, don Romolo Murri e, tra i laici, il conte Tommaso Gallarati-Scotti e lo scrittore e poeta Antonio Fogazzaro, che rispolverarono idee “ecumeniche” degli abati apostati Roca, Sain Yves d’Alveydre, [… e compagni di merenda e di zuppa gnostico-talmudista, aggiungo io] …, impregnati di becero esoterismo, cabalismo luciferino, aderenti notoriamente a logge di alta iniziazione pur conservando i loro privilegi ecclesiastici da buoni infiltrati della “quinta colonna” (persone veramente raccomandabili!- n.d.Bas.-). Ora, nonostante le diversità e le differenti sfumature del pensiero dei vari membri del movimento, va detto, fin da subito, che le tesi moderniste erano affette da un “peccato d’origine” comune, un relativismo filosofico di fondo, errore fondamentale che il Decreto “Lamentabili”, emanato dal S. Uffizio, avrebbe poi così riassunto nello stroncarlo inappellabilmente: “La verità non è immutabile più di quanto lo sia l’uomo stesso, giacché essa si evolve con lui, in lui e per lui”. (Decreto “Lamentabili” contro gli errori modernisti, proposizione n. 58). Non si trattava dunque di una cosa da poco, dato che il relativismo comportava necessariamente la completa rovina dei fondamenti della fede cattolica (se non vi sono verità fisse ed immutabili, il concetto stesso di dogma svanisce!) e la conseguente annichilazione della Chiesa. A sua volta, il relativismo evoluzionista dei modernisti derivava dal concetto che questi ultimi avevano, circa l’origine della religione, che essi facevano sgorgare esclusivamente dalla coscienza dell’uomo (errore dell’immanentismo, purtroppo oggi ripetuto dai massimi vertici gerarchici, dice Caterina … ma sarà mai vero, direttore?! Ho il sospetto che qui mi prendano in giro un po’ tutti!). Ogni verità religiosa, infatti, non sarebbe stata altro che il semplice prodotto della coscienza individuale, mossa dal sentimento religioso, sotto la spinta di una “divinità” vaga ed indistinta [quindi falsa e pagana –n.d.Bas.-], della quale l’uomo non poteva dire alcunché di certo e definitivo. Anche la Religione Cattolica diveniva quindi, nell’ottica modernista, un semplice prodotto umano, soggetto quindi a continuo cambiamento evolutivo, senza verità infallibili ed immutabili, fissate una volta per sempre: “Il sentimento religioso, che per vitale immanenza si sprigiona dai nascondigli della subcoscienza avrebbe poi denunciato Papa San Pio X – è (per i modernisti) il germe di tutta la religione… Ecco pertanto la nascita di qualsiasi religione, sia pure soprannaturale: esse altro non sono che semplici esplicazioni dell’anzidetto sentimento religioso. Né si creda che diversa sia la sorte della Religione Cattolica…” (ancora l’enciclica Pascendi). Sempre su questa base, i libri della Sacra Scrittura, compresi ovviamente i Vangeli, venivano ridotti ad una raccolta di esperienze puramente interiori, nate dal sentimento religioso dei singoli scrittori sacri, ciò che comportava la negazione della storicità dei fatti soprannaturali ivi narrati. I miracoli e le profezie erano, infatti, declassati a semplici espedienti psicologico-letterari, a meri simboli, adoperati per muovere i lettori alla “fede” nella suddetta “divinità”, nell’ambito di una altrettanto vaga ed indistinta religiosità naturale. Altrettanto simbolico e non reale, come abbiamo già detto, diveniva il contenuto dei dogmi della Fede cattolica: “Le cose, che la Chiesa ci propone a credere come dogmi rivelati – scriveva ad esempio il capofila dei modernisti, l’abbé Alfred Loisy – non sono verità venute dal cielo, conservate dalla tradizione nella loro forma originaria; per