Omelia Domenica di Passione

Omelia della Domenica di Passione

Dal Vang. Sec. S. Giovanni, VIII

[del Canonico G.B Musso- 1851]

Rispetto alle Chiese

 

Bisogna ben dire che sia un gran peccato il poco rispetto alla casa di Dio, mentre Gesù Cristo in due occasioni diverse lo punisce con severi ed esemplari castighi. L’odierno Vangelo ci presenta il divino Maestro che istruisce nel Tempio una turba di Ebrei. I malvagi invece di trarre profitto L’insultano con ingiurie e Lo minacciano con pietre: Lo chiamano Samaritano ed indemoniato, e si armano per lapidarLo. Ecco il delitto, Gesù nascondendosi agli occhi loro, esce dal Tempio. “Jesus autem ascondit se, et exivit de Templo”. Ecco il castigo, castigo di abbandono, castigo di privazione della perfida Sinagoga, castigo di ogni altro il maggiore, espresso nel ritiro liturgico di questa Domenica, in cui si velano le sacre immagini. In altro tempo vede Gesù il Tempio santo di Dio convertito in piazza di negoziazione e, come Egli si espresse, in una spelonca di ladri. Ecco il delitto. E acceso in volto di santo zelo, con flagello alla mano discaccia i sacrileghi profanatori. Ecco il castigo. Su questo, uditori, come più sensibile, facciamo due riflessioni. Perché il Figliuolo di Dio di propria mano, e perché con un flagello prende vendetta della violazione del sacro luogo? Tutto ciò che nei sacri libri sta scritto, dice l’Apostolo, a nostra istruzione sta scritto. Ecco dunque il perché. Castiga Cristo Gesù di propria mani i profanatori del Tempio, per farci conoscere la gravità di questo peccato. Adopera un flagello per indicarci i molti castighi che trae addosso quest’istesso peccato. In questi due aspetti, trattiamo, fideli miei, l’importante argomento e rimedio se ci troviamo colpevoli, a preservazione se siamo innocenti.

.I. Dalla qualità della pena si può argomentare la gravezza della colpa. Se si eccettui il già indicato avvenimento, non si legge in alcun luogo dell’antico Testamento, e nel nuovo, che Iddio per qualunque misfatto abbia di propria mano puniti i delinquenti. Scacciò dal terreno paradiso i rei nostri progenitori, ma si valse d’un angelo, esecutore del meritato esilio. Per mezzo di un angelo percosse tutte le famiglie di Egitto colla prodigiosa uccisione di tutti i loro primogeniti. Per mezzo di un angelo fece starge del numeroso esercito dell’empio Sennacherib. Per mezzo dei serpenti ferì a morte nel deserto i mormoratori di Dio e di Mosè. Per mezzo dei leoni afflisse i popoli prevaricatori della desolata Samaria. In somma a castigare i trasgressori della sua legge, si serve Iddio sdegnato delle ragionevoli o insensate sue creature. Solo quando trattasi di punire i sacrileghi profanatori della santa sua casa vuol adoperare la vendicatrice sua destra.

Si diportò il divin Signore in quest’azione, come un principe sovrano, che i violatori della sua legge fa punire dai suoi ministri con le pene imposte dalla medesima legge. Ma se avvenga mai che vassallo indegno abbia l’ardire di tentare l’onore della sua Sposa, più non si contiene, e omessa ogni formalità di giudizio, impugna la spada, e di sua mano si vendica dell’iniquo attentato. Infatti finché il regnante Assuero udì le accuse fatte da Ester contro il fellone Aman, non parlò di castigo, solo con ciglio torbido e pensoso si tolse a lui davanti; ma ritornando, al veder lo scellerato star supplichevole a pie’ della regina, preso da geloso precipitato sospetto, “Oh! Il perfido, esclamò, il temerario! Anche il presenza mia , nella mia reggia, un tanto ardimento?” Etiam Reginam vult opprimere me praesente in domo mea (Est. VII, 8). Su, si sospenda ad un’altissima trave: un patibolo è poca pena a tanto eccesso. Tanto è vero, che la colpa di chi pecca in casa, e sotto gli occhi del suo sovrano, è immensamente più mostruosa e più grave.