lo storico, sono soltanto un’interpretazione di fatti d’indole religiosa che il pensiero teologico ha raggiunto con faticoso lavoro. Ecco che quindi i modernisti razionalisti come Loisy, Harnac, Labanca, Renan e altri simili [bestie ignoranti, aggiungo sempre io fremente, perché questi beoti evidentemente erano con malizia imbeccati opportunamente dai soliti marrani, “nemici di tutti gli uomini”, i luciferini della “razza di vipere”], non si vogliono foggiare con la religione e con la fede e la morale, ma con un proprio modo di vedere. E quindi riducono la fede ad un sentimentalismo, ad un’emozione, cioè, che resta dentro i confini del sentimento, da cui segue che ogni religione è vera (o falsa, perché a questo punto la cosa è irrilevante! –n.d.Bas.-), sia che i sentimenti si rivolgano a Gesù Cristo, a Maometto, al dio Jeova oppure al dio Budda, ad un feticcio qualunque, cancellando quindi San Paolo che afferma: «uno è il Signore, una la Fede, uno il Battesimo, uno Iddio, il quale è Padre di tutti gli uomini e domina tutte le cose». Quindi, Gesù fondò la sua Chiesa, ed Egli ne è la pietra angolare ed ivi si insegna una sola dottrina, immutabile ed eterna, la sola Verità. Una volta accettati questi falsi presupposti e posta la coscienza umana al centro e all’origine della religione, i modernisti erano necessariamente condotti, con l’implacabile logica dell’errore, a considerare fondamentalmente vere tutte le religioni (o meglio le false idolatrie modellate dal “farfariello” ingannatore –n.d.Bas.-), nonostante le grandi diversità di dottrine, di riti e di regole morali. Queste differenze venivano infatti ritenute del tutto trascurabili perché considerate, nel sistema modernista, come semplici involucri esteriori dell’unico e identico sentimento religioso naturale [praticamente il paganesimo satanico, si sono sempre io, ma non riesco a zittire ascoltando queste assurdità –n.d.Bas.-] comune a tutti gli uomini: “Posta questa dottrina dell’esperienza denuncerà infatti San Pio X – (…) ogni religione, sia pure quella degli idolatri, deve ritenersi come vera (…). Ed infatti i modernisti non negano, concedono anzi, alcuni velatamente, altri apertissimamente, che tutte le religioni sono vere”, opera di “uomini straordinari, che noi chiamiamo profeti e dei quali Cristo è il sommo”. In quest’ottica, i modernisti erano anche pronti a concedere che la Religione Cattolica fosse la più perfetta ma, si badi, non l’unica vera (!!!). “E questa -esclama Mimmo meravigliato- è una realtà che va tenuta ben presente fin d’ora per comprendere l’altrimenti incomprensibile attuale “follia ecumenica” della Gerarchia “conciliare” (direttore, ma questa deve essere la solita “macchietta” di Mimmo, non le sembra pure a lei, perché allora, io dico, ma il Papa dove sta? e il Santo Uffizio dorme? …impossibile, sono cose a cui Mimmo non pensa nella sua balordaggine!). “Da rilevare, infine, continua Cateriina- una particolare ed originale tattica messa in atto dai modernisti e che contribuisce a distinguere quest’eresia da ogni altra di stampo “classico”, vale a dire l’uso spregiudicato della simulazione e del linguaggio ambiguo, (questo è ciò che hanno sempre fatto i marrani d’altra parte, ecco perché sono certo che il Modernismo è stato avviato da marrani e da quelli dai quali i marrani provengo –n.d.Bas.-) con lo scopo mirato di rimanere nella Chiesa per cambiarla dall’interno (quella che il gen. Franco chiamava la “quinta colonna”, – scusatemi, ma non ce la faccio proprio!- n.d.Bas.)”. “Inoltre scriverà a questo proposito San Pio X – nell’adoperare le loro mille arti per nuocere, nessuno li supera in accortezza e in astuzia: giacché agiscono promiscuamente da razionalisti e da cattolici, e ciò con così sottile simulazione da trarre agevolmente in inganno ogni incauto (…). E così essi operano scientemente e di proposito; sia perché è loro regola che l’autorità debba essere spinta, non rovesciata; sia perché hanno bisogno di non uscire dall’ambiente della Chiesa per poter cambiare a poco a poco la coscienza collettiva”. Tattica che, dopo cinquant’anni di frenetico lavorìo sotterraneo, ha fruttato il successo del ribaltone dottrinale operato dai Padri del Concilio Vaticano II mediante l’adozione di non poche tesi moderniste, puntualmente spacciate allo sprovveduto “popolo di Dio” come necessario “aggiornamento” della Chiesa ai mitici “tempi nuovi” preludio del “Novus Ordo Mondiale”. Dulcis in fundo, in questo clima di apostasia sorridente, dopo aver dissolto, nelle loro nebbie gnostiche, Gerarchia, Dogmi e Sacramenti, non v’è da meravigliarsi che almeno una parte dei modernisti si spingesse apertamente, “obbedendo assai volentieri ai cenni dei loro maestri protestanti e ai marrani”, a desiderare “soppresso nel sacerdozio lo stesso sacro celibato”. Classica ciliegina sulla torta di ogni modernismo – di ieri e di oggi – sedicente “riformatore”. Non occorreva, dunque, molta fantasia per immaginare le conseguenze della penetrazione di queste idee tra il clero e il laicato. Mosso da profonda preoccupazione, il Sommo Pontefice San Pio X, nella sua Allocuzione al Concistoro dei Cardinali del 15 aprile 1907, denunciava così, senza mezzi termini, il pericolo mortale che la Chiesa stava correndo: “E ribelli, purtroppo, sono quelli che professano e diffondono sotto forme subdole gli errori mostruosi sull’evoluzione del dogma, sul ritorno al Vangelo puro, vale a dire sfrondato, come essi dicono, dalle spiegazioni della Teologia, delle definizioni dei Concili, delle massime dell’ascetica; sulla emancipazione dalla Chiesa, però in modo nuovo, senza ribellarsi, per non essere tagliati fuori, ma nemmeno assoggettarsi per non mancare alle proprie convinzioni; e, finalmente, sull’adattamento ai tempi in tutto, nel parlare, nello scrivere, nel predicare una carità senza fede, tenera assai per i miscredenti, la quale apre a tutti, purtroppo, la via dell’eterna rovina”. O bella, interrompe la lettura Caterina: ma questa è proprio la denuncia anticipata della “bufala” della misericordia a buon mercato del fantomatico ultimo giubileo! (Direttore, chiedo a lei, ma adesso questa storia del “falso” giubileo dell’altrettanto “falsa” misericordia, da dove salta fuori? La prego, mi faccia capire, sento che la testa non regge, mi sta scoppiando!!). Caterina riprende la lettura: “Contrattacca ancora Pio X: “Voi vedete bene, se Noi che dobbiamo difendere con tutte le forze il deposito che ci venne affidato, non abbiamo ragione di essere in angustie di fronte a questo attacco, che non è un’eresia, ma il compendio e il veleno di tutte le eresie, che tende a scalzare i fondamenti della fede e ad annientare il Cristianesimo. Sì! Annientare il Cristianesimo, perché la Sacra Scrittura per questi eretici moderni non è più la fonte sicura di tutte le verità che appartengono alla fede, ma un libro comune; l’ispirazione dei Libri Santi per loro si riduce alle dottrine dogmatiche, intese però a loro modo, e per poco non si differenzia dall’ispirazione poetica di Eschilo e di Omero. Legittima interprete della Bibbia è la Chiesa, però soggetta alle regole della cosiddetta scienza critica che si impone alla Teologia e la rende schiava. Per la Tradizione della Chiesa, finalmente, tutto è relativo e soggetto a mutazioni, e quindi ridotta a niente l’autorità dei Santi Padri. E tutto questo, e mille altri errori, li propagano in opuscoli, in riviste, in libri ascetici e perfino in romanzi, e li involgono in certi termini ambigui, in certe forme nebulose, onde avere sempre aperto uno scampo alla difesa per non incorrere in una aperta condanna e prendere però gli incauti nei loro lacci”(Enc. Pascendi). “Brava Caterina, mi complimento, ma dove le hai trovate tutte queste cose così interessanti, soprattutto per coloro che sono affetti da vincibile ignoranza, e che hanno paura di smuovere le loro coscienze incuranti del pericolo che le loro anime corrono – dico accennando a Mimmo – ? “Bah, risponde lei, con una punta di falsa modestia, basta farsi una navigata! (ma com’è, ora nel mare si pescano notizie? … Direttore, io non capisco, mi aiuti! …). Interviene Mimmo stravolto: ma queste eresie condannate, come dici tu nonno, da anatema eterno da S. Pio X e dagli altri difensori della retta Fede cattolica, sono oggi in gran voga, e ritenute verità di fede … dunque l’inganno va avanti?! Per consolarlo gli dico: “Non ti avvilire Mimmo, certo, gli Apostoli previdero che, in ogni tempo, ci sarebbero stati ogni sorta di modernisti e di novatori. San Giuda Taddeo ammoniva i fedeli di guardarsi da loro, per non essere trascinati nell’empietà: «In novissimo tempore venient illusores secundum desideria sua fabulantes in impietatibus; hi sunt qui segregant semetipsos, animales, spiritum non habentes». (Gliela traduco, direttore, per facilitarle la lettura: “alla fine dei tempi vi saranno impostori, che si comporteranno secondo le loro empie passioni. Tali sono quelli che provocano divisioni, gente materiale, privi dello Spirito”. Poi continua: “ Ma voi, carissimi, costruite il vostro edificio spirituale sopra la vostra santissima fede, pregate mediante lo Spirito Santo, conservatevi nell’amore di Dio, attendendo la misericordia del Signore nostro Gesù Cristo per la vita eterna. Convincete quelli che sono vacillanti, altri salvateli strappandoli dal fuoco, di altri infine abbiate compassione con timore, guardandovi perfino dalla veste contaminata dalla loro carne”. (Giuda: 18-22). Anche l’apostolo San Paolo raccomanda a Timoteo di vigilare,”… perché verrà un tempo in cui molti non vedranno più la sana dottrina, ma, pei propri gusti, cercheranno maestri che racconteranno favole su teorie inventate, false e fallaci” (2Tim 4,3). Per questo, Gesù ci diede un criterio di verità per conoscere l’albero buono e quello cattivo: “ex fructibus eorum cognoscetis eos”. (I frutti sono purtroppo sotto gli occhi di tutti … e ne riparleremo!). Aggiunge poi: “Tu però vigila attentamente …”. Noi cristiani non scopriamo la verità, ma col lume della ragione e della Fede scopriamo le verità soprannaturali: il mistero della Trinità, dell’Incarnazione, dell’Eucarestia, della Risurrezione dei morti: sono verità di divine rivelazioni, non di umane invenzioni. Il “Modernismo”, invece, (che non è nuovo, ma vecchio e risalente ai tempi di Adamo, o meglio del “serpentone” ingannatore!) è la peste della società, perché vi si ragiona sui trampoli, scambiando le cause, confondendo la logica, per cui esso è una vera malattia, il nome nuovo dello scetticismo, del naturalismo, del razionalismo, il nome posticcio di lucifero! Il Modernismo, quindi, è solo un ennesimo tralcio infecondo, staccato dalla vite vera, il Cristo, per cui verrà, poi, gettato ad ardere nelle fiamme infernali. È bene ricordare che la Chiesa guarda sempre impavida in faccia a tutte le tempeste. È da venti secoli che la Chiesa non fugge. Le tempeste passeranno e la Chiesa drizza la prora verso nuove conquiste, non per raccogliere tesori del mondo, ma per pescare e salvare le anime, in virtù del nome di Gesù, fuori del Quale non c’è salvezza. Questo è certo! Gesù disse ai suoi Apostoli «IO VI FARÒ PESCATORI DI ANIME» e noi sappiamo dal Vangelo che la notte in cui S. Pietro ed altri discepoli, che con lui lavorarono intensamente sul lago di Genezaret senza prendere un pesciolino, gettarono poi la rete nel nome del Signore e raccolsero una enorme quantità di pesci. Questo fatto evangelico ci dice chiaramente che la Chiesa deve salvare le anime, sì, non coi mezzi di prudenza umana, (“l’eccessiva prudenza porta alla rovina”, anzi diceva S. Tommaso, il Dottore Angelico), ma in virtù del nome del Signore. Il Cristianesimo, cioè, deve combattere il mondo corrotto, con l’essere crocifisso dai suoi nemici implacabili. Questa lotta la si vede in tutto il corso della Storia della Chiesa, di ieri e specialmente di oggi, in cui vediamo con tristezza il trionfo della sètta modernista e del marrano viperino. San Pio X, nella sua enciclica “Pascendi Dominici Gregis” contro il modernismo, denunciò gli “artigiani degli errori”, che si celano, soprattutto, “nello stesso seno e nel cuore della Chiesa”, e che spargono i loro “consigli di distruzione”, “non dall’esterno … ma nell’interno.., così che il danno è, oggi, vicino alle viscere e alle vene della Chiesa”. Col Motu Proprio del 18 novembre 1907, il Papa aggiungeva all’enciclica “Pascendi” e al decreto “Lamentabili” con il “Giuramento antimodernista”, la pena di scomunica contro i “contradditori” di quel periodo (quanti oggi nella Chiesa sono gli scomunicati … e non lo sanno … poveri ignoranti che non amano la verità che li farebbe santi e liberi, e che hanno bisogno che qualcuno autorizzato rimuova le loro censure, altrimenti l’inferno non glielo toglie nessuno!). Tre mesi più tardi, nel “Motu Proprio” del 1° settembre 1910, San Pio X pronunciò questa grave denuncia: «I modernisti, anche dopo che l’enciclica “Pascendi” ebbe tolta la maschera con cui si coprivano, non hanno abbandonato i loro disegni di turbare la pace della Chiesa. In effetti, non hanno cessato di ricercare e di associarsi in una “Associazione segreta” di nuovi adepti. Caro Mimmo, ogni qualvolta ed in qualunque modo al sacro si sostituisce il profano, al divino l’umano, sta’ attento!: è lì che si annida il “punteruolo rosso” del modernismo, parassita che non si vede, non fa rumore, ma inavvertitamente polverizza il tronco della palma e ce ne accorgiamo quando oramai è troppo tardi! Direttore, abbiamo tanto da pregare per tentare di riportare anime a Dio, in una Chiesa di cui nell’Apocalisse si dice: “Conosco le tue opere; ti si crede vivo e invece sei morto. Svegliati e rinvigorisci ciò che rimane e sta per morire”(Apoc. III,1-2). ). Che il Signore e la Vergine Maria ci salvino dalla peste del progressismo … o è già troppo tardi?! A proposito di tardi, l’ora si fa tarda e si avvicinano i vespri: “All’empio dice Dio: “Perché vai ripetendo i miei decreti e hai sempre in bocca la mia alleanza, tu che detesti la disciplina e le mie parole te le getti alle spalle?”(Salmo XLIX,16-17) ed ancora:“Tutti hanno traviato, tutti sono corrotti; nessuno fa il bene; neppure uno. Non comprendono forse i malfattori che divorano il mio popolo come il pane e non invocano Dio?”(Salmo LIII, 4-5). Direttore, sursum corda! Diceva S. Giovanna d’Arco: “A noi la battaglia, a Dio la vittoria!” A presto! Deus in adiutorium …