Dite ora argomentando così: come, Gesù Cristo, pastor buono, agnello mansueto, che tutto dolcezza e misericordia accoglie i peccatori, siede a mensa coi pubblicani, loda le Maddalene, sottrae dalle pietre le donne adultere, ora cangiato in leone di Giuda, armata la destra di flagello, acceso di giusto inusitato furore, rovescia le tavole dei banchieri, scompiglia le gabbie delle colombe, e fuor discaccia i mercatanti e gli avventori? Convien concludere che enorme sia il reato, che a tanto lo spinge. Così è, ma quanto maggiore sarà il delitto di noi cristiani, se oseremo perdere il rispetto per la casa di Dio! Furon colpevoli, evvero, gli Ebrei profanatori, ma quel Tempio solo adombrava la maestà di Dio invisibile. Non era in quello, come nelle chiese nostre un Dio realmente presente sotto l’eucaristico velo. E poi quei trafficanti sembrano degni di qualche scusa, poiché le pecore e le colombe, da loro esposte in vendita, erano secondo il rito mosaico, da Dio prescritte nei diversi sacrifici. Ora quale scusa o pretesto potranno addurre gli irriverenti cristiani per i loro cicalecci, sogghigni, prolungati discorsi, occhiate libere, gesti licenziosi, azioni sconvenevoli, scandalosi amoreggiamenti? E tutto ciò davanti a Dio vivente, innanzi a Dio presente, in faccia ai suoi altari, al cospetto degli Angeli suoi adoratori? E che strana cosa è mai questa? Se ne lagna l’oltraggiato Signore per bocca del suo profeta Geremia, che strana cosa ed empia, che il mio popolo dalla mia dilezione favorito e distinto, venga con tanta scelleratezza ad insultarmi in casa mia? Quid est, quod dilectus meus in domo mea fecit scelera multa? Sono dunque così venuto a vile, che nessun riguardo si abbia, né all’abitazione mia, né alla mia presenza? Saprò ben Io vendicarmi del disprezzo sacrilego. Darò di mano a un più tremendo flagello, che quello adoperato nel Tempio: Mea est ultio, et ego retribuam (Deut. XXXII, 35).

.II Questo minacciato flagello, come riflette S. Tommaso, è composto da tre specie di mali, e sono: i castighi privati, i castighi pubblici, e la permission dei peccati, Flagellum de funicoli. E primieramente castighi privati. Padri e madri, vi lagnate sovente che i vostri figliuoli alzino contro voi la testa, la voce e le mani, e disprezzino i vostri comandi e la vostra persona, esaminate voi stessi. Avreste mai perduto il rispetto a Dio ed alla sua casa? Se è così, Iddio permette che vi si renda la pariglia, disprezzo per disprezzo, oltraggio per oltraggio. Scuotono i figli vostri il giogo della paterna autorità, sono discoli, non vi danno che disgusti, han fatto pessima riuscita. Colpa vostra! Fra le altre non avete fatto alcun conto delle loro insolenze in Chiesa. Essi a certe ore si servono della Chiesa come di una piazza da giuoco; nelle loro risse si perseguitano fino in Chiesa colle sassate. E guaio se un chierico, o un sacerdote si facesse a discretamente correggerli. Chi sa come l’intenderebbero certi padri alteri, certe madri arroganti? Caricherebbero, come più volte è avvenuto, di ingiurie e di contumelie il ministro di Dio per aver fatto il proprio e loro dovere. In certe case tutto è scompiglio, tutto è disordine, vi abita il demonio della discordia, v’è una lite che snerva, la malattia che consuma, la povertà che attrista, l’infamia che accora, la disperazione che infuria, tristi effetti, dice l’Apostolo, delle irriverenze, delle sacrileghe profanazioni della casa di Dio. Si quis domum Dei violaverit, disperdet illum Deus (I Cor. III, 17).

Così fu sempre, così sempre sarà. I disprezzatori del luogo santo, non fuggiranno dall’ira di Dio. Vedetene gli esempi funesti nelle divine Scritture. Eccovi Antioco, roso in tutto il corpo da vermi schifosi, perché spogliò il Tempio di Dio. Eccovi Ozia, coperta da fetida lebbra, perché stese la destra profana al sacro incensiere, ecco Manasse, carico di catene, chiuso in tetra prigione, perché collocò nel Tempio un idolo abominevole. Ecco Eliodoro, flagellato dagli angeli, perché violò i sacri depositi e l’altare del Dio di Israele. Ecco Oza Levita, colpito da subitanea morte, perché irriverente stese le mani all’arca del Testamento. Ecco Baldassarre scannato nel proprio letto, perché profanò i vasi del Santuario. Così fu, così sarà sempre. Si quis domum Dei violaverit, disperdet illum Deus. La sentenza è data, ne sarà la vittima chi non la teme.

Se tanto atterriscono i particolari castighi, quanto dovranno spaventarci i pubblici? Escono dalla porta della Chiesa profanata i fulmini della divina vendetta, a difendere il proprio onore, a riparare i ricevuti oltraggi. Iudicium a domo Dei (I Piet. IV, 17). Escono le guerre che fanno strage dei popoli, che atterrano le intere città. Così avvenne per le iterate violazioni del Tempio santo all’infelice Gerusalemme messa a sacco a ferro, a ferro, a fuoco, a ruina dall’armi romane: Ultio Domini, ultio Templi sui (Ger. LI, 11.). Escono gli elementi a sconcertar le stagioni, onde non dian pioggia le nuvole, inaridiscan le biade. Steriliscano le piante; e le calamità, la miseria, la fame puniscano le irriverenze sacrileghe fatte al Creatore nella propria casa. Così ei se ne protesta pel suo profeta Aggeo: Quia domus mea deserta, propter hoc prohibiti sunt coeli, ne darent rorem suum (ca. I, 9). Così per nostra colpa proviamo di frequente. Ultio Domini est, ultio Templi sui. E da che vennero le contagiose epidemie degli anni scorsi che portarono il lutto in tante case, che desolarono tante famiglie? Ultio Domini est, ultio Templi sui. E quando mai si sentirono fra noi tante e sì fiere scosse di terremoti, e così frequenti, e così durevoli? E quando mai si udirono di tristi novelle di pestilenza di qualità strana, esecutiva, immedicabile, che assale chi per vigor di forza meno la teme, ed in poche ore l’uccide e va serpeggiando di regno in regno? Ultio Domini est, ultio Templi sui.

Ma quello è il meno, rispetto al terzo castigo della permission dei peccati. Sarebbe meglio che in una città entrasse la peste, e passeggiasse la morte, più tosto che nelle sue contrade il peccato andasse in trionfo. Il colmo dell’ira di Dio non è quando temporalmente castiga, ma quando abbandona. Exacerbavit Dominum peccator (Sal. IX, 1), dice il Re Profeta. Il peccatore è arrivato a tal segno da esacerbare il cuor di Dio? Che ne avverrà? Sarà forse da Lui punito con malattie, amareggiato con perdite, percosso con disgrazie? Non già, non già! Sarebbero questi castighi, colpi per svegliarlo, ferite per guarirlo, avvisi per salvarlo. Ma no: nella moltitudine dei motivi dei motivi che accendono la giusta sua collera, Iddio più nol cerca, In moltitudine irae suae non quaere. Comprendetene uditori la terribilità e la conseguenza. Quando il medico dice agli assistenti ad un infermo, gli dian tutto quel che desidera, che segno è questo? Dobbiam dunque noi dare al nostro malato le cose da voi poc’anzi proibite e da voi chiamate nocive? Date, date, non v’è più rimedio, il caso è disperato, egli è perduto!

Ah Signore, castigateci pure colla sferza da padre, colla verga da pastore, col ferro e col fuoco da medico severo insieme e pietoso; ma non ci abbandonate al reprobo senso, non ci abbandonate a noi stessi. Se contro di noi si armeranno i ministri del vostro sdegno, la fame, la guerra, la peste, la morte, questi stessi flagelli ci daran la spinta a portarci ai vostri pie’ ed implorare pietà. Disingannati delle terrene cose ci volgeremo alle eterne, disperati della vita presente, penseremo alla vita futura. Ma se voi ci voltate le spalle, se voi ci abbandonate, si alzerà un muro tra Voi e noi, che ci dividerà in eterno.

Ad evitare somigliante castigo, massimo ed ultimo di tutti i castighi, rispettiamo, fedeli miei, la casa di Dio, accostiamoci al luogo santo con un timore reverenziale che ci contenga nella più modesta compostezza, che ci avvisi a non dir parola, a non azione che possa offendere gli occhi di sua divina maestà. Ce l’impone Dio stesso nel Levitico: Pevete ad sanctuarium meum (XXVI, 2). Che se noi, non curando la santità del luogo, imiteremo quegli empi veduti nel Tempio dal Profeta Ezechiele, vòlto il tergo all’altare, porgere incenso agli idoli, e con mille altre abominazioni contaminare il santuario; se le adorazioni a Dio dovute saran rivolte a qualche idolo di carne, se le mode scandalose saran d’inciampo agli incauti, se la Chiesa per diabolica libertà diverrà un teatro, Iddio ci abbandonerà al suo giusto furore, si ritirerà dal luogo santo e da noi, com’Egli stesso se ne protesta col citato Profeta: Recedam a santuario meo (Ezech. VIII, 9). Così fece con la perfida Sinagoga. Gesù si nascose, ecco estinto nei figli suoi il lume della fede, Gesù uscì dal Tempio, eccoli segregati dalla sua alleanza, dispersi sulla faccia della terra, portar in fronte il marchio del deicidio, e della loro riprovazione, in odio a Dio e a tutte le nazioni. Guai a voi se in pena della violata religione, e del disprezzo della sua casa Gesù si nasconde! Resteremo in tenebre ed ombre di morte, cadremo nei precipizi degli eccessi più enormi. Guai a noi se Gesù si parte dalle nostre Chiese, come si partì da quelle dell’Asia, dell’Africa e dell’Egitto, divenute moschee maomettane; privi allora d’altare, di sacramenti, di sacrifizi e di ogni altro spirituale aiuto: per pochi giorni passeggeremo la via del libertinaggio, e gustati alcuni frutti di avvelenato piacere, coronati di rose piomberemo nell’inferno prima provato, che da noi temuto. Che Dio ci liberi